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Persona e personalismi
di Emilio Renzi
1. La seconda nascita del personalismo e la duplice radice di persona. Charles Renouvier

Charles Renouvier


Il termine antico di «persona», Charles Renouvier lo rigenera nel suo Le personnalisme, del 1903. Prima opera di filosofia ad alzare «personalismo» a titolo1.
«Persona» non è un’invenzione di Renouvier (1815-1903). Ha una lunga storia, e gloriosa. Ha addirittura una duplice radice: nella classicità e nella teologia. E ancor più sviluppi: nella teologia, nel diritto, nella filosofia. Se ne dirà meglio al termine di questo stesso paragrafo. Ora si dichiara subito l’enjeu, la “posta in gioco” del presente scritto.
Infatti in una storiografia peraltro molto diffusa «persona» è il concetto centrale del personalismo cattolico di metà Novecento2. È corretto ma è –credo – parziale. Credo invece alla validità di una riconsiderazione di Renouvier come introduzione a una rilettura del personalismo nell’intero del pensiero filosofico moderno e contemporaneo. Quali dunque il senso, i contenuti e le finalità del laico personalismo di Charles Renouvier?
Renouvier intese sigillare la fine di un secolo iniziato con le drammatiche conseguenze della Rivoluzione francese e concluso nel positivismo. Volle al tempo stesso proporre al nuovo secolo una soluzione di libertà dell’individuo, che egli appunto designò col nome di «persona». Nel progresso scientista di fine Ottocento Renouvier vide pericoli non minori di quanti ne aveva promossi l’idealismo della Restaurazione: vide un’idea deterministica della storia. È a dire l’oggettivazione del singolo, la società come macchinismo che si autoperpetua, insomma una costante minaccia alla libertà del soggetto, singolo e associato. Occorreva rifarsi alle radici del secolo stesso: a Kant.
Per i neocriticisti come Revouvier (1815-1903) e Otto Liebmann (1840-1912) cui si deve l’apodittico Zurück zu Kant, Immanuel Kant non è solo il culmine della gnoseologia e dell’etica illuministiche. È il filosofo che ha argomentato una forma di organizzazione della pace universale, fondata su un’antropologia il cui Io non ha nulla dell’orgoglio prometeico né del materialismo individualistico. In loro luogo, la persona: soggetto irriducibile di dignità e di diritti, luogo centrale di una morale autonoma. Incomprimibile aggiungiamo ora noi, lettori successivi da parte delle dittature del proletariato e della razza eletta, dallo Stato totalitario, dallo Stato etico, dalle costruzioni panlogistiche, scientiste, materialistiche, dell’edificazione forzata dell’«uomo nuovo».
Renouvier percorse con la sua lunga vita e con le sue molte e multiformi opere l’arco dell’Ottocento pieno: dalla fine della Restaurazione allo scoppio rivoluzionario del Quarantotto, alla nascita della questione sociale e al progresso foriero di crisi del secolo entrante. Vi lesse pericoli filosofici di cui egli diede le traduzioni macropolitiche nelle fogge seguenti: spiritualismo metafisico ossia assolutismo del trono e dell’altare; idealismo tedesco ossia negazione della libertà individuale in nome della libertà assoluta dello Spirito; positivismo ossia sociologismo socialistico.
Pur attraverso ripensamenti e cambiamenti andò alla ricerca di un fondamento che sottraesse l’uomo dai pericoli delle filosofie sovrastanti in maniera necessitante e quindi limitanti la libertà di agire nella società (oggi diremmo: ideologie).
Quel fondamento Renouvier lo coglie nell’Illuminismo della Rivoluzione francese che egli reinterpreta (come già Kant in certa misura) come spiritualismo critico: si può dire, fenomeno senza noumeno. Al culmine di questo spiritualismo critico Renouvier individua l’autonomia della morale nei confronti delle leggi e istituzioni assolutistiche (ossia appunto dell’assolutismo/assolutismi…). Quindi l’uomo che si dà le sue leggi (che non sono necessariamente contro Dio…) è appunto l’io-soggetto: che egli chiama «persona». Sulla persona si può agglutinare una filosofia critica della società e della storia (e, come vedremo, della «contro-storia»…): appunto, il personalismo.
Se non esistono assoluti, persone e fenomeni non possono stare tra loro se non in «relazione».
Relazione è dunque la categoria della conoscenza che (diversamente da Kant) è gerarchizzata rispetto alle altre; è centrale ed è superiore. Questa mossa scardina la dottrina delle categorie in Kant: dissolve lo schema della Deduzione Trascendentale, rifiuta la «cosa» (per Renouvier, il sapere fattuale del positivismo scientistico). La forma vivente della Relazione è la Persona. Per questo essa è a sua volta centralità e fondamento ed è causa sui e causa causans. Renouvier respinge i determinismi storici sia à la Hegel sia à la Saint-Simon, perché non riconosce la categoria della necessità a priori. Tutte le categorie Renouvier le raccoglie ed esalta nella categoria della relazione nella sua forma vivente e attiva, prioritaria rispetto al reale, alle sue specificazioni e rappresentazioni fenomeniche, alla sua finitezza. La persona non è tanto dottrina quanto un atteggiamento di centralità e superiorità della persona sulle pratiche, sulle ideologie.
Un’opera di Renouvier è singolare: Uchronie. Sottotitolo: Esquisse du développement de la civilisation européenne tel qu’il n’a pas été, tel qu’il aurait pu être (1876)3. E se dopo Marco Aurelio la filosofia stoica come cultura di governo dell’Impero romano avesse resistito alle invasioni del «misticismo orientale»?… A ben vedere è un’opera non scollegata dalle sue principali di filosofia. Ucronia sta a utopia come un tempo storico diverso anzi opposto sta a un luogo inventato in funzione antirealistica. Opera che continua a dispiacere agli storici e che invece ha dato alimento a una pubblicistica soprattutto inglese, anzi ha fondato il genere detto «storia controfattuale», Uchronie è un’opera a tesi contro la storia come legge a priori o necessità o negazione della scelta. La scelta, è della persona.

La duplice radice di persona

La storiografia genealogica di «persona» ne stabilisce l’origine in due fonti diverse e tuttavia non opposte. Una si radica e si sviluppa nelle discussioni teologiche sulla personalità di Dio e quindi sulla questione trinitaria. I nomi di questo percorso alla definizione dell’essenza e della natura di Dio sono Tertulliano, Origene, Sant’Agostino. Ne viene un itineario che poggia su Boezio, si annoda nella «rivoluzione» protestante, si prosegue ed è vivo nelle molte vicende e personalità della teologia moderna, da Barth e Bultmann sino a Moltmann e Jaspers. È appunto il piano della teologia e si comprenderà che è esterno rispetto a quello che qui si cerca di svolgere4.
Altra fonte è infatti quella da cui gli stessi teologi cristiani trassero la parola e assai più della parola stessa. Radice ossia etimologia è per/sonum, maschera indossata dagli attori per dar pienezza alla voce e inequivocità all’espressione, quindi completezza al personaggio o «parte» o ruolo in contrasto con gli altri. Dunque, identità all’identità. Riteniamo sia da rivalutare l’analisi in forma di metafora operata da Cicerone (106-43 a. C.), che a sua volta si rifaceva allo stoico Panezio (185-110 a. C.).
«Dalla natura – scrive Cicerone nel De Officiis – ci sono state assegnate due parti da sostenere». Una è comune perché tutti partecipiamo della ragione che ci dà il criterio razionale per capire il nostro dovere; l’altra, è dell’individuo in particolare. Diversi i nostri singoli corpi, differenti le nostre anime.
Perciò ciascuno conosca il proprio carattere e si faccia giudice acuto sia dei suoi meriti che dei suoi difetti, perché non sembri che gli attori abbiano più accortezza di noi. Ora, l’attore vedrà quello che gli si adatta nella scena, e l’uomo saggio non vedrà quello che gli si adatta nella vita? Dunque riusciremo meglio in quelle cose alle quali saremo più adatti5.

È Roma che inventa lo jus personarum, ossia il diritto che ha che fare non con le cose ma con gli esseri umani in quanto tali: personae, da persona. Una invenzione che certo si corona sul piano istituzionale è a dire il diritto privato ma che altrettanto certamente è l’affermazione della persona umana individuale, libera, con una vita interiore, un destino assolutamente individuale, irriducibile a quello di qualsiasi altro. In definitiva, un ego. Il diritto romano è da questo punto di vista la fonte dell’umanesimo occidentale, la pietra di volta dell’intero jus occidentale (e mondiale nell’età moderna). Il personalismo, esaltato con Agostino e nella teologia medioevale, riscontrabile con L’uomo misura di tutte le cose di Protagora, finisce col portare il giudizio sull’essere e sul divenire dal piano del divino oltre la dimensione gnoseologico-teoretica, ai piani dei confronti nella vita associata nelle città e civiltà mediterranee dapprima, atlantiche e mondiali poi. È la sua laicizzazione piena6.

2. Personalismo laico. Ascesa e declino: Banfi, Bobbio

Antonio Banfi


Nel 1909 all’allora Accademia Scientifico-Letteraria di Milano Antonio Banfi (1886-1957) si laureò su Charles Renouvier, Émile Boutroux e Henri Bergson ossia, per usare una formula concisa, sulla coeva filosofia francese della libertà creatrice e del «contingentismo», di contro al determinismo ed evoluzionismo spenceriano7. Ora il nome di Banfi è rimasto giustamente legato a Hegel, Husserl e Simmel (e nella parabola discendente a Marx e al comunismo italiano). Tuttavia quest’inizio «francesizzante» sotto la guida del suo maestro Piero Martinetti, così importante per lui e la filosofia italiana del primo Novecento, è stato sottolineato da studiosi come Laurana Lajolo e Massimo Ferrari e la sua conseguente permanenza nel tempo è dimostrata dal fatto che di Renouvier (e di altri francesi «spiritualisti») Banfi continuò a occuparsi negli anni in cui componeva il suo primo grande lavoro, Principi di una teoria della ragione (1926).
Banfi apprezza le conseguenze antimetafisiche della categoria di «personalità» o «persona» dell’ultimo Renouvier.
La persona… non è una semplice legge o coesione originale di fenomeni, ma implica un momento di assoluta autonomia e spontaneità… la libertà è l’intima natura della persona... autodeterminazione, attualità presente in ogni azione come in ogni pensiero… non vi è nulla su cui si fondi la sua vita, se non su se stessa…accettare e fondare universalmente la propria responsabilità. È un duro, aspro mondo, questo della autonomia, in cui nulla è fatto e tutto è ad ogni istante da rifare, in cui nulla è sicuro e tutto è ad ogni istante da assicurare8.

Quando Banfi scrive queste righe così chiare e forti sta intrattenendo rapporti non di maniera con i protestanti italiani, scrive per la loro rivista «Conscientia»9.
Soltanto nel 1980 sono stati pubblicati due manoscritti sulla Persona stesi da Banfi tra il 1940 e il ’43: gli anni dell’Italia nella guerra mondiale in alleanza con il totalitarismo nazista. Il manoscritto A ha una veste provvisoria, il B presenta una stesura più lunga, meglio definita; il primo ha a proprio esplicito tema la valutazione della persona, il secondo diluisce il tema in una sistematica del sapere. È la prova di una elaborazione faticosa, di un travaglio non placato. O meglio: che di lì a poco sarà risolto infine drasticamente10.
I manoscritti sono infatti abbandonati ai posteri e sostituiti con il saggio Moralismo e moralità. È il 1944 ed è iniziata la Resistenza, Banfi è attivo in essa. Per Fulvio Papi è in questo saggio che confluiscono i manoscritti sulla persona. Moralismo e moralità entrerà a far parte dell’Uomo copernicano, dato alle stampe nel 1950. Banfi ha scelto il «secondo viaggio», per usare l’espressione di Papi: verso la lotta armata, il Senato della Repubblica e il comunismo internazionale (il «primo» era stato negli anni della formazione il socialismo pacifistico di Tolstoj)11.
Nei manoscritti sulla persona, specie nel primo, Banfi aveva annotato germi culturali di ascendenza letteraria: Ibsen, Strindberg, Tolstoj, Dostoevskij, Proust, la nuova lirica. Anche i romanzi di Mann12. «L’autocoscienza personale dell’uomo moderno inizia con Montaigne». Precedenti filosofici: indipendenza della persona nel principio demonico di vita (Nietzsche) e religioso (la negazione in Kierkegaard). I pragmatisti americani: Peirce, James. E – last but non least
sul piano fenomenistico, ma con un’accentuazione radicale e paradossale sul problema della libertà, oltre i compromessi dello spiritualismo tradizionale, si è mosso il neocriticismo francese della scuola del Renouvier sboccando nel personalismo dialettico, ricco di suggestioni speculative dell’Hamelin13.

Conclusione: «il problema essenziale della vita e la posizione cruciale del pensiero… è tornato a riardere»14.
Conclusione provvisoria, come abbiamo accennato: e non solo perché permane un sospetto nei confronti degli sviluppi culturali della negatività (la «demonicità» ossia patologia, psichiatria, psicoanalisi, caratterologia ecc.) e dello sviluppo più propriamente filosofico: l’esistenzialismo, definito «tragicismo retorico di un’astrazione speculativa»15. Banfi salva la fenomenologia, perché «con il concetto d’intenzionalità introduce la formula metodica per l’analisi del rapporto tra il piano soggettivo-personale ed obbiettivo- idetico dell’esperienza»; ma nell’insieme lo scioglimento avviene su un altro versante, dalla descrizione all’azione.
Così sintetizza Luciano Eletti:
unicamente nel problema più generale di una umanità libera e progressiva si risolve il problema personale: questo non è mai un fatto meramente individuale: nessuna sua soluzione personalistica può dare risposta costruttiva e duratura ai grandi problemi collettivi che, per quanto si voglia non riconoscere o ignorare, pure la vita quotidiana della persona opprimono e dilacerano. In talune circostanze l’umanità del filosofare esige che la vita si anteponga all’idea. Necessita una liberazione radicale; occorre restar dunque sul terreno della prassi16.

Nella prima estate del secondo dopoguerra Enzo Paci, scampato alla prigionia in Germania, va a parlare col suo professore. Nel diario, la sera, annota le parole di Banfi: «Dopo l’8 settembre è accaduto qualcosa di fondamentale, di assoluto. ‘Lui’ è passato… E quando si sente che ‘Lui’ passa bisogna decidersi»17.
Banfi ha dunque deciso. Ha scelto la (presunta) «Verità della Storia». Le potenzialità insite nei manoscritti sulla Persona resteranno inascoltate dal loro stesso estensore, comprese soltanto da Giovanni M. Bertin, l’allievo a lui più vicino nei primi anni Quaranta.


Norberto Bobbio.

Anche Bobbio (1909-2004) inizia dalla fenomenologia. Il suo primo libro ha per titolo L’indirizzo fenomenologico nella filosofia sociale e giuridica18. Però più che Husserl è presente Max Scheler. Scheler permette una presa di posizione antipositivistica entro una più importante esigenza di etica dei valori. Ora Scheler porta dritto al concetto di persona e Bobbio se ne occupa non solo da studioso, come vedremo19. A Tommaso Greco si deve il preciso ripescaggio e rilettura della parabola con cui Bobbio in meno di una quindicina d’anni «avvicina, svolge e abbandona il tema della persona»20.
Il «soggetto come persona» è costituito «dall’unità degli atti singolari e degli atti sociali» e in questo modo Bobbio pone il problema del rapporto tra singolo e società o tra libertà e autorità sociale. È un rapporto in cui l’equilibrio si raggiunge e mantiene se si assume che «la società non è che una astrazione di quella realtà concreta vivente nella persona atteggiata socialmente»21. La persona infatti è «la radice della socialità… non vi è società che non sia società di persone»22. Era anche una difesa dall’ingerenza o prepotenza dello Stato nella società; erano, teniamo presente, gli anni Trenta nella loro seconda metà.
Bobbio partecipa alla discussione filosofica degli ultimi anni prima della guerra: l’esistenzialismo. Si ricordi l’inchiesta di «Primato» di Bottai, nel 1940, condotta da Nicola Abbagnano ed Enzo Paci23. Bobbio apprezza Jaspers perché scrive, «io non sono ma divento persona... in quanto comunico»24; ma nell’insieme rifiuta quello che lui vede come un coacervo di romanticismo vecchio e nuovo e quindi un andazzo decadentistico o cristiano-confessionale. La Filosofia del decadentismo, che appare nel 1944, si chiude con un capitolo critico che si intitola Personalismo vecchio e nuovo25. Il suo, aggiunge Greco, è un personalismo laico o più propriamente «sociale». «La persona non è un dono che spetti all’uomo per virtù soprannaturale; è una conquista storica». Kantianamente si esprime Bobbio nel 1941: «Sii persona e rispetta gli altri come persona»26.
Il superamento della crisi denunciata nelle varie voci e varianti dell’esistenzialismo è nel «rinnovamento». Il rinnovamento è nella storia; la storia è la guerra; la guerra si rovescia nella Resistenza; lo sbocco è il Partito d’Azione. A esso e in esso Bobbio partecipò in prima persona e prendendo le mosse anni prima, almeno dagli incontri di Cortona nel 1938 con Guido Calogero e Aldo Capitini, che l’anno precedente avevano fondato il Movimento Liberalsocialista. Furono per il fascismo e per Mussolini personalmente gli «anni del consenso»; noi ora sappiamo che furono anche gli anni del dissenso, tragico e fecondo (nel 1937 vengono ammazzati Carlo e Nello Rosselli, Croce fa pubblicare da Laterza gli Elementi di un’esperienza religiosa di Capitini). Per Bobbio furono gli importanti anni dell’iniziazione alla filosofia politica e alla politica tout court, pur nei modi in cui la si poteva praticare dati i tempi27. Lo scioglimento dei vari dilemmi avviene lungo linee che da intrecciate si fanno confluenti: pratica e teoria, politica e idealità di studi. L’idea di persona si fa luogo di incontro tra libertà e uguaglianza, tra le idee profonde del liberalismo e del socialismo.
Nella prolusione accademica tenuta a Padova nel 1944 intitolata La persona e lo Stato28 l’equilibrio tra persona e società si realizza nelle due forme del liberalismo e della partecipazione democratica, perché «il pericolo dell’assorbimento totale della persona nello Stato è sempre possibile e si chiama totalitarismo». Occorre quindi prender posizione: e questo è l’incontro fra «moralità» (Banfi!) e «giustizia»29.
Personalismo… Lo studioso Franco Sbarberi raccoglie le filosofie degli anni Trenta e Quaranta, naturalmente ben diverse fra loro, di Polanyi e Jaspers, Maritain e Mounier, Rosselli e Calogero, Calamandrei e Bobbio, sotto il proposito di un «coerente progetto», volto a «vanificare il dispositivo amico-nemico innescato dalle ideologie totalitarie». Il fine è ottenere una «ricostruzione teorica dell’autonomia, del rispetto e della responsabilità di ogni soggetto… concepito come valore, un ente irriducibile che può realizzarsi soltanto in una società impegnata a difendere la libertà di tutti»30.
Non è certo che in quegli anni Bobbio conoscesse le opere di Mounier. Nel 1948 ne recensì nella «Rivista di filosofia» il breve e denso Che cos’è il personalismo, tradotto presso Einaudi (per inciso, una rara epifania «bianca» in un ambiente di tutt’altro colore, e sarebbe interessante saperne qualcosa di più. Forse il suggerimento fu un tardivo atto di Bobbio stesso? più probabilmente Felice Balbo, cattolico e comunista…). Bobbio stila un giudizio positivo, pacato anzi staccato, e sembra che a premergli sia la pointe finale: grazie all’accento sulla socialità, scrive saldando il cerchio, il personalismo di Mounier si distingue «dalla filosofia esistenziale, volta al solipsismo», immune dunque «dalla tabe decadentistica».

3. Personalismo laico. Ascesa e conferma: Paci, de Martino

Enzo Paci


Tra le file della scuola di Banfi chi riconobbe a Renouvier uno speciale spicco nel disegno delle grandi costruzioni filosofiche seguite al criticismo kantiano per aver concepito «la relazione come il problema fondamentale per la filosofia», fu proprio Enzo Paci31. Negli anni Cinquanta Paci stava elaborando una propria filosofia cui avrebbe dato il nome di relazionismo. Su una trama di un’idea di filosofia antidogmatica, che nega ogni realtà in sé e per contro si apre alla poesia, all’immagine, al mito non meno che alle scienze della natura e alle nuove scienze, e tutto sommato incentrata sulla grande polifonia del tempo, il relazionismo si propone come una filosofia aperta, forse più metodo che sistema, suscettibile quindi di sviluppi evolutivi. Come in effetti sarà negli anni Sessanta, con la grande rilettura dei testi di Husserl: editi e inediti.
«La profondità del pensiero di Renouvier è testimoniata proprio dal suo relazionismo»32. La realtà tutta, in quanto relazione, è «il teatro vivente della rappresentazione»: se è vivente, non può esser ridotta a fenomenismo o pura apparenza. E se il «teatro vivente della rappresentazione» è spezzettato dalle scienze singolarmente sviluppate e prese, compito della filosofia è riassumerle nella «relazionalità generale». «Poiché non si conosce nulla se non nella relazione, la legge più generale di tutte è la relazione stessa», scrive Renouvier33. Reale è ciò che è centro di relazioni e che si rappresenta in altro avendo in sé la rappresentazione dell’altro: non è senza ricordare la monade di Leibniz, anzi per Renouvier studioso di Leibniz è proprio così, è una «credenza pratica», è meramente una differenziazione di funzioni.
Nel gioco delle relazionalità il processo della realtà non è predeterminato ma libero, può dirigersi verso un fine o un altro. Con un accenno sfumato Paci dimostra di aver letto il Renouvier che altri ha deriso:
Renouvier si oppone a ogni concezione deterministica della storia fino al punto di tentare una ricostruzione della storia ‘quale avrebbe potuto essere e non è stata’… tesi diretta contro la pretesa hegeliana di identificare nella storia l’essere e il dover essere, i dati di fatto e l’esigenza morale… compito dell’uomo nella storia è quello di reintegrare se stesso e il mondo34.

«Le monadi concrete – scrive Paci nell’opera cui pensò di affidare la summa del suo pensiero – sono persone». Lo sono perché «vivono nel mondo della cultura». La persona dunque è tale se e in quanto ha a che fare con la realtà temporale, dialettica e intersoggettiva. Essa è sempre «unità di anima e di corpo»: in essa giocano quindi una componente genetico-biologica e un’altra di condizionamenti e progetti socioculturali. In quanto possibilità la persona, rammenta Paci, è per Husserl «substrato delle decisioni»35. Come dire, cominciamento di libertà: innanzitutto dalle proprie stesse precostituzioni materiali (biologiche, psicofisiche). «La trasformazione segue il principio per cui la libertà concreta passa attraverso la necessità», ma non ne è condizionata oltre un certo punto36.
Al Paci ri-lettore di Husserl e in connessione con il suo pensiero e con la storia del Novecento preme concludere che la crisi delle scienze può esser superata e che la fenomenologia conferisce alle scienze la loro autentica funzione in base alla loro unità radicata nell’esperienza in prima persona (mia, tua, nostra) dell’uomo e della comunità umana: tutti gli uomini di tutti i continenti, che sono e che saranno e che sono stati. La «compresenza dei morti e dei viventi», la «cifra» di Capitini (1899-1968), penso si attagli all’intenzionalità profonda di Paci, dal soggetto che è «in prima persona» all’umanità come telos37.
«Prima persona» è l’esperienza originaria di cui parla la fenomenologia come senso dell’operazione di metodo e di vita in cui consiste l’epoché ed è il vivente, non astratto (teoretico), formalistico (linguistico), fungere della relazione io/mondo/altro/storia. Prima persona è relazione in fieri.

Ernesto de Martino

Antonio Banfi ed Ernesto De (sic!) Martino (1908-1965) sono stretti in un mirabile saggio da Arnaldo Momigliano sul tema della persona38. Il «nodo» che lega uomini apparentemente così lontani è rappresentato dai primi libri del banfiano Remo Cantoni (Il pensiero dei primitivi) e del crociano de Martino (Naturalismo e storicismo nell’etnologia). Libri fecondi, per gli autori e per la cultura italiana del secondo dopoguerra, e coevi: il 1941. Il periodo in cui Banfi, come abbiamo visto, scrive e non pubblica i due testi sulla persona e sulla sua crisi. Ancora: Cantoni scrive di una etnologia che mira a una antropologia, premessa a un discorso sulla crisi della persona nella modernità e contemporaneità; de Martino scrive di una etnologia che mira a una storia della «presenza» (è il suo termine per «persona») e più precisamente della minaccia (e «riscatto») della «crisi della presenza» ossia della sua reintegrazione nella cultura mediterranea e in quella del Novecento europeo (esistenzialismo italiano e tedesco, psichiatria fenomenologica).
Momigliano non si fa abbagliare dalle dichiarazioni di «crisi» dello storicista de Martino e dei razionalisti Cantoni e Banfi e anche per questo il suo originale paragone conserva importanza e fa avanzare il discorso. De Martino infatti, secondo Momigliano, tende a «vedere la persona come una creazione non distruggibile della civiltà, e perciò a considerare i cosiddetti primitivi come in lotta per l’acquisto di una solida persona». Una lotta che ha «preso la forma della magia» e più tardi, nelle indagini sulle «plebi» del Sud e sulla «taranta», la forma del «rimorso» che è premessa di rinascita a una più degna e piena esistenza. Per Banfi, «la persona era in pericolo entro la cosiddetta civiltà: tuttavia la prognosi era favorevole». La «Scuola di Milano» e la sua apertura culturale (Remo Cantoni, Paci, Giulio Preti, Antonia Pozzi, Vittorio Sereni, Luigi Rognoni, Dino Formaggio, Alberto Mondadori) restano a provarlo. La crisi che Banfi colse nella sua generalità e specificità negli anni dell’anteguerra fu affrontata e rovesciata come «rinnovamento», ha scritto Gabriele Scaramuzza39. «Entrambi – è la conclusione di Momigliano – credevano alla solidità (relativa o assoluta) della persona nell’età della ragione storica, cioè nel XX secolo»40.
Letto oltre l’understatement del suo stesso titolo, il saggio di Momigliano affronta da par suo ossia con levità e profondità un altro aspetto del problema «persona da un punto di vista della cultura mondiale o cosmopolitismo»: è a dire la biografia e l’autobiografia nel mondo classico e della sua trasmutazione nel Cristianesimo e il loro apporto alla formazione della nostra idea di persona. Questo è il dichiarato interesse di Momigliano nei confronti dell’intera opera di de Martino sino al conclusivo Fine del mondo e rispetto alla ricerca di Banfi e della sua scuola sul tema della persona. Sappiamo quanto biografia e autobiografia e loro trasmutazione nel mondo greco-romano e giudeo-ellenistico siano stati importanti e fecondi per un Momigliano.
Momigliano si meraviglia di come un sociologo ed etnologo del calibro di Marcel Mauss abbia trascurato nella sua ricostruzione della genesi dell’idea di persona il contributo dato dalla biografia greca41. Tanto più quindi apprezza lo studio appassionato di de Martino e l’ampiezza da lui data alla «crisi della presenza» (sinonimo di «persona e sua crisi»).
Come in De Martino la tradizione idealistica o storicistica di Croce, Omodeo e Gramsci si combinasse con il fenomenismo di Husserl e con l’esistenzialismo di Heidegger e come poi vi aggiungesse una forte carica di psichiatria, non tutta derivante dalla psicoanalisi di Freud, non era spiegabile senza la efficacia della scuola di Banfi42.

Tanto più apprezzabili le osservazioni di Momigliano, in quanto formalmente e sostanzialmente confermate dalle pubblicazioni successive degli inediti demartiniani. De Martino tornò a rileggersi i filosofi («più familiari»): Croce naturalmente, ma anche Heidegger, Abbagnano. E, sulla spinta di Paci, Husserl. Paci aveva recensito Il mondo magico con grande comprensione e avrebbe ininterrottamente dialogato con lui sino alla fine43.
«Crisi della presenza» è per Paci perdere l’esserci, essere inghiottiti dall’inconscio, «angoscia del nulla». Ora de Martino ha una replica precisa: è la cultura. Lo storicismo effettivo. La cultura è creazione di forme, è l’immaginazione e il mito vichiani ma non l’oggettivazione in strutture categoriali date una volta per sempre. È l’esperienza vissuta delle donne «tarantolate», dei contadini pugliesi e lucani, cui la «spedizione nel Sud» (spedizione! qualcuno gridò allora) diede voci, accenti, cadenze, suoni. «Pre-categoriale» e «prima persona», non occorreva molto di più per avvincere Paci e generare un dialogo diretto.

4. Personalismo cattolico. Mounier, Maritain, «Esprit»

In verità a rimettere Charles Renouvier agli onori del pensiero filosofico fu Emmanuel Mounier (1905-1950).
Il personalismo – riconosce Mounier – nasce nell’ambito del neocriticismo. Renouvier «battezza il nome su un frontespizio di libro in opposizione a cosismo ossia alla mera datità del positivismo» e in esaltazione della ripresa di un discorso che per essere critico deve svolgersi tramite le categorie e la loro riconduzione a un centro unitario – il «trascendentale» – e precisamente alla persona – all’«antropologia prammatica»44.
Mounier non intende seguire la filosofia di Renouvier oltre un certo punto se non altro perché il «Personalismo» che lui, Jacques Maritain (1882-1973), Maurice Nédoncelle (1905-1976), Paul Ludwig Landsberg (1901-1944), altri ancora, inaugurano formalmente non vuol essere una filosofia nel senso sistematico del termine. Un «trattato», spregia Mounier. Vuol essere un progetto che nasce dalla realtà vivente e in questa realtà desidera stare e crescere e «militare» come i tempi esigono e se occorre contro di essi e i loro apparenti, tronfi trionfi. Per questo fonda «Esprit»: un movimento, una rivista di intervento (1932).
L’orizzonte generale entro cui si iscrive la scelta di Emmanuel Mounier è questo. L’essenza del personalismo si definisce come l’esplicita intenzionalità antitotalitaria dans tous les azimuts cioè verso (contro) destra e verso (contro) sinistra, così da dissolvere «le differenze tra concezioni fasciste, nazionalsocialiste e comuniste dello Stato», perché
le loro incompatibilità più profonde scompaiono effettivamente dietro la loro pretesa comune di sottomettere le persone libere e il loro destino singolare a un potere temporale centralizzato che, avendo riassorbito in sé tutte le attività tecniche della Nazione, pretende anche di esercitare il proprio dominio spirituale fin nell’interno dei cuori.

In questo modo Mounier tutte le compendia: una «teocrazia nuova e rovesciata»45.
Mounier sa bene che «personalismo» si dovrebbe declinare al plurale.
Un personalismo cristiano e un personalismo agnostico differiscono fin nelle più intime strutture. Non avrebbero alcun vantaggio a cercare di raggiungere dei compromessi. Tuttavia, essi si incontrano in certi campi del pensiero, in certe affermazioni fondamentali e in alcune manifestazioni pratiche, e ciò basta a giustificare l’esistenza di un termine collettivo46.

La persona è un «essere in relazione». Persona è «prima di tutto il no, il rifiuto di aderire, la possibilità di opporsi, di obiettare, di resistere allo smarrimento mentale e quindi a ogni forma di affermazione collettiva, sia essa teologica o socialista»47. Si sente la portata di una delle sue fonti: «Parecchi americani l’hanno adoperato dopo Walt Whitman nei suoi Democratic Vistas (1867)».
Leggiamo una parte solo di un componimento da Foglie d’erba, One’s-Self I Sing:
One’s-Self I Sing, a simple separate person,
Yet utter the word Democratic, the word En-Masse…

L’individuo io canto, una semplice singola persona,
eppur pronuncio la parola Democrazia, la parola
In-Massa48.

Mounier è certamente ancor più consapevole di Whitman dei molti, aggrovigliati significati che l’incontro tra «democrazia» e «massa» ha finito con convogliare ed esprimere, nel nuovo secolo. Per questo a «persona» accosta «comunità»; «personalismo» è l’altra faccia di «comunitarismo». Quella che lui chiama la «rivoluzione del XX secolo» o, programmaticamente, «nuovo Rinascimento», è o sarà tale se si assume che paradigma di giudizio e azione è il «bene comune», il bene vissuto entro, e per, la comunità49.
«La comunità non è tutto, ma una persona umana che rimanga isolata è nulla»50. Il personale apporto di Mounier consiste dunque nel raddoppiarne la valenza intrecciandola con un’idea presa dalle scienze sociali e profondamente innovata: comunità, appunto. Questo non significa far confusioni, al contrario:
Il comunismo è una filosofia della terza persona, dell’impersonale. Ma esistono due filosofie della prima persona, due modi di pensare e pronunciare la prima persona: noi siamo entro la filosofia dell’io, ma parteggiamo per la filosofia del noi51.

Infine la comunità di Mounier «potrebbe esser definita una persona di persone»52.
Un breve scritto di Paul Ludwig Landsberg è a tal punto fulminante nella individuazione di cos’è «personalismo», che mi permetto di ricopiarlo:
Un saggio ebreo, più precisamente uno zaddik[giusto], disse in punto di morte: “Se Dio mi domandasse: Suczia, perché non sei stato Mosé? – non avrei alcuna difficoltà a giustificarmi. Ma cosa potrei dire se Dio mi domandasse: Suczia, perché non sei stato Suczia?” –Formuliamo qui un po’ più astrattamente la medesima convinzione: che la persona, la sua vocazione e il suo dovere formano un insieme inseparabile53.

Da parte sua nel movimento di «Esprit» Maritain si dedica alla ricerca delle basi storiche di un nuovo umanesimo, che egli connota come «integrale» e le cui radici pone nella compiuta tradizione cattolica, quella tomista.
È appena il caso di aggiungere che per Emmanuel Mounier la persona è tensione verso l’essere54 e l’essere è l’Assoluto di Dio, il Valore assoluto, cui si può giungere attraverso quella forma anche dolorosa di affrontamento che è il silenzio, la ricerca interiore, la «lotta con l’angelo», la prova di Giacobbe. Affrontamento, se occorre, della sua stessa forma istituzionale, delle sue scelte nelle contingenze storiche. Registrarne gli errori, subirne le colpe. Questi sono i nodi (stretti e da sciogliere) tra Storia, Verità, Persona.
Conseguentemente il movimento di «Esprit», la rivista, le pagine di Mounier, furono reattive rispetto all’ora presente. L’impegno, afferma Mounier, è tale solo se muove dal presupposto della libertà, altrimenti tanto varrebbe approvare e stimare figure come Salomon, Malraux, Lawrence, Drieu, Jünger55. Possiamo aggiungere che è fuori dal coro la sua critica al non-intervento nei confronti di Hitler: «l’astensione è un’illusione…il non-intervento, fra il 1936 e il 1939, ha prodotto la guerra di Hitler, e chi non “fa politica” fa passivamente la politica del potere costituito»56. Mounier è reciso nelle definizioni delle idee e nei reciproci rapporti:
La politica non è una meta ultima, che assorba tutte le altre. Ma, se la politica non è tutto, essa è presente in tutto… Lo Stato è l’oggettivazione salda e concentrata del diritto, che nasce spontaneamente dalla vita dei gruppi organizzati (G. Gurvitch). E il diritto è la garanzia istituzionale della persona. Lo Stato è per l’uomo, non l’uomo per lo Stato57.

Il comunitarismo di Mounier implica il «bene comune» perché è ad esso che tende. La persona e il bene comune si intitola una raccolta di scritti di Maritain tra il 1939 e il ’45. Maritain negli anni della guerra era a New York ed ebbe un ruolo importante nell’impostazione della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo dell’ONU del 1948, assieme a René Cassin, Eleanor Roosevelt, John Humphrey58. Elabora anche proposte per servire alla formulazione della costituzione che dovrà sostituire dopo la guerra quella in vigore nella sconfitta Terza Repubblica francese.
Mounier da parte sua va anche oltre, pensa alla formulazione di un accordo internazionale che sia preliminare alle formulazioni, in corso o auspicate, dei sistemi giuridici degli Stati europei usciti scossi dalla guerra. Prioritari devono essere i diritti della persona, essi vanno raccolti in uno «statuto pubblico della persona», molto dettagliato.
Le proposte, formalmente articolate, furono portate al dibattito nell’Assemblea nazionale dal socialista Andrè Philip (1902-1970), che proveniva da «Esprit». Le susseguenti convulsioni parlamentari svuoteranno man mano il progetto di specificità e incisività, anche se la Costituzione francese del 1947 non sarà priva di spirito personalistico59.

5. Personalismo comunitario. Adriano Olivetti

Chi è certo che in quegli anni conoscesse le opere di Mounier e in generale dei personalisti francesi è Adriano Olivetti (1901-1960). L’interessamento è tanto più notevole in quanto Olivetti era ingegnere per studi, industriale di professione e socialista riformista per educazione familiare e prime esperienze pubbliche60. Il padre Camillo, fondatore nel 1908 della «prima fabbrica italiana di macchine per scrivere», era stato esponente a Ivrea e nel Piemonte della corrente di Filippo Turati, di cui era amico. Adriano studente a Torino nel primo dopoguerra aveva intrattenuto rapporti con Gobetti, Salvemini, Rosselli e dall’osservazione diretta del fallimento dell’ultimo sciopero legalitario e della crisi della democrazia liberale aveva tratto un interrogativo di fondo. Si chiese:
perché la società avesse saputo trovare in molti campi forme di organizzazione di sorprendente efficienza e perché invece la struttura politica apparisse così poco adatta ad assolvere i suoi compiti61.

L’intero della vita intellettuale e pratica di Adriano Olivetti sarà dedicato al tentativo, unitario e articolato, di trovare soluzioni allo iato storico fra scienza e politica, tecnica e istituzioni e di trovarle alla fine da politico e da pensatore della politica.
Nel 1945 quando torna dal forzato esilio per antifascismo attivo in Svizzera con la sua opera L’ordine politico delle comunità il proposito si fa esplicito disegno. L’opera è insieme proposta politica, disegno costituzionale-istituzionale, etica pubblica62. Inizia con dichiarazioni all’altezza dell’ora, dei compiti e delle fonti:
La società individualista, egoista, che riteneva che il progresso economico e sociale fosse l’esclusiva conseguenza di spaventosi conflitti di interessi e di una continua sopraffazione dei forti sui deboli, la società polverizzata in atomi elementari o spietatamente accentrata nello Stato totalitario, è distrutta. Sulle sue rovine nasce una società umana, solidarista, personalista: quella di una Comunità concreta63.

Il concetto di persona, «distinto e contrapposto al concetto di individuo… che si muove secondo la risultante di un puro urto di forze», nasce e si traduce «in un arricchimento dei valori morali… rispetto della dignità altrui…vivissima coscienza di un dovere sociale»64. Il riconoscimento delle ascendenze è a tutto tondo:
Il pensiero politico contemporaneo è grandemente debitore a scrittori come Jacques Maritain, Emmanuel Mounier, Denis de Rougemont per il loro sforzo di portare al centro dell’attenzione politica i rapporti tra la Persona e le comunità differenziate in cui si esprime la società umana65.

Negli scaffali della biblioteca personale di Adriano la raccolta di «Esprit» figura dall’annata 1934. Quando Mounier verrà a Torino nel 1946, a presentarlo in pubblico sarà personalmente Olivetti. Sarà la casa editrice fondata da Adriano – le Edizioni di Comunità – a far tradurre le più importanti opere di Mounier, di Maritain, di de Rougemont, di altri personalisti. Di Kierkegaard e di Martin Buber. E, naturalmente, dei “comunitari”: anglosassoni, italiani, francesi. La rivista «Comunità» pubblicherà saggi di Mounier e addirittura saggi di Olivetti su Mounier.
Non meno importanti perché forniscono le fonti e i confronti per i discorsi costituzionalistici sono Hugo Preuss, teorico della sfortunata Repubblica di Weimar, e Hans Kelsen ispiratore di quella dell’Austria post-bellica. Ma anche il socialismo «forte» del laburista Harold Laski, del sociologo Georges Gurvitch.
L’Ordine politico delle comunità stringe questi e altri temi sullo sfondo della tragedia europea e mondiale e nella prospettiva dell’Italia da ricostruire a democrazia. La democrazia per Olivetti si fonda sulla persona e sui suoi irrinunciabili valori, sul nesso comunità/federalismo regionale e non sullo Stato centrale, sulle istituzioni partecipate corrette dalla selezione etico-culturale delle élites66. Una forte impronta di innovazione metodologica e di ispirazione cristiana avvolge la costruzione. Che fu puntualmente non compresa dai socialisti di allora, le cui forze all’Assemblea costituente Adriano cercò di fecondare, e da tutta la Prima Repubblica o (con Scoppola, Ruffilli) «Repubblica dei partiti… partiti di massa». D’altronde lo scritto di Simone Weil sulla necessità di abolire i partiti politici Olivetti lo aveva letto con piena adesione e lo farà tradurre da Franco Ferrarotti67.
Il pensiero di Adriano Olivetti resta negli anni coerente con le premesse. Nel 1955 scrive:
Affinché la persona sia libera e riesca a possedere un valore spirituale assoluto, infinitamente più importante e infinitamente più alto di ogni valore dell’ordine economico e politico, occorre che lo Stato esista per l’uomo e non già l’uomo per lo Stato68.

Pensiero che si fece azione. Sul piano della politica locale e sul piano della politica e della cultura nazionali. Quanto al primo:
I nostri amici si recavano la sera nelle piccole e primitive comunità di contadini e di operai e parlavano per primi della necessità di trovare nelle loro forze, nelle loro menti, nel loro animo la strada per la risurrezione, la strada per un principio di solidarietà e di vera democrazia, che si attua non già attraverso la propaganda, gli obblighi, le costrizioni, gli indirizzi, il conformismo insomma, ma attraverso la lenta formazione di una coscienza personalista e comunitaria69.

Quanto alla scala nazionale, più che registrare i tentativi di assunzione di alte responsabilità (sindaco di Ivrea, deputato alle politiche del 1958), è giusto indicare l’articolazione delle iniziative culturali e di quelle imprenditoriali. Della casa editrice e della rivista si è accennato. Olivetti ebbe un interesse autentico per l’urbanistica, la fece attuare nel suo Canavese e la indirizzò in quanto presidente dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica). La riteneva «Estetica utilitaria al servizio di fini sopra-individuali e perciò etici»70. Vedeva in essa e nelle sue implicazioni sociali e paesaggistiche (oggi diremmo: ecologiche) l’intreccio tra la «bellezza» e il metodo scientifico della modernità, il solo che possa produrre «una chiara visione dei metodi atti a produrre razionalmente dei risultati», che è al dunque la possibilità di «dar forma a un piano»71.
Imprenditore, portò la sua società, anche grazie allo «stile Olivetti» nel design e nella grafica, a essere nel proprio settore prima in Europa, seconda nel mondo, prima in Europa a costruire un calcolatore elettronico e un personal computer da tavolo. Ponendo al tempo stesso (e qui è il punto) la domanda (attuale nella globalizzazione odierna persin più che nei mercati nazionali di allora): «Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?»72.
Il personalismo comunitario di Adriano Olivetti sarà ben lontano dal conquistare anche solo un posto al sole nella cultura accademica italiana, per non parlare nella cultura di massa del secondo Novecento; tuttavia il nuovo secolo registra un ritorno di interesse che non è solo antiquariato e nostalgia73.
Olivetti – ha scritto Giuseppe Goisis è importante nelle vicende del personalismo italiano perché contribuisce a liberarlo da certa angustia confessionale e a tuffarlo nell’ampio mare della progettualità sociale e politica74.
Il laico Massimo Teodori inserisce la rivista «Comunità» tra quelle di area laica, i cattolici rivendicano la profonda spiritualità cristiana di Adriano75. Le due tesi sono compossibili perché la personalità e il lavoro pratico e teorico di Adriano Olivetti furono unici.

6. Persona. Paul Ricoeur

Benché abusata, l’affermazione di Paul Ricoeur nel 1983, «Muore il personalismo, ritorna la persona», è un buon punto di partenza. Definisce infatti i due tempi e i due contenuti della lunga vita filosofica di Ricoeur (1913-2005) nei confronti del personalismo76.
L’adesione di Ricoeur all’apparizione di «Esprit» è immediata ed è più sentimentale che filosofica. L’iniziazione di Ricoeur è infatti nelle sue parole «alla scuola della fenomenologia». Frequenta Marcel ed è più prossimo ai movimenti giovanili socialisti. La conoscenza personale di Mounier e l’apprezzamento per il personalismo sono del dopoguerra. La prima è più forte del secondo, per quanto Ricoeur valuti molto anche Maritain e Paul-Louis Landsberg. Il suo orientamento va piuttosto dalla fenomenologia all’ermeneutica, con una forte propensione all’etica e uno specifico e apprezzato studio di Freud77.
Il contributo per i cinquant’anni di «Esprit» si intitola appunto Muore il personalismo, ritorna la persona78. Il personalismo, sostiene Ricoeur, è tramontato come, e con, gli «–ismi» di cui era l’antagonista: l’esistenzialismo, il marxismo. In quell’anno Ricoeur non si permette ancora di parlare di tramonto dello strutturalismo, ma il suo discorso noi ora potremmo legittimamente integrarlo.
«Valida» è restata e resta la «persona». Questi sono il secondo tempo e il non contradditorio contenuto del rapporto tra Ricoeur e il personalismo. «Persona-attitudine», innova Ricoeur. Attitudine è una pre-comprensione presa dalla vita (Lebenswelt, diceva Husserl), è orientamento a concetti e categorie ma non si risolve in esse. Persona è «il centro (foyer) di una “attitudine”, cui corrispondono segni di riferimento essenziale della sua situazione»79. Nuovamente sulla scorta di Landsberg, Ricoeur individua tre «segni di riferimento»: crisi o «non sapere più quale gerarchia stabile di valori può guidare le mie preferenze»; intollerabilità della situazione; impegno. Impegno come criterio, convinzione, tali per cui «l’intimità, l’interiorità, riacquistano senso nella misura in cui le implicazioni spirituali sono unite alla capacità di sospensione, di ritiro, di silenzio, attraverso cui faccio il bilancio delle fedeltà che mi scompaginano e conferisco, come per sovrappiù, una identità». A fianco di identità, differenza: «non c’è dell’altro se non c’è del medesimo»80.
Anche per questo motivo «persona» riprende il sopravvento su «coscienza», «Io», «soggetto»81. «Coscienza», è termine ferito a morto da uno dei «tre maestri del sospetto», Freud: l’innegabilità dell’inconscio! Quanto a «Io», «Soggetto», si celebrano nel solipsismo teoretico e in esso si consumano. È, per inciso, l’insegnamento degli altri due «maestri del sospetto»: Nietzsche, Marx82.
In aggiunta Ricoeur articola «persona» in una «fenomenologia ermeneutica». Distingue quattro piani o strati: linguaggio, azione, racconto, vita etica83. La traduzione nell’antropologia dà questi risultati: uomo parlante, uomo agente o meglio «che patisce», uomo narrante/personaggio, uomo responsabile. Non è forse la radiografia del lavoro di una vita di Ricoeur stesso? In filigrana e in ordine leggiamo infatti le sue opere maggiori: La metafora viva (1981), Il conflitto delle interpretazioni 1977), La semantica dell’azione (1986), Tempo e racconto 1986-’87). Su tutte, Sé come un altro (1993), nel quale è significativo il riferimento ampio a Individui di Peter Strawson84. Ma già importanti erano Storia e verità (1955, che contiene lo scritto in mortem di Mounier) e Finitudine e colpa del 1960. Sino a Memoria Storia Oblio (2000), nel quale si esprime una squisita sensibilità per i difficili problemi di ciò che è «giusto» fra diritto e pena, inclusi il «diritto all’oblio» e il «perdono».
Il senso della ricerca ricoeuriana è da capo a fondo una non sbandierata ma fungente filosofia della persona. La triade conclusiva è: ethos ritmato da cura di sé, sollecitudine per l’altro, auspicio di vivere entro istituzioni giuste85.
Persona insomma è per Ricoeur ciò che mi permette di dire, scrivere, patire, agire «in prima persona». È una visione che fa interagire trascendentale ed empirismo. L’uomo è tale se è homme capable ossia se è nella «capacità di…», dove è evidente che il contrario o negazione sono l’handicap, la discriminazione razziale, la discriminante sessista, di genere, e prima ancora e più generalmente «debolezza», «fragilità», «fatica», «quarta età».
Se dunque «ritorna la persona», afferma Ricoeur, è perché
essa resta il miglior candidato per sostenere le lotte giuridiche, politiche, economiche e sociali… migliore rispetto a tutte le altre entità ereditate dalle bufere culturali…[del nostro tempo]… difesa dei diritti dell’uomo, negli altri paesi, dei diritti dei prigionieri e dei detenuti nel nostro paese, i difficili casi di coscienza posti dalla legislazione di estradizione86.

«Come si potrebbe argomentare in ciascuno di questi casi, si chiede (e chiede a noi) Ricoeur, senza rifarsi alla persona?»87.




NOTE
1 Ch. Renouvier, Le personnalisme, Paris, F. Alcan, 1903.^
2 Nella vasta bibliografia e tra tanti nomi, tra cui nel Novecento gli italiani Luigi Stefanini, Luigi Pareyson e Virgilio Melchiorre, si vedano appunto V. Melchiorre, Essere persona. Natura e struttura, Novara, Fondazione Achille e Giulia Boroli, 2007, e V. Possenti, Il principio-persona, Roma, Armando Editore, 2007.^
3 Ch. Renouvier, Uchronie. Esquisse du développement de la civilisation européenne tel qu’il n’a pas été, tel qu’il aurait pu être, Paris, Fayard, 1988, traduzione italiana a cura di Franco Paris, Ucronia: l’utopia nella storia. Schizzo storico apocrifo dello sviluppo della civiltà europea non come è stato, ma come avrebbe potuto essere, Faenza, Faenza editrice, 1984.Cfr. A. Deregibus, L’ultimo Renouvier. “Persona” e “storia” nella filosofia della libertà di Charles Renouvier, Genova, Tilgher, 1987.^
4 Cfr. AA.VV., Persona e personalismi, a cura di A. Pavan e A. Milano, Napoli, Edizioni Dehoniane, 1987, soprattutto i contributi di A. Milano e P. Sequeri sul versante della teologia e di A. Rigobello e G. Campanini sul versante della filosofia; AA.VV., Dire persona. Luoghi critici e saggi di applicazione di un’idea, a cura di A. Pavan, Bologna, il Mulino, 2003.^
5 Cicerone, De Officiis, I, 30-33, trad. it. di Q. Cataudella, Milano, Mondadori, 1966, pp. 124-125.^
6 Importante Ph. Nemo, Che cos’è l’Occidente, trad. it. di D. Piana, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2009 (ma 2004), soprattutto il cap. 2, L’apporto romano: il diritto privato, l’umanesimo, pp. 21-32. Sull’opera di Nemo vedi la recensione di F. Cozzetto, ne «L’Acropoli», 4 (2005), pp. 446-457.^
7 Cfr. M. Ferrari, Parlez-vous français? Il giovane Banfi e il neocriticismo francese, in Ad Antonio Banfi cinquant’anni dopo, a cura di S. Chiodo e G. Scaramuzza, Milano, Edizioni Unicopli, 2007, pp. 134-142.^
8 A. Banfi, La riforma e il pensiero europeo, in Opere, vol. I, La filosofia e la vita spirituale e altri scritti di filosofia e di religione (1900-1929), a cura di L. Eletti con la collaborazione di L. Sichirollo, Reggio nell’Emilia, Istituto Antonio Banfi – Regione Emilia Romagna, 1986.^
9 I. Gianni, Antonio Banfi e il protestantesimo, Lecce, Manni, 2006, pref. di F. Papi.^
10 A. Banfi, La persona. Il problema e la sua attualità, a cura di L. Sichirollo, Urbino, quattro venti, 1980. Cfr. G.M. Bertin, La teoria della persona nel pensiero di A. Banfi, in Id., Progresso sociale o trasformazione esistenziale. Alternativa pedagogica, Napoli, Liguori, 1982.^
11 F. Papi, Antonio Banfi. Dal pacifismo alla questione comunista, Como-Pavia, Ibis, 2007.^
12 Ivi, p. 79.^
13 Ivi, p. 89.^
14 Ivi, p. 77.^
15 Ivi, p. 92.^
16 L. Eletti, Il problema della persona in Antonio Banfi, Firenze, La Nuova Italia, 1985, p. 99, prefazione di M. Dal Pra.^
17 G.D. Neri, 1945: una discussione filosofica sul comunismo, in Id., Il sensibile, la storia, l’arte. Scritti 1957-2001, prefazione di D. Formaggio, Verona, ombre corte, 2003, pp. 199-211 (già in «aut aut», 1986, nn. 214-215, pp. 57-71, con il titolo 1945: un confronto teologico-politico tra Paci e Banfi).^
18 Torino, Istituto giuridico della R. Università, 1934.^
19 Nella sterminata bibliografia, indico P. Rossi, Avventure e disavventure della filosofia. Saggi sul pensiero italiano del Novecento, Bologna, il Mulino, 2009, pp. 193-195.^
20 T. Greco, Norberto Bobbio: un itinerario intellettuale tra filosofia e politica, Roma, Donzelli, 2000, p. 3.^
21 Ivi, pp. 7, 33.^
22 In P. Rossi, op. cit., p. 195.^
23 Si veda ora L’esistenzialismo in Italia. I testi integrali dell’inchiesta su «Primato» nel 1943 e la discussione sulla filosofia dell’esistenza fino ai nostri giorni, a cura di B. Maiorca. Con un’appendice su Abbagnano e Gentile, di G. Fornero, Torino, Paravia, 1993.^
24 T. Greco, op. cit., p. 36.^
25 N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, Torino, Chiantore, 1944.^
26 T. Greco, op. cit., pp. 32-33.^
27 Ivi, pp. 27, 21.^
28 Ora in N. Bobbio, Tra due repubbliche. Alle origini della democrazia italiana, con una nota storica di T. Greco, Roma, Donzelli, 1996.^
29 T. Greco, op. cit., pp. 78, 29.^
30 F. Sbarberi, Prefazione a N. Bobbio, Politica e cultura, nuova edizione, Einaudi, Torino, 2005, pp. X-XI. Cfr. F. Sbarberi, L’utopia della libertà eguale. Il liberalismo sociale da Rosselli a Bobbio, Bollati Boringhieri, Torino, 1999.^
31 E. Paci, La filosofia contemporanea, Milano, Garzanti, 1957, p. 27.^
32 Ivi, p. 28. Sottolineatura dello scrivente.^
33 Ivi, p. 29. ^
34 Ivi, p. 30, sottolineatura mia.^
35 E. Paci, Funzione delle scienze e significato dell’uomo, Milano, Il Saggiatore, 1963, p. 270.^
36 Ivi, p. 274.^
37 A. Capitini, La compresenza dei morti e dei viventii, Milano, Il Saggiatore, 1966.^
38 A. Momigliano, Per la storia delle religioni nell’Italia contemporanea: Antonio Banfi ed Ernesto De Martino tra persona ed apocalissi, in «Annali dell’Istituto Antonio Banfi», I (1986-1987), pp. 37-65.^
39 G. Scaramuzza, Crisi come rinnovamento. Scritti sull’estetica della scuola di Milano, Milano, Unicopli, 2000.^
40 A. Momigliano, op. cit., p. 50.^
41 Ivi, p. 57. Cfr. M. Mauss, Il soggetto: la persona, in Teoria generale della magia e altri saggi, introduzione di Cl. Lévi-Strauss, trad. it. di F. Zunnino, presentazione di E. de Martino, Torino, Einaudi, 1965 (ma 1950), pp. 351 sgg.^
42 Ivi, p. 58.^
43 Cfr. E. de Martino, Scritti filosofici, a cura di R. Pastina, Bologna, il Mulino, 2005, su cui mi permetto di rinviare a E. Renzi, Inediti filosofici di Ernesto de Martino, ne «L’Acropoli», 3 (2006), pp. 356-360.^
44 Personalismo: «utilizzato nel 1903 da Renouvier per definire la sua filosofia, in seguito è caduto in disuso», E. Mounier, Il personalismo, a cura di G. Campanini e M. Pesenti, Roma, AVE, 2006, p. 27.L’opera principale è Rivoluzione personalista e comunitaria, trad. it. di L. Fuà, Milano, Edizioni di Comunità, 1949 (ma 1935), ristampato da Ecumenica, Bari, 1983.^
45 E. Mounier, Manifesto al servizio del personalismo comunitario (1936), a cura di A. Lamacchia, Bari, Ecumenica, 1982.^
46 Ivi, p. 28.^
47 Ivi, p. 38.^
48 W. Whitman, Foglie d’erba, a cura di G. Conte, con un saggio di H. Bloom e una nota di H.D. Thoreau, Milano, Oscar Mondadori, 1991, pp. 20-21.^
49 E. Mounier, Rivoluzione personalista e comunitaria, pp. 110-129.^
50 Ivi, p. 64.^
51 Ibidem.^
52 Ivi, p. 119 (sottolineatura nel testo.).^
53 P.L. Landsberg, Personalismo, in «Esprit», gennaio 1940, ora in Scritti filosofici, pref. di G. Andreotti, Prima edizione assoluta a cura di M. Bucarelli, vol. I, Gli anni dell’esilio (1934-1944), Cinisello Balsamo (Milano), Edizioni San Paolo, 2004, p. 611.^
54 E. Mounier, op. cit., p. 15.^
55 Ivi, p. 123.^
56 Ivi, p. 130.^
57 Ivi, p. 149.^
58 E. Mounier, Les droits de l’homme et la loi naturelle è del 1942 e sarà puntualmente tradotto dalle Edizioni di Comunità di Adriano Olivetti nel 1953.Da registrare un saggio del 1936, che dimostra occhio alto e lungo: La femme aussi est une personne, «Anche la donna è una persona».^
59 U. De Siervo, La Costituzione francese del 1946, in AA.VV., L’apporto del personalismo alla costruzione dell’Europa, a cura di R. Papini, Milano, Massimo, 1981, pp. 141-158.^
60 E. Renzi, Comunità concreta. Le opere e il pensiero di Adriano Olivetti, pref. di G. Galasso, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2008. Cfr. anche D. Cadeddu, Adriano Olivetti politico, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2009.^
61 A. Olivetti, Società, Stato, Comunità, Milano, Edizioni di Comunità, 1952, p. 4.^
62 A. Olivetti, L’ordine politico delle comunità. Prima stampa Engadin Press Co., Samedan, Svizzera, 1945, con l’indicazione di Nuove Edizioni Ivrea, 1945. Seconda edizione Edizioni di Comunità, Milano, 1946. Ristampa nel 1970 per gli stessi tipi, con una Nota introduttiva di R. Zorzi. Le citazioni nel presente testo contrassegnate dall’acronimo Opc. – Cfr. ora Costituenti ombra. Altri luoghi e altre figure della cultura politica italiana (1943- ’48), a cura di A. Buratti e M. Fioravanti, Roma, Carocci, 2010.^
63 A. Olivetti, L’ordine politico delle comunità, p. 19.^
64 Ivi.^
65 Ivi, pp. 18-19.^
66 Olivetti fa obbligo ai futuri Presidenti e quadri delle Comunità di aver frequentato l’I.P. (Istituto Politico Fondamentale), L’ordine…, pp. 128 sgg. Sergio Ristuccia ha fatto il paragone con l’È.N.A. francese, fondata appunto nel 1945 da Charles de Gaulle per formare i dirigenti pubblici e i politici dopo il crollo militare e politico della Francia nel 1940 (S. Ristuccia, Costruire le istituzioni della democrazia. La lezione di Adriano Olivetti, politico e teorico della politica, Venezia, Marsilio, 2009, p. 116).^
67 S. Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, «Comunità» (n. 10, 1951). Apparso l’anno prima ne «Les Temps Modernes», ora riedito nella traduzione di F. Regattin, Roma, Castelvecchi, 2008.^
68 Il cammino della Comunità (1955), ripubblicato in A. Olivetti, Città dell’uomo, Milano, Edizioni di Comunità, 1960, Prefazione di G. Pampaloni, p. 59. Lampante benché non dichiarata la citazione da Mounier, cfr. supra.^
69 Ivi, p. 68.^
70 Ivi, p. 250 (maiuscola nell’originale).^
71 A. Olivetti, Ostacoli alla pianificazione (1958), in Città dell’uomo, cit., p. 119. Gli urbanisti italiani onorano il loro Presidente rifondatore: si veda AA.VV., Adriano Olivetti: il lascito Urbanistica Architettura Design e Industria: Atti del convegno organizzato da INU/ Emilia e Romagna a Bologna nel giugno 2009, a cura di M. Piccinini, Roma, INU Edizioni, 2011, anche come contributo al XXVII Convegno nazionale di INU, Livorno, 2011.^
72 Ivi, p. 163.^
73 E. Renzi, Tecnica delle riforme e tecniche della ragione. Le Edizioni di Comunità di Adriano Olivetti e il Neoilluminismo italiano. Relazione al Convegno della Società italiana di Storici della Filosofia, Bologna, 25-26 giugno 2009 (in AA.VV., Impegno per la ragione. Filosofia e società nell’Italia contemporanea: il caso del neoilluminismo, a cura di W. Tega, Bologna, il Mulino, 2011).^
74 G. Goisis, Il contributo del personalismo italiano, in AA.VV., L’apporto del personalismo alla costruzione dell’Europa, a cura di R. Papini, Milano, Massimo, 1981, p. 109.^
75 Cfr. M. Teodori, Storia dei laici, Venezia, Marsilio, 2008; AA.VV., Olivetti è ancora una sfida. Lavoro, personale, territorio in un’impresa responsabile, Atti del Convegno della diocesi di Ivrea (dicembre 2008), Ivrea, 2010. Si veda ora E. Renzi, Teoria e pratica della politica in Adriano Olivetti, in AA.VV., Adriano Olivetti: il lascito, op.cit., pp. 121-124.^
76 F. Brezzi, Introduzione a Ricoeur, Roma-Bari, Laterza, 2006. Cfr. anche E. Renzi. Enzo Paci e Paul Ricoeur. In un dialogo e dodici saggi, Milano, ATì editore, 2010.^
77 P. Ricoeur, Della interpretazione. Saggio su Freud, trad. it. di E. Renzi, Milano, Casa editrice il Saggiatore, 1965.^
78 P. Ricoeur, La persona, a cura di I. Bertoletti, Brescia, Morcelliana, 1997.^
79 Ivi, p. 28.^
80 Ivi, pp. 32-33.^
81 Si veda L. Vanzago, Breve storia dell’anima, Bologna, il Mulino, 2009.^
82 P. Ricoeur, Della Interpretazione. Saggio su Freud, cit., p. 47.^
83 P. Ricoeur, La persona, cit., p. 39.^
84 P.F. Strawson, Individui. Saggio di metafisica descrittiva. Introduzione di M. Ferraris, trad. it. di E. Bencivenga, Sesto San Giovanni (Milano), Mimesis, 2008 (ma 1957).^
85 P. Ricoeur, La persona, cit., p. 71.^
86 Ivi, pp. 26-27 (sottolineatura dello scrivente).^
87 Ivi, p. 27.^
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