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Napoli 1911. Di Giacomo, Croce e il Catalogo della Mostra*
di Emma Giammattei
Il raro catalogo della Mostra di ricordi storici del Risorgimento Meridionale d’Italia ritorna, dopo cento anni, in una edizione anastatica a cura di chi scrive, voluta dalla medesima istituzione, il Comune di Napoli, che promosse quella Mostra, inaugurata il 25 maggio 1911 nelle sale municipali della Galleria Umberto, in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia. Il volume fu pazientemente costruito da Salvatore Di Giacomo, di fatto, come si evince da testimonianze e carteggi, curatore unico della mostra, con materiali in larga parte da lui stesso a sue spese radunati, e con la collaborazione soltanto dell’erudito Alfonso Fiordelisi e di un giovane studioso di storia dell’arte, il lucano Enzo Petraccone, pupillo di Croce. «Spero di poter fare non un Catalogo – aveva scritto Di Giacomo ad Ernesto Murolo – ma un vero libro di storia spicciola, impressionante e suggestiva anche per chi non scrive drammi…»1. E in effetti il rapporto rilevante fra testo e immagine, l’impianto iconografico, l’impostazione grafica della pagina, sono tutti elementi che segnalano il gusto prezioso e perfino ossessivo del poeta, interessato qui ad una messa in scena dei documenti, in un percorso drammatico con soste significative dinanzi ad esemplari vicende individuali, pur rimanendo nell’alveo della cronologia e quindi della sequenza narrativa. Anche in questo libro, di carattere collettivo e composto di materiali diversi, Di Giacomo è presente dunque con la propria cifra, con la tensione verso l’intreccio dei generi e verso il Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale – si trattasse pure di un catalogo erudito – che è poi il mito artistico del primo Novecento. Il lavoro per la Mostra lo tiene in contatto persino fisico con i fantasmi del passato a lui cari, in forma di quadri, ritratti che trasforma in fotografie, cimeli, documenti rari, sotto la generale denominazione di Pazzielle, come scrive a Croce, e va contestualizzato nel fervore estremo di quel breve giro di anni: la preparazione della Collezione Settecentesca, l’edizione della Historia della mia Fuga dalle Prigioni della Repubblica di Venezia2 del Casanova (la silhouette libertina nella quale si riconosce profondamente), la cura della traduzione suggerita da Croce delle Lettere dall’Italia di Samuel Sharp3, si incrociano con i successi nazionali dei drammi maggiori, Mese mariano e Assunta Spina, che lo vedono, lui così sedentario nel «grato carcere» della Lucchesi Palli!, a Roma e a Milano. Ed è l’ultima stagione del rapporto strettissimo con Benedetto Croce, testimoniata dalle lettere presenti nell’Archivio della Fondazione “Biblioteca Benedetto Croce”, che ci restituiscono la qualità di integrale e protettiva intesa da parte del filosofo e la simpatica capricciosità ed umoralità del poeta. Il periodo della preparazione della Mostra è scandito da incontri frequenti, da richieste di aiuto, anche se Croce non sarà e non vorrà essere coinvolto ufficialmente nell’evento.
In verità, intorno alle Manifestazioni per il Cinquantenario dell’Unità e, segnatamente, intorno alla composizione del Comitato si debbono registrare quelle difficoltà circa un sentire ed agire comune che rappresentano un motivo costante della storia della classe dirigente napoletana post-unitaria. Non a caso la preparazione della Mostra parte in ritardo. Ancora nel febbraio 1911, Di Giacomo scrive:

Carissimo Croce,
Voi avete promesso il vostro aiuto alla Mostra storica – e io ne sono particolarmente lieto. Ho poco tempo, ma quel poco che ho voglio dedicarlo a questa esposizione di curiosità e di documenti – e spero che ne sarete contento anche voi.
Intanto ora bisogna lavorare e preparare al più presto la mostra. Voi che ci potete dare? Volete che venga a parlarne da voi? Vi dirò quel che si sta facendo, mentre, al solito, tante cose e tante persone si oppongono per vanità, queste ultime, o per ambizioni smodate.
Da mia parte – e lo dico con tutta sincerità – dopo aver offerto tutto quel che ho, son disposto a fare pure il facchino da casa vostra alla mostra. E ciò per la cosa, che è napoletana.
Mille affettuosi saluti.

Vostro di Giacomo


E il mese dopo:

11 marzo 1911

Carissimo Croce,
Non ho potuto ancora trovare il tempo per venire da voi – ma presto verrò a vedervi, anche per la mostra storica. È caduta sulle mie spalle – Riccardo sta a Roma e non torna che il 20 – Fiordelisi è attivo, ma non basta. E io vado in giro, e m’arrabbatto etc. etc. Speriamo....
Un affettuoso saluto

Vostro di Giacomo


Il «Riccardo» quassù nominato è il duca e senatore del Regno Riccardo Carafa d’Andria, amico di gioventù di Croce, presidente del comitato esecutivo della Mostra, ancorché latitante curatore della medesima e del Catalogo. Dalle lettere del Carafa e del sindaco Ferdinando del Carretto, è comunque agevole intravedere quei piccoli conflitti, quelle vanità personali paralizzanti ogni intrapresa, denunciate dal Di Giacomo. Se ne offre appena qualche scorcio, per meglio intendere la posizione di Croce, appena diventato senatore, in una fase di straordinaria evoluzione del pensiero critico e teorico, ormai proiettato in un contesto nazionale ed internazionale, e presto deciso a tenersi alla larga dal Comitato che avrebbe dovuto presiedere. Scrive il Carafa il 18 gennaio:
Caro Benedetto,
la sera stessa in cui doveva tenersi l’adunanza per la Mostra storica, partii per Genova. All’adunanza, fino alle 3 meno 15 non c’ero che io. Per tante e tante ragioni ho deciso di dimettermi. A voce ti dirò tutto. In quanto a S. Martino, io non avrei potuto mettermi novellamente in relazione con la nota persona con la quale sono stato ben felice di rompere. Ti confesso che se lo feci qualche giorno prima di quanto m’ero proposto di farlo fu anche per un riguardo alla tua persona e per facilitare il tuo intervento […] il tono poi di quel signore verso il comitato e noi fu addirittura insolente…

E tre giorni dopo: «… io vorrei che tu (come te ne pregai fin dall’inizio ottenessi la presidenza del Comitato…».
Il riferimento al direttore del Museo di San Martino, cioè di uno degli enti
«espositori» della Mostra, l’archeologo Vittorio Spinazzola, va confrontato col giudizio pienamente storicizzato che ne darà Croce tanti anni dopo:
C’era a Napoli direttore del Museo e degli scavi, l’archeologo Spinazzola, che aveva molto e vivo ingegno, ma anche un agitato e burrascoso temperamento, con una sorta di eccitato egotismo, con una continua sospettosità verso coloro ch’egli immaginava che l’avversassero, sicché si faceva sorgere tutt’intorno nemici come la mula di messer Galeazzo i sassi per urtarvi dentro. Anch’io fui segno di quella sua sospettosità, di cui non potei mai intendere le ragioni; da alcuni anni egli non si era più lasciato vedere da me e la buona gente mi riferiva gli strani giudizii che pronunciava su di me, della quale cosa non mi davo pensiero, conoscendo l’uomo4.

Risulta, infine, dai Taccuini di lavoro che Croce, dopo alcuni incontri col sindaco, pur impegnato in molteplici e ben più importanti lavori, prepara il 19 gennaio 1911 il Bando del concorso per una pubblicazione storica sul risorgimento meridionale5. Sono sei fitte pagine, di grande interesse per gli studiosi, nelle quali si indicano analiticamente le linee metodologiche dello sviluppo delle tracce, vere e proprie tesi da potersi assumere come asse ideologico e storiografico del Cinquantenario nella prospettiva meridionale. Nella lettera del Comitato esecutivo dell’ottobre 1910 che affidava ufficialmente la redazione del Bando a Croce la proposta indicava, in maniera approssimativa e generica,
due punti:

I. Il Risorgimento italiano e principali uomini e specialmente del Mezzogiorno che vi contribuirono.

II. Progresso conseguito nel Mezzogiorno nel cinquantenario.


Era prevista inoltre una «pubblicazione storica popolare» sul Risorgimento nel Mezzogiorno d’Italia.
Il Bando scritto da Croce elaborava e precisava le tematiche, escludendo senz’altro la pubblicazione divulgativa ed anzi prefigurava opere di grande impegno storiografico, fissando a quattro anni dalla data del bando il termine della consegna dei manoscritti.
La cifra messa a disposizione dal Municipio era cospicua, di complessive 15.000 lire, ridotte a 13.000 nella formulazione di Croce.
Il primo tema si intitolava, semplicemente, «La cooperazione del Mezzogiorno d’Italia al risorgimento nazionale» e indicava benissimo la questione del nesso e dell’intreccio tra le due storie: non già semplicemente una storia dell’Italia meridionale in quel periodo, ma «una storia del liberalismo e dell’italianità, alla quale la storia locale fornirà insieme i materiali e lo sfondo». Il secondo tema, complementare, tratteggiava i termini di una storiografia più complessa, «La condizione economico-sociale del Mezzogiorno d’Italia nell’ultimo cinquantennio (1860-1910). Analisi storico-critica». Su questo ultimo punto, in particolare, Croce si soffermava a circoscrivere e dettagliare la dicitura, da lui stesso posta, di economico-sociale, utile per approfondire e, per ciò stesso, dissolvere, il carattere di soglia e discrimine netto della data politica, a favore di una problematica continuità con il periodo precedente l’Unità. L’illustrare le trasformazioni della vita sociale, «classi sociali, costumi, istituti di cultura, incremento della popolazione, accrescimento delle città» implicava infatti individuare «l’indole qualitativa» dei fenomeni quantitativi, in una prospettiva di storia intera, come aveva già teorizzato in un piccolo testo genetico del 1895, ripreso nel 1909, Intorno alla Storia della coltura (KulturGeschichte)6.
Si ricorda che tra i componenti del comitato esecutivo c’erano professori dell’Università di Napoli, come Giuseppe De Blasiis, lo storico Michelangelo Schipa e lo studioso di letteratura italiana Bonaventura Zumbini e personalità eminenti della cultura meridionale quali Fortunato e Nitti. Dalle ricerche condotte e tuttora in corso, si può ipotizzare che il bando non abbia avuto esito e che il concorso non sia stato, di fatto, espletato, quasi a conferma del singolare incrocio verificatosi nelle manifestazioni del Cinquantenario a Napoli, di buona volontà e di atti mancati, di sovraesposizione momentanea e di occultamento.
Di certo, come si evince dalle notizie fin qui fornite, il particolare taglio storiografico, rispetto alle manifestazioni di Roma e Torino, cioè il significato del Risorgimento come risultato di una vicenda di lunga durata, segnata dalla rivoluzione napoletana del 1799, va attribuito alla elaborazione di Benedetto Croce, all’aiuto ed alla consulenza volentieri concessa all’amico poeta ed erudito fantasioso. Insieme, del resto, nel 1899 i due, con Giuseppe Ceci e Mariano d’Ayala, avevano organizzato l’Albo Illustrato della Rivoluzione Napoletana del 1799. Risulta evidente la continuità con quella iniziativa che rappresenta una tappa non irrilevante nella storia della storiografia crociana e già rivela, pur nella comune passione erudita per il 1799, la profonda dissimilazione degli approcci al mondo settecentesco e alla storia napoletana tra il filosofo e il poeta e, più generalmente, gli eruditi ed amici della «Napoli Nobilissima». Si trattò dell’ultimo momento di incontro di quel gruppo affiatato ma ormai poco omogeneo rispetto alla evoluzione intellettuale di Croce. Ancora in una lettera del 1910 il poeta faceva riferimento ad un lavoro ulteriore più ampio: «E vogliamo fare anche il libro del 1799? Ci metteremo tutte le lettere della Sanfelice». Quel libro lo comporrà Croce, nello stesso anno della Mostra del Risorgimento, e ormai con tutt’altro impianto metodologico7, mentre Di Giacomo ricaverà dalle carte preparate per il catalogo le belle pagine evocative di Luci ed ombre napoletane, dedicate all’amatissima Sanfelice8. Inoltre estrapolò «due picciolette opere» intercalate fuori testo nel Catalogo, i documenti inediti intorno al ritratto di Lady Craven e il Breve cenno storico su la Repubblica napoletana di Emmanuele Palermo, ricavandone nello stesso anno una redazione più ampia.
Nel settembre continuava a rivolgersi a Croce per il catalogo in corso di pubblicazione:

5 sett. 1911


Carissimo Croce, volete leggere questa poesia che credo dei primissimi anni del secolo XIX? Allude al Toscano di Vigliena mi pare, ma il tiranno chi è? Io la publico [sic] tra i doc. inediti nel catalogo […] Non leggo bene una parola dell’ultima terzina Cararchi? Forse Caracciolo? Ma non tornerebbe il verso. Guardate, vi prego, e col vostro comodo ditemi la vostra opinione su questi documenti.
Moltissimi saluti in fretta e ringraziamenti

Vostro S. di Giacomo


Col conforto storico e filologico di Croce, l’ode in questione fu pubblicata nel Catalogo (alle pp. 182-184).
Per la parte iconografica egli ricorse all’artista suo amico Giovanni Luccio, al quale si debbono i fregi e gli encadrements delle singole sezioni, ma, per il resto, trascelse e compose da sé. Occorre sottolineare, ad esempio, l’attenzione al messaggio figurativo costituito dalla scelta e dalla sequenza delle immagini. Di Giacomo infatti offriva nella copertina e nella apertura del Catalogo i quadri di due rappresentanti della scuola napoletana di Domenico Morelli: I Prigionieri di Castelnuovo dopo la capitolazione del 1799 opera di Giuseppe Sciuti, e Eleonora Pimentel Fonseca condotta al patibolo, di Giuseppe Boschetto, realizzati nel biennio 1869-1870, nel pieno cioè del dibattito sulla scelta della capitale del Regno d’Italia, quando particolarmente sentita era la esaltazione di un periodo glorioso ed instaurativo di valori di libertà ed indipendenza nella storia della Città9.
Nel 1938, ricordando l’amico, Croce avrebbe indicato nella fatica della mostra e del Catalogo una svolta definitiva nel sentimento del Di Giacomo rispetto al 1860:
Nel 1911, incaricato di ordinare, per conto del Municipio di Napoli, una mostra di ricordi storici del Risorgimento nell’Italia meridionale – cosa che rispondeva al suo gusto di raccoglitore di stampe, disegni ed acquerelli e di ogni sorta di chincaglierie – al termine del lavoro mi disse che voleva vendere tutti gli oggetti che aveva apportati di suo acquisto, perché (mi confessò con una vera contrazione di disgusto sulle labbra) ‘il Sessanta, il bianco, il rosso, il verde, mi fanno stomaco’; e, additandomi un ritratto di Ferdinando IV, soggiunse con profonda convinzione: – Quello era un re! – e concluse con la sentenza: – Per me, la storia finisce quando finisce la polvere di cipria ed il codino –. Bella conclusione ed epigrafe per una Mostra del Risorgimento, il quale, per l’appunto, cominciò col fare smettere la cipria e tagliare i codini!10

Amarezza e disillusione sono forse anche da collegare con quella poco gratificante esperienza napoletana, a contatto con l’élite cittadina e la disorganizzazione della macchina municipale. Si legga una lettera a Croce del dicembre, a proposito del catalogo:

Calzettari 29
10 Xbre 1911


Carissimo Croce,
Devo avere nella stamperia qualche copia del ritratto della Sanfelice. Ho scritto perché me la mandino – e quando l’avrò avuta ve la manderò11.
Avrei ben voluto offrirvi il catalogo – ma me ne hanno dato una sola copia: io l’ho dovuto comprare anche per la Lucchesi, ove raccolgo pure le mie debolezze.
Affettuosi saluti

Vostro S. di Giacomo


Insomma, non sarebbe difficile considerare lo scontento digiacomiano da una angolazione più ampia della sua personale mitografia di poeta, cioè di quella solitudine pienamente oggettivata in concetto critico nel saggio di Croce del 1903. Si potrebbe ricondurlo, quel moto di allontanamento espressivamente dichiarato, alla temperie percepita in quel biennio 1910-1911 e che proprio il tipo di percorso espositivo della Mostra di ricordi storici delle «quattro rivoluzioni napoletane, da quella del 1799 all’ultima del 1860» poteva in certa misura indurre tra i visitatori come tra gli stessi organizzatori; la contiguità di prestiti pubblici e privati rendendo viva e vicina, attraverso le testimonianze delle storie delle famiglie napoletane e delle province meridionali, le quadrerie dei salotti e i piccoli fondi di autografi non ancora convogliati negli archivi, una «non poca e non torpida parte della nostra storia politica». Il punto d’arrivo, il presente, poté allora apparire, alla fine di un itinerario sentimentale oltre che storico e ideale, una prospettiva vertiginosa ed enigmatica, in aggetto su eventi drammatici e nuovi, anche per intelligenze più scaltrite di quella di un grande poeta innamorato del Settecento e del passato di almeno ciento anne fa. Basterebbe leggere un testo dei più noti ed importanti del Croce polemista, apparso sulla «Critica» nel settembre 1911, dal titolo Fede e programmi. Il filosofo riflette sul proliferare di programmi grandiosi ed indeterminati, tra i quali prevede, a breve, anche quello della restaurazione dei «Borboni a Napoli e dei Lorenesi in Toscana» e si dichiara colpito «dalla decadenza dell’unità sociale […] nella vita spirituale italiana», dovuta al prevalere della cattiva individualità, quella che «pompeggia su se stessa», slegata dal lavoro comune e dalla disciplina sociale. A noi pare significativo il piccolo dettaglio rivelatore che egli porta ad esempio, frutto di esperienze dirette di quel periodo:
Vedete un po’ se vi riesce di far che un gruppo di artisti collabori a un monumento. Questo che si otteneva sessanta o settant’anni fa, da scultori e pittori che avevano frequentato l’accademia e si recavano la domenica alla messa (ossia si sottomettevano interiormente a qualcosa e a qualcuno), ora è irraggiungibile: il decoratore vuol dare prova della sua personalità raffinata; il pittore della sua ipersensibilità e del suo ascoso simbolismo; lo scultore non armonizza le statue con le linee architettoniche, si dimena, si contorce, prorompe fuori dalle nicchie, e chiede l’attenzione per sé solo, e, naturalmente, imbruttisce il monumento e sé medesimo insieme. I nostri monumenti saranno veramente pei posteri i documenti della nostra convulsione morale.

Evidentissimo risultava per i contemporanei il riferimento ai tormentati lavori per il Vittoriano, il monumento inaugurato a Roma nel 1911 in occasione delle manifestazioni per il Cinquantenario. Croce fu membro della Commissione per il Monumento dal 1906, assai critico circa l’andamento dispersivo e centrifugo della realizzazione, di fatto assente lungo tutto il 1911 alle riunioni conclusive della commissione12. Nel 1906, a proposito della richiesta da parte del Ministro riportatagli da Corrado Ricci, di suggerire il nome di un architetto meridionale da mettere nella Commissione, per ragioni di equilibri interni, già osservava: <Fede e programmi è un testo che presenta punte di sorprendente pessimismo, assai poco frequente nell’opera crociana, e da inquadrare nella storia di quell’anno, che registra la coincidenza fra Cinquantenario e guerra di Libia. Una lettera ufficiale del sindaco del Carretto del 3 novembre convocava Croce ancora per la costituzione di un comitato cittadino, ma stavolta per raccogliere fondi per le famiglie dei soldati morti o feriti nella battaglia di Tripoli.


DOCUMENTI

1. Lettera ufficiale a Benedetto Croce del Sindaco Sen. Ferdinando del Carretto, presidente del Comitato esecutivo per le «feste commemorative pel cinquantenario del plebiscito meridionale in Napoli»13.

Napoli, 21 ottobre 1910



Onorevole Signore,
Nel programma di questo Comitato, pel prossimo anno, è stata stanziata a somma di lire quindicimila per tre premi alle migliori pubblicazioni storiche
relative al: Risorgimento italiano e principali uomini e specialmente del Mezzogiorno che vi contribuirono (premio £. 5000); al Progresso conseguito nel Mezzogiorno nel cinquantenario (£. 8000); ed a una pubblicazione storica popolare sul Risorgimento nel Mezzogiorno d’Italia (£. 2000).
Questo Comitato direttivo che ho l’onore di presiedere, a mia proposta, ha nominato la S.V.I. componente della Commissione che dovrà formulare il bando del relativo concorso, assegnare il tempo per la presentazione dei lavori e proporre la pubblicazione dei più meritevoli.
Gli altri illustri componenti della Commissione sono: il Senatore Giustino Fortunato, il Senatore Duca D’Andria, il Senatore Raffaele De Cesare, il Senatore Bonaventura Zumbini, On. Prof. F.S. Nitti, Prof. Giuseppe De Blasiis, Prof. Michelangelo Schipa, Prof. Angelo Graziani, Cav. Francesco Dell’Erba, segretario.
Mi onorerò informare la S.V.I. del giorno e dell’ora della prima riunione ed intanto, a nome di questo Comitato, Le invio le più vive azioni di grazie ed i sensi della mia personale e più alta considerazione.

Il Presidente
Ferdinando Del Carretto


2. Un testo sconosciuto di Croce sulla relazione fra storia del Mezzogiorno e storia
d’Italia
14.

I
Il Comitato per la commemorazione di Napoli
bandisce un concorso per un libro sul seguente tema:

La cooperazione del Mezzogiorno d’Italia al risorgimento nazionale.



Il periodo storico da illustrare è quello che va dall’inizio della rivoluzione francese al plebiscito del 21 ottobre 1860; e, com’è espresso dal titolo, l’illustrazione deve consistere non già propriamente in una storia dell’Italia meridionale in quel periodo, ma in una storia del liberalismo e dell’italianità, alla quale la storia locale fornirà insieme i materiali e lo sfondo.
Il lavoro deve avere carattere scientifico, ossia di ricerca originale. Perciò, pur riassumendo, per dar compiuta la trama storica, i risultati dei lavori critici già pubblicati e a questi rinviando per la documentazione e la discussione, insisterà su quegli avvenimenti e individui che le nuove ricerche permetteranno di meglio illustrare. Si desidera, p.e., che i concorrenti rivolgano la loro attenzione sulle prime società patriottiche, sull’anarchia del gennaio 1799 in Napoli e sui tentativi politici che allora fece l’amministrazione municipale, sui varii disegni d’indipendenza e sulle ragioni della carboneria, infine sul movimento d’idee e la trasformazione di costumi che ebbero luogo nel decennio francese. La rivoluzione del 1820 dovrà essere narrata piuttosto nelle sue cause generali e politiche che nell’esteriorità già nota delle vicende diplomatiche e militari, studiando in particolare lo stato degli spiriti nel quinquennio e l’opera della carboneria. Nel periodo che va dal 1821 al 1848 si dovrà dare speciale rilievo alle nuove correnti letterarie e filosofiche in relazione col nuovo concetto d’italianità, e illustrare a pieno i più piccoli e meno noti tentativi di rivoluzione, accennando sommariamente p.e. all’episodio dei Bandiera, che è notissimo e quasi in ogni parte chiarito. Nella rivoluzione del 1848-9 si lumeggeranno accuratamente le figure dei personaggi che vi cooperarono così dei sopravvissuti delle precedenti rivoluzioni (non esclusi coloro che si misero dalla parte dei Borboni o concepirono un italianismo federale), come di quelli, allora giovani, che ebbero poi tanta parte negli avvenimenti del 1860 e nella vita della nuova Italia. Nel decennio che precede il 1860 si raccomanda d’illustrare specialmente i processi politici e la vita dei condannati politici nelle carceri e degli ergastoli, l’opera nazionale (politica, filosofica, letteraria) degli esuli napoletani e quel curioso episodio che fu il murattismo, e di dare qualche maggiore ragguaglio sugli scarsi gruppi liberali che erano rimasti nel regno.
Tali indicazioni non vogliono essere altro che una esemplificazione dell’indirizzo generale nel quale il lavoro deve essere condotto; lasciandosi per altro ai concorrenti ogni libertà, tanto più necessaria in quanto si attendono nuove ricerche i cui risultati determineranno il disegno definitivo del lavoro e le proporzioni delle varie sue parti.
Tassativa è invece la richiesta che il lavoro sia accompagnato da una bibliografia sistematica, compiuta al possibile, delle pubblicazioni che si riferiscono al periodo trattato, e da una indicazione precisa delle fonti manoscritte, e specialmente di quelle che per la prima volta si mettono a profitto.
Il termine del concorso è di anni quattro, a contare dalla data del presente bando. I manoscritti saranno inviati alla Biblioteca Comunale di Napoli e per essa al Presidente della società napoletana di storia patria.
Ogni manoscritto sarà contrassegnato da un motto, che sarà ripetuto sopra una busta chiusa e suggellata contenente il nome e l’indirizzo del concorrente.
I manoscritti dovranno essere copiati in buona calligrafia, e possibilmente a macchina.
Al lavoro che sarà riconosciuto non solo migliore rispetto agli altri, ma soddisfacente per sé stesso, sarà conferito il premio di lire cinquemila.
I manoscritti così del lavoro premiato come degli altri tutti non si restituiranno e resteranno presso la Biblioteca comunale, la quale per altro non potrà darli in lettura se non trascorsi cinquant’anni dalla chiusura del concorso. Le buste coi nomi dei concorrenti non premiati saranno bruciate, salvo che l’autore non dichiari sulla busta di consentire che, a concorso esaurito, si prenda conoscenza del suo nome e lo si segni sul manoscritto relativo.
Il vincitore del concorso come tutti gli altri concorrenti serberà, quanto al resto, la proprietà letteraria dell’opera sua, e potrà metterla a stampa nel modo che gli verrà conveniente.

Napoli, 2 febbraio 1911


La commissione:
Benedetto Croce
Giuseppe De Blasiis
Michelangelo Schipa
Raffaele De Cesare
Augusto Graziani
Raccogliere le firme di
Riccardo Carafa
B. Zumbini
F.S. Nitti
e del segretario

Il Sindaco
Ferdinando del Carretto



II
Il Municipio di Napoli bandisce un concorso per un libro sul seguente tema:

Le condizioni economico-sociali del Mezzogiorno d’Italia
nell’ultimo cinquantennio (1860-1910). Analisi storico critica.



Il punto di partenza, fissato nell’anno 1860, non esclude che il concorrente debba dare in riassunto un quadro delle condizioni economico-sociali precedenti, risalendo più o meno indietro nella storia secondo che gli sembrerà necessario per fare bene intendere il séguito della sua esposizione storico-critica. La parola “sociale” è aggiunta nel titolo per indicare che, quantunque all’economia propriamente si debba dare la prevalenza, non bisogna trascurarne i progressi o le trasformazioni della restante vita sociale (classi sociali, costumi, istituti di cultura, incremento della popolazione, accrescimento delle città, ecc.). Le ricerche, che si vogliono originali e precise, sopra i singoli fattori e rapporti (p. es., stato della proprietà mobiliare e immobiliare, industrie, istituti di credito e di previdenza, distribuzione dei redditi, ecc.), non debbono limitarsi al semplice aspetto quantitativo e statistico dei fatti, ma penetrare nella loro indole qualitativa, e scrutarne le condizioni e le cause.
Il termine del concorso è di anni quattro, a contare dalla data del presente bando di concorso.
I manoscritti saranno inviati alla Biblioteca Comunale di Napoli, e per essa al Presidente della società napoletana di storia patria.
Ogni manoscritto sarà contrassegnato da un motto, che sarà ripetuto sopra una busta chiusa e suggellata contenente il nome e l’indirizzo del concorrente.
I manoscritti dovranno essere copiati in buona calligrafia, e possibilmente a macchina.
Al lavoro che sarà riconosciuto non solo migliore rispetto agli altri, ma soddisfacente per sé stesso, sarà conferito il premio di lire ottomila.
I manoscritti così del lavoro premiato come degli altri tutti non si restituiranno e resteranno presso la Biblioteca comunale, la quale per altro non potrà darli in lettura se non trascorsi cinquant’anni dalla chiusura del concorso. Le buste coi nomi dei concorrenti non premiati saranno bruciate, salvo che l’autore non dichiari sulla busta di consentire che, a concorso esaurito, si prenda conoscenza del suo nome e lo si segni sul manoscritto relativo.
Il vincitore del concorso come tutti gli altri concorrenti serberanno, quanto al resto, la proprietà letteraria dell’opera loro, e potranno metterla a stampa nel modo che stimeranno conveniente.

Napoli, 2 febbraio 1911



La commissione
Augusto Guarini
Benedetto Croce



Raccogliere le altre firme

Il Sindaco
Ferdinando del Carretto





NOTE

* Le lettere inedite citate sono state consultate presso l’Archivio della Fondazione ‘Biblioteca di Benedetto Croce’, così come il Bando per il Concorso per una pubblicazione sul Risorgimento meridionale. Ringrazio la dott.ssa Marta Herling, Segretario Generale dell’Istituto Italiano per gli Studi storici e il prof. Piero Craveri, Presidente della Fondazione, per il permesso concessomi di offrire in anteprima in questa sede le preziose carte. Un ringraziamento anche a Susetta Sebastianelli per avere agevolato, come di consueto, la consultazione. Per i testi digiacomiani ai quali si è fatto riferimento, si rinvia al volume Una lunga fedeltà. Il Di Giacomo di Benedetto Croce, a c. di G. Genovese, M. Rascaglia, N. Ruggiero, con intr. di E. Giammattei, Napoli, Bibliopolis, 2008.^
1 Lettera citata in F. Schlitzer, Salvatore Di Giacomo. Ricerche e note bibliografiche, ed. postuma a c. di G. Doria e C. Ricottini, Firenze, Sansoni, 1966, p. 537. ^
2 Historia della mia Fuga dalle Prigioni della Repubblica di Venezia dette 'li Piombi' scritta a Dux, in Boemia l’anno 1787 da Giacomo Casanova di Seingault, Traduzione e prefazione di Salv. Di Giacomo, Milano, Alfieri e Lacroix ed., 1911.^
3 S. Sharp, Lettere dall’Italia 1765-1766, a descrizione di quelli usi e costumi in quelli anni a Napoli, Trad. di C. e G. Hutton, Pref. e note di S. Di Giacomo, Lanciano, Carabba, 1911. ^
4 Testo inedito del 1946, pubblicato in E. Giammttei, I dintorni di Croce. Tra figure e corrispondenze, Napoli, Guida, 2009, pp. 191-201, a p. 194. ^
5 Vedi qui di seguito, Documenti, pp. 152-156. ^
6 Nota letta all’Accademia Pontaniana nella tornata del I° dic. 1895, con l’aggiunta di una Postilla, in «La Critica», a. VII, fasc. IV, lug. 1909, pp. 301-316, poi in Conversazioni critiche, serie prima, Bari, Laterza, 1918, pp. 201-224. ^
7 B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799. Biografie, racconti, ricerche, 3ª ed. aumentata, Bari, Laterza, 1912. ^
8 S. Di Giacomo, La Sanfelice, in Luci ed ombre napoletane, Napoli, Perrella, 1914.^
9 Per queste notizie, cfr. il bel Catalogo della Mostra Storie di donne. Letteratura, società e tradizioni nella pittura napoletana di Otto e Novecento (Galleria Moderna del Pio Monte della Misericordia 16 dic. 2008-30 maggio 2009), a. c. di L. Martorelli, Napoli, Artem, 2008. ^
10 Rievocazioni. Salvatore Di Giacomo e il canto del grillo, «La Critica», a. XXXVI, fasc. V, sett. 1938, poi senza il sovratitolo, in Aneddoti di varia letteratura, vol. IV, 2° ed., Bari, Laterza, 1954, p. 493. ^
11 Il ritratto, ricavato da un dipinto dal fotografo Bernoud, si trova nella Biblioteca Croce, accanto ad una incisione ritraente Emma Lyon: cfr. D. Marra, Conversazioni con Benedetto Croce su alcuni libri della sua biblioteca, Milano, Hoepli, 1952. ^
12 Cfr. Carteggio Croce-Ricci, a c. di C. Bertoni, Napoli-Bologna, Ist. Italiano per gli studi storici - Il Mulino, 2009, pp. 253-254; scriveva Ricci il 2 novembre 1911: «Dispiacque ai colleghi la tua mancanza alle adunanze pel Monumento a Vitt. Em. II». ^
13 Dattiloscritto con firma autografa indirizzato a: On. / Prof. Benedetto Croce / Senatore del Regno / Napoli. Carta intestata: FESTE COMMEMORATIVE PEL / CINQUANTENARIO DEL PLEBI- / SCITO MERIDIONALE IN NAPOLI / 1910-1911 – PRESIDENTE ONORARIO / S.A.R. IL DUCA D’AOSTA // COMITATO ESECUTIVO // LA PRESIDENZA. ^
14 Manoscritto autografo di sei pagine, numerate a mano, mm. 320x220, solo recto. Il testo, agevolmente decifrabile per regolarità di ductus, occupa la metà destra del foglio e reca in margine a sinistra poche correzioni che sono state direttamente assunte nella trascrizione. Ripiegato in quattro, il manoscritto si trova nella Biblioteca Benedetto Croce in una cartellina blu con l’indicazione 1911, insieme con altre carte, in parte concernenti le spese per i lavori della casa di Via Trinità Maggiore, nel Palazzo Filomarino, dove Croce traslocò dall’appartamento di via Atri nel luglio di quell’anno. Croce avrebbe dato notizia del duplice bando, attribuendolo al lavoro della commissione presieduta da Giuseppe de Blasiis, in «La Critica», a. IX, fasc. III, maggio 1911 (Due bandi di concorso, pp. 238-240, a firma «X.»), senza fare alcun riferimento alle manifestazioni per il Cinquantenario. ^
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