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Divagazioni meridionali sul terremoto abruzzese
di G. G.
La catastrofe abruzzese ha comprensibilmente assorbito subito tutta l’attenzione e le energie della vita amministrativa e politica e l’interesse degli organi di governo. Al contrario del solito, la prova data questa volta dalla pubblica amministrazione, sia nel campo specifico della protezione civile che da un punto di vista più generale, è stata davvero soddisfacente per la tempestività e la larghezza dei soccorsi e delle prime e più urgenti decisioni di aiuto alla purtroppo così folta massa di sinistrati e di profughi che hanno visto dileguarsi repentinamente e all’istante beni, luoghi e memorie della vita, attività, possibilità di lavoro e di sostentamento.
Nei primi momenti di una tale emergenza il governo ha anche riunito la conferenza Stato-Regioni per consultarsi sui provvedimenti da adottare e sulla linea da seguire al riguardo. Non mi pare che questa iniziativa sia stata sottolineata come meritava. Né mi riesce di ricordare precedenti di una iniziativa simile, fuori dell’ordinaria periodicità di tali riunioni, in momenti di emergenza. E, se davvero non vi sono di tali precedenti, allora si tratta indubbiamente di un atto di particolare importanza, da classificare come un gesto di federalismo pratico non meno notevole di quello che è uscito istituzionalizzato con la legge votata in aprile dal Parlamento.
Nello stesso tempo il presidente Berlusconi – nella sua intensa attività e presenza nei luoghi del disastro, che tanto risalto ha avuto nell’opinione pubblica e che certamente è stata di giovamento alla sua diffusa popolarità – ha annunciato un orientamento per la ricostruzione che merita anch’esso una particolare sottolineatura. Il territorio del disastro, egli ha detto, sarà diviso in cento zone e ciascuna di essa sarà affidata alla, diciamo così, tutela di una delle Province italiane. Dunque, un ulteriore atto di fiducia e un esplicito ricorso alla collaborazione di organi di governo locale. Sempre che, si deve, tuttavia, aggiungere, quest’annuncio abbia poi un seguito pratico e venga tradotto in qualcosa di deliberativo e di operativo.
Non molto c’è da meravigliarsi, comunque, e tutto sommato, della consultazione con le Regioni, anche se si tratta di un fatto importante e senza precedenti, poiché esse sono organismi non soltanto amministrativi, ma anche legislativi, e previsti dalla Costituzione come dotati di una autonomia il cui rilievo politico è evidente. Esse dispongono, inoltre, di risorse notevoli, che il governo ha suggerito e ottenuto che siano in parte destinate all’azione da svolgere in Abruzzo.
Diverso è il caso delle Province, molto discusse, come si sa, quali organi di governo e autogoverno del territorio, e oggetto da tempo di una polemica sulla stessa opportunità politico-amministrativa di una tale istituzione più legata alle tradizioni degli antichi regimi pre-napoleonici che allo sviluppo delle amministrazioni moderne. La Lega Nord e altri ambienti chiedono, infatti, come si sa, da tempo e con insistenza, la soppressione delle Province quali enti amministrativi intermedi fra i Comuni e le Regioni; e sorge, perciò, pure la curiosità nascente dal dubbio se Berlusconi, con questo suo imprevisto e sorprendente riferimento abruzzese alle Province, non abbia voluto fare intendere che egli non condivide la tesi della loro soppressione. Certo è, comunque, che, considerata la sostanziale ristrettezza delle attuali competenze delle amministrazioni provinciali, non si intende bene quale in concreto possa essere il loro contributo all’azione per l’Abruzzo.
Naturalmente, dinanzi a una linea del governo così aperta è auspicabile che le amministrazioni interessate, e innanzitutto le Regioni, rispondano al meglio possibile. In particolare ce lo auguriamo per le Regioni del Mezzogiorno, oggetto per lo più, come si sa, da tempo di un prevalente discredito, che nessuno può definire del tutto immeritato. Non possiamo, tuttavia, nello stesso tempo, non rilevare che appena un po’ prima della terribile sciagura abruzzese le stesse Regioni meridionali avevano tenuto a Bari, per la precisione il 30 marzo, una riunione, dalla quale era scaturito un documento, in qualche modo, notevole, ma che, malgrado il ricorso a quel che si sa, a qualche studioso autorevole, era deludente da più di un punto di vista.
La “traccia di discussione delle e per le Regioni meridionali” elaborata dai “governatori” del Sud a Bari il 30 marzo era, infatti, notevole già per il fatto che andava nella direzione sempre auspicata, ma ben poco battuta di un’intesa delle Regioni meridionali che ridia al Sud un po’ di quella voce che nel dibattito e nella vicenda politica nazionale da anni non ha più.
Quella “traccia”, tuttavia, non convinceva del tutto nello scarico che faceva di ogni responsabilità meridionale per lo stato d’animo del paese verso il Sud. È solo un’invenzione ciò che si dice della insoddisfacente capacità di spesa e di amministrazione delle Regioni meridionali? È solo una calunnia la loro lamentata scarsa utilizzazione dei fondi europei? Si dice che fra il 2002 e il 2006 la spesa sui fondi strutturali, di prevalente competenza regionale, è salita da 3,9 a 5,6 miliardi all’anno, ma non si dice a quanto sarebbe dovuta e potuta passare. Dopo di che il giusto rilievo che a sua volta la spesa statale in conto capitale ordinaria è scesa dal 30 al 20% perde mordente.
Soprattutto sarebbe, poi, stato opportuno che avessero un altro carattere le “proposte” che si pretendeva avanzate significativamente nel documento. “Mantenimento del sistema produttivo e della sua capacità operativa”, “impresa e lavoro insieme”, “ricerca e innovazione”, “nuove specializzazioni produttive” e “nuovi mercati”, “qualità dell’istruzione”, “saperi tecnico-scientifici e gestionali”, “reti di mobilità”, “trasformare gli investimenti in valore aggiunto sul territorio”, “nuova amministrazione pubblica orientata ai servizi”: insomma, le solite giaculatorie.
Sarebbe stato evidentemente di molto preferibile un’indicazione di obiettivi particolari, ristretti, ma concreti e vicini. Ad esempio, l’annuncio e il varo di progetti interregionali di rilievo sostenuti con l’iniziativa e, in alta misura, con risorse regionali. Così, la “traccia” di Bari è finita con l’apparire, in sostanza, come un’ennesima richiesta di fondi e risorse. Proposte più definite, però, si è detto, sono in un altro documento, tecnico. Aspettiamo di conoscerlo, ma perché una duplicazione che toglie forza al tutto, e anche alla giusta ricerca di “un nuovo meridionalismo”?
Se ora siamo tornati qui sull’argomento è solo per esprimere un augurio che nasce dal timore che il disastro abruzzese e la parte che le Regioni sono state chiamate a svolgervi non coprano e facciano dimenticare, per quelle del Mezzogiorno, il loro problema e dovere di dimostrare una presenza e una propositività ben più attiva e felice di quella emersa nelle “proposte” baresi del 30 marzo.
Tra gli sviluppi del dopo-terremoto non si può, inoltre, mancare di sottolineare la notizia, più volte confermata, che presso la Procura dell’Aquila veniva costituito un gruppo di magistrati col compito di seguire le procedure di assegnazione dei lavori di grande consistenza e di grande importo resi necessari dal recente terremoto in Abruzzo.
Il timore espresso da più parti, e anche dal ministro dell’Interno Maroni e dall’ex ministro Pisanu, che si devono presumere in possesso di informazioni attendibili in materia, è che in Abruzzo la cosiddetta malavita organizzata si faccia pesantemente viva e condizioni gli appalti e la loro esecuzione facendo valere i suoi delinquenziali interessi e le sue relazioni, influenze e oscure presenze nella vita sociale politica e amministrativa. Si è appreso, anzi, per l’occasione, che la malavita è già da tempo presente in quella regione e che vi ha riciclato montagne, ha detto qualcuno, di denaro sporco.
I gruppi della malavita più da temere in questa circostanza sono stati indicati in quelli della mafia siciliana e della ‘ndrangheta calabrese. La cosa non sorprende. La potenza della mafia è nota da sempre, mentre di quella della ‘ndrangheta si parla sempre più come propria di un potere ramificato e nefasto e progressiva e rapida espansione. Assente, dunque, sembrerebbe la camorra napoletana. Il che non vuol dire, peraltro, a nostro avviso, che essa non sia potente e nefasta come le due sue riprovevoli consorelle. Vuol dire piuttosto che essa o non ha l’Abruzzo fra le regioni di suo diretto interesse, oppure soggiace a un processo di frammentazione e di atomizzazione dei suoi loschi e imponenti affari, di cui si hanno molti altri indizi, e che , come si sa, è largamente all’origine delle sanguinose e ignobili guerre di famiglie e di clan che costellano di cadaveri e di violenze le cronache del Napoletano, del Casertano e di altre zone della Campania.
L’iniziativa della Procura dell’Aquila è stata salutata con vivo favore un po’ da ogni parte negli ambienti politici e nei commenti dei media. Come non capirlo? In Abruzzo quel che appare in gioco non è, come si sa, soltanto l’indebita e mostruosa rapina della malavita sulle risorse faticosamente messe insieme dal paese; non è neppure soltanto la corruttrice alterazione delle normali procedure amministrative che regolano le attività pubbliche in Italia, aggravando il già non soddisfacente stato della vita e del senso civico in Italia. C’è di più. Proprio in Abruzzo si è toccato con mano in quale misura il cattivo costume amministrativo e le deteriori influenze dei poteri occulti condizionino la qualità dei lavori privati e, soprattutto, di quelli pubblici nelle regioni e nei casi in cui quel costume e quelle influenza sono più diffusi e deleteri. E perciò da ogni parte si è notato che il disastro del sisma abruzzese avrebbe visto meno vittime e una minore gravità dei danni materiali se molte delle costruzioni crollate non fossero state realizzate dai costruttori con un criminoso criterio di risparmio (e i collaudatori dov’erano?) e contro le più note norme di sicurezza vigenti in questo settore.
La generale soddisfazione e approvazione delle misure precauzionali della Procura dell’Aquila è, dunque, più che comprensibile, e noi possiamo ben condividerla, naturalmente.
Quel che vogliamo adesso notare è qualcosa di altro genere. Si riferisce, precisamente, al ruolo della magistratura nella vita civile del paese e alla normativa da moderno Stato di diritto che vi regola deliberazioni, procedure e operazioni della pubblica amministrazione.
La giustizia di uno Stato moderno ha fondamento liberal-democratico ha, infatti, natura repressiva non preventiva. La prevenzione spetta ad altre branche della pubblica amministrazione, dal governo alle regioni e agli enti locali, alle forze di polizia, agli organi tecnici dello Stato, alla rete di controlli multipli e incrociati previsti dalla normativa vigente sia legislativa che amministrativa, e a varie altre istanze dello stesso ordine. La magistratura interviene quando in qualsiasi modo si abbia una
notitia criminis, si abbia cioè notizia di un qualsiasi atto illegale o delittuoso. Se questo non c’è, l’intervento della magistratura non dovrebbe essere neppure pensabile.
Com’è, dunque, che la Procura dell’Aquila enuncia le intenzioni suddette e ne riscuote il plauso generale? Accade, a nostro avviso, per la debolezza e il discredito che continuano a caratterizzare la classe politico-amministrativa e per quel tanto di rassicurazione che dà l’annuncio di una supplenza che appare più che opportuna.
Questo accade per una regione esaltata fino a ieri come la più avanzata del Sud per il suo PIL e le sue condizioni di vita; considerata, anzi, ormai fuori del Sud e accorpata di fatto alle vicine regioni dell’Italia centrale. E questo conferma anche tutto il nostro scetticismo su queste valutazioni e la nostra tante volte ripetuta convinzione che la condizione dell’Abruzzo sia ancora pienamente meridionale. Ma induce soprattutto a chiedersi se, trattandosi di altra regione italiana, non meridionale, sarebbero stati fatti gli stessi pensieri e prese le stesse iniziative. Il che riporta ancora una volta il discorso sulla qualità dell’azione politico-amministrativa nelle regioni meridionali.
Si batte un’ennesima volta su questo tasto? Sì, perché è qui una parte decisiva dei problemi del Sud, e o si scioglie questo nodo o su quello stesso tasto si dovrà continuare a battere senza possibilità di evitarlo.
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