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Exit Berlusconi, che cosa entra?
di
Adolfo Battaglia
Lo stato dei conti pubblici italiani comunicato dal Fondo Monetario Internazionale ha proposto un giudizio sul governo Berlusconi ben più severo di quello elettorale, che ne ha comunque sancito l’uscita di scena. La grave situazione economica pone problemi urgenti al nuovo governo, il quale è chiamato a svolgere una funzione di dominus, affatto nuova per la politica italiana. Si tratta di realizzare un programma economico le cui linee principali sono imposte dalla situazione di crisi e nel contempo di far apparire ogni provvedimento come la tappa graduale di un processo riformatore. Il nuovo esecutivo non deve limitarsi a legiferare, ma deve fornire alla società un indirizzo culturale e morale. La possibilità di realizzare tale compito non è resa difficile –come invece è stato spesso ripetuto dopo le ultime elezioni- dall’esiguità della maggioranza in Senato, dove nessun governo nella storia repubblicana è mai caduto. Questa esiguità può anzi costituire una condizione di forza: nessun partito della coalizione può correre il rischio di una probabile penalizzazione elettorale qualora rompesse l’unità politica della coalizione e consentisse il ritorno al governo del centro destra. I diversi partiti dovranno dunque insieme realizzare l’azione riformatrice imposta dalla situazione. Il nuovo governo dovrà anche affrontare la riforma costituzionale, stemperandone le parti più negative se il referendum di giugno dovesse avere un esito confermativo, o valutando comunque le eventuali modifiche in caso contrario. Se il governo realizzerà questa sfida, i suoi tempi lunghi finiranno per disgregare il partito principale del centro destra, alimentando spinte centrifughe. Se invece questa opportunità venisse persa, sarebbe a rischio lo stesso bipolarismo, l’unica vera riforma efficace introdotta nella storia dell’Italia recente.
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