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LIBERISMO ETICO
di Pietro Polito
L’occasione di questa nota è la nuova edizione dell’opuscolo di Norberto Bobbio, intitolato Liberalismo e democrazia1. Dei due concetti, valori, ideali, che compongono il titolo del libro mi occupo in particolare del primo, il liberalismo, perché nei tempi che viviamo, a mio giudizio, più che di maggiore democrazia, c’è bisogno di più liberalismo. Quale liberalismo? Tra le varie accezioni possibili del liberalismo, in filosofia, in politica, in economia, in etica, mi soffermo sul liberalismo etico, con un cenno finale al nucleo filosofico del liberalismo.
Un’altra ragione per cui dedico la mia attenzione al liberalismo più che alla democrazia è che nella nuova edizione del libro il lettore trova una introduzione del curatore, Franco Manni, incentrata sul confronto tra il liberale Bobbio e il liberale Benedetto Croce, uno dei più autorevoli rappresentanti della concezione etica del liberalismo in Italia e in Europa.
Mi sembra di un certo interesse per il nostro tema non tacere a chi legge un aspetto di carattere autobiografico. Conosco da tempo Franco Manni con il quale, da punti di vista non necessariamente convergenti, ho in comune i trascorsi giovanili sulle pagine di Gobetti; la conoscenza di Bobbio, l’autore di questa sintetica quanto intensa storia delle idee liberali e democratiche, che il curatore chiama con ragione un “basic book”; e ancora, ho scoperto leggendo l’introduzione, la frequentazione, direi appassionata, dei testi di Croce (anche se la sua è una frequentazione professionale mentre la mia è legata alla formazione ed è rimasta quella del “semplice” lettore).
Manni ricorda una esperienza che anche chi scrive ha avuto modo di vivere ed osservare più o meno negli stessi anni. Scrive: «Io sono nato nel 1959 e nella mia giovinezza – alla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta – mi accorsi di non riuscire a trovare dei miei coetanei che avessero letto Croce; magari ne parlavano per sentito dire e solo brevemente e solo per rivolgere verso lui e la sua opera giudizi svalutanti». Poi aggiunge di essere stato “preso” da Croce già dai tempi del liceo e di avere cercato in seguito di dare un contributo agli studi crociani con scritti su Croce e sui pensatori da lui “influenzati”2.
Per Manni uno dei pensatori del Novecento influenzati significativamente da Croce è Norberto Bobbio, tanto che egli pone il rapporto con il filosofo dei distinti (Croce) al centro della sua interpretazione del liberalismo del filosofo del dubbio (Bobbio). Secondo il curatore, si può individuare una sostanziale affinità tra i liberalismi dei due filosofi là dove scrive che Bobbio,
già seguace del Partito d’Azione, ha, lungo i decenni, studiato e sostenuto l’idea liberalsocialista. Se guardiamo ai classici del pensiero liberale, Croce e Bobbio, più che al liberalismo di Locke e Tocqueville, erano affini a quello di Mill, Keynes e Popper, cioè erano favorevoli all’intervento dello Stato nell’economia anche per migliorare le condizioni delle classi sociali più disagiate3.

Manni, d’altronde, è consapevole della differenza, se non della distanza, come io penso, che corre tra i due liberalismi. Opportunamente egli osserva che, contrariamente a Bobbio, Croce «liberale negli ideali e nella sensibilità umana, era però indifferente, sul piano più direttamente politico, alle forme concrete giuridiche che limitano il potere del governo, per esempio la divisione dei poteri»4.
Adottando la distinzione suggerita dallo stesso Bobbio, si può dire che egli accoglie e sviluppa il liberalismo inteso come una teoria dello Stato, vale a dire la teoria dello Stato liberale come Stato limitato, mentre Croce è uno dei principali fautori del liberalismo come concezione generale dell’uomo e della storia, vale a dire la concezione della storia che identifica la coscienza morale con l’ideale della libertà. In breve, quello di Bobbio è un liberalismo prevalentemente politico, quello di Croce è un liberalismo prevalentemente etico. I due liberalismi sono distinti ma non contraddittori, tanto è vero che corrono paralleli e convergenti lungo la storia del liberalismo a partire da Locke fino ai nostri giorni.
Il liberalismo etico presenta una faccia negativa, la critica del paternalismo, e una positiva, l’affermazione delle ragioni del conflitto. Lungo questa via s’incontrano, per fare qualche nome, tanto il razionalista Kant quanto il teorico dell’economia liberale Smith, tanto lo storicista Croce quanto l’illuminista Bobbio, tutti accomunati dall’idea che la libertà è un valore morale5. La concezione liberale si oppone alle varie forme di paternalismo. Se per il paternalista gli individui sono dei sudditi di cui lo Stato si deve prendere cura come il padre dei propri figli, per il liberale gli individui non sono dei sudditi perennemente minorenni, ma dei cittadini che diventano adulti attraverso l’esercizio della pratica politica.
È noto che uno dei grandi temi dei Due trattati sul governo di Locke è la distinzione del governo liberale dal governo paterno e dal governo padronale: il governo liberale nasce per garantire la libertà, e anche la proprietà, dei cittadini. In questo senso il fondamento del liberalismo è la difesa dell’autonomia della persona umana.
Come ha magistralmente scritto Kant, «il governo paternalistico» in cui gli individui «sono costretti a comportarsi solo passivamente, per aspettare che il capo dello Stato giudichi in qual modo essi devono essere felici, e ad attendere solo dalla sua bontà che egli lo voglia, è il peggior dispotismo che si possa immaginare»6.
Nella versione di Locke, di Kant e in seguito di Mill il liberalismo si rivela la dottrina antipaternalistica per antonomasia, secondo la quale, come si legge nelle Considerazioni sul governo rappresentativo di Mill, «ciascuno è l’unico autentico guardiano della propria salute, sia fisica sia mentale sia spirituale»7.
Accanto alla critica del paternalismo, l’altra faccia del liberalismo etico è l’elogio della varietà e della lotta. Mi fa piacere ricordare che la più famosa edizione italiana di On liberty è quella apparsa, con una prefazione di Luigi Einaudi, nei “Quaderni della Rivoluzione Liberale” di Gobetti8, il quale, dopo il delitto Matteotti, nel 1924, presenta al suo pubblico il classico milliano, indicandolo icasticamente come «il breviario del cittadino moderno», che «ritorna dinanzi agli italiani nel giusto momento dell’ansiosa ricerca del fondamento e dei limiti dell’idea di libertà». Significativamente il capolavoro di Mill è stato definito «per più versi un libro gobettiano»9.
Si può considerare la prefazione einaudiana come una summa dei valori liberali della varietà e della lotta: in esso si trova «la giustificazione logica del diritto al dissenso e la dimostrazione dell’utilità sociale e spirituale della lotta». Con riferimento trasparente al fascismo Einaudi scrive: «In tempi di mortificazione dello spirito [...] giova rileggere i grandi libri sulla libertà». Il saggio di Mill – continua – «si ripubblica in veste italiana in un momento nel quale il diritto di critica, di non conformismo, le ragioni della lotta contro l’uniformità hanno urgente bisogno di riaffermarsi». Il liberale torinese, infine, riferisce che lo stesso Mill nella sua Autobiografia definisce On liberty il «libro di testo» che illustra magnificamente una idea fondamentale del liberalismo: «l’importanza suprema per l’uomo e la società di una grande varietà di tipi e di caratteri e di una piena libertà data alla natura umana di espandersi in innumerevoli e contrastanti direzioni».
Credo che Mill sia l’autore che meglio ha espresso l’essenza dell’etica liberale:
Nessuna comunità – si legge ancora nelle Considerazioni sul governo rappresentativo – ha mai durevolmente progredito se non quella in cui si è svolto un conflitto tra il potere più forte e alcuni poteri rivali; tra le autorità spirituali e quelle temporali; tra le classi militari o territoriali e quelle lavoratrici; tra il re e il popolo; tra gli ortodossi e i riformatori religiosi10.

In sintesi, come osserva Bobbio, per il liberale, il contrasto non è un elemento di disgregazione sociale ma al contrario è
una condizione necessaria del progresso tecnico e morale dell’umanità, il quale scaturisce soltanto dalla contrapposizione di opinioni e di interessi diversi, si svolga questa contrapposizione nel dibattito delle idee per la ricerca della verità, nella competizione economica per il perseguimento del maggior benessere sociale, nella lotta politica per la selezione dei migliori governanti11.

La ricerca della verità è il problema del liberalismo filosofico, che qui Bobbio non discute ma che al pari di Croce declina in una concezione integralmente laica della vita, il perseguimento del maggior benessere sociale è il problema del liberalismo economico, che Bobbio discute nei rapporti che sono stati e restano storicamente antitetici tra il liberalismo e il socialismo, manifestando una propria preferenza per il liberalismo sociale al posto del liberalismo liberista; la selezione dei migliori governanti è il problema del liberalismo politico, che Bobbio in questo testo affronta nei suoi aspetti istituzionali e nel rapporto convergente ma problematico e anche conflittuale con la democrazia.
Il discorso sulla dimensione filosofica, politica ed economica del liberalismo è da riprendere in un’altra occasione. Mi limito questa volta a un cenno sul liberalismo filosofico, richiamando la risposta che un altro autore gobettiano, il liberale cattolico Novello Papafava, nel libro Fissazioni liberali (1924) dà alla domanda: «Che cosa è il liberalismo in filosofia? ». Scrive Papafava:
Come filosofia l’idea liberale è l’antitesi assoluta al realismo, ossia a qualsiasi forma di dogma e di verità. Non esiste nessuna verità data, alla quale lo spirito umano debba tendere come meta suprema; unica realtà è la libera attività dello spirito. […] Non esiste una verità suprema, ma tutte le «verità» non sono che termini della stessa dialettica storica. Questo modo di pensare è, evidentemente, contrario a qualunque dottrina realista, ossia ad ogni teoria che creda in una qualsiasi forma di verità suprema12.

Filosoficamente parlando, il liberalismo è una filosofia laica nel senso che è una dottrina della verità relativa contrapposta alle dottrine della verità assoluta. Croce direbbe la “verità fissa”. Il riferimento è a un pensiero crociano del ’43. Il filosofo constata che, come in tutti i tempi di crisi, «ritorna la diffusa bramosia della verità fissa, che non sia da discutere, da correggere, né da modificare, regola costante al genere umano nel modo di vita da osservare, guida sicura al porto nel quale esso poserà». Al culto della verità fissa Croce oppone «l’idea stessa della vita che è intrinsecamente e incoercibilmente moto e cangiamento»13.



NOTE



1 N. Bobbio, Liberalismo e democrazia, a cura di Franco Manni, Milano, Simonelli Editore, 2006. La nuova edizione, corredata di una ricca e aggiornata bibliografia, segue all’edizione originaria apparsa come capitolo introduttivo alla Storia del pensiero politico contemporaneo, Milano, Angeli, 1985, e poi in volumetto lo stesso anno presso lo stesso editore. Ho illustrato le considerazioni che
seguono alla presentazione del libro, avvenuta a Torino, per iniziativa del Centro studi Piero Gobetti, il 19 marzo 2006, presso la libreria «La Torre di Abele», con la partecipazione di Franco Manni, Marco Revelli, Franco Sbarberi.^
2 F. Manni, Note all’Introduzione, in N. Bobbio, Liberalismo e democrazia, cit., pp. 114-115, nota 31.^
3 Ivi, Introduzione, p. 22.^
4 Ivi, Note all’Introduzione, p. 117, nota 48.^
5 La libertà è il valore morale supremo per Croce, non per Bobbio che, soprattutto negli ultimi anni, sembra prediligere l’eguaglianza alla libertà.^
6 N. Bobbio, Liberalismo e democrazia, cit., p. 42.^
7 Ivi, pp. 79-80.^
8 G. Stuart Mill, La libertà, con prefazione di L. Einaudi, Torino, Piero Gobetti Editore, 1925.^
9 S. Bucchi, Introduzione a Piero Gobetti, Dizionario delle idee. Le radici e le ragioni del liberalismo rivoluzionario, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. IX.^
10. N. Bobbio, Liberalismo e democrazia, cit., p. 83. Bobbio commenta: «Là dove la lotta è stata soffocata o sopita, è sempre cominciato il ristagnamento cui è seguita la decadenza di uno Stato o di un’intera civiltà» (Ibidem). Sul grande liberale vedi ora: N. Urbinati, L’ethos della democrazia. Mill e la libertà degli antichi e dei moderni, Roma-Bari, Laterza, 2006.^
11 Ivi, p. 46.^
12 N. Papafava, Fissazioni liberali, Torino, Piero Gobetti Editore, 1924, p. 13. Faccio notare che il realismo respinto da Papafava è quello della scolastica medioevale secondo cui reali sono gli universali e non gli oggetti particolari, mentre l’idea che la scoperta della verità possa avvenire attraverso l’esperienza si afferma con la rivoluzione filosofica e scientifica dei secoli XVII e XVIII.^
13 B. Croce, Dal libro dei pensieri a cura di G. Galasso, Milano, Adelphi, 2002, p. 155.^
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