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La riforma della legge elettorale
di G. G.
Mentre nella cronaca politica italiana la discussione sulle prospettive del partito democratico continua a mantenere una certa prevalenza tra le questioni più ricorrenti, altri argomenti si vanno facendo un po’ più strada. Così è per la destinazione preferibile (nessuno si preoccupa di una destinazione eventualmente doverosa) del cosiddetto “tesoretto” accumulato con il “supergettito” (è uscito fuori anche questo termine) delle entrate fiscali (e, certo, anche in una qualche misura dalla “ripresa” economica, per quanto siano in molti a non rimanere persuasi che questa “ripresa” sia davvero cospicua e determinante). Così è per l’emergenza idrica alla quale il paese sembra ormai destinato per la prossima estate, e che si prospetta sempre più grave. Così è, soprattutto, per la riforma della legge elettorale, che l’inizio della raccolta delle firme per chiedere il referendum su questa materia rende ormai di stretta attualità. E ci vuol poco a capire che si tratterà anche, proprio perché la materia è quella elettorale, di una attualità destinata a crescere a mano a mano che la raccolta delle firme all’uopo richieste raggiungerà risultati maggiori: il ché – almeno per noi – è così evidente da spingerci a dedicare appunto a tale argomento le note che seguono.
Intanto, è del tutto superfluo spiegare perché si possa affacciare con tanta presunzione di non sbagliare, o di sbagliare di pochissimo, indicando questa materia come quella suscettibile di maggiore attenzione da parte delle forze politiche del paese nel prossimo futuro. Sulla questione delle norme elettorali si gioca, in effetti, il loro destino. Che la legge elettorale vigente non sia quella più desiderabile è stato comprovato dai fatti. Le elezioni del 2006 hanno consegnato la maggioranza al centro-sinistra, ma alla Camera dei deputati con una certa larghezza, al Senato, invece, di tanto stretta misura che vi si rischia in continuazione la sconfitta della stessa maggioranza per il più banale degli accidenti o per qualche casuale assenza o per il minimo e più marginale dissenso che si possa immaginare. Perciò, né la maggioranza, né la minoranza sono contente della legge attuale e ne cercano una correzione. Ma, naturalmente, è difficile che ci si fermi al criterio della correzione. Si tratta di occasioni in cui ciascuno cerca, del tutto comprensibilmente, di far valere esigenze e aspirazioni proprie e di proprio sostanziale interesse più di quanto possa consentire lo spazio di una qualsiasi correzione.
I punti essenziali implicati dalla questione che così si è aperta riguardano: a) il bicameralismo e l’opportunità di far sì che le due Camere del Parlamento italiano siano differenziate funzionalmente, e che la loro diversità di funzioni trovi la sua base anche in una diversificazione del loro rispettivo sistema elettorale; b) il problema di sviluppare l’ordinamento regionale italiano in senso federalistico e la conseguente esigenza che la formazione delle due Camere nel momento elettorale dia un chiaro avvio in questo senso; c) la necessità di assicurare la stabilità, la tenuta politica e la funzionalità delle maggioranze, ovviando agli inconvenienti più che evidenti derivanti da un frazionamento delle forze politiche che l’attuale sistema elettorale, se non incoraggia, ancor più certamente non scoraggia.
Come è facile capire, è questo terzo punto ad attirare di più l’attenzione delle forze politiche. Vi sono interessati i partiti e i gruppi maggiori, ai cui fianchi quelli minori e minimi lavorano come una turba di cani arrabbiati nello sforzo di farsi e di mantenere il loro spazio elettorale e politico. Ancor più vi sono interessati i partiti e i gruppi minori e minimi, per i quali il mantenimento della possibilità di giocare una loro parte in prima persona e ruoli che sono fin troppo spesso del tutto sproporzionati rispetto alla effettiva consistenza elettorale e politica dei partiti e gruppi in questione rappresenta, con tutta evidenza, un interesse tanto primario da passare davanti a ogni e qualsiasi altra considerazione politica o non politica che attenga alla loro presenza nella vita italiana. L’onorevole Mastella lo ha espresso molto chiaramente ed efficacemente – con la pudica e raffinata eleganza di linguaggio a lui consueta – dicendo quel che pensava di eventuali riforme della legge elettorale che avessero per scopo o per risultato di “fottere” lui e il suo gruppo politico, e preannunciando che, al verificarsi di una tale micidiale ipotesi, non avrebbe esitato a porre la parola fine all’attuale sua partecipazione al governo e alla maggioranza. È chiaro, quindi, che sarà su questo punto che si combatterà effettivamente la battaglia per la riforma elettorale, se la battaglia davvero vi sarà e verrà combattuta con l’asprezza che si è portati dai dati di fatto disponibili a prevedere.
Diciamo, intanto, subito che per noi il carattere corrompente e distruttivo di tale battaglia non è cosa che riguardi, però, solo i piccoli partiti e i minori o minimi gruppi che costellano il panorama politico italiano. Non vi sono implicate di meno le forze politiche maggiori che all’occasione fornita dalla riforma della legge elettorale sono, altrettanto ovviamente, indotte a legare altri loro particolari obiettivi, che non sempre e non in tutto possono essere considerati di interesse generale del paese. Si sa, inoltre, che non solo le forze politiche maggiori in quanto tali, ma i loro leaders stessi e i rispettivi gruppi sono interessati all’una o all’altra versione della legge elettorale che soddisfi il loro partito, ma soddisfi anche e più particolarmente le esigenze di controllo e di azione e presenza degli stessi leaders all’interno dei loro gruppi e dei loro partiti.
Come giudicare da questo punto di vista, il lungo incontro milanese di aprile fra il presidente del Consiglio dei Ministri Prodi e il fondatore e capo storico della Lega Nord, Umberto Bossi? Il rapporto con la Lega di Bossi sembrava costituire per l’attuale maggioranza, quando essa era all’opposizione e l’attuale opposizione era al governo, uno dei non minori torti di Berlusconi verso le responsabilità impostegli dal fatto di guidare il governo del paese. Alle sue esigenze di partito ed elettorali – si diceva – Berlusconi sacrificava fin
troppo di quelle responsabilità presidenziali. Ora si apprende che si può parlare con la Lega di federalismo, anche fiscale, che trovi in una ben congegnata legge elettorale una sua base soddisfacente per la Lega, interessata, peraltro, ancora di più che al federalismo, precisamente al bisogno di tutelare e assicurare la presenza e l’incidenza dei partiti minori nel gioco politico. Omnia munda mundis, si dice. Ma siamo sicuri che in questo caso si tratti davvero di munda e di mundi? Siamo sicuri che il vantaggio che si guadagnerebbe da un’intesa con la Lega nell’assicurare le incerte sorti della maggioranza nel Senato non c’entri per nulla nell’inatteso e cordiale incontro Prodi-Bossi? La Lega servì, come si sa, già una volta come grimaldello antiberlusconiano. Allora la si qualificò come «una costola della Sinistra». Dobbiamo attenderci che fra un po’ questa consacrazione con l’olio santo dei taumaturghi e capi della Sinistra sia di nuovo operata e rimanga fra i mirabilia della presente congiuntura politica? Dobbiamo attenderci che, operato dalla Sinistra, il battesimo della Lega come grande forza politica nazionale abbia la legittimità che veniva così polemicamente contestata quando a operarla erano Berlusconi e i suoi alleati? Dobbiamo aspettarci che il federalismo propugnato dalla Lega, considerato fino a ieri una gravissimo rischio per l’unità e la solidarietà nazionale, divenga oggi, propugnato con e per la Sinistra, con prodigiosa metamorfosi, una cosa buona e giusta?
Intendiamoci, non vogliamo affatto fasciarci la testa prima di rompercela, e ci auguriamo vivamente di non rompercela. Non vogliamo neppure pensare che la Lega sia un appestato da tenere rigorosamente segregato in un apposito lazzaretto della politica italiana; e meno che mai vogliamo sospettare Prodi di avere l’ambizione di distinguersi con manovre opportunistiche di assai basso profilo. E, d’altra parte, se la Lega è un rischio da un lato, non sono forse un rischio anche maggiore, dall’altro lato, le componenti di sinistra spinta che fanno organicamente parte dell’attuale governo e della sua maggioranza, e i cui interessi elettorali certo si possono ritenere largamente convergenti con quelli della stessa Lega?
Abbiamo voluto fare soltanto una esemplificazione dell’enorme complesso di
questioni di primario interesse nazionale che è coinvolto dal problema di una riforma della legge elettorale. Dopo di che, confermiamo che, a nostro avviso, una riforma della legge elettorale si impone, ma aggiungendo un paio di cose. Aggiungendo, innanzitutto, che si dovrebbe cercare una soluzione elettorale che non sia tale da prestare il fianco a nuove esigenze di revisione a breve scadenza. In linea generale, un regime di libertà può essere ritenuto soddisfacentemente stabile solo quando le sue regole sono durature, convenute e riformate solo a intervalli lunghissimi e per motivi comprovati, prementi e urgenti determinati da situazioni storiche nuove e mature. E tra queste regole quelle elettorali, per ragioni che è perfino superfluo illustrare, occupano uno dei primissimi posti, se non addirittura il primo.
Aggiungendo, inoltre, che nessun calcolo di immediata utilità parlamentare, politica, elettorale dovrebbe indurre a rinunciare agli obiettivi di una riforma elettorale che abbiamo di sopra riassunti nei punti a), b) e c). Se la maggioranza e l’opposizione attuali sapranno riuscire a tanto, sarà sicuramente un vantaggio anche per tutta la vita politica italiana. Coloro che presumono di essere sacrificati o conculcati, nelle loro tanto esaltate e rivendicate “identità” e “culture” (l’Italia ne è una assai prolifica genitrice, come si sa, specialmente in politica), scopriranno che vi sono altri modi più funzionali all’interesse generale del paese, e perfino più nobili, di assicurarsi presenze e ruoli in una prassi politica non rincagnata nel meschino, turbolento e deleterio gioco di un particolarismo non suscettibile di essere davvero giustificato e nobilitato dai proclami ideologici ai quali esso suole affidarsi. E, se così andranno le cose, tutto il mondo politico italiano di oggi avrà scritto una pagina per la quale l’aggettivo “storica” potrebbe, una volta tanto, non essere sprecato.
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