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Continuità e transizioni: a proposito del De Gasperi di Craveri
di Giorgio Volpe
CONTINUITÀ E TRANSIZIONI: A
PROPOSITO DEL DE GASPERI DI
CRAVERI
«Un grande modello di biografia politica
che ha tutti i requisiti per smuovere
il dibattito storiografico»1, così Andrea
Riccardi ha valutato il De Gasperi di Craveri2.
Tale definizione ben riflette i giudizi
lusinghieri con cui gran parte della critica
ha accolto la pubblicazione dell’opera,
riconoscendole il merito d’aver parzialmente
colmato una deprecabile lacuna
della storiografia italiana. In proposito
Agostino Giovagnoli ha scritto che lo
studio di Craveri costituisce «il primo lavoro
storico sostanzialmente completo
che viene dedicato a questa figura chiave
dell’Italia contemporanea»3.
Esiste un rapporto inversamente proporzionale
fra l’importanza storica della
figura di De Gasperi e la produzione di
studi a lui dedicati, tale da indurre lo stesso
autore dell’opera a fare i conti innanzitutto
con le ragioni di questa deficienza
storiografica. Per anni, infatti, il dibattito
politico ha soffocato la possibilità di una
riconsiderazione storica serena dell’azione
dello statista trentino. Al contrario,
quest’opera costituisce, come afferma lo
stesso autore, un «tentativo di trovare un
equilibrio» fra «la memorialistica cattolica
(da Andreotti a Taviani, da Tupini a
Rumor) che è aderente al pensiero di De
Gasperi» e «l’interpretazione storiografica
cattolico-democratica che ha risentito
fortemente del rapporto con il PCI nel dibattito
della Repubblica»4.
Nell’opera di Craveri la vicenda politica
di De Gasperi fornisce materiali e
strumenti per un’accurata analisi dell’Italia
post-fascista. La sua biografia si sovrappone
a quella del paese, riuscendo
così a ricostruire la complessità del momento
storico ed allo stesso tempo a delineare
alcuni dei caratteri peculiari della
figura dello statista.
Queste considerazioni portano Craveri
a riconoscere che «De Gasperi significa
la continuità dello Stato italiano al di
là della frattura fascista»5. Riflessione
questa su cui Craveri fonda una tesi fra le
più forti della sua opera: l’azione politica
degasperiana riallaccia i fili con il passato
democratico del paese, ma non per questo
va intesa come restaurazione, bensì
come superamento del liberalismo prefascista
necessario a salvarne i principi.
In proposito la critica ha sottolineato
il valore innovativo dell’impostazione
storiografica di Craveri rispetto alla bibliografia
esistente sull’argomento; in
particolare sulle pagine di «la Repubblica
» Agostino Giovagnoli ha scritto:
per scrivere questa biografia, Craveri è andato
controcorrente rispetto a molte tesi
storiografiche e politiche. È anche il caso
di quella, molto fortunata, della “continuità
dello Stato”, secondo cui tra il 1943
e il 1945 i partiti, in particolare la Democrazia
cristiana e il Partito comunista,
avrebbero impedito un rinnovamento radicale
dello Stato a opera della Resistenza.
Tale tesi suppone l’esistenza, nell’Italia di
quegli anni, di una forza autenticamente
rivoluzionaria: il famoso “vento del
Nord”, che alcuni giudicano positivamente,
attribuendo ai grandi partiti la colpa di
averlo soffocato, e altri negativamente, attribuendo
a questi stessi partiti la responsabilità
di non averlo contrastato adegua-
Rendiconti
505
tamente. Ma, per Craveri, durante la Resistenza
non ci fu nessuna vera spinta rivoluzionaria,
mancando la quale De Gasperi
non attuò alcuna “restaurazione”. […]
la continuità dello Stato, insomma, non ha
fermato una rivoluzione che non c’era6.
Il tema della “continuità dello Stato”
funge da fondamento su cui poggiano osservazioni,
analisi e importanti questioni
storiografiche. Particolare importanza riveste,
fra queste ultime, la tesi che analizza
il modello di democrazia degasperiana,
secondo una duplice ottica, personale
e pubblica.
Le implicazioni riconducibili al vissuto
personale dello statista sono ben sottolineate
da Paolo Pombeni:
il tema di De Gasperi è quello della ricostruzione
della democrazia. Credo che in
questo ci sia l’unità della sua vita perché
l’Impero asburgico si era dissolto essendo
una buona burocrazia che non è riuscita a
darsi una democrazia cioè che non è riuscita
a darsi un sistema all’interno del quale
la dialettica politica potesse esplicarsi e
trovare un punto di equilibrio, e l’Italia
del primo dopoguerra, che è la sua seconda
esperienza, si era dissolta per aver tentato
di essere una democrazia ma non aver
trovato risposta nel sostegno dell’apparato
dello Stato che era stato assolutamente
insufficiente rispetto a questa rivoluzione
democratica7.
Secondo una prospettiva più propriamente
storico-politica, invece, Craveri ha
messo bene in luce come la stabilizzazione
politica in Italia dovesse passare necessariamente
attraverso la ricostruzione
di un sistema democratico capace di interpretare
i nuovi scenari politici nazionali
ed internazionali. Il risultato fu quello
che Leopoldo Elia nel suo intervento
ha definito efficacemente «anticomunismo
democratico»8: un sistema capace di
arginare l’avanzata comunista in ogni
modo, ma sempre nel rispetto delle regole
democratiche.
Ciò diede vita ad un equilibrio istituzionale
fondato da una lato sull’esclusione
del PCI – ed in un primo momento anche
dei socialisti – dalla coalizione governativa,
dall’altro dalla sua presenza in
parlamento, definito a questo proposito
da Craveri «camera di compensazione».
De Gasperi respinse però con fermezza le
pressioni per l’estromissione del PCI dal
sistema democratico italiano perché, oltre
ad essere un progetto di difficilissima
attuazione, e per giunta profondamente
contrario ai suoi principi democratici,
avrebbe potuto ingenerare un pericoloso
aumento del consenso per i comunisti;
così fece in modo che l’azione politica comunista
venisse incanalata in un circuito
protetto che ne smorzava la spinta propulsiva
e, insieme, contribuiva alla stabilizzazione
politica del paese.
Sarebbe però inesatto interpretare il
concetto di democrazia in De Gasperi
come negazione del comunismo, come
struttura eretta unicamente per impedire
la rivoluzione o la presa del potere da
parte dei comunisti. La democrazia per
De Gasperi rappresenta un valore in assoluto.
La sua realizzazione è indipendente
dai partiti politici e va, quindi, perseguita
non solo in rapporto al PCI, bensì
anche all’interno della stessa DC:
De Gasperi – scrive Giuseppe Galasso sul
«Corriere della sera» – concepì la sua
maggioranza ferma nell’opposizione al
comunismo, ma non come un “fortilizio
chiuso” e pensò sempre d’attrarvi i socialisti.
Confermata è pure la sua difesa dell’autonomia
politica dei cattolici contro
indebite pressioni ecclesiastiche […]. Religioso
e cattolico egli era sino in fondo:
non, invero, un cattolico-liberale; piuttosto,
un democratico-cristiano, sensibile
alla linea di Leone XIII e della sua Rerum
Novarum9.
In questo senso vanno lette anche le
pagine, indubbiamente originali, che
Craveri scrive a proposito dell’ancoraggio
centrista del sistema istituzionale ricercato
da De Gasperi come da Togliatti:
se per quest’ultimo infatti rappresentò
una tattica finalizzata ad intercettare i vo506
ti delle forze cattoliche progressiste, per
lo statista trentino fu il modo per creare
un equilibrio fra laici e cattolici ed evitare
così una deriva a destra del sistema democratico
italiano.
Certamente il confronto fra la concezione
democratica degasperiana e quella
di «democrazia progressiva» di Togliatti
risulta fondamentale per la comprensione
di quegli anni, in particolare attraverso
l’analisi del rapporto tra il partito e le
istituzioni. Mentre il segretario comunista,
scrive Craveri, «intendeva la democrazia
come il prevalere non già delle idee
democratiche, ma specificamente dei
partiti di massa», De Gasperi distingueva
invece nettamente il piano istituzionale
dalle politiche dei partiti, poiché riteneva
che «i partiti di massa fossero gli strumenti
principali nel gioco della democrazia
contemporanea, ma che con ciò non
ne modificassero la forma istituzionale e
non dovessero neppure sovrapporsi a essa,
ma agire all’interno delle sue regole e
procedure come attori principali»10.
Anche dal suo modello di partito,
quindi, emerge la capacità di De Gasperi
di gestire la transizione tra il vecchio ed il
nuovo attraverso la ricerca di delicati
equilibri politici. Nota Leopoldo Elia:
l’opera di De Gasperi è particolarmente
rappresentativa sul piano della storia costituzionale
poiché si passa, nella sua persona,
da una situazione in cui la democrazia
passa per il vertice notabilare dei partiti
di massa […] ad una in cui il partito assume
una struttura organizzativa forte
[…] un passaggio delicatissimo poiché
espone la DC ai rischi dell’occupazione
del potere ed alla identificazione con lo
Stato11.
In quest’ottica è stato sottolineato come
l’esperienza dell’esilio in Vaticano, e
non in un paese straniero, risulti centrale
per la comprensione dell’atteggiamento
con cui De Gasperi patrocinò il passaggio
dal PPI alla DC. Tale evento gli permise,
afferma ancora Elia, di
mantenere rapporti e di poter promuovere
la fondazione della Democrazia cristiana
che altrimenti sarebbe stato ben difficile
compiere […] perché De Gasperi per
fondare la DC ha attinto anche a quella
parte del mondo cattolico (della cosiddetta
seconda generazione) che aveva maturato
degli sviluppi avanzati sia a tutela della
libertà, sia a tutela del solidarismo12.
Addirittura Paolo Pombeni ha sostenuto
che De Gasperi era più vicino alla
seconda generazione che alla prima «poiché
fra loro c’era la comunanza di una visione
positiva del fare governo, del fare
Stato»13.
Craveri affronta anche la difficoltà
per De Gasperi di far collimare la necessità
di cambiamento del sistema istituzionale
e l’inevitabile ricambio della classe
politica. Come abbiamo già accennato,
cercare di far evolvere un sistema, che per
forza di cose doveva rimanere centrista,
verso un modulo classico di democrazia
rappresentativa non era cosa facile. Il ricambio
generazionale rese ancora più
difficile questo passaggio poiché la nuova
classe politica andava adottando, come
ha notato Elia, un sistema di gestione
del potere diverso. Anche nell’organizzazione
del partito ritorna quindi il tema
della continuità. Su questo punto però,
secondo Craveri, De Gasperi non riesce
completamente nel suo intento: l’inarrestabile
affermarsi del partito di massa ha
finito per travolgere il tentativo di preservare
la cultura popolare attraverso la
sua ridefinizione.
La ricerca di un equilibrio interno alla
DC non fu unicamente una questione
generazionale, ma anche politica. De Gasperi
seppe infatti gestire il laburismo cristiano
limitando i rischi di una deriva a sinistra
del partito, così come evitò che si
formasse un secondo partito di cattolici a
destra.
Il dibattito di De Gasperi con l’ala sinistra
del partito può essere riletto efficacemente
attraverso il suo rapporto con
Dossetti. Craveri affronta con molto
equilibrio questa questione, mettendo da
un lato in rilievo i momenti collaborativi
(leggi di riforma, specialmente quelle di
riforma agraria) e dall’altro quelli d’incomprensione
e di attrito che porteranno
al ritiro di Dossetti. In queste pagine Craveri
ha espresso, inoltre, un giudizio sul
dossettismo che ha fatto molto discutere
e che, ai fini della ricostruzione del dibattito,
vale la pena riportare integralmente:
prendeva a svilupparsi una riflessione
[…] destinata a scontrarsi con la politica
di De Gasperi, anzi a contrapporsi come
cultura di opposizione interna al mondo
politico cattolico e, nella sua forma ideale,
a rimanere tale, e in un secondo tempo
ad entrare in un processo di osmosi con la
cultura comunista, mentre in quella secolarizzata
della lotta di potere, a convertirsi
poi nella forma di prassi politicamente
orientate alla così detta “occupazione del
potere”14.
Su questo punto la critica ha espresso
giudizi contrastanti, alcuni dei quali in
controtendenza rispetto a quanto affermato
dall’autore. Leopoldo Elia, ad
esempio, ha voluto sottolineare la lontananza
di Dossetti dalla cultura comunista
su di un piano propriamente storico-politico
attraverso la ricostruzione di alcuni
eventi:
non solo la polemica con Togliatti durante
la campagna elettorale per il comune di
Bologna nel ’54, ma soprattutto furono i
fatti d’Ungheria del ’56 che videro Dossetti,
leader dell’opposizione al comune
di Bologna per due anni, esprimere una
condanna durissima in quel consiglio comunale
della vicenda ungherese e delle
responsabilità del partito comunista in
quella circostanza15.
Parallelamente, a destra esisteva un
fronte interno alla DC molto vicino ad alcuni
ambienti vaticani, che aveva – come
afferma Riccardi – «una visione politica
bipolare: da un lato il PCI e dall’altro tutti
gli altri» secondo cui la partita in gioco
era «la sopravvivenza del cristianesimo di
fronte al comunismo»16. In tal senso
l’«operazione Sturzo» – il tentativo cioè
di presentare, in occasione delle elezioni
comunali di Roma, una lista anticomunista
composta da democristiani, monarchici,
missini e capeggiata da Sturzo – rappresentò
il momento di massimo attrito
fra De Gasperi e questa componente interna
al partito. Nel suo libro Craveri dedica
un intero paragrafo a questa vicenda,
sottolineando, da un lato, le ragioni del
fallimento: «l’alleanza organica con la destra
[…] era fallita e le ragioni di ciò balzavano
evidenti dallo svolgersi stesso degli
eventi, da quel suo non potersi proporre
come tale, dal non riuscire a circoscriversi
nella forma asettica di una lista “depoliticizzata”,
a cui anche i partiti di destra avevano
avuto difficoltà ad aderire, sino alle
reazioni traumatiche che aveva suscitato
nell’area delle forze democratiche», e dall’altro,
la valenza che esso assunse per De
Gasperi: «egli aveva vinto uno scontro decisivo
con il Vaticano, dopo aver rischiato
moltissimo, per riaffermare alcuni punti
fondamentali della sua linea politica» e
per il movimento politico dei cattolici
«che da più di un cinquantennio si trovava
un passo avanti (spesso più d’uno) rispetto
alla struttura gerarchica della Chiesa
nel rapporto con la realtà sociale, politica
e culturale, maturato in autonomia sul
terreno della democrazia»17.
Lo scontro con Pio XII sulle elezioni
romane del 1952 ebbe pesanti ripercussioni
sui loro rapporti personali: al presidente
del consiglio non furono infatti più
concesse udienze in Vaticano. De Gasperi
rimase profondamente turbato da questa
dura reazione pontificia, esprimendo
il suo stato d’animo con una celebre frase
che puntualmente Craveri riporta:
come cristiano accetto l’umiliazione benché
non sappia come giustificarla; come
presidente del consiglio italiano e ministro
degli esteri, la dignità e l’autorità che
rappresento e dalla quale non mi posso
spogliare anche nei rapporti privati,
m’impone di esprimere lo stupore18.
507
508
Poche parole, sufficienti però a comprendere
il senso profondo del laicismo
degasperiano. Ancora una volta nella
biografia di De Gasperi la formazione individuale
di uomo devoto, nonostante sia
il presupposto della sua azione politica, e
la funzione pubblica di uomo di Stato
convivono in modo non contraddittorio,
trovando anzi nel primato della politica e
dell’interesse generale il loro momento di
sintesi.
De Gasperi fu un cattolico che seppe
difendere il principio della separazione
tra Stato e Chiesa e della politica dalla religione.
Fu autonomo dal Vaticano pur rimanendo
sempre in stretto contatto con
esso; in ciò consiste quello che Riccardi
ha definito «paradosso degasperiano: egli
fa un partito della Chiesa in cui vuole tutti
i cattolici ma non vuole dipendere dalla
Chiesa, anzi rivendica il carattere laico
della sua dirigenza». Tale paradosso, se
non fu, come abbiamo visto, facile da gestire
per De Gasperi, non lo fu neanche
per il Vaticano, che vide nascere l’Italia
delle due classi dirigenti cattoliche: «accanto
al ceto ecclesiale – afferma Riccardi
– si formò la classe politica democristiana
e si realizzò un livello di autonomia
da parte di questi ultimi ignoto ai laici
cattolici di prima»19.
L’opera di Craveri non si prefigge di
compiere un’analisi approfondita del cattolicesimo
degasperiano: quando lo fa, è
solo in funzione della biografia politica.
Sin dalla premessa ciò è chiarito molto
bene dallo stesso autore:
manca […] in queste pagine un approfondimento
necessario, quello sulla
“spiritualità” di De Gasperi, se non in alcuni
indispensabili accenni. Da essa non
si può prescindere, quale sia il momento
che si voglia ricostruire della sua vicenda
politica. La sua fede di credente traspare
sempre nella molteplicità delle sue azioni.
Il suo cattolicesimo resta un paradigma
imprescindibile del suo operare20.
Nonostante ciò dal libro emergono
elementi sufficienti per delineare – scrive
Galasso – il ritratto di un democraticocristiano
«aperto al suo tempo; senza inquietudini
particolari, ma col senso pieno
della condizione umana del cristiano in
quanto tale e con piena adesione alla funzione
della Chiesa e al principio che la
Chiesa è Roma»21.
«La storia di quest’uomo – nota Riccardi
– si apre e si chiude con orizzonti
non italiani»22: nei primi anni della sua
carriera politica come deputato dell’impero
asburgico, negli ultimi come campione
dell’europeismo. Ciò non è il frutto
di una semplice coincidenza o il tentativo
di restituire una presunta circolarità
alla vicenda degasperiana, bensì la conferma
di una visione politica coerente che
accompagna lo statista trentino lungo
tutto il corso della sua lunga carriera.
L’esperienza di parlamentare italiano
in uno stato multietnico come quello
asburgico fornì a De Gasperi «i grandi
arnesi – dice ancora Riccardi – che fanno
l’Europa del Novecento: l’idea di nazione,
lo Stato, il rapporto tra religione ed
etnia»23. Egli possedeva una visione politica
internazionale che legava la soluzione
dei problemi italiani alle sorti dell’Europa;
scrive Craveri:
è proprio dalla necessità di approfondire
la “questione nazionale” che prende forma
in lui non solo quell’idea di Europa,
con la sua originaria radice nell’esperienza
austro-ungarica, come necessaria garanzia
politico-istituzionale, ma anche la consapevolezza
di quanto del liberalismo era indispensabile
recepire ai fini dello svolgimento
della vita politica democratica24.
L’interpretazione di Craveri va in senso
opposto a quella che considera l’europeismo
di De Gasperi come semplice realismo
politico volto ad aumentare il peso
dell’Italia in Europa. L’analisi degasperiana
nasceva dalla riflessione sulla natura
e le ragioni della guerra europea e puntava
al primato dell’«unità politica» come
unico possibile baluardo a difesa della
democrazia.
Il progetto di un’Europa unita, insieme
con la riforma del sistema istituzionale,
vengono considerate da Craveri le due
questioni incompiute dell’operato degasperiano.
Nonostante ciò, come ha notato
anche Giuseppe Galasso, gli otto governi
consecutivi di De Gasperi (1945-
1953) hanno rappresentato per l’Italia il
periodo in cui sono state prese
decisioni memorabili (trattato di pace,
Patto atlantico, prime Comunità europee,
liberalizzazione degli scambi, Cassa per il
Mezzogiorno, ristabilimento monetario,
ricostruzione postbellica, e tanto altro), e
certo non vi sarebbe stata l’Italia del “miracolo
economico” senza il governo De
Gasperi25.
Ecco perché Craveri definisce De Gasperi
il maggiore statista italiano dopo
Camillo Cavour, a cui si deve il national
building e da cui non si può prescindere
se si vuol comprendere la storia dell’Italia
repubblicana.
L’opera di Craveri invita ad una riconsiderazione
della parabola politica di
De Gasperi nel suo complesso, recuperando
un rapporto di contiguità problematica
e critica fra storia e quotidiano: «i
grandi statisti lasciano sempre qualcosa
d’incompiuto, però credo che sia necessario
approfondire le incompiutezze per
ritrovare le radici sulle quali ricostruire
ed andare avanti»26.
Giorgio Volpe
1 A. Riccardi, Presentazione, del volume
De Gasperi, svoltasi presso l’Istituto Luigi
Sturzo, Roma, 22 novembre 2006. Il testo dell’intervento,
come nel caso di Elia, Riccardi e
Craveri, è il frutto della nostra trascrizione.
2 P. Craveri, De Gasperi, Bologna, Il Mulino,
2006.
3 A. Giovagnoli, Il vero ruolo di De Gasperi,
in «la Repubblica», 13 dicembre 2006, p.
53.
4 M. Teodori, De Gasperi. Il più laico di tutti.
Intervista a P. Craveri, in «Il Giornale», 14
novembre 2006, p. 28.
5 Ivi.
6 A. Giovagnoli, Il vero ruolo di De Gasperi,
cit., p. 53.
7 P. Pombeni, Presentazione del volume De
Gasperi, svoltasi presso l’Istituto Luigi Sturzo,
Roma, 22 novembre 2006. La trascrizione è
nostra.
8 L. Elia, Presentazione del volume De Gasperi,
svoltasi presso l’Istituto Luigi Sturzo,
Roma, 22 novembre 2006. La trascrizione è
nostra.
9 G. Galasso, De Gasperi, i sette anni che
cambiarono l’Italia, in «Corriere della sera»,
26 novembre 2006, p. 37.
10 P. Craveri, De Gasperi, cit., p. 196.
11 L. Elia, Presentazione del volume De Gasperi,
cit.
12 Ivi.
13 P. Pombeni, Presentazione del volume
De Gasperi, cit.
14 P. Craveri, De Gasperi, cit., p. 270. A tal
riguardo vedi anche ivi, p. 339.
15 L. Elia, Presentazione del volume De Gasperi,
cit.
16 A. Riccardi, Presentazione del volume
De Gasperi, svoltasi presso l’Istituto Luigi
Sturzo, Roma, 22 novembre 2006.
17 P. Craveri, De Gasperi, cit., p. 549.
18 Ivi, p. 550.
19 A. Riccardi, Presentazione del volume
De Gasperi, cit.
20 P. Craveri, De Gasperi, cit., p. 13.
21 G. Galasso, De Gasperi, i sette anni che
cambiarono l’Italia, cit., p. 37.
22 A. Riccardi, Presentazione del volume
De Gasperi, cit.
23 Ivi.
24 P. Craveri, De Gasperi, cit., p. 37.
25 G. Galasso, De Gasperi, i sette anni che
cambiarono l’Italia, cit., p. 37.
26 P. Craveri, Presentazione del volume
De Gasperi, svoltasi presso l’Istituto Luigi
Sturzo, Roma, 22 novembre 2006. La trascrizione
è nostra.
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