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Gli ultimi anni universitari di Gioacchino Volpe (1938-1943)
di Eugenio di Rienzo
GLI ULTIMI ANNI UNIVERSITARI DI GIOACCHINO VOLPE (1938-1943)
1. Nell’estate del 1943, quasi negli stessi giorni, in cui Gioacchino Volpe andava
consumando drammaticamente la sua lunga separazione dal fascismo1, anche la sua vita
accademica conosceva un momento di grave difficoltà, che rendeva evidente, in primo
luogo, come la sua attività intellettuale non si fosse davvero amalgamata al clima fascistissimo,
che regnava sovrano nella Facoltà di Scienze Politiche di Roma, dove aveva
preso servizio nel 1925. Del lungo soggiorno in quella sede, dove Volpe aveva ottenuto,
nell’agosto del 1936, il trasferimento dalla cattedra di Storia della politica moderna
a quella di Storia moderna2, la documentazione disponibile ci restituisce l’immagine
di un professore non eccessivamente presente nella vita universitaria (se si eccettuano
gli obblighi di docenza e il sicuramente poco gradito incarico interinale di Preside
nel 1937), frequentemente distratto dai numerosi impegni, che la sua posizione di intellettuale-
notabile comportava. Sul tavolo della Direzione generale dell’Istruzione
universitaria si accumulavano, soprattutto a partire dalla fine degli anni Venti, frequentissime
istanze di congedo, tutte tempestivamente approvate, per poter permettere a
Volpe di meglio sopraintendere alle attività dell’Accademia d’Italia, di presenziare a
manifestazioni in Italia e fuori d’Italia (a Vienna, Budapest, Varsavia, Bratislava, Lisbona
ma anche a Tunisi e persino nell’Africa occidentale portoghese per commemorare
la trasvolata atlantica di Balbo)3, e di partecipare, a Parigi, ai lavori del Comitato di
scienze storiche, nel cui Bureau centrale lo storico rappresentava il nostro paese4. A tut468
to questo si aggiungevano le richieste di più estese interruzioni del servizio, per il biennio
accademico 1930-1931 e 1937-19385, giustificate da motivi di studio, che forse dovettero
provocare malumori e qualche resistenza, presso la Presidenza della Facoltà, se
Volpe si vide costretto, per ben due volte, a chiedere un appoggio politico al fine di vederle
esaudite. Nel novembre del 1929, scriveva infatti a Lando Ferretti (capo dell’Ufficio
stampa della Presidenza del Consiglio), di ricordare al «Capo», e cioè a Mussolini,
il loro recente colloquio, dove era stata avanzata una richiesta di esonero dall’insegnamento,
senza perdita di stipendio, e «in cui io gli dissi che il lavoro d’impianto e avviamento
dell’Accademia richiedeva tempo e pratica; che avevo fra le mani lavori da
compiere, fra cui una storia del popolo italiano durante la guerra, e che, d’altra parte,
in poco meno di 30 anni d’insegnamento, mai avevo sollecitato una concessione di tal
genere»6. Nell’autunno del 1937, lo storico rinnovava questa richiesta in lunga e amichevole
lettera a Giuseppe Bottai, recapitata direttamente al domicilio privato del Ministro,
che forniva un quadro dettagliato dei suoi lavori in corso, e in cui molto significativamente,
come vedremo, affiorava il nome di Federico Chabod.
Sarebbe stato, questo di cui ti scrivo, argomento da parlarne con te. Ma per non toglierti
tempo con un nuova udienza, consenti che ti scriva. Se il mio desiderio è attuabile, ne avrò
grande piacere, se no, pazienza. Il mio desiderio è questo: avere dal Ministero un anno di
licenza dall’insegnamento, a scopo di studio. Mi trascino dietro da gran tempo certi grossi
lavori senza possibilità di condurli a termine: una storia dell’Italia durante la guerra (nei rapporti
interni; non militari), di cui è scritta oltre metà; una storia dell’Italia medievale e moderna,
fatta per due terzi; certi studi di storia sabauda, di cui anche S. M. il Re è informato
ed ogni tanto me ne chiede notizia. Un po’ la scuola, un po’ tante piccole brighe mi tolgono
ogni possibilità di isolarmi per qualche mese e lavorare. Le vacanze di quest’anno sono
andate per due terzi annullate: il luglio da una lunga commissione di concorso al Ministero
della Cultura Popolare; il settembre e ottobre dal Congresso del Risorgimento, dal convegno
storico abruzzese, da quella stessa minuscola cerimonia di Penne, tre o quattro volte
fissata e rimandata. Aggiungi che avrei bisogno di passare due o tre mesi a Torino, per ricerche
in quell’Archivio. Di questo mio piano feci tempo fa amichevole discorso col Rettore:
ed egli non fece, per quel che lo riguarda, nessunissima difficoltà. Quanto alla mia supplenza
qui, avrei pensato al prof. Chabod, straordinario di storia a Perugia, che è il migliore
della nuova generazione di storici, giovane di grande laboriosità e coscienza. Ma poiché
egli non potrebbe fare due corsi, qui e a Perugia, dovrebbe, per il 1937-38, essere comandato
a Roma. E si avrebbe anche quest’altro vantaggio: rendere possibile al prof. Chabod,
che è uno dei quattro incaricati, per iniziativa dell’Ispi di Milano, largamente sostenuta dal
Duce, di scrivere la storia della politica estera italiana dopo il 1860, di accelerare il proprio
lavoro, che si svolge essenzialmente sul materiale dell’Archivio degli Affari Esteri di Roma.
Indipendentemente dalla questione, io venivo pensando alla possibilità o meno di chiedere
per Chabod un comando o incarico qui a Roma per un anno (io sono della Commissione
direttiva di questa storia e seguo da vicino i lavori dei 4 studiosi, tre dei quali escono dalla
mia Scuola storica). Ora abbino le due cose e chiedo a te: 1°. esenzione, per me, di un anno
(senza falcidia di stipendio!); 2°. supplenza, nella mia cattedra, del prof. Chabod, che in
questo modo potrebbe dare una buona spinta al suo volume, il più importante e faticoso
dei quattro. A Perugia, credo, non sarà difficile incaricare per un anno, al suo posto, o il
Maranini o il Curcio o altri. Se la cosa, come spero, ti pare fattibile (a volte ho visto che questi
esoneri o comandi sono stati dati anche a giovanissimi dell’insegnamento universitario:
ternational Comittee of Historical Sciences, 1898-2000, New York-Oxford, Berghahn Book,
2005, passim.
5 Gli estratti dei verbali dei Consigli di Facoltà e le delibere ministeriali per la concessione
dei nulla-osta, sono egualmente conservate in ACS, MPI-DGIU, Fascicolo G. Volpe.
6 Gioacchino Volpe a Lando Ferretti, s. d. [ma novembre 1929], ivi.
469
per es. Spirito, non si negherà a me, che ho la piccola ambizione di porre il finis, prima di
invecchiare troppo, a lavori che già mi hanno costato tanta fatica!), dai le necessarie istruzioni
al tuo Direttore generale: ed io mi intenderò con lui per i dettagli7.
Difficile non scorgere, considerato il tono pressante di questa corrispondenza, nella
richiesta di anno sabbatico e nel desiderio di veder conferita a Chabod la supplenza
della propria cattedra, che poi furono entrambe soddisfatte8, l’impazienza, appena
malcelata, di Volpe di tirare i remi in barca, di distanziarsi dalla vita universitaria, anche
se solo a condizione di assicurarsi una successione adeguata. Lo stesso, ci ricorda
Sestan, accadeva, proprio in quegli anni, per la sua attività nell’Accademia d’Italia,
dalla quale Volpe moltiplicava le sue assenze per godere del buen retiro nella residenza
di campagna di Santarcangelo di Romagna9, tanto da farci presupporre che in quella
latitanza dagli impegni ufficiali si potesse anche scorgere tracce di un radicato malcontento
per l’atmosfera intellettuale del tempo. Quell’insofferenza si acuiva e si rendeva
palese nel secondo anno di guerra, in occasione del Convegno interuniversitario,
svoltosi a Firenze, il 16 e il 17 aprile 1942, che aveva per oggetto la «Funzione e struttura
delle Facoltà di Scienze politiche». Il convegno si trasformava in una dura requisitoria,
soprattutto ad opera di Camillo Pellizzi, presidente dell’Istituto Nazionale di
Cultura Fascista, contro quei centri universitari, che il fascismo aveva fortissimamente
voluto, ma che ora avevano dimostrato la loro incapacità a creare la nuova classe dirigente
del regime. All’appuntamento fiorentino era presente anche Volpe che, dopo
aver ricordato il suo contributo personale alla creazione della Facoltà romana che
avrebbe dovuto costituire un centro di Alta cultura e d’insegnamento specializzato, si
diffondeva in un’articolata critica sul fallimento di quella esperienza rispetto al primitivo
progetto. In quell’intervento, che sarebbe stato riassunto negli atti del convegno
fiorentino apparsi nel 1943, lo storico stigmatizzava la decadenza di quell’istituzione,
avvenuta a pochi anni di distanza dal promettente avvio, quando ai «pochi e non molti
discepoli, in gran parte di sesso maschile e piuttosto scelti, quasi una aristocrazia,
come scelte erano le attività a cui erano chiamati» si era sostituita un’affluenza studentesca
di massa, poco qualificata sul piano intellettuale e sociale, al quale aveva corrisposto
un pletorico aumento degli insegnamenti e del corpo docente10. Queste paro-
7 Gioacchino Volpe a Giuseppe Bottai, 31 ottobre 1937, ivi. Gli altri autori incaricati dell’iniziativa
della Storia della politica estera italiana erano Morandi, Maturi, Augusto Torre. Su quel
progetto, si veda il mio, Un dopoguerra storiografico, cit., pp. 328 sgg.
8 Si veda la delibera ministeriale, conservata in ACS, MPI-DGIU, Fascicolo G. Volpe: «Il
Ministro Segretario di Stato dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, visto il D. M., in data
15.11.1937-XVI, col quale S. E. il Prof. Gioacchino Volpe, ordinario di Storia moderna presso
la R. Università di Roma, ai sensi dell’art. 57 del R. D. 8 maggio 1924-II, n. 834, fu incaricato
di attendere a speciali studi di carattere storico, per l’anno accademico 1937-38-XVI; ritenuta
la necessità di provvedere nello interesse degli studi, in ordine alla supplenza del professore
medesimo, in data 1 marzo 1938, decreta: A decorrere dal 13 dicembre 1937-XVI, e per la restante
parte dell’anno accademico 1937-38-XVI, il Prof. Federico Chabod, Straordinario di
Storia moderna presso la R. Università di Perugia, è incaricato di supplire S.E. il prof. Gioacchino
Volpe nell’insegnamento della stessa disciplina presso l’Università di Roma, con l’annua
retribuzione di £. 4.400, ridotte a £. 3.407,36 ai sensi dei RR.DD. LL. 20.11.1930-IX, n. 1491 e
14.4.1934-XII, n. 561.
9 E. Sestan, Memorie di un uomo senza qualità, a cura di G. Cherubini e G. Turi, Firenze, Le
Lettere, 1997, pp. 224 sgg.
10 Funzione e struttura delle Facoltà di Scienze politiche, Atti del convegno interuniversitario,
16-17 aprile 1942-IX, Prefazione di A. Serpieri, Firenze, R. Università degli Studi di Firenze,
1943, pp. 37-38: «Crebbe anche il numero delle discipline, spesso discipline insussistenti, e re470
le suscitavano l’immediata reazione di Pellizzi, che accusava Volpe di essere restato
nostalgicamente legato ad un’inattuale modello di formazione delle élites politiche e
intellettuali del tutto incompatibile con la creazione della nuova «aristocrazia fascista
»11, e scatenavano poi, nel Consiglio della Facoltà di Scienze politiche di Roma del
24 aprile, addirittura «una specie di processo sotto l’imputazione di non avere, nel recente
Convegno fiorentino, levata la voce contro chi ne proponeva l’abolizione e di avere
diffamato la facoltà di Roma». Così Volpe si esprimeva nella lettera inviata al preside,
Alberto De Stefani, dove ribadiva «il diritto di ogni professore di pensare e dire
su questioni tecniche della Università e in sede tecnica quello che egli crede»12.
2. Quel conflitto con i colleghi di Facoltà, dove si scaricavano antichi rancori verso
la sua persona, doveva lasciare il segno su Volpe e affrettare la risoluzione di allontanarsi
dalla sede dove aveva a lungo operato, e di domandare il passaggio nell’insegnamento
di Storia medievale della Facoltà di Lettere della Sapienza, rimasto disponibile
dopo la morte di Pietro Fedele. Era una decisione, dettata sicuramente da forti
motivi d’incompatibilità ambientale, a cui non era però estranea l’idea di far subentrare
nella cattedra, che Volpe aveva deciso di abbandonare, Chabod, coerentemente
al programma precedentemente esposto a Bottai. Una decisione, infine, che, almeno
sulla carta, appariva priva di ostacoli, considerato, in primo luogo, la sua qualità di indiscusso
maestro degli studi medievistici, ma anche il fatto che, nella nuova destinazione,
Volpe poteva contare sulla presenza di amici e colleghi pronti a favorire il suo
arrivo e in particolare su quella di Giovanni Gentile, che una leggenda sicuramente
ingigantita ad hoc, raffigurava come l’assoluto dominus della vita universitaria nazionale
(«una potenza accademica, un distributore o inibitore di cattedre», secondo la
definizione di Croce)13, e in particolare della Facoltà di Lettere di Roma, «nelle cui sedute
di consiglio, dove prendeva posto alla sinistra del preside, la sua parola sonava
oracolare, le sue proposte erano sempre accolte all’unanimità»14. La realtà, come è stalativi
professori anch’essi di varia provenienza, se pur, generalmente, ricchi d’intelligenza e di
coltura; e anche questo aumento numerico egli [Volpe] personalmente non lo crede un bene;
perché quanto più sono le discipline ed i professori tanto minori saranno le adesioni dei giovani
alla vita della scuola, i legami fra i giovani e i maestri, la disciplina unitaria che dall’alto può
darsi alla Facoltà. Insomma piuttosto decadenza che progresso: la quale investiva tanto le branche
di studi più propriamente tecnici quanto e forse più quelle che rappresentavano l’avviamento
alla coltura politica, e quindi la ragion d’essere delle nuove Facoltà».
11 Ivi, p. 39: «L’Eccellenza Volpe ci ha detto cose illuminanti circa il concetto in base al quale
fu costituita la Facoltà di Scienze politiche di Roma. Si pensava di fare una facoltà per quegli abbienti
i quali, per natura di cose, erano predestinati alla politica: benestanti, latifondisti o comunque
possidenti terrieri, figli di ricchi industriali, figli di ministri o di altri personaggi che avevano
già una posizione nella vita pubblica; insomma era destinata ad una casta che, sebbene non fosse
rigidamente definita, tuttavia esisteva. Io sono abbastanza vecchio per ricordare l’esistenza di
quella casta, che fu la casta dirigente italiana fino all’altra guerra ed alla Rivoluzione Fascista. In
realtà il potere di quella casta si è spezzato, ne siamo completamente fuori; e questa è una delle
profonde ragioni della non vitalità delle Facoltà di Scienze politiche come sono costruite tuttora».
12 Gioacchino Volpe ad Alberto De Stefani, Preside della Facoltà di Scienze Politiche di Roma,
s. d., ma fine aprile 1942. Sul tempestoso svolgimento di quel Consiglio di Facoltà, oggetto
della lettera, si veda, E. Gentile, La Facoltà di Scienze politiche nel periodo fascista, in Passato
e presente delle Facoltà di Scienze politiche, cit., pp. 78-79.
13 Benedetto Croce a Guido Calogero, 6 maggio 1935, in Carteggio Croce-Calogero, a cura
di C. Farnetti, Bologna, il Mulino, 2004, p. 49.
14 G. Levi Della Vida, Il collega Gentile, in Idem, Fantasmi ritrovati, Venezia, Neri Pozza
Editore, 1966, pp. 211 sgg., in particolare pp. 217-218.
471
to dimostrato, era invece molto diversa da questa leggenda accademica15, dato che
proprio dentro le mura della Sapienza, Gentile doveva far fronte alla resistenza di un
agguerrito fronte di oppositori (fascisti intransigenti, clericali, indipendenti di diverso
orientamento, alcuni provenienti da una remota e assai tiepida opposizione al regime),
che gli avevano impedito di portare a termine la «chiamata» di Luigi Russo a Lettere,
nel 1937, a cui era stato preferito Natalino Sapegno16, e che avevano ostacolato,
nel 1942, quella di Cantimori, a Magistero17.
Anche il caso Volpe si sarebbe dimostrato difficile, persino al di là delle più infauste
aspettative, a testimonianza del fatto, come avrebbe poi compreso anche il capo
del fascismo, che a partire da El Alamein, si era inabissato verticalmente il consenso
di cui godeva il regime, in tutti i settori della vita, non escluso quello accademico e intellettuale18.
Il trasferimento di Volpe trovava ostacolo nella candidatura del più giovane
Raffaello Morghen: un seguace di Ernesto Buonaiuti, divenuto discepolo di Pietro
Fedele, che aveva ormai realizzato, quindi, una progressiva marcia di avvicinamento
dall’eresia all’ortodossia vaticana19, e che, per di più, aveva ingaggiato una tesa polemica
scientifica proprio con Volpe20, il quale, da parte sua, nel 1929, aveva avanzato
qualche forte perplessità, in seno alla commissione giudicatrice chiamata a varare
l’idoneità del suo oppositore a ricoprire il posto di professore ordinario bandito dal
15 Sul punto, C. Cesa, I nemici di Giovanni Gentile, 1929-1941 in I Mercoledì della Accademie
Napoletane nell’Anno accademico 2002-2003, a cura di M. Coppola, A. Garzya, F. Tessitore,
Napoli, Giannini Editore, 2004, pp. 141 sgg. Si veda anche, F. Mercadante, Del Vecchio contro
Gentile, dopo Sant’Ivo (marzo 1926), appendice a I filosofi del diritto, in Passato e presente
delle Facoltà di Scienze politiche, cit., pp. 184 sgg. Sul progressivo isolamento di Gentile, all’interno
delle istituzioni culturali del regime, V.G. Longo, L’Istituto Nazionale Fascista di Cultura.
Da Giovanni Gentile a Camillo Pellizzi (1925-1943). Gli intellettuali tra partito e regime. Presentazione
di F. Perfetti, Roma, Pellicani, 2000.
16 L. Russo, Una lettera per la morte di Giuseppe Bottai, in «Belfagor», 11 (1959), pp. 360:
«Nel ’37 io ero stato chiamato quasi all’unanimità alla cattedra di Vittorio Rossi, per la quale poi,
invece, fu prescelto Sapegno, uomo assai più mite che io non fossi. Io ero sostenuto dal Gentile,
dal Giuliano e da altri, ma alcuni fanatici andarono da Mussolini per agitare al solito il mio antifascismo
e il mio antivaticanismo». Si veda, sul punto la lettera di Guido Calogero a Gentile, 9
marzo 1937, in Archivio Fondazione Gentile (AFG): «Ieri mi telefonò Russo da Firenze allarmato
dalle notizie che aveva di qui; e io credetti di poterlo tranquillizzare poiché ero rimasto a
quel che me ne aveva detto il ministro in un colloquio di quindici giorni fa. E allora nulla era
compromesso, quantunque il ministro avesse incontrato già ostacoli gravi. E si era rimasti d’intesa
che convenisse attendere nella speranza che gli ostacoli cadessero. Ma era appena terminata
la mia telefonata con Russo, quando venne il Bosco ad informarmi che l’Università aveva già
ricevuta comunicazione dell’avvenuta nomina del Sapegno. I commenti sono superflui».
17 Delio Cantimori a Giovanni Gentile, Pisa, 7 dicembre 1942, in AFG, dove si sosteneva
che nella Facoltà era stata sollevata contro di lui «l’opposizione di un mio filoprotestantesimo
con conseguente anticlericalismo».
18 B. Mussolini, Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota, Milano, Mondadori,
1944, pp. 8-9.
19 Pio Paschini a Giuseppe Vale, 17 gennaio 1943: «Ieri sono andato alla commemorazione
di Fedele, fatta da un suo discepolo [Raffaello Morghen], non il più simpatico a dire il vero, e
nemmeno il più cattolico (come era lui); diede però risalto alla cattolicità di lui. C’erano tutti i
pezzi grossi della cultura a cominciare dal ministro Biggini». La lettera è riportata in P. Simoncelli,
Gentile e il Vaticano. 1943 e dintorni, Firenze, Le Lettere, 1997, p. 23.
20 Si veda, R. Morghen, La crisi degli studi medioevali e l’opera dello Stato, in «Accademie e
Biblioteche d’Italia», 1 (1927), n. 2, pp. 15 sgg., dove si deplorava la tendenza, stimolata da Volpe,
che «spinge specialmente i giovani ad abbandonare la storia del Medioevo per dedicarsi di
preferenza alla storia moderna o del Risorgimento».
472
R. Istituto Superiore di Magistero, annesso all’Università di Firenze. Nel suo giudizio
di allora Volpe, pur associandosi a quello positivo degli altri membri giudicanti, nel
«riconoscere i meriti del Morghen per la sicurezza del metodo, la precisione e la bontà
dei suoi lavori», sottolineava che la produzione del candidato restava «pur sempre
scarsa per uno studioso che non è stato distratto dalle fatiche dell’insegnamento, e si
è trovato nelle migliori condizioni per imparare e lavorare». Era un parere poco positivo,
che Volpe specificava nel dettaglio, affermando che gli indirizzi del candidato
«non appaiono contraddistinti da idee nuove, e inoltre sono anche un po’ limitati, aggirandosi,
molti di essi, attorno a un monastero, sia pure importante», e aggiungendo,
inoltre, come stoccata finale, che «se si tolgono le esercitazioni di cui fu incaricato dal
prof. Fedele, lo si deve considerare come estraneo all’insegnamento»21.
Ma ora, a distanza di più di un decennio, Morghen, rafforzata la sua posizione accademica,
era addirittura riuscito a strappare, in articulo mortis, a Fedele, il diritto presuntivo
di succedergli nella cattedra romana e in base a quella investitura aveva ottenuto
che la Facoltà ponesse all’ordine del giorno il suo trasferimento alla Sapienza. La
manovra, secondo la testimonianza di Morghen, era stata bloccata d’imperio da Gentile
che «scrisse al Preside Cardinali per far rinviare la discussione, sulla domanda del
sottoscritto, già posta all’ordine del giorno della seduta di Facoltà del marzo 1943, con
lo specioso pretesto che egli non avrebbe potuto essere presente»22. Era un resoconto
inesatto e tendenzioso, dato che, in quel mese, la Facoltà di Lettere si era limitata
ad esprimersi favorevolmente, ma solo informalmente, riguardo alla sua candidatura,
intorno alla quale si era comunque aggregato un numeroso drappello di docenti, costituito
dai tradizionali nemici di Gentile, tra i quali aveva militato anche Pietro Fedele23.
Gruppo ora, capeggiato da Antonino Pagliaro (docente di Glottologia e di Filologia
iranica), uno degli studiosi italiani maggiormente coinvolto nella perversione antisemita
del sistema fascista, di cui, assieme ad altri Mussolini’s Intellectuals (Carlo Costamagna,
Delio Cantimori e un folto gruppo di giuristi) aveva reclamato una assimilazione
al totalitarismo nazionalsocialista24. Con Gentile, suo antico maestro a Paler-
21 Nelle sedute successive, Volpe manteneva la sua opposizione nei confronti della designazione
di Morghen, che in ogni caso risultava, nella votazione definitiva, terzo idoneo nella terna
costituita da Ottokar e Barbadoro. Sul punto, ACS, Ministero Pubblica Istruzione. Direzione
Generale Istruzione superiore. Divisione I, Concorsi a cattedra nelle università (1924-1954),
b. 29, f. 231.
22 Memoriale di Raffaello Morghen a Sua Eccellenza il Ministro dell’Istruzione Pubblica, 19
dicembre 1944, in, MPI-DGIU, Fascicolo R. Morghen. Nell’esposto si parlava anche delle «notorie
pressioni esercitate da Gentile, specialmente sui membri della Facoltà, accademici d’Italia,
in nome di una solidarietà accademica, che anche in quell’occasione mostrava il suo carattere
corruttore».
23 G. Levi Della Vida, Il collega Gentile, cit., p. 231, dove si parla dello «storico Pietro Fedele,
nostro collega di Facoltà, che Gentile non poteva soffrire sia, credo, perché stava smantellandogli
pian piano la sua riforma e sia perché lo considerava una di quelle nature smidollate,
facili all’adattamento e al compromesso, prive di quella rigidità della colonna vertebrale che
tanto apprezzava»
24 Sul punto, i miei L’Università italiana, l’antisemitismo e l’epurazione antifascista, in «Nuova
Storia Contemporanea», 3(2005) pp. 151 sgg. e E. Di Rienzo, Antisemitismo, la strana rimozione,
in «il Giornale», 20 dicembre 2005. Del tutto omissivi e tendenziosamente inesatti sull’impegno
politico di Pagliaro, fino al 1943, sono W. Belardi, Antonino Pagliaro nel pensiero critico
del Novecento, Dipartimento di Studi Glottoantropologici, Università La Sapienza, Roma,
Il Calamo, 1992 e T. De Mauro, L. Formigari, Forward, in Italian Studies in Linguistic Historiography.
Proceedings of the Conference “In Ricordo di Antonino Pagliaro - Gli studi italiani di storiografia
linguistica, Rome 23-24 January 1992, Münster, Nodus Pubblikationen, 1994. Il culmi473
mo nel 1913, Pagliaro era entrato in violentissimo e insanabile contrasto nell’Enciclopedia
Italiana e nella Facoltà, per motivi personali25, gabellati, dopo il 25 luglio, dallo
stesso Pagliaro per ragioni di dissidenza politica26. Delle manovre per bloccare la sua
venuta a Lettere, Volpe aveva avuto immediato sentore, come risulta dalla durissima
corrispondenza inviata, il 23 maggio, proprio ad Alberto Maria Ghisalberti, molto legato,
fino a quel momento, a Gentile e a Volpe. Nella lettera si dimostrava di aver compreso
che l’ostilità nei suoi confronti era soprattutto ostilità verso Gentile e in subordine
avversione anche per il passaggio di Chabod nella sede romana, allora avversato,
addirittura con l’arma della delazione poliziesca, dove si configurava l’accusa di attività
antifascista, dal Preside di Scienze politiche, De Stefani27, favorevole invece all’arrivo
di Raffele Ciasca.
Mi giunge all’orecchio un ronzio di battaglia nella vostra Facoltà: Volpe o Morghen, Morghen
o Volpe. Consapevole di molte mie manchevolezze, sono lieto che l’Italia abbia finalmente
un grande medievalista e dolente che io mi gli debba mettere fra i piedi. Volevo dirti
questo. Tu e i tuoi amici voterete come vi pare e piace. Mi siete testimoni se io ho detto
mezza parola a chicchessia o per influire comunque il vostro voto. È una discrezione che gli
uomini della vecchia guardia come me considerano doverosa, anche se quelli della giovane
guardia si dimenano per corridoi e anticamere e vantano tutti diritti di eredità. Dunque, liberi,
liberissimi voi. Ma non liberi di divulgare racconti, assolutamente immaginari, di retroscena:
cioè amici da favorire, accaparramenti di cattedre, vasto movimento di professori
architettato in seguito al mio passaggio da Facoltà a Facoltà. Se questo si racconta, come si
racconta, caro Ghisalberti, dì pure che son fole inventate da chi aveva interesse d’inventarle
o sente bisogno di giustificare così (e perché, poi? non c’è bisogno di nessuna giustificazione)
la opposizione a me. Certo, se io lascio Scienze Politiche, fa piacere a me che il mio
posto sia preso da un uomo che è un vero uomo, come Chabod: ma io non la lascio per far
ne della disinformatia, si raggiunge però in Antonino Pagliaro. Discorso commemorativo pronunciato
dal Linceo Giuliano Bonfante nella seduta ordinaria del 13 marzo 1976, Roma, Accademia
Nazionale dei Lincei, 1976, p. 4, in particolare.
25 E. Sestan, Memorie, cit., pp. 201-202 e 203-204; F. Gabrieli, Uomini del mio tempo, Roma,
Palombi Editore, 1987, pp. 89 sgg. I dissensi, all’interno della Facoltà romana, sono testimoniati
dalla lettera di Pagliaro con Gentile del 16 giugno 1931 (AFG), dove Pagliaro si scusava di aver
«peccato di eccesso di difesa» durante una discussione avvenuta nel Consiglio dei docenti.
26 A. Pagliaro, Alla Commissione per l’epurazione del personale universitario, Roma, 15 settembre
1944: «Fui condotto, fra il 1933 e il 1940, a contrastare in tutti i modi l’influenza dell’idealismo
assoluto, inadeguato, secondo me, per la sua negatività sul piano morale, a promuovere
la creazione di una coscienza politica moderna. A ciò si aggiungeva che l’ostilità personale,
tenace e notoriamente pericolosa, di Giovanni Gentile contro di me, veniva a dare un riflesso
umano, seppur non lodevole, alla mia azione. Così, al tempo stesso che affermavo queste mie
idee, miravo a togliere le coscienze dei giovani ai facili miraggi dell’idealismo attuale, ritenuto
la filosofia ufficiale del regime». Si veda anche Idem, Alla Commissione centrale per l’epurazione
del personale dello Stato, 25 marzo 1945, ivi: «La mia attività di insegnante e di scrittore di
cose politiche – assolutamente secondaria e accessoria nei confronti della mia opera di professore
di Glottologia e di Filologia iranica nella R. Università di Roma – fu mossa dal bisogno di
diffondere idee mie, a fine educativo e perciò largamente critico, e dal desiderio di sottrarre le
coscienze dei giovani all’azione eticamente negativa dell’idealismo assoluto. È mancato in tale
attività ogni fine utilitario, né essa ha raggiunto alcun vantaggio materiale o morale. Al contrario,
ha provocato l’inimicizia tenace e piuttosto pericolosa, per un isolato com’io ero, di Giovanni
Gentile». Entrambi i documenti sono conservati in ACS. Ministero Pubblica istruzione.
Divisione prima, Direzione Istruzione Superiore. Professori Universitari epurati (1944-1946),
busta 25, fascicolo «Pagliaro Antonino».
27 Sul punto, il mio Un dopoguerra storiografico, cit., pp. 193 ss.
474
posto a Chabod e Chabod ad altri ed altri ad altri, ecc. Quel che io fo, tu lo sai, io lo fo sempre
in prima persona. Fola, egualmente, che dietro di me ci sia Gentile e io sia quasi marionetta
che Gentile fa muovere. Chi mi conosce sa quanto, in 60 anni di vita, io sia stato marionetta.
Sì, da principio non pensavo alla possibilità di un passaggio. Una volta apertasi
questa prospettiva, dissi che se la facoltà mi chiamava, accettavo. Ecco la semplice e naturale
istoria28.
Ma la situazione doveva essersi ulteriormente deteriorata, di lì a poco, se Volpe,
posto di fronte a nuove difficoltà manifestate da Ghisalberti, inaspriva i toni della sua
replica, scrivendo:
Grazie delle belle parole, che son come gli orli del vaso. Dentro poi… Dici che io sono troppo
in alto ecc. Già, appunto perché sono “in alto” si potrà impunemente tirarmi un calcio.
Tanto, si dice, il calcio non arriva a lui, non lo colpisce, non lo ferisce. Ho piacere che tu
concordi con me sul giudizio di Chabod. È, come io ti avevo detto, un uomo: un uomo, non
un omuncolo. Peccato che gli omuncoli abbondino in questa valle di lagrime29.
Né minore irritazione dimostrava la lettera a Gentile del 3 giugno:
Ti ho cercato invano. E siccome stasera parto, così ti lascio questo biglietto raccomandandoti,
se pure è necessario, la mia faccenda. Al punto in cui son arrivate le cose, mi dorrebbe,
a settantasei anni, decano d’Italia, con una certa reputazione tra gli storici e gli Italiani,
essere bocciato: e poi da un omuncolo senza spina dorsale, che razzola impieghi e stipendi
e ha una cattedra… per non fare scuola. Se, in Facoltà, qualcuno dovesse dire che ormai il
prof. Volpe è un limone spremuto ecc., puoi rispondere che nel ‘39 ho pubblicato una storia
del Fascismo che è il miglior libro del genere, tradottissimo. Quattro quinti di quelli che
fuori d’Italia sanno di fascismo conoscono questa mia storia. Nel 1940, ho pubblicato il 1°
volume di una storia civile, interna del popolo italiano durante la guerra (Il popolo italiano
fra la pace e la guerra). È già in composizione il 2 volume (Il pop. ital nella Grande Guerra,
1914-1918). Fra 15 dì uscirà il 1 volume di Italia moderna, 1815-1915, a cui seguirà un secondo,
pure di 500 pag. Il mio… competitore, fuori di un po’ di Medioevo, non ha che una
cultura manualistica. Ieri, ricevuto dal Ministro, il discorso cadde su questo argomento. Egli
si meravigliò, si sdegnò ecc. Non ebbe dubbio su l’esito della votazione. Disse che, in caso
avverso, sarebbe intervenuto lui… Al che io obiettai che non vedevo come, dopo un voto
di Facoltà, anche un Ministro potesse intervenire; né io poi accetterei un atto d’imperio del
Ministro, dopo che ci fosse stata una maggioranza avversa in Facoltà. Ma di questa manifestazione
del Ministro ti prego di non far uso pubblico. Rimanga inter nos30.
In questo clima infuocato si svolgeva il Consiglio della Facoltà del 7 giugno, dove
Francesco Ercole sosteneva la necessità che l’adunanza dei docenti non respingesse
«il desiderio manifestato da Volpe», almeno di non voler dare un «assurdo giudizio
negativo sulle sue qualità di scienziato e di maestro»31. Morghen, però, non accettava
l’esplicito consiglio di abbandonare la tenzone. Riaffermava, piuttosto, «che l’obbligo
di mettere innanzi la propria candidatura gli era stato imposto, come un’inderogabile
dovere, dalla designazione esplicita del Fedele, che fu il suo maestro» ed esibiva,
28 Gioacchino Volpe ad Alberto Maria Ghisalberti, Santarcangelo di Romagna, 23 maggio
1943, Fondo Volpe, Biblioteca Comunale di Santarcangelo di Romagna, d’ora in poi FV.
29 Gioacchino Volpe ad Alberto Maria Ghisalberti, Roma, 4 giugno 1943, ivi.
30 Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Roma, 3 giugno 1943, AFG.
31 Sul punto e per quel che segue, R. Università degli Studi di Roma. Facoltà di Lettere e Filosofia.
Adunanza del 7 giugno 1943, in Archivio dell’Università di Roma, Verbali 1937-1943,
d’ora in poi AUR.
475
a riprova di ciò, una lettera scrittagli appunto da Fedele dove testualmente si affermava
«non vi può esser dubbio che tu debba esser il mio successore». A favore di Morghen,
prendeva la parola Ghisalberti, il quale sosteneva l’obbligo morale di onorare
le ultime volontà del collega scomparso e ricordava «come il Volpe stesso, in un colloquio
ch’ebbero insieme il giorno dei funerali del povero Fedele, ebbe a dichiarare
al Ghisalberti che non aveva nessuna intenzione di presentare la sua candidatura», per
aggiungere, infine, un alto riconoscimento dei meriti di Morghen che veniva definito
«giovane di grande merito», provvisto di un’«attività copiosa e intelligente», in grado
quindi di succedere a Fedele in quell’insegnamento con profitto della scolaresca e della
comunità scientifica. La successiva discussione spaccava esattamente la Facoltà in
due fronti contrapposti, tra favorevoli a Volpe e favorevoli a Morghen. L’accaduto
convinceva il Preside, Giuseppe Cardinali, a non mettere ai voti questo punto dell’ordine
del giorno e ad aggiornare la decisione, per potere predisporre una ragionevolissima
soluzione conciliatoria secondo la quale, effettuata la chiamata del vecchio maestro,
«il Morghen, assai più giovane del Volpe, avrebbe ben potuto essere soddisfatto
di succedergli fra tre anni allorché questi sarebbe stato collocato a riposo»32. Tutto era
comunque rimandato ad altra data, come Sestan, per conto di Francesco Ercole, comunicava
a Volpe, informandolo che Ercole riteneva l’esito della battaglia fortemente
compromesso, visto anche il comportamento tentennante di Cardinali, che sembrava
essersi sbarazzato del suo tradizionale atteggiamento di sottomissione nei confronti
di Gentile33. L’ultima parola non era stata pronunciata, però, ed Ercole invitava Volpe
a non mostrare alcun segno di cedimento e di resipiscenza.
Le scrivo per incarico di Sua Eccellenza Ercole, impegnatissimo negli esami, in questi giorni,
se no, le avrebbe scritto lui. La ragione la sa, perché avrà ricevuto il telegramma: si tratta
di quell’assurda battaglia impegnata da sei mesi nella Facoltà di Lettere. La Facoltà si
riunì ieri: il senatore Gentile era assente, perché febbricitante, per influenza, pare. Aprì la
battaglia verbale l’Eccellenza Ercole, richiamando la Facoltà a un maggior senso di responsabilità
e a ponderare bene se servirsi o no della libertà concessale dal Ministro, rifiutando
di accogliere Volpe tra i suoi titolari e contrapponendogli chi non ha, negli studi storici, una
fisionomia nemmeno alla lontana paragonabile a quella di Volpe. Si fecero fuori paladini
per l’altra parte un Oliverio e un Cecchelli, Carneades ambo. Ma parlarono un po’ tutti: e
l’assurdo fu che, nel gruppo avversario, tranne due o tre, tutti prestarono la più grande stima
e ammirazione per Volpe, come studioso, come maestro, come uomo; ma avrebbero votato
contro in odio a Gentile, perché credevano di scorgere la mano del grande assente in
questa candidatura. Parlò anche Ghisalberti, con molta sobrietà e con molto pathos, dichiarandosi
idealmente, scolaro di Volpe; ma non poteva votare per lui; si era già impegnato per
Morghen e non credeva di poter venir meno all’impegno. Eppure altri dissero, prima e dopo
di lui, che anch’essi si erano impegnati per Morghen; ma che dopo la candidatura Volpe
avevano creduto di dover rivedere le loro posizioni. L’Eccellenza Ercole ha avuto l’impressione
che, con un po’ di energia da parte di Cardinali, le cose si sarebbero potute concludere
favorevolmente ieri: la stessa assenza di Gentile infervorava meno gli oppositori. Ma
il preside Cardinali è stato tentennante: dice in privato che stava per Volpe, ma non l’ha det-
32 Appunto sulla Facoltà di Lettere e Filosofia di Roma indirizzato al Ministro della Pubblica
Istruzione, Vincenzo Arangio-Ruiz–Cattedra di Storia Medioevale, Roma 11 gennaio 1945, in
MPI-DGIU, Fascicolo R. Morghen.
33 G. Levi Della Vida, Il collega Gentile, cit., p. 231, dove così si parlava «del Preside della
facoltà, lo storico antico Giuseppe Cardinali, del quale era costume, ogni volta che prendesse
la parola Gentile, voltarsi a sinistra con un leggero chinar della testa e un abbozzo di sorriso
quasi a chiedere l’autorizzazione del “senatore” (questi ebbe a dirgli una volta seccato: “ma mi
chiami professore!”)».
476
to pubblicamente nella riunione, e molti pensano, e sono autorizzati a pensare che voterà
alla pari con gli altri. Non ha tirato i fili, non ha portato altre ragioni: e così la questione è
rimandata a giorni, senza alcunché di stabilito. Il gruppo Volpe conta con certezza su 15-
16 voti; l’altro si equivale (e quali sorprese di alcuni! Guidi, Trompeo, forse Perrotta: persone
di intelligenza, di gusto, di dottrina; ma già il carattere è un’altra cosa). Rimangono poi
ancora 5 o 4 incerti. Insomma, situazione ancora molto incerta, ogni prognostico dubbio.
Pensa l’Eccellenza Ercole che l’opposizione possa sperare di farle paura e di ridurla ad astenersi
dall’agire. Ma al punto in cui sono le cose, cedere sarebbe il peggior consiglio: se proprio
dovesse andare male (ciò che non è affatto detto), allora ricadrebbe sugli oppositori
l’assurdo e l’odiosità di aver preferito un Morghen a un Volpe. Mi dispiace, Eccellenza, di
essermi messo in mezzo a questa faccenda; non mi sarei permesso di parlargliene o scrivergliene,
se non mi avesse pregato Sua Eccellenza Ercole; tanto più che immagino quanto debbano
nausearle tutte queste vicende di omiciattoli34.
Il 12 giugno, il confronto continuava, infatti, in una nuova assemblea di Facoltà,
dove interveniva immediatamente Gentile (che invece si era politicamente astenuto
dal partecipare al precedente Consiglio), con parole insieme appassionate e accorate
che così ci sono riportate nel verbale della seduta.
Il Prof. Gentile chiede scusa ai colleghi di dover portare la questione su un terreno personale.
Sono corse voci secondo cui egli avrebbe promosso di sua iniziativa la candidatura del
Volpe, allo scopo di far posto ad altra persona nella cattedra che si sarebbe così resa vacante,
alla Facoltà di Scienze politiche. Il Volpe invece ebbe modo di esprimere spontaneamente
e senza essere invitato da nessuno il suo desiderio, giustificato dalla speranza di trovare
nella Facoltà di Lettere una scolaresca più viva e più ricca di interessi scientifici a paragone
di quella della Facoltà di Scienze Politiche. È falso comunque che egli, Gentile, dia il suo
appoggio alla candidatura del Volpe per favorire qualcuno o danneggiare qualcun altro.
Comprende l’imbarazzo in cui è stata messa la Facoltà, ma egli non ne ha colpa. Il nome di
Volpe è, ad ogni modo, superiore a siffatte beghe personali: egli è colui che ha più profondamente
dissodato, in Italia, il campo della storia medievale. Anche il Morghen è studioso
di molto merito; ma non è giusto dire che egli continui veramente l’indirizzo di Fedele. È
doveroso non negare al Volpe, proprio ora che egli è sul punto di concludere la sua attività
di maestro, questa piccola soddisfazione alla quale aspira, né il Morghen ne riceverebbe altro
danno all’infuori di quello di dover attendere qualche anno ancora. I colleghi giovani
non si mostrino spietati verso gli anziani. Se Fedele potesse essere presente a questa seduta,
egli stesso inviterebbe la Facoltà a pronunciarsi in favore di Volpe. Il Prof. Gentile propone
che la votazione si faccia pubblicamente, per appello nominale, così che ognuno assuma
apertamente la responsabilità del proprio voto35.
Pronta e acerba era la replica di Pagliaro, che chiamava direttamente in causa il
presunto «camorrismo» accademico di Gentile e del suo gruppo di riferimento, che
persino Giovanni Papini avrebbe ricordato anche dopo l’assassinio del filosofo36, come
sfondo dell’intera vicenda. Sempre secondo il verbale di Facoltà, Pagliaro esprimeva
infatti un interessato rincrescimento per il fatto che:
34 Ernesto Sestan a Gioacchino Volpe, 8 giugno 1943. Questo e altri documenti, d’ora innanzi
indicati come CV, mi sono stati messi a disposizione dal compianto Vittorio Volpe.
35 Sul punto e per quel che segue, R. Università degli Studi di Roma. Facoltà di Lettere e Filosofia.
Adunanza del 12 giugno 1943, AUR
36 G. Papini, Scritti postumi. II. Pagine di diario e appunti, Milano, Mondadori, 1966, p. 189,
alla data del 16 aprile 1944, dove il giudizio era comunque sfumato dal riconoscimento della
generosità di fondo dimostrata, in molte occasioni, da Gentile.
477
il sen. Gentile abbia voluto portare la questione su un terreno personale e abbia sentito la
necessità di giustificarsi da voci e pettegolezzi, cui non è il caso di attribuire importanza.
Poiché è stata invocata la solidarietà dei giovani rispetto agli anziani, si potrebbe con altrettanta
ragione impostare la questione di una maggiore solidarietà degli anziani verso i giovani.
D’altra parte il problema può assumere in un altro senso, e ben più importante, un significato
personale. Noi abbiamo conosciuto Fedele, i suoi intendimenti, il suo metodo, le
sue aspirazioni: ora egli ha espresso, quasi in punto di morte, un desiderio chiaro ed esplicito,
che deve essere rispettato: esiste un dato certo; non è quindi il caso di ricorrere ad ipotesi.
Esiste senza dubbio una differenza di personalità fra Fedele e Morghen, ma per ciò che
riguarda l’interesse e il culto del documento, la disciplina filologica, la passione intesa a promuovere
l’attività degli studenti, Morghen dà affidamento di continuare perfettamente l’indirizzo
del suo maestro. Nessuno ha intenzione di chiudere la porta in faccia a Gioacchino
Volpe: un maestro come Volpe non batte a nessuna porta. Ma noi siamo di fronte a un altro
maestro e al suo espresso desiderio. Non si tratta tanto qui di scegliere fra Volpe e Morghen,
quanto piuttosto fra le aspirazioni di Volpe e la designazione esplicitamente da Fedele.
Votando per Morghen, non si vien meno pertanto al rispetto che tutti sentiamo di dover
ai nostri maestri; anzi s’intende restar fedeli e devoti alla volontà e all’insegnamento di un
maestro, di cui veneriamo la memoria. Quanto alla proposta di abbandonare la procedura,
sempre adottata fin qui, della votazione segreta, Pagliaro è d’opinione che essa, fatta in questo
momento, abbia un carattere lievemente offensivo per la Facoltà: è certo che ogni collega,
qualunque sia la procedura che si voglia adottare, voterà con piena coscienza. Ad ogni
modo, per una ragione di principio, sarebbe inopportuno modificare, soltanto in questa occasione,
il sistema seguito fino ad oggi.
Ai due interventi seguiva un’articolata discussione, che vedeva la Facoltà respingere
unanimemente «la nuova procedura di voto proposta da Gentile», in quanto irrituale e
tale da creare un precedente che poi avrebbe dovuto essere ripetuto anche per il futuro.
Anche Cardinali si dichiarava contrario «alla proposta di adottare una procedura pubblica,
la quale, iniziata oggi, avrebbe indubbiamente in sé qualcosa di spiacevole» e invitava,
piuttosto, i colleghi «a riflettere sulla delicatezza della situazione e li esortava a trovare
una via d’uscita, che possa soddisfare la dignità di tutti», aggiungendo che questa
poteva essere individuata nella «proposta avanzata nella seduta precedente da Carabellese,
da Guidi, da Giuliano di votare all’unanimità entrambi i nomi». L’offerta veniva recepita
da Gaspare Oliverio ma alla sola condizione che «si chiami il Morghen a succedere
al Fedele nella cattedra di storia medioevale e che contemporaneamente si istituisca
un’altra cattedra di alti studi storici, o come altrimenti la si voglia designare, per Volpe».
La soluzione di collocare il vecchio maestro su di un insegnamento sussidiario, nei confronti
di quello che Morghen avrebbe esercitato, veniva seccamente respinta da Ercole
che la definiva «inaccettabile», non essendo altra cosa che un semplice «espediente per
non affrontare in modo aperto il problema morale che ora s’impone alla Facoltà». Ma
quella soluzione veniva invece rilanciata dalla Presidenza, a condizione che «la Facoltà
esprimesse il voto di istituire due cattedre di Storia medioevale, delle quali una sarebbe
quella fattasi vacante per la morte del sen. Fedele, e l’altra risulterebbe dalla prossima vacanza
della cattedra di Storia e Geografia dell’Asia orientale, in seguito al collocamento
a riposo del Prof. Vacca». L’offerta sollevava una levata di scudi generale da parte di tutti
gli orientalisti della Facoltà (Guidi, Tucci, Vacca, Gentile, nella sua qualità di presidente
dell’Ismeo), ma incontrava anche il netto rifiuto di Ercole e Pettazzoni, che parlavano
ancora una volta di «espediente per girare la difficoltà di una dichiarazione netta», e infine
da Gentile che aveva buon gioco a dichiarare che «mancando l’unanimità delle adesioni,
non può in tal caso accettare la proposta avanzata dal Preside».
A questo punto, Cardinali dichiarava che «la discussione essendo ormai matura ed
essendo stata respinta ogni possibilità di soluzione conciliativa, non rimane che pro478
cedere alla votazione». Il verdetto dell’urna respingeva, a maggioranza, la richiesta di
Gentile di votare a scrutinio pubblico e, per quello che riguardava la successione della
cattedra di Fedele, forniva un risultato che, anche se di misura, privilegiava Morghen,
con 18 voti, contro i 17 attribuiti a Volpe. A questi si aggiungeva anche un voto
per Chabod. Con il che, al danno subito da Volpe e Gentile, si aggiungeva anche la
beffa, dato che quel voto, uscito sicuramente dal partito favorevole a Morghen, denunciava
platealmente le manovre per assicurare a Chabod il trasferimento nella Sapienza.
Si trattava, senz’altro, di un risultato clamoroso che dimostrava a quanta piccola
cosa si fosse ridotta l’egemonia dei due grandi intellettuali del regime nella vita universitaria
del paese. Tanto clamoroso da spingere Cardinali a non sancirlo formalmente e
di adottare la pilatesca formula del lavacro delle mani, in virtù della quale la Facoltà si
limitava a proporre «per la successione alla cattedra ora vacante di Storia medievale i
seguenti nomi (in ordine alfabetico) – Morghen Raffaello, Volpe Gioacchino – e a trasmettere
la sua proposta al Magnifico Rettore». Ma il tortuoso iter della successione a
Fedele non si arrestava qui. Assenti dalla seduta del 12 giugno, tre docenti, Biagio Pace,
Alfredo Schiaffini, e Giuliano, chiedevano, nella nuova adunanza del 22, in sede di
approvazione del verbale, di poter esprimere la propria preferenza. La richiesta, smaccatamente
extra legem, veniva pure accolta. Giuliano e Schiaffini si schieravano a favore
di Volpe, mentre Pace, Presidente del Centro Anticomintern, di cui era attivissimo
membro Pagliaro, orientava la sua scelta sul più giovane candidato. In questo modo,
la votazione precedente si modificava fino a raggiungere un risultato di parità assoluta,
avendo ottenuto ambedue i competitori 19 preferenze ciascuno37.
Se quell’equilibrio era per Morghen quasi una vittoria, essendo per di più le preferenze
aggiuntesi difficilmente computabili da un punto di vista legale38, per Volpe
rappresentava una sonora sconfitta. Alla fine e nonostante tutto, era dunque soltanto
Pagliaro a guadagnare la partita. Sotto il pretesto di attuare una difesa dei giovani docenti
contro lo strapotere degli anziani, l’insigne glottologo, strettamente coadiuvato
da Ghilsaberti, era riuscito a far passare come manifestazione di un conflitto generazionale
quello che in realtà era l’espressione di un cambiamento di fronte politico di
molti membri della Facoltà, che opponendosi a Volpe e a Gentile, pensavano, non errando,
di assicurarsi, a buon mercato, titoli di antifascismo in vista di una prossima futura
caduta del regime. Del mutato, e non tutto in meglio mutato, clima morale che
regnava ormai nel mondo degli studi, Volpe forniva una sconfortata e indispettita testimonianza,
il 23 giugno, nella lettera a Rodolico, in risposta all’invito, formulato da
questi, di trasferirsi a Firenze, abbandonando l’ammorbato clima della capitale.
Grazie, grazie assai del tuo spirito fraterno. Il piacere che mi avete procurato voi amici fiorentini
è cento, mille volte più grande del, non dirò dispiacere, ma fastidio, per la cosa in sé
più che per l’offesa fatta a me, datami dai 18 valentuomini della Facoltà di Roma. I quali
erano liberissimi di votare come volevano e di preferire che preferivano. Ma brutti i raggiri,
l’intrigo, l’ipocrisia, le motivazioni, i pretesti con cui hanno, molti di essi, accompagnato
o giustificato il loro voto e le loro preferenze. Al loro posto io avrei francamente detto:
Volpe è vecchio, Morghen è giovane; Volpe quel che poteva fare lo ha fatto, Morghen lo
farà ecc. ecc. Invece, discorsi rigirati e contraddittori. Una lettera che prima della seduta mi
37 R. Università degli Studi di Roma. Facoltà di Lettere e Filosofia. Adunanza del 22 giugno
1943, AUR.
38 Appunto sulla Facoltà di Lettere e Filosofia di Roma indirizzato al Ministro della Pubblica
Istruzione, Vincenzo Arangio-Ruiz – Cattedra di Storia Medioevale, in MPI-DGIU, Fascicolo R.
Morghen, dove correttamente si ipotizzava che «i voti dichiarati nella seduta successiva della
Facoltà, estranea alla deliberazione, non siano giuridicamente computabili».
479
scrisse Ghisalberti è un vero monumento. Caro, quel vecchio….! Del resto, tu lo conosci….
Quanto alla vostra offerta, per ora rispondo a te come a Morandi: ho bisogno prima
di vedere come si risolve il mio caso qui a Roma. Ho in facoltà degli amici che si battono
per me e farei troppo dispiacere a loro se li piantassi in asso ora. Poi vedremo: ma ti assicuro
che non scarto affatto l’idea di venir a chiudere a Firenze e il mio curriculum di professore
universitario. Passare ad altra Università, e poi un’Università come Firenze, sarebbe
come ricominciare, cioè ringiovanire. Ieri sono stato in Romagna a trovare Elisa ed essa si è
dimostrata arcicontenta. Naturalmente, anche essa, come me, vi è infinitamente grata. Ancor
più lo sarà, quando avrà letto le lettere tua e di Morandi e di Maturi e di Valsecchi39.
L’extrema ratio dell’abbandono della sede romana, dove Raffaele Ciasca aveva iniziato
le sue mosse per sostituirsi a Volpe nella Facoltà di Scienze Politiche, non era
ipotesi priva di consistenza e tornava anche nelle lettera a Walter Maturi del primo luglio40.
Eppure, il tempo dello spregiudicato trasformismo, di cui questa vicenda offriva
un clamoroso anticipo, non si era ancora del tutto consumato, all’interno della cittadella
della Sapienza. A favore dell’amico di sempre, interveniva Gentile che consegnava
a Mussolini, solo quattro giorni dopo aver pronunciato il fatale discorso del
Campidoglio, un promemoria riassuntivo dell’intera vicenda.
Il Prof. Gioacchino Volpe che insegna dalla prima istituzione della Facoltà di Scienze politiche
in questa Facoltà di Roma, dopo la morte di Pietro Fedele ha chiesto di succedergli
nell’insegnamento di Storia medievale nella Facoltà di Lettere. Di che i membri più autorevoli
di questa Facoltà si rallegrarono per l’alto prestigio che alla Cattedra avrebbe conferito
il nome del Volpe, che del Medio Evo è da quaranta anni lo studioso più insigne per
originalità, profondità di ricerche, nonché per importanza di idee fondamentali sulla struttura
economica e politica della società medievale. Ma una parte della Facoltà cedette alle
sollecitazioni di un candidato, Prof. Raffaello Morghen meno anziano, e scientificamente
per giudizio de’ suoi stessi fautori, imparagonabile al Volpe, e solo fornito di un titolo di
preferenza, che è in verità giuridicamente e moralmente privo di ogni serio fondamento: la
designazione dello stesso compianto Fedele in lettera privata a lui stesso diretta in un momento
di abbandono sentimentale e quanto il Fedele non sospettava la possibilità che a lui
potesse succedere il Volpe, che egli sinceramente stimava come maestro di tutti i viventi storici
italiani. La Facoltà che libera da ogni pressione estrinseca di carattere personale sarebbe
stata unanime pel Volpe, si è divisa; e metà dei voti (contando anche quelli che furono
manifestati con esplicite dichiarazioni alla lettura del verbale da parte di tre professori assenti
nella precedente seduta) fu pel Volpe e metà pel Morghen. Ma tutti furono concordi
nel rammarico che la Facoltà potesse chiudere la porta in faccia a un maestro del valore del
39 Gioacchino Volpe a Niccolò Rodolico, Roma, 23 giugno 1943, FV. Inutile aggiungere, che
il passaggio di Volpe era propiziato anche dal cognato Arrigo Serpieri, allora Rettore di quell’ateneo.
40 Gioacchino Volpe a Walter Maturi, Roma, 1° luglio 1943: «Grazie dal cuore della tua letterina.
Piace molto a noi anziani, vedere che non tutti i giovani sono dall’altro lato della barricata,
come parrebbe a sentir la giustificazione che taluni giovani o quasi giovani colleghi di Lettere
hanno dato della loro linea di condotta. Ma forse i giovani che così parlano e operano sono
quei tali giovani che, non avendo molte carte nel loro gioco, puntano su quella della gioventù.
Non so ancora quale sarà la mia sorte: e ciò mi richiama a quando avevo 20 o 25 anni.
Può essere anche che dica addio a Roma. Ma dipenderà da circostanze varie. Qui c’è già l’ottimo
Ciasca che raccoglierebbe volentieri il mio retaggio». La lettera è pubblicata, priva di ogni
riferimento tale da contestualizzarne il significato, in Gioacchino Volpe e Walter Maturi. Lettere
1926-1961, a cura di P. G. Zunino in «Annali della Fondazione Einaudi», 39 (2005), pp. 245
sgg., p. 311 in particolare. D’ora in poi, salvo diversa indicazione, la corrispondenza di Volpe
con Maturi si riferisce a questa pubblicazione.
480
Volpe; e i votanti pel Morghen pregavano perciò che la Facoltà si risolvesse a chiedere al
governo due cattedre perché se ne potesse destinare una al Volpe. Che sarebbe stato troppo
evidentemente partito ispirato a interessi personali anziché a quelli che debbono prevalere,
degli studi e dell’Università41.
Come risulta dalla carte della Segreteria particolare del Duce, la pressione di Gentile
non ebbe l’effetto sperato. Nell’udienza del 6 luglio, accordata a Biggini, il ministro
si limitava ad informare Mussolini della proposta di superare l’impasse con la creazione
di due cattedre di Storia medioevale, aggiungendo il suo personale dissenso per quella
soluzione, e faceva riferimento ad una sopraggiunta «lettera della figlia dell’Eccellenza
Fedele in favore del Prof. Morghen»42. In quella stessa data, prendeva posizione sulla
vicenda, il Senato accademico, che «esprimeva parere favorevole circa la chiamata di
uno dei due docenti proposti dalla Facoltà, dichiarando, peraltro che il Prof. Volpe
avrebbe dovuto essere preferito al Prof. Morghen». Analogo avviso manifestava il Rettore
Piero De Francisci, che, nel trasmettere quel responso al Ministero, in data 7 luglio,
aggiungeva, in calce, il suo «parere personale» secondo il quale «data la personalità del
collega Volpe, egli debba indubbiamente essere anteposto all’altro aspirante»43. Neanche
questa presa di posizione riusciva, però, a sbrogliare il groviglio, dato che Biggini
prendeva tempo e «si riservava di adottare una decisione dopo matura riflessione», meditando,
come parrebbe, la strampalata deliberazione di trasferire Volpe nella cattedra
di Fedele e di risarcire Morghen inviandolo a coprire l’insegnamento di Storia moderna,
a Scienze Politiche44. Si arrivava così alla notte del 25 luglio, che drammaticamente
Pintor commentava a Volpe, assente dalla capitale, in un messaggio commosso, nel quale
si parlava ancora degli irrisolti problemi di destinazione universitaria del destinatario
della corrispondenza, forse complicati dai recentissimi mutamenti ministeriali.
La tua lettera, giunta ieri, è del 25. Forse non ti erano ancora arrivate le notizie di Roma; ma
già nel tuo intimo sentivi l’avvicinarsi dell’uragano. Il tempio è crollato, in un momento; e nessuno
è sorto a difenderlo. Le sedi dei fasci devastate; gli emblemi scalpellati in tutti gli edifici
pubblici; il nome di Mussolini vilipeso. Anche chi era rimasto all’altra sponda resta attonito e
amareggiato, vedendo l’ingratitudine umana e pensando che anche il bene, di questi vent’anni,
possa andare travolto. Intanto “la guerra continua”; e i nemici da un momento all’altro possono
diventare due. È di oggi l’invito dell’ambasciata a tutte le famiglie tedesche di lasciare l’Italia.
In giorni come questi non ho neppure tentato di avvicinare il Ministro. Gli ho scritto,
però, informandolo dell’incresciosa vicenda; come di mia iniziativa e a difesa dell’azione di
Gentile, che è assente da Roma. Io credo che Severi non possa che nominar te. Ad ogni modo
bisognerebbe che la Facoltà di Firenze avesse un po’ di pazienza. A mio giudizio, quella non è
la soluzione migliore. Si voleva che tu tornassi alla Facoltà di Lettere. E poi: perché allontanarsi
da Roma dove ormai la tua famiglia ha la sua “sede naturale”45?
Subito dopo il cambio di regime, Gentile decideva di appartarsi ulteriormente dalla
scena politica, accettando «con disciplina e fiducia» il nuovo ordine di cose46. Pri-
41 Appunto sulla chiamata di Gioacchino Volpe nella cattedra di Storia moderna della Facoltà di
Lettere e Filosofia della R. Università degli Studi di Roma. Consegnato al Duce dal sen. Gentile, ricevuto
in udienza il 28 giugno 1943, in ACS, Segreteria Particolare del Duce, d’ora in poi SPD.
42 Ivi.
43 R. Università degli Studi di Roma. Senato Accademico. Adunanza del 6 luglio 1943, AUR.
44 Appunto sulla Facoltà di Lettere e Filosofia di Roma indirizzato al Ministro della Pubblica
Istruzione, Vincenzo Arangio-Ruiz - Cattedra di Storia Medioevale, cit.
45 Fortunato Pintor a Gioacchino Volpe, 30 luglio 1943, FV.
46 B. Gentile, Giovanni Gentile. Dal Discorso agli Italiani alla morte, 24 giugno 1943-15 apri481
ma di quel congedo dalla «vita attiva», il filosofo scriveva però a Leonardo Severi, nominato
Ministro dell’Educazione Nazionale del governo Badoglio, pregandolo di porre
mano ad alcuni problemi ancora irrisolti. Nelle lettere del 29 e del 30 luglio, si postulava
la riapertura dei termini di alcuni concorsi universitari, vista la situazione di
caos che gli eventi bellici avevano determinato, e si chiedeva di affrettare la «nomina
del prof. Delio Cantimori, attuale ordinario di Storia della Scuola Normale a Vicedirettore
», da attuarsi con procedura d’urgenza «senza aspettare la proposta della Facoltà
», motivata dalle «condizioni di salute del prof. Vladimiro Arangio Ruiz, incapace
più di reggere alle fatiche della vicedirezione»47. Nella corrispondenza del 31 luglio,
si tornava a parlare di questo caso e si aggiungeva anche la raccomandazione di
facilitare il passaggio di Volpe ad altra Facoltà, in ottemperanza a quanto stabilito dal
Senato Accademico. In merito a quest’ultimo punto si aggiungeva:
Saprete certamente la questione sorta per la successione di Pietro Fedele. La Facoltà purtroppo
si è divisa tra i nomi di Gioacchino Volpe e Raffaello Morghen. Ma il Senato Accademico
e il Rettore si sono pronunciati pel Volpe. Biggini voleva salvare capra e cavoli trasferendo
alla Storia Medioevale nella Facoltà di Lettere il Volpe, e mandando al suo posto
il Morghen, che la Facoltà invece non vuole, preferendo, e, credo, a ragione il prof. Raffaele
Ciasca di Genova. Vedete di chiudere presto questa questione. Vi accludo copia di una
lettera scritta al Biggini dal De Stefani preside della Facoltà di Scienze politiche48.
Con rara scorrettezza, Severi, sicuramente per sbarazzarsi dell’ingombrante presenza
di Gentile, di cui era stato Capo gabinetto nel ministero della Pubblica istruzione49,
divulgava sulla stampa la sua rovente riposta al filosofo, che si concludeva affermando
che «i giovani, la scienza, la verità sono stati traditi a tal punto da lei che un
ministro dell’Educazione Nazionale d’un governo che ripristina le libertà non può più
averla fra i suoi consiglieri»50. Si scatenava così un duro attacco giornalistico contro
Gentile, coordinato da Bergamini, che il 6 agosto si diffondeva sulle colonne del
«Giornale d’Italia», in una durissima requisitoria che riguardava non soltanto il crimine
di essere stato autore di comportamenti indegni che «davano apparenza fallace
di libertà alla servitù, di dignità nazionale alla faziosità partigiana, di alta pedagogia
all’uso brutale del manganello», ma che contemplava anche i suoi maneggi nella vita
universitaria51. Il linciaggio doveva piacere a non pochi, come a Gentile rivelava Umberto
Bosco, annotando che, a fronte dell’«indignazione della “strada”» per quell’assalto
maramaldesco, «molti gongolano e più le sono stati vicini e più gongolano». Il
recente terremoto politico aveva dato via ad un repentino ribaltamento del fronte intellettuale,
amaramente valutabile in termine di coerenza e di moralità, dal momento
che «Luigi Russo, facendo la storia della Casa Laterza, trova modo di nominare tutti,
le 1944. Ristampa anastatica dell’edizione, Firenze, Sansoni, 1954, con una Prefazione di M. Pera,
Roma, Senato della Repubblica, 2004, p. 19.
47 L. Canfora, La sentenza. Concetto Marchesi e Giovanni Gentile, Palermo, Sellerio, 1985,
pp. 54-55.
48 Ivi, p. 55.
49 Questo almeno risultava dalla lettera di Omodeo a Luigi Russo del 15 agosto 1943 in A.
Omodeo, Lettere, 1910-1946, Torino, Einaudi, 1963, p. 707, dove si riportava l’avviso di Severi,
secondo il quale la pubblicazione della lettera era stata necessaria. In caso contrario: «Gentile
lo avrebbe fatto passare per un suo fantoccio e gli avrebbe reso impossibile governare».
50 La lettera datata 4 agosto 1943 è riprodotta in B. Gentile, Giovanni Gentile. Dal Discorso
agli Italiani alla morte, cit., p. 21.
51 Ivi, pp. 22-23.
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anche Salvemini, ma non Gentile; e Gabrieli, tracciando la biografia di Calogero, ricorda
i maestri di questo, Rossi e De Lollis, ma Gentile, no». Non era dunque morta,
ma anzi viveva di robusta vita e prendeva nuovo vigore, «quella prudente dissimulazione,
che mantiene, dopo il 25 luglio, uno dei caratteri più tristi della cultura del tempo
fascista e contro la quale sappiamo bene quanto lei abbia combattuto!»52.
Ma all’attacco a Gentile facevano eco anche numerose manifestazioni di solidarietà
che andavano da Pintor, a Chiavacci, a Vladimiro Arangio Ruiz, a Bottai, che parlava
di «sconcia lettera» di Severi, al pure timido ed esitante Cantimori53, allo studioso
ebreo Ugo Guido Mondolfo, non dimentico della protezione che il filosofo aveva
riservato a lui e a molti altri, dopo il 1938. Questi, il 9 agosto, scriveva di essere stato
«sempre anch’io tra coloro cui è vivamente spiaciuto che tu ponessi la tua cultura e la
tua dottrina filosofica a sorreggere una prassi di governo che per tanti anni ha avvilito
l’Italia». Per aggiungere però che, ora, «mentre alla parola del Severi fanno eco forse
anche taluni che fino ad ieri stettero quieti sotto la ferula della dittatura, io non posso
e non voglio dimenticare che dall’autorità che dal tuo atteggiamento ti venne, in seno
al partito dominante, tu hai cercato di valerti anche per risparmiare o attenuare il
danno che esso cercò sempre di infliggere ai non consenzienti»54. Anche Volpe scriveva
al compagno degli anni giovanili una lunga lettera dal forte significato politico in
cui si irrideva alle facili conversioni al credo democratico, al ritorno dei revenants del
liberalismo e alla loro nuova inquisizione, e dove esprimeva tutto il suo disprezzo per
la trasformazione del regime, appena caduto, nel regime personale di un uomo che
aveva profondamente deluso le aspettative di quanti in lui avevano creduto, ma dove
sostanzialmente nessuna distanza era presa dal fascismo in quanto tale, di cui lo storico
auspicava almeno la salvaguardia dei valori più autenticamente nazionali, nel rispetto
dei precedenti impegni internazionali, una volta che questo fosse stato in grado
di liberarsi dalle mende che ne avevano snaturato la primitiva fisionomia.
Ho letto solo ora – prima me ne avevano da più parti parlato – la lettera famosa. È un documento
ignobile, per quel che riguarda te. Quanto poi al fiero sdegno contro la tirannia,
avrebbe avuto il diritto di scrivere così solo chi avesse sofferto dieci anni di carcere o di confino,
non chi ha seguitato tranquillamente a mangiar pane e vestir panni, cioè esercitare e,
certo, sollecitare uffici, tirare stipendi, accettare onorificenze, ecc. Non aver paura: assisteremo
alla vigliaccheria liberale dopo aver assistito a quella fascista, alla falsa unanimità liberale
dopo che a quella fascista. Dopo le vecchie parole nuove parole. Accidempoli, che
esami sta facendo il popolo italiano, in questi giorni! Materie militari e materie politiche e
morali. E che monumentali bocciature sta prendendo! La responsabilità è di tutti: ma purtroppo
è vero: in testa a tutti vengono quel complesso di uomini, di modi di governo, di abiti
mentali che chiamiamo fascismo, il fascismo degenerato e corrotto degli ultimi anni, che
non era niente o era solo un uomo, un avariatissimo uomo. Perciò da gran tempo io auspicavo
che quest’uomo si togliesse di mezzo: avremmo avuto un principio di riparamento del-
52 Umberto Bosco a Giovanni Gentile, 8 agosto, 1943, AFG.
53 Si veda rispettivamente: Fortunato Pintor a Giovanni Gentile, 10 agosto 1943, in Giovanni
Gentile e il Senato, Carteggio (1895-1944), Soveria Mannelli, Rubettino, 2004, pp. 520-521;
Giuseppe Bottai a Giovanni Gentile, 10 agosto 1943, AFG; Gaetano Chiavacci a Giovanni
Gentile, 8 agosto 1943 in Gentile-Chiavacci, Carteggio, 1914-1944, a cura di P. Simoncelli, Firenze,
Le Lettere, 1996, pp. 380-381; Vladimiro Arangio Ruiz a Giovanni Gentile, 9 agosto
1943, AFG; Delio Cantimori a Giovanni Gentile, Roma, 12 agosto 1943, ivi. Sul punto, P. Simoncelli,
Gentile, Cantimori e la Normale di Pisa, Milano, Franco Angeli, 1994, pp. 152 sgg.; F.
Perfetti, Assassinio di un filosofo. Anatomia di un omicidio politico, Firenze, Le Lettere, 2004,
pp. 25 sgg.
54 Ugo Guido Mondolfo a Giovanni Gentile, 9 agosto 1943, AFG.
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la situazione italiana, della malattia dell’Italia. E quando lessi del 26 luglio, fui contento. Mi
aspettavo una evoluzione, sia pure rapida, una “normalizzazione”, che permettesse innovare
e, infine, raccogliere nel nuovo il meglio delle eredità del fascismo e mantenere così la
continuità della vita italiana. Avrebbe contentato (meglio dei fascisti) e disarmato le più ragionevoli
opposizioni. Invece… Ma forse quel passaggio graduale era, nelle presenti condizioni,
impossibile. Le vicende della guerra avevano esasperato gli italiani. Lo sbarco di Sicilia,
la inesplicabile caduta di Augusta avevano riempito la misura fino all’orlo. Ora, sarà
ingiusto (in parte!) ma anche umano che un regime si misuri da una guerra vinta o perduta.
Specialmente un regime come il nostro. Sommo onore ma anche somma responsabilità.
Apoteosi e crucifige. Ora che il bubbone Mussolini (dico questo con senso di pietà, ma ormai
era diventata l’unica parola da usare) è tagliato, speriamo un po’ meglio all’interno: almeno
per quel tanto che basta per liquidare nel modo meno disastroso la guerra. Aspettiamo
i miracoli della libertà. Vediamo all’opera quella nuova e gagliarda generazione che si
chiama Bergamini, Giovannini, De Ruggiero ecc. Gli uomini fanno un po’ ridere: rimane
tuttavia indiscutibile, nell’animo di tutti, l’esigenza liberale. Ci si lasci un po’ respirare! Ci
si levi di torno quel nugolo di spioni che ammorbava l’aria! Ci si lasci con la nostra testa
senza darci sempre l’imbeccata! Si faccia saltare con la dinamite quell’imbonitore scellerato
e stupido di crani che è stato finora il Ministero della Coltura popolare. Si rimetta la nazione
italiana nella possibilità di rifarsi un’anima buona o cattiva. Abbasso la “massa” nuova
divinità; viva l’Italia! Sto qui al mare con Elisa e Benvenuto: e ogni tanto qualche altro
figliolo. Per una settimana, è stato qui Vittorio, convalescente di febbre malarica presa a
Ferrara. Stamane è partito Nanni, per il servizio militare. Arrigo forse tornerà, per far domanda
in sede, da Lione. Io lavoro per terminare il 2° volume di una Italia Moderna, 1815-
1915. Il 1° volume, licenziato per la stampa fin dal maggio, con una prefazione che, allora,
poteva apparire un piccolo atto di coraggio, è ancora alla rilegatoria, ritardato da tutti gli
eventi ultimi. E molto io mi cruccio di questo ritardo! Spero bene te e tutti voi, di corpo e
di animo. Toccherà forse a noi aiutar gli Italiani nuovissimi a separare “quel che è vivo e
quel che è morto” del fascismo55.
Eugenio Di Rienzo
55 Gioacchino Volpe a Giovanni Gentile, Viserba (Rimini), 16 agosto 1943, AFG. La lettera
è parzialmente riprodotta in G. Sasso, Giovanni Gentile e Gioacchino Volpe dinnanzi al crollo
del fascismo, in Idem, Filosofia e idealismo. IV. Paralipomeni, Napoli, Bibliopolis, 2000, pp.
531 sgg., in particolare pp. 555-556.
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