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1848 tedesco e Risorgimento italiano. Qualche doverosa rettifica
di Anna Maria Voci
1848 TEDESCO E RISORGIMENTO ITALIANO.
QUALCHE DOVEROSA RETTIFICA
443
basi di una controrivoluzione nelle
campagne come era accaduto due anni
prima nella Galizia.
Un’occhiata al testo originale di
Günther è sufficiente ad accorgersi
che questa traduzione non collima con
esso. Ivi si trova infatti scritto altro:
A Milano non si verificò tuttavia subito
ciò che ci si sarebbe aspettato a
seguito degli avvenimenti di Parigi; si
ebbe piuttosto l’impressione che l’aristocrazia
italiana, dalla quale soprattutto
era fomentato il movimento
(e infatti le condizioni di vita materiale
del popolo erano molto buone),
spaventata dal carattere del moto parigino
e dagli elementi socialisti giunti
lì al potere, avesse temuto per sé, da
una insurrezione, ripercussioni analoghe
a quelle subìte due anni prima
dalla nobiltà polacca in Galizia: una
controrivoluzione dei contadini contro
i loro signori, favorita, se non addirittura
suscitata dalla burocrazia
austriaca3.
Poche righe dopo: secondo la traduzione
di Paolino
in attesa dell’auspicato intervento di
Carlo Alberto i nobili lombardi temevano
che le libertà promesse potessero
rendere felici le masse popolari,
ma al contempo potessero vieppiù intimorire
le autorità austriache, con il
risultato di provocare un inasprimento
del loro controllo e quindi di allontanare
il successo della rivoluzione
e la prospettiva dell’unificazione nazionale4.
Il testo tedesco citato a pie’ di pagina
ha però un tenore diverso: «Forse
proprio i Nobili [in italiano nel testo:
N.d.T.] potevano temere che le
libertà promesse avrebbero accontentato
la maggioranza della popolazione,
e dunque avrebbero rafforzato
di nuovo il dominio austriaco, facendo
pertanto allontanare il momento
in cui si sarebbe realizzata la tanto desiderata
unificazione dell’Italia»4.
Ancora, poco più avanti, Paolino
cita un passo, con qualche taglio, dalla
lettera di Droysen ad Arendt traducendolo
così:
Le vicende rivoluzionarie del 1848
non avevano insegnato all’Austria che
doveva permettere alla Germania di
rafforzarsi; dopo il Congresso di
Vienna l’Austria aveva spostato il
proprio campo di interessi dai territori
della Germania occidentale verso
l’Italia e ciò aveva consentito alla
Prussia di poter aumentare la propria
influenza in Germania.
Nel passo di Droysen, nella forma
mutila citata da Paolino, si trova, invece,
scritto questo:
Dal periodo di guerre seguito alla Rivoluzione
francese l’Austria non trasse
l’insegnamento che, proprio nell’interesse
della propria difesa, avrebbe
dovuto permettere alla Germania
di rafforzarsi […]. La pace portò ad
un risultato importante: l’Austria
[…] ritenne di trarre un vantaggio
[…] ritirandosi dai territori della
Germania occidentale, e spostando il
suo centro di gravitazione verso l’Italia5.
Le guerre che Droysen chiama
«Revolutionskriege» non sono le «vicende
rivoluzionarie del 1848» come
ha tradotto Paolino, ma sono le guerre
del periodo della Rivoluzione francese
e il loro seguito in età napoleonica,
al termine delle quali si colloca
la riorganizzazione portata in Europa,
anche nell’Europa centrale, dal
Congresso di Vienna.
444
Oltre a queste discutibili traduzioni
appare pure carente l’impostazione
data alla parte centrale dell’articolo
di Paolino, che è poi quella sulla
quale si basa soprattutto il «giudizio
politico» finale dato dall’autore al suo
saggio. In questa parte centrale, intitolata
Le discussioni nella Paulskirche,
si ricordano particolari noti, già ricordati,
ad esempio, nel 1959 da Theodor
Schieder, e cioè 1) le opinioni
espresse da alcuni deputati all’Assemblea
Costituente di Francoforte,
durante la prima seduta in cui si parlò
dell’Italia, quella del 20 giugno 1848,
circa possibili attacchi da parte dell’esercito
sardo a Trieste, o ad altri porti
o territori tedeschi o a qualsiasi città
facente parte della Confederazione
tedesca (Deutscher Bund), nel qual
caso ciò avrebbe dovuto considerarsi
alla stregua di una dichiarazione di
guerra all’intera Germania6: messa,
però, in questi termini la questione (e
così fa Paolino), sembrerebbe quasi
che tutti i territori italiani dominati
dall’Austria, possibili obiettivi di attacco
dell’esercito sardo, fossero parte
integrante del Bund, cosa che non
è vera, come si vedrà; 2) l’intervento
di Joseph Maria von Radowitz, consigliere
del re prussiano Federico Guglielmo
IV, alla seconda seduta, del 12
agosto 1848, dedicata alla questione
italiana, nel quale si chiarì «cosa significava
la tutela degli interessi tedeschi
in Italia»7, e si esposero le ragioni
per le quali parte dell’Italia settentrionale
doveva rimanere sotto il dominio
austriaco. A parte la garanzia
per il commercio tedesco che transitava
per il porto di Trieste, la cui integrità
sarebbe stata meglio garantita se
anche Venezia fosse rimasta in mani
austriache, il motivo principale era di
natura difensiva, militare e strategica:
il Veneto doveva restare all’Austria fino
alla linea di confine del Mincio per
garantire così una sicurezza di difesa
del confine meridionale del Bund, il
cui Stato-guida era allora ancora, è il
caso di ricordarlo, l’Austria; il Bund
doveva inoltre fare ogni sforzo per
mantenere un rapporto di alleanza
protettiva su una futura, costituenda
confederazione di Stati italiani, onde
evitare che essa cadesse sotto l’influenza
francese. Il «giudizio politico
» che Paolino trae da questi dati è
pertanto obbligato ed è già stato formulato
dalla storiografia tedesca, come
anche, naturalmente, da quella
italiana: «Le discussioni sviluppatesi
nella Paulskirche dimostrano che la
maggioranza dei suoi componenti era
attestata su posizioni nazionaliste,
pantedesche e orientate alla politica
di potenza»8. Nessuna solidarietà,
quindi, dei liberali tedeschi verso le
aspirazioni del movimento liberale
italiano, ma considerazione esclusiva
degli interessi nazionali tedeschi. Ma
non è questo il solito «cliché dell’ostilità
dei liberali tedeschi nei confronti
del movimento per l’unificazione nazionale
italiana», criticato all’inizio
del suo saggio dall’autore, e che egli
asseriva di voler riesaminare?
A mio giudizio il punto nodale di
tutta la questione non sono tanto i
contenuti delle varie dichiarazioni
più o meno anti-italiane dei deputati
all’Assemblea Costituente della
Pauls-kirche, quanto piuttosto l’assetto
costituzionale del Deutscher Bund,
e la questione della definizione di ciò
che doveva considerarsi “tedesco”.
Questi sono i due fattori basilari, già
posti in evidenza nel 1959 da Theodor
Schieder, alla luce dei quali leggere
e interpretare poi i vari interventi
all’Assemblea.
445
I moti popolari scoppiati contemporaneamente,
nel marzo 1848, sia in
Italia che in Germania, sembrarono
in un primo momento accomunare i
due popoli contro il nemico comune,
l’Austria. Ma subito si delineò un
ostacolo di natura costituzionale, destinato
ad impedire la solidarietà tra
loro: questo ostacolo si manterrà intatto
fino a che la monarchia austriaca
rimarrà unita alla Germania nell’area
mitteleuropea. E infatti, se è vero
che la parte principale dei territori
posseduti dall’Austria in Italia, il cosiddetto
Lombardo-Veneto, era formalmente
al di fuori del Deutscher
Bund, la situazione del Trentino, di
Trieste e di parti dell’Istria era diversa:
il primo di questi territori era stato
per secoli parte integrante del Sacro
Romano Impero di nazione germanica;
gli altri due avevano fatto
parte del complesso dei dominii veneziani
(l’Istria gradualmente a partire
dal secolo XIII; il Friuli dal secolo
XV, ma la sua parte orientale, la contea
di Gorizia e Gradisca, passò all’Impero
all’inizio del secolo XVI),
dopo essere stati per secoli divisi tra
il dominio di signori ecclesiastici e di
signori laici, per lo più germanici. Come
è noto, nel 1797 passarono all’Austria.
Dal 1815 tutti questi territori
(Trentino, Trieste, parti dell’Istria)
erano comunque parte integrante
del Deutscher Bund, anche se,
ad esempio, a Trieste si parlava prevalentemente
italiano, o dialetto friulano.
Pertanto l’insurrezione italiana
a Milano e Venezia e le sue conseguenze
erano inevitabilmente destinate
a scontrarsi non solo con gli interessi
austriaci, ma anche con l’opinione
della stragrande maggioranza
della opinione pubblica tedesca, che
considerava il mantenimento della
posizione austriaca, almeno in una
parte dell’Italia settentrionale, alla
stregua di una componente essenziale
della sicurezza tedesca e della sua
indipendenza statale, e temeva l’insorgere
di pretese “italiane” a territori
del Bund.
A ciò si aggiungeva la questione,
anch’essa fondamentale, della definizione
da dare al termine “nazionalità
tedesca”. Chi poteva essere definito
“tedesco”? La maggioranza dell’Assemblea
Costituente scelse una definizione
per la quale era da considerarsi
“tedesco” ogni individuo che vivesse
su territorio tedesco e condividesse
il concetto della Germania come
di un’entità politica e statuale.
Ciò significava l’accoglimento dell’idea
europea occidentale dello Statonazione,
che considerava appunto la
nazione come la comunità politica
dei cittadini, senza tenere conto delle
differenze etniche. Si tratta, è forse il
caso di notarlo, di un concetto molto
vicino a quello espresso da Ernest Renan
dopo l’annessione tedesca dell’Alsazia-
Lorena nel 1871, per il quale
la nazionalità, il sentimento nazionale
è un plebiscito di tutti i giorni.
Questa idea della nazionalità era in
realtà estranea alla tradizione tedesca,
improntata invece all’altra, di
ascendenza herderiana, della nazione
come di una comunità linguistica e
culturale, al di là di tutti i confini statali,
che poi fu la concezione fatta valere,
sempre dalla Germania, per le
annessioni del 1871.
I deputati che parteciparono ai
due dibattiti sull’Italia del 20 giugno e
12 agosto 1848, mentre erano unanimi
nell’affermare la necessità di sostenere
l’Austria nella difesa del territorio
propriamente del Bund (Trento,
Trieste, parte dell’Istria), si trovarono,
446
appunto per la non appartenenza del
Lombardo-Veneto al Bund, e per
quella definizione da loro data al concetto
di nazionalità, in un forte dilemma:
era giustificato che il movimento
nazionale tedesco sostenesse l’Austria
nel suo intento di mantenere anche il
Lombardo-Veneto, che, formalmente,
non apparteneva al Bund?
E qui si raggiunse, ovvero fu proposto
un compromesso: la Lombardia
poteva essere ceduta e annessa al
Regno di Sardegna, non però il Veneto
fino al confine del Mincio per le
considerazioni militari-strategiche
sopra esposte. All’Assemblea di Francoforte
questa sembrò una soluzione
accettabile, che teneva conto sia dell’interesse
nazionale tedesco, sia, pur
se solo in parte, delle aspirazioni italiane
ad un loro Stato nazionale, i cui
contorni, però, allora, nel 1848, ed è
proprio il caso di ricordarlo, erano
tutti ancora da definire. A Francoforte
questo era considerato il massimo
che si poteva concedere, e c’è da chiedersi:
quale altra nazione-Stato
avrebbe ragionato diversamente? A
mio giudizio occorre tenere conto di
tutti questi dati ed elementi prima di
formulare un giudizio di “pangermanesimo”.
Anna Maria Voci
1 M. Paolino, I liberali tedeschi e il
1848: alcune considerazioni in merito alla
loro «ostilità» per il Risorgimento italiano,
in «Clio», 42 (2006), pp. 373-387: qui
p. 373.
2 Mi limito a rinviare al saggio fondamentale
di Th. Schieder, Das Italienbild
der deutschen Einheitsbewegung, in Studien
zur deutschen-italienischen Geistesgeschichte,
Köln-Graz, Böhlau, 1959, pp.
141-162; rist. in Idem, Begegnungen mit
der Geschichte, Göttingen, Vandenhoeck
& Ruprecht, 1962, pp. 210-235: qui pp.
217-221, nonché al lavoro, anch’esso
molto importante, di W. Altgeld, Das politische
Italienbild der Deutschen zwischen
Aufklärung und europäischer Revolution
von 1848, Tübingen, Niemeyer,
1984, entrambi non citati, però, da Paolino.
3 M. Paolino, I liberali tedeschi, cit., p.
375 e nota 8.
4 Ivi, p. 375 e nota 10.
5 Ivi, p. 377 e nota 18.
6 Ivi, pp. 379-381.
7 Ivi, p. 382.
8 Ivi, p. 384.
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