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Come cambia l'interpretazione delle politiche economiche dopo la nomina di Draghi alla guida della Banca Centrale
di Massimo Lo Cicero
Come cambia l’interpretazione delle politiche economiche
dopo la nomina di Draghi alla guida della Banca Centrale
Non si capisce, fino in fondo, la portata delle Considerazioni Finali, che
Mario Draghi ha letto il 31 maggio di quest’anno, per commentare la dinamica
economica, italiana ed internazionale, durante il 2006 e le conseguenze future
di quella dinamica se non si prendono in considerazione almeno altri
quattro interventi dello stesso Draghi: le Considerazioni Finali che pronunciò,
il 31 di maggio del 2006, subito dopo essere diventato Governatore nel pieno
della crisi aperta dalla traumatica uscita di Antonio Fazio dal medesimo incarico;
il discorso tenuto a Cagliari, il 4 di marzo del 2006, al Convegno annuale
del Forex; il discorso che, poco meno di un anno dopo, egli tiene, sempre
al Convegno annuale Forex, ma a Torino, il 3 di febbraio del 2007 ed un intervento
presentato nella prima sessione del convegno dedicato all’analisi delle
politiche monetarie in condizioni di incertezza, tenutosi preso la Banca Centrale
dell’Argentina, a Buenos Aires, il 4 di giugno del 20071.
Abbiamo riportato questi interventi in un ordine che non è cronologico
perché essi possono, e devono, essere letti come una sorta di analisi unitaria e
coerente delle conseguenze che le modificazioni subite dai mercati finanziari
internazionali, grazie alla introduzione degli strumenti derivati ed alla loro crescente
integrazione, generano sulla economia reale, incrementandone il tasso
potenziale di espansione, e sulla economia finanziaria, trasformando radicalmente
sia le regole che gli impatti della politica monetaria e modificando l’allocazione
e la distribuzione del rischio ad una scala mondiale2.
1 Gli interventi di Mario Draghi richiamati nel testo si possono scaricare tutti dal
sito web della Banca d’Italia, at http://www.bancaditalia.it. Si tratta, in ordine cronologico,
dei seguenti testi: M. Draghi, Integrazione dei mercati finanziari, intermediazione
del risparmio, Cagliari, 4 marzo 2006; M. Draghi, Considerazioni Finali, in Relazione
Annuale della Banca d’Italia, Roma, 31 maggio 2006; M. Draghi, Crescita e stabilità
nell’economia e nei mercati finanziari, Torino, 3 febbraio 2006; M. Draghi, Considerazioni
Finali in Relazione Annuale della Banca d’Italia, Roma, 31 maggio 2007; M.
Draghi, Monetary Policy and New Financial Instruments, Buenos Aires, 4 giugno 2007.
2 Robert Merton, insieme con Myron Sholes, ha ricevuto il premio Nobel per gli
studi sulla teoria dei derivati finanziari e la possibilità di calcolarne il prezzo. Fisher
Black, un loro collega, allievo come i primi due di Paul Samuelson, era morto alla da425
La combinazione inedita di fattori oggettivi, la rivoluzione tecnologica della
information and communication technology, e comportamentali, gli atteggiamenti
che si diffondono nel sistema degli intermediari dopo la introduzione
dei derivati come strumento sistemico per la gestione del rischio in condizioni
di incertezza, apre una stagione – questa è in estrema sintesi la tesi di
Draghi – nella quale il mondo può riprendere la sua crescita in condizioni di
ta della consegna del premio ma il suo nome è associato alla teoria dei derivati mentre
Merton e Sholes riconoscono, nella loro lezione Nobel, il debito intellettuale verso
di Lui. Il manuale di Finanza di Bodie e Merton oggi è un testo largamente diffuso
nelle Università degli Stati Uniti e nel mondo. Questi due autori hanno deciso di
affrontare, nel Ventunesimo secolo, una ulteriore sfida molto affascinante. Riportare
ad un paradigma intellettuale unitario i tre principali approcci allo studio della finanza.
Integrare in un unico orizzonte analitico gli studi di coloro che vedono nelle
istituzioni la radice del funzionamento dei mercati finanziari (la new institutional economics)
e di coloro che ritengono decisiva l’analisi delle reazioni emotive degli individui
ai segnali raccolti dall’ambiente esterno (la behavioral economics). Ed integrare
ulteriormente questi risultati nel modello di equilibrio economico generale: che offre
gli strumenti logici per individuare i prezzi dei titoli che garantiscano condizioni di
ottima allocazione delle risorse. Il modello di equilibrio economico generale, sostengono
Bodie e Merton, presuppone tre condizioni: la piena informazione disponibile
per gli individui che danno vita al mercato; l’assenza di costi di transazione nella realizzazione
degli scambi; una procedura mentale razionale che metta gli individui in
grado di calcolare i massimi risultati, dati i vincoli, oppure di trovare il costo minimo
dei vincoli dato il risultato. Quando le tre condizioni sono verificate si realizza un pieno
regime di concorrenza. Tanto è vero che la distanza che intercorre tra i mercati
reali ed il verificarsi delle tre condizioni può essere utilizzata come un indice di mancata
competizione e, di conseguenza, come una misura dell’inefficienza dei risultati
conseguiti dall’economia. Bodie e Merton sostengono, tuttavia, che in presenza di costi
di transazione positivi l’insieme delle relazioni sociali genera, in aggiunta all’esistenza
dei mercati, ulteriori “istituzioni” – intermediari e prodotti finanziari, cioè
contratti – che amplificano il dominio operativo offerto dall’ordinamento giuridico e
permettono al mercato di convergere verso valori di scambio ancora più vicini ai prezzi
descritti dal modello di equilibrio economico generale; perché il costo di produzione
di quei contratti, ed il costo di gestione degli intermediari, risultano inferiori ai
costi generati dalla mancata disponibilità di informazione e dalle forme di opportunismo
individuale, che quella asimmetria informativa genera tra le parti contraenti. Il
caso Enron, o la crisi degli Hedge Fund negli Stati Uniti, hanno rappresentato uno
straordinario laboratorio scientifico per una nuova disciplina unitaria – la Functional
and Structural Finance (FSF) – che rappresenta uno strumento logico per descrivere
unitariamente sia le funzioni che la struttura dei mercati. Nei testi di Mario Draghi,
che abbiamo indicato al lettore come un insieme unitario di considerazioni ed analisi
sullo stato della economia mondiale e dei mercati finanziari, si legge chiaramente
la presenza di questi nuovi paradigmi intellettuali. Si vedano, in proposito, R. Merton
and Z. Bodie, The Design of Financial System: Towards a Synthesis of function and
Structure, Harvard Business School, Working Paper no. 02 - 074, May 8, 2002 e la
versione definitiva del medesimo articolo:. Idem, Design Of Financial Systems:
Towards A Synthesisof Function And Structure, Journal of Investment Management,
Vol. 3, No. 1, (2005), pp. 1-23.
426
maggiore stabilità, grazie alla nuova frontiera delle politiche monetarie, mentre
l’attenzione delle autorità monetarie deve concentrarsi, in forme nuove e
con comportamenti di sorveglianza e monitoraggio assai diversi, verso la stabilità
e l’efficienza degli intermediari finanziari, essendo questa la frontiera
difficile da gestire e non più, come era accaduto per molti anni, la stabilità dei
prezzi, tradizionalmente garantita dalla politica monetaria3.
Si capiscono ancor meglio la portata, e l’impatto sulla situazione italiana,
di questi cambiamenti se si parte dal discorso tenuto a Torino, al Forex, il 3
febbraio 2007.
Rispetto al contesto domestico del nostro paese, il dato più rilevante di quel
discorso sta nella circostanza che esso propone un approccio radicalmente liberale
alla politica economica italiana. Una radicalità e un taglio liberale che
non sono stati adeguatamente rilevati nei commenti di stampa. Commenti che
sono stati, invece, piuttosto avari anche in occasione delle ultime Considerazioni
Finali: molte dichiarazioni rilasciate e rinvenibili nelle cronache della
giornata del 31 maggio ma una limitata produzione di interpretazioni e ragionamenti
sulle basi concettuali delle analisi di Mario Draghi. La spiegazione di
questa distanza, che appare sulla scena del confronto politico, tra i contenuti
proposti da Draghi e la sensibilità della cultura nazionale, non è facile. Il destino
della politica economica segue quello della politica tout court, evidentemente,
e la politica italiana sembra risucchiata nel vortice generato dal bipolarismo,
che riduce oggettivamente lo spazio per confrontare strategie diverse
e focalizza, piuttosto, la propria attenzione in due direzioni alternative: quali
possano o debbano essere gli interpreti possibili di uno spartito banalmente
liberista, e molto meno liberale di quanto non venga rivendicato dallo stesso
centrodestra; come schierare le proprie forze in uno scontro che è sempre
puntuale, cioè riferito a singoli dossiers – che possono riguardare la compravendita
di grandi imprese o la fusione di grandi banche – e che degrada in lotte
di potere e campagne di stampa, le quali, paradossalmente, finiscono per
aggredire entrambi i lati del maldestro bipolarismo nazionale.
È ormai abbastanza chiaro che questa metodologia risulta inadeguata alla
comprensione, prima ancora che alla soluzione, dei problemi che il paese dovrebbe
superare. Vale la pena, dunque, proporre una interpretazione che si sottragga
alla modalità ricorrente ed esponga una tesi dichiaratamente eterodossa.
Il pensiero di Mario Draghi rappresenta una novità concettuale e si fonda su
analisi, più profonde, e diverse, da quelle offerte dagli speakers del Governo e
da quelli dell’opposizione; esso rappresenta, di conseguenza, una sorta di elaborazione
alternativa che potrebbe offrire anche una via di uscita in presenza di
un collasso simmetrico delle opzioni prospettate dal centrodestra e dal centrosinistra,
sia nel confronto parlamentare che nella relazione che entrambi intrattengono
con gli interessi sociali costituiti e con la intera platea nazionale.
3 Sull’analisi delle trasformazioni, indotte dalla rivoluzione della ICT e dal processo
di globalizzazione dell’economia, sia consentito rinviare a M. Lo Cicero, Politica &
Economia. I nodi della crescita italiana. Nostalgie e rimpianti della stagnazione e del declino,
in «L’Acropoli», 8 (2007), pp. 257 sgg.
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La natura eterodossa del pensiero di Mario Draghi si legge in almeno quattro
temi affrontati nel corpo del suo intervento di Torino: il rifiuto di formulare
un giudizio solo congiunturale sul futuro dell’economia reale in Italia; la
citazione di una rottura clamorosa, tra sinistra radicale e sinistra riformista, come
una sorta di benchmark meritevole di replica – lo scontro promosso e vinto
da Craxi sulla scala mobile – del quale si auspica una replica sul tema della
contraddizione tra struttura demografica, assetti del mercato del lavoro ed
equità ed efficienza del sistema previdenziale; la diagnosi di una pressione fiscale
troppo alta perché è troppo alta, ed inefficace, la spesa pubblica, che
conduce alla terapia di utilizzare il surplus di entrate per ridurre il debito, nel
breve periodo, come ha già fatto il Belgio, e di privatizzare radicalmente il sistema
previdenziale nel medio periodo, collegandosi al tema precedente; l’auspicio
che la vigilanza sugli intermediari finanziari – cioè la vera missione prevalente
della Banca d’Italia, dopo la nascita della BCE – sappia «ascoltare i
suggerimenti del settore privato per migliorare e rendere più efficace la regolamentazione
» ma sia, al tempo stesso, «inflessibile nell’opera tesa a garantire
competenza, correttezza e solidità degli operatori».
Il minimo comune denominatore di questi quattro enunciati è una chiara
opzione verso un vero e proprio radicalismo liberale.
La concorrenza deve nascere dalla concentrazione delle imprese o delle
banche. E la loro concentrazione è necessaria per adeguarne la dimensione a
quelle del mercato in cui debbono operare. Ma questa concentrazione deve risolversi,
attraverso la competizione che ne segue, in un beneficio economico
trasferito ai consumatori dei servizi bancari e dei prodotti industriali. Altrimenti
deve intervenire un’autorità terza, che non sia un pedagogo illuminato
o un supplente del mercato, ma solo e semplicemente, un catalizzatore dei
processi necessari per ribaltare «situazioni in cui i singoli operatori percepiscono
la necessità di una loro azione correttiva ma hanno difficoltà a intraprenderla
autonomamente perché nessuno di essi, temendo di esporsi a svantaggi
competitivi, ha incentivo a compiere il primo passo».
Ridurre il costo della gestione dei conti correnti; allargare la concentrazione
bancaria anche alle seconde file, dopo le grandi fusioni; usare con giudizio
i modelli dualistici di amministrazione, vigilando sul rischio che essi ripropongano
i vizi renani che dividono il DNA delle nostre banche da quello delle banche
americane: questi diventano i primi messaggi della “nuova” vigilanza.
Mario Draghi aggiunge anche che la politica monetaria realizza ormai tassi
reali aspri solo quanto basta per difendere la stabilità e che i derivati aiutano
la gestione dinamica del rischio. Ne deriva l’esistenza di liquidità disponibile
per finanziare una fascia crescente di investimenti e dare solide basi alla
crescita. Ma questa trasformazione dei mercati finanziari, e della cultura tecnica
che li alimenta, produce anche una più elevata probabilità che la, troppo
facile, convivenza con il rischio riduca la capacità degli stessi operatori di dare
al rischio stesso un prezzo adeguato o dia agli operatori medesimi la sensazione
che quel rischio è scomparso, evaporato, mentre, al contrario, esso si è
solo distribuito nel sistema. È diventato una sorta di fiume carsico che può
riapparire in occasione del collasso di un intermediario o di un gruppo eco428
nomico border line sulla frontiera della stabilità interna. Queste eruzioni di rischio
diventano, insieme, un collasso monetario ed una crisi aziendale che può
avare effetti epidemici sull’intero sistema. Da questo insieme di condizioni nasce
una diversa e rinnovata attenzione alla stabilità degli intermediari e la sua
connessione, di ultima istanza, con l’esigenza di garantire, comunque, un adeguato
grado di liquidità al sistema finanziario nel suo complesso, non solo al
sottoinsieme degli intermediari creditizi.
Mario Draghi, insomma, vorrebbe una nuova linea di confine tra intermediari
creditizi ed intermediari non bancari, ma anche una espansione degli intermediari
non bancari ed una riduzione degli spazi gestiti direttamente dallo
Stato nella trasformazione del risparmio disponibile in nuovi investimenti. Se
questo dovesse accadere anche in Italia, come sta accadendo nel resto del
mondo, sarebbe necessaria una riqualificazione profonda dei metodi e degli
strumenti di vigilanza. Ed allora sarebbe anche possibile utilizzare al meglio i
mercati finanziari come supporto della crescita reale dell’economia mondiale4.
Per i medesimi motivi egli si augura una liberalizzazione del mercato del
lavoro ed una privatizzazione del regime della previdenza pubblica.
Perché queste trasformazioni potrebbero offrire all’Italia una opzione di
espansione di lungo periodo, fondata sull’incremento della produttività del lavoro,
ma anche della produttività totale di sistema, che nel nostro paese è rimasta
bassa per oltre un decennio – la parabola della seconda repubblica – e
rappresenta la vera zavorra che oggi ci impedisce di cogliere l’abbrivio congiunturale
che ci viene offerto dalla ripresa dell’economia europea negli ultimi
due anni. Il fatto è che, dopo la nascita dell’euro, non basta svalutare per
ritrovare capacità di competere e non basta neanche lo zefiro congiunturale
che, dalla domanda di investimenti, trainata dalle esportazioni di quel paese,
si estende dalla Germania fino alle nostre imprese. Si tratta, come ora do-
4 Negli ultimi dieci anni gran parte del mondo in via di sviluppo, che nel corso della
propria storia era stato debitore, è diventato creditore. Questo mutamento, reso
possibile dall’apertura degli scambi internazionali, è stato accompagnato da uno
straordinario sviluppo dell’innovazione finanziaria. La caduta delle barriere ha anche
permesso investimenti in attività non liquide che hanno raggiunto dimensioni senza
precedenti; la leva finanziaria è utilizzata oggi come mai nel passato. Si ha la sensazione
che queste trasformazioni possano avere talvolta distorto le valutazioni espresse
dai mercati: il livello eccezionalmente basso dei premi al rischio non riflette che in
parte il merito di credito; anche i tassi reali a lungo termine permangono estremamente
contenuti, sia in confronto alle medie di lungo periodo, sia rispetto alla posizione
delle economie nel ciclo. La liquidità resta abbondante, sebbene da tempo le
politiche monetarie dei principali paesi siano divenute meno accomodanti. L’economia
mondiale continua a crescere a ritmi sostenuti. Non è realistico aspettarsi che le
condizioni ordinate oggi prevalenti sui mercati possano durare per sempre. È per questo
motivo che da più parti si auspica una maggiore collaborazione internazionale, non
soltanto per avviare un graduale superamento degli squilibri globali, ma soprattutto
per irrobustire l’infrastruttura finanziaria mondiale. Non sappiamo da dove verrà la
prossima crisi; dobbiamo far di tutto per essere preparati». M. Draghi intervento tenuto
al Forex di Torino (3 febbraio 2007).
429
vrebbe essere più chiaro, di uno scenario inedito, ed abbastanza affascinante,
che non è omogeneo ai programmi del centrosinistra e che appare, nel medesimo
tempo, assolutamente distante anche dalle opzioni, e dal modo di ragionare,
del centrodestra.
Si tratta di un approccio di mercato consapevole dei limiti del mercato stesso,
ma che si rifiuta di affrontarli con aspirazioni vaghe, che evoca una collocazione
internazionale capace di ripensare i valori positivi dell’alleanza tra Europa
e Stati Uniti, rafforzando, e non indebolendo, il ponte tra le due sponde
dell’atlantico. Temi di frontiera sui quali, come dicevamo prima, la politica italiana,
oggi e nel suo complesso, sembra preda, invece, di una pericolosa afasia.
Le Considerazioni Finali del maggio 2007 sono molto legate, nell’impianto
e nei contenuti, a quelle presentate nell’anno precedente. Anche se il formato
editoriale, così come tutta la linea di comunicazione, anche nel sito web della
banca, si presentano radicalmente innovate.
Mario Draghi si conferma essere un radicale dell’approccio liberale alla politica
economica, per la base della sua cultura e per la consapevolezza dei valori
della democrazia e del mercato. E si proclama, di conseguenza, un attore
“neutrale, non distaccato”. Un regolatore consapevole del fatto che, se ti senti
osservato, agisci meglio ed aggiunge «ho già dato atto dei progressi del sistema
bancario […] abbiamo indicato l’obiettivo, non il protagonista del percorso
[…] da questo è nata la trasformazione, non dai programmi dell’Autorità».
Draghi offre sia il suo giudizio sullo stato delle cose nei mercati nazionali
ed internazionali, che un resoconto sullo stato dell’arte nella istituzione che ha
l’onere di governare. Monitoraggio di quello che accade; rendiconto di quello
che aveva la responsabilità di fare. Cresce il commercio internazionale, si
integra il mercato mondiale, appaiono nuovi protagonisti sulla scena. Anche
se diminuisce il tasso di crescita negli Stati Uniti rimane sostenuta la velocità
dell’economia mondiale.
C’è la tecnologia dell’informazione e delle telecomunicazioni dietro questo
cambiamento, ma c’è anche la rivoluzione dei mercati finanziari, come abbiamo
detto, nelle premesse di questo testo. Merton, Sholes e Fisher – lo ha detto
Paul Samuelson – sono i nuovi Newton: hanno reso la finanza una scienza
autonoma dall’economia. E la loro scoperta, i derivati finanziari, è la tecnologia
per gestire il rischio, tenendo conto, anche, dell’esistenza dell’incertezza,
sia per la limitata capacità degli attori di processare tempestivamente le informazioni
disponibili, che per la impossibilità di prevedere il comportamento
degli altri attori o di sconfiggere, come diceva Keynes, di annientare le forze
oscure del tempo e dell’ignoranza. La ICT ci permette di ridurre i costi di produzione
per la gestione ed il trasferimento delle informazioni, affinando, per
questa strada, la nostra capacità di gestire il rischio in termini di probabilità
attesa. I derivati in circolazione hanno oggi un valore nozionale pari a dieci
volte il prodotto mondiale. Sono lo strumento per agire convivendo con un
clima generalizzato di incertezza. Essi trasformano la volatilità in un’opportunità
e diffondono il rischio nel sistema, ripartendolo anche grazie allo sviluppo
delle cartolarizzazioni, ma non lo possono assorbire e metabolizzare. L’esistenza
dell’incertezza, combinata con l’azione degli individui in regime di
430
informazione incompleta, produce in ogni caso rischio. I derivati, sul terreno
macroeconomico, svolgono anche una diversa funzione: assorbono una parte
della domanda di moneta. La nuova finanza cambia anche l’ambiente della politica
macroeconomica e, nonostante crescano i tassi di interesse, rimane abbondante
la liquidità. «La politica monetaria (in Europa) è rimasta favorevole
alla crescita», mentre gli intermediari finanziari diventano la molla della crescita,
perché aumenta la loro produttività nella gestione del rischio di credito5.
Ma il rischio non scompare anche se diventa più facile da metabolizzare
alla scala del mercato mondiale.
5 Draghi aveva già anticipato questo giudizio sui mercati finanziari, considerati alla
stregua di un bene pubblico da utilizzare nell’interesse dell’intera popolazione mondiale,
nel suo discorso al Forex di Cagliari, nel marzo del 2006. «Mercati efficienti e
ben regolati, oltre a compiere nel modo migliore la propria funzione di allocazione delle
risorse finanziarie in tempi normali, contribuiscono in modo decisivo ad assicurare
la robustezza del sistema di fronte a shock improbabili ma violenti. Politiche volte ad
accelerare l’integrazione dei mercati finanziari europei e delle relative infrastrutture
concorrono alla crescita ordinata e duratura dell’economia. L’integrazione dei mercati
consente agli operatori di sfruttare economie di scala, riducendo i costi di accesso; amplia
le possibilità di diversificazione degli investimenti; assicura una più efficiente allocazione
delle risorse; aumenta la capacità di assorbimento degli shock; contribuisce alla
stabilità del sistema. In Europa l’integrazione dei mercati ha ricevuto impulso dalla
moneta unica ed è stata favorita dalla politica monetaria orientata alla stabilità. Non basta
ancora. Sono necessari ulteriori interventi sul piano dell’armonizzazione normativa
e dell’adeguamento delle infrastrutture. I progressi maggiori sono quelli conseguiti nel
segmento del mercato monetario, grazie tra l’altro allo sviluppo del sistema di regolamento
TARGET. Nel novembre 2007 questo verrà sostituito da TARGET 2, da cui si
attendono ulteriori benefici per gli operatori nella gestione della liquidità. La Banca
d’Italia, come è noto, svolge e intende continuare a svolgere un ruolo chiave in questo
progetto, insieme con la Bundesbank e la Banque de France. Per i titoli di Stato piattaforme
comuni come l’MTS hanno progressivamente esteso la loro operatività, contribuendo
alla liquidità e all’efficienza del mercato europeo. Il settore azionario è ancora
frammentato. Vi sono evidenti vantaggi, tipici di un’economia di rete, nella concentrazione
degli scambi; la forza di attrazione che una borsa esercita su emittenti e intermediari
cresce quanto più si afferma la sua superiorità, attuale o prospettica, nel numero
dei partecipanti. D’altra parte, soprattutto per i titoli delle imprese meno grandi,
i vantaggi informativi dei mercati nazionali assicurano condizioni di liquidità più favorevoli.
Forme di consolidamento orizzontale fra borse nazionali, riunite in strutture federative,
conseguirebbero entrambi questi vantaggi. Piena possibilità e parità di accesso
ai sistemi di regolamento, nonché collegamenti multipli fra i vari mercati, promuovono
in pari tempo concorrenza ed efficienza operativa. La Borsa italiana deve raccogliere
la sfida e adattarsi al nuovo contesto. La facilità di accesso delle nostre imprese
e dei nostri intermediari ai mercati e alle infrastrutture europei deve essere l’obiettivo
più importante. Occorre avviare una riflessione comune sul modo migliore per raggiungerlo
». Su questa inadeguatezza della Borsa italiana rispetto ai necessari processi
di integrazione europea Draghi ritorna anche nelle Considerazioni Finali lette il 31 maggio
del 2007: «La presenza in Italia del private equity si sta ampliando, sebbene il volume
delle operazioni resti molto inferiore a quello degli altri principali paesi europei.
Tra il 2003 e il 2006 il numero delle società di gestione italiane è salito da 26 a 49; i mez431
zi finanziari per i fondi da 3 a 6 miliardi. Cresce soprattutto la presenza degli operatori
non appartenenti a gruppi bancari o assicurativi, che nel 2006 hanno superato la metà
del totale dei mezzi investiti. Gli intermediari specializzati nel capitale di rischio possono
agevolare la crescita delle piccole e medie imprese, contribuire al rafforzamento
della struttura manageriale, favorire l’accesso ai mercati di borsa, accompagnare il ricambio
generazionale. La proprietà familiare è un asse portante del nostro capitalismo;
l’identificazione dell’imprenditore con l’impresa è un motore di sviluppo. Proprio per
questo sono essenziali gli strumenti che ne agevolano il ricambio, se necessario. Quando
la proprietà familiare perde il gusto del rischio creativo, quando la ricchezza investita
nell’azienda comincia a essere vista solo come fonte di rendite o di benefici privati
del controllo, l’immobilismo proprietario può diventare un freno alla crescita dell’impresa,
la avvia al declino. È allora che maggiore diviene per l’impresa il bisogno di
questi intermediari; massimo il guadagno potenziale che tutti realizzerebbero con un
cambio della guardia; massima, a volte, anche la resistenza dei proprietari. Vi è uno
stretto legame tra la diffusione degli intermediari specializzati e lo sviluppo della borsa.
Oltre un terzo delle aziende italiane che si sono quotate tra il 1995 e il 2006 è stato
assistito da operatori di private equity, ampliando un accesso al mercato borsistico che
in Italia è finora rimasto per lo più limitato alle imprese di grandi dimensioni, ed è molto
al di sotto, per capitalizzazione, rispetto agli altri paesi industriali. In un contesto internazionale
in rapida evoluzione, restano non definite le strategie che la Borsa Italiana
intende intraprendere: un chiarimento degli azionisti è necessario. La concentrazione
tra società di gestione dei mercati internazionali è in corso; l’integrazione delle
infrastrutture tecniche sta subendo una forte accelerazione. È un processo che offre
grandi prospettive di sviluppo a chi vi si inserisce, ma apre interrogativi sul destino a
lungo termine di chi ne resta ai margini».
Non esistendo pasti gratis, questo rischio ritorna, può ritornare, come un
colpo di coda in presenza di default puntuali che si convertono, se e quando
accadano, in altrettanti infarti nella liquidità del sistema finanziario internazionale.
Sia sul terreno dell’inflazione, che su quello della stabilità, non bastano
più le forme tradizionali della vigilanza sui singoli intermediari. Oggi le Autorità
Monetarie sono consapevoli dell’effetto virtuoso della competizione
crescente nei mercati. Anzi «l’indipendenza delle banche centrali e la chiarezza
dei loro obiettivi» hanno prodotto una straordinaria stabilità ed un clima
generalizzato di sostenuti e sostenibili investimenti. Questo è il mondo
contemporaneo, ma l’Italia non gli somiglia. Bassa la produttività, limitata e
concentrata, in gruppi limitati di imprese virtuose, la capacità di competere.
Fiacca la domanda interna, forte e necessaria la domanda tedesca, che si tira
dietro le nostre esportazioni. Sostenuti gli investimenti delle poche imprese
che, temprate dalla stabilità dell’euro, e nonostante il suo apprezzamento, sanno
vendere all’estero. Migliore la performance di quelle imprese che, varcando,
grazie al supporto di intermediari finanziari lungimiranti, il valico del trapasso
generazionale, si sono adeguate al nuovo clima. Belle storie che sono
troppo poche, mentre sono troppi i limiti della struttura economica e del suo
contesto pubblico nel nostro paese.
In Italia, inoltre, le esternalità, come l’istruzione e la giustizia, che dovrebbero
essere positive sono negative. Le utilities, come l’energia, costano troppo.
Le tasse ed il debito pubblico sono troppo alte. Patologie che deprimono
432
le opportunità di sviluppo, perché assorbono risparmio e riducono i consumi
interni. L’origine di questa pressione fiscale eccessiva sta nell’eccesso di spesa
pubblica.
Le banche sono cresciute e si sono adeguate alla nuova dimensione del
mercato finanziario mondiale. Ma, ora che hanno guadagnato con le economie
di scala conseguite, «i tempi perché le sinergie che sono all’origine del
consolidamento si traducano in maggior valore per gli azionisti e maggiore efficienza
al servizio dei clienti si sono drammaticamente ristretti». Non esiste
difesa per una banca che non generi valore e che non ne generi per i suoi clienti:
imprese e famiglie. «Occorre, perciò che il mercato, superate le fasi più
complesse dei processi di aggregazione, veda rapidamente i frutti del consolidamento
in atto».
Le banche italiane sono ancora fragili perché hanno realizzato il contenimento
dei propri costi mentre «la qualità degli attivi resta più bassa rispetto a
quella delle altre maggiori banche europee». Eppure «la concentrazione dell’offerta
non si deve tradurre in un indebolimento della concorrenza; i clienti
dovranno trarre pieno beneficio dalle economie di scala». E la vigilanza deve
«rendere il sistema meno macchinoso, ridurre gli oneri per le banche e garantire
parità di condizioni concorrenziali».
Mario Draghi, insomma, non segue il modello renano, non crede che esista
un’istituzione “illuminata” che possa disporre cosa fare e che soccorra, se
del caso, chi non ha avuto fortuna nella realizzazione del compito assegnatogli.
Gerarchia e Welfare erano e sono la base materiale della cultura renana. Il
riformismo americano, invece, è darwiniano, nel senso migliore del termine.
Vinceranno gli intermediari finanziari che sapranno gestire meglio del settore
pubblico il risparmio che i lavoratori riservano al futuro. Quelli che separeranno
le banche dalla gestione assicurativa e dall’amministrazione dei patrimoni.
Quelli che entreranno nel mercato dei pagamenti a distanza, non essendo
una banca. Ma vinceranno anche quelle organizzazioni pubbliche che
capiranno come «anche le politiche redistributive andrebbero valutate confrontando
i risultati con i costi»6.
6 «L’agenda delle riforme strutturali è ancora ricca; vi tornerò in altra sede – scriveva
Draghi nel suo discorso al convegno del Forex di Torino del febbraio 2007, a
conferma della sostanziale unità del discorso sulla politica economica che ha tenuto
aperto sin dalla data del suo insediamento – Qui basti notare che esse sono più agevoli
quando la congiuntura è positiva: l’occasione va colta appieno. La ripresa crea
condizioni favorevoli anche per proseguire nel risanamento della finanza pubblica.
Questa ha beneficiato nel 2006 di una dinamica delle entrate superiore alle attese, determinata
in parte dal buon andamento dell’economia. Si deve resistere alla tentazione
di spendere con leggerezza l’inatteso aumento del gettito fiscale. Il debito pubblico,
frutto cumulato di scelte improvvide compiute in passato, anche in anni lontani,
resta molto ampio: è il maggiore in Europa in rapporto al prodotto interno lordo. I
bassi tassi di interesse che hanno prevalso dall’introduzione dell’euro hanno attenuato
la percezione dell’onere che esso rappresenta per noi e per le generazioni future.
La sua dimensione rende molto costoso per i conti pubblici ogni incremento nei rendimenti
dei titoli di Stato; ostacola l’investimento e la riqualificazione della spesa pub433
Il darwinismo americano non è bassa propaganda liberista, è il sostegno del
cambiamento e dell’innovazione e proprio per questo è riformismo. Tanto più
utile in un paese dove ognuno cerca, e trova qualcosa, nel grande calderone
della spesa pubblica. E non vuole rinunciarci. Tanto le cose che trova saranno
e sono pagate con le tasse e con il debito. Ma la politica vuole fare lo chef del
calderone o il guardiano dei guardiani, il regolatore dei regolatori? «Un sistema
finanziario moderno non tollera commistioni tra politica e banche». La separazione
sia netta, conclude Draghi, e si capisce che la politica, solo se comprendesse
davvero il valore del darwinismo americano, potrebbe tornare ad
essere un fattore di stimolo e di guida nel necessario risanamento della nostra
economia e nel rilancio di lungo periodo della sua crescita futura.
Massimo Lo Cicero
blica; riduce i margini di manovra della politica di bilancio. Un abbattimento del debito
nel prossimo decennio, periodo ancora relativamente favorevole sotto il profilo
demografico, consentirebbe di affrontare in modo più graduale i costi dell’invecchiamento
e di ripartirli in modo più equo. Il debito pubblico può essere ridotto significativamente
in tempi brevi. Si deve puntare a un bilancio strutturalmente in pareggio.
Alla fine degli anni Novanta il rapporto fra il debito e il prodotto interno lordo era
uguale in Italia e in Belgio, al 114 per cento. In Belgio il sostanziale pareggio del bilancio
e una crescita maggiore di quella italiana di circa sei punti nel periodo considerato
hanno permesso di ricondurre il rapporto fra debito e PIL al di sotto del 90
per cento nel 2006. In Italia è oggi al 107 per cento. Quest’anno l’incidenza della spesa
per interessi sul PIL risulterà in Belgio inferiore a quella italiana di circa un punto
percentuale. Una riduzione stabile del rapporto fra debito e prodotto interno lordo
richiede due condizioni: crescita e riduzione della spesa».
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