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Separatismo o giurisdizionalismo liberale? Francesco Ruffini di fronte alla legge francese di separazione (1905)
di Andrea Frangioni
1. Con la legge del 9 dicembre 1905 veniva stabilita in Francia la separazione tra Stato e Chiesa. La legge superava il sistema stabilito con il concordato del 1801 e, dopo aver affermato, all’articolo 1, che «la Repubblica assicura la libertà di coscienza» e «garantisce il libero esercizio dei culti con le sole restrizioni stabilite nell’interesse dell’ordine pubblico», prescriveva, all’articolo 2, che «la Repubblica non riconosce nessun salario, né sovvenziona alcun culto». Venivano quindi soppresse le norme che prevedevano la corresponsione di stipendi ai ministri dei tre culti riconosciuti come pubblici (il cattolico, l’evangelico e l’israelitico) e gli enti ecclesiastici perdevano il riconoscimento della personalità giuridica. In base all’articolo 4, inoltre, i beni già appartenenti agli enti ecclesiastici soppressi dovevano essere attribuiti ad associazioni di fedeli di diritto privato (le cosiddette associations cultuelles)1.
Il dibattito che si era svolto in Francia non aveva suscitato molto interesse in Italia: solo da parte radicale (ad esempio da parte di Ettore Sacchi) si era proposto il modello francese per i rapporti Stato-Chiesa anche in Italia. Sul versante opposto il «Giornale d’Italia», vicino alle posizioni di Sonnino, aveva seguito con preoccupazione l’evoluzione della situazione in Francia. Un intervento di rilievo sulla questione fu poi quello di Luigi Luzzatti nella prolusione che tenne nell’autunno 1905 all’Università di Roma (poi pubblicata su «Nuova Antologia» nel dicembre 1905): l’uomo politico veneto esprimeva dubbi sugli orientamenti separatisti francesi, in cui individuava l’ombra del fanatismo giacobino. Più in generale, Luzzatti non poteva condividere un atteggiamento troppo apertamente anticattolico in quanto individuava nel cristianesimo il «tramite per la comunicazione di validi principi etici, contribuendo fra l’altro ad innalzare un baluardo per la difesa della compagine civile dalle paventate sovversioni dei movimenti anarchici e socialisti»2. In queste posizioni si rifletteva un atteggiamento diffuso nella classe dirigente liberale che, infatti, pur attenta a rivendicare i diritti dello Stato contro ogni ingerenza ecclesiastica, rifiutò in genere l’“estremismo” della soluzione francese, anche in considerazione del ruolo di collante della società e di strumento per l’educazione e l’elevazione morale delle masse che la religione poteva rappresentare3.
Francesco Ruffini affrontò la questione della separazione tra lo Stato e la Chiesa in Francia in tre articoli apparsi su «La Stampa» il 12 gennaio, il 14 febbraio ed il 21 marzo 1905. Mancavano quindi ancora alcuni mesi all’approvazione definitiva della legge ed erano all’esame del Parlamento d’Oltralpe tre progetti: quello Briand del 6 luglio 1904 (redatto per conto della Commissione presieduta da Ferdinand Buisson); quello presentato dal presidente del Consiglio Emile Combes il 28 novembre 1904 e quello presentato il 14 febbraio 1905 dal ministro dell’istruzione e dei culti del nuovo governo presieduto da Maurice Rouvier, Jean Baptiste Bienvenu-Martin. Nel momento in cui scriveva, Ruffini era docente di storia del diritto italiano all’Università di Torino, ma soprattutto era uno dei fondatori degli studi di diritto ecclesiastico del nostro Paese. L’attività di Ruffini (che allora aveva 42 anni) era stata fino a quel momento sospesa tra le due discipline. Laureatosi, con Cesare Nani a Torino, in storia del diritto italiano con una tesi sull’Actio spolii medievale, Ruffini aveva quindi soggiornato a Friburgo in Germania, dove era stato allievo di Emil Friedberg, uno dei redattori delle “leggi d’aprile” durante il Kulturkampf bismarckiano. Alla sua scuola era avvenuto il suo incontro con il diritto ecclesiastico contemporaneo. Negli stessi anni anche Francesco Scaduto, con la prolusione del 1884 all’Università di Palermo, stava introducendo in Italia gli studi di diritto ecclesiastico: in quella prolusione veniva fissata nettamente la distinzione tra il diritto canonico e «le leggi del potere civile in materia ecclesiastica». Il diritto ecclesiastico doveva occuparsi di quest’ultimo ambito ed essere svincolato da tutte le materie affini come «la teologia, la storia, la politica, la storia del diritto» (come argomentava un allievo di Scaduto, Domenico Schiappoli)4. Diverso l’approccio di Ruffini: per lo studioso piemontese diritto canonico e diritto ecclesiastico dovevano essere affrontati, per fondere insieme, nella descrizione dei vari istituti, il diritto che proveniva dalla Chiesa e quello che proveniva dallo Stato. Inoltre, Ruffini adottò sempre nella sua analisi un metodo storico: la ricostruzione storica risultava per lui indispensabile ai fini dell’analisi dei diversi istituti giuridici. In questo senso il giurista piemontese rimase estraneo alla rivoluzione promossa nello studio del diritto pubblico, tra il 1889 e il 1891, da Vittorio Emanuele Orlando, che, come è noto, intendeva fondare uno statuto autonomo del diritto pubblico, liberandolo dalle influenze della storia e della sociologia5. La posizione di Ruffini poteva semmai risultare più vicina a quella della torinese «Biblioteca di scienze politiche» diretta da Attilio Brunialti6. Pur non disponendo di elementi per indicare un legame diretto tra i due, non può sfuggire come per entrambi gli istituti giuridici erano manifestazioni della vita ideale e civile dei popoli: storia delle istituzioni e storia politica erano elementi insomma inscindibili dalla riflessione giuridica.


2. La situazione francese del 1905 fornì a Ruffini l’occasione per affrontare in concreto alcuni temi su cui già si era soffermato nella sua produzione precedente: le differenze tra separatismo e giurisdizionalismo; la definizione di libertà religiosa; il rapporto tra separatismo, giurisdizionalismo e libertà religiosa. Con riferimento al primo aspetto, già una delle sue prime pubblicazioni, una delle appendici all’edizione italiana del Trattato di diritto ecclesiastico di Emil Friedberg del 18937, conteneva una valutazione critica del sistema separatista. In particolare, Ruffini sottolineava l’astrattezza del principio cavouriano di “Libera Chiesa in Libero Stato”, rilevando che la sua integrale applicazione, comportando che «lo Stato non avrebbe più dovuto conoscere ecclesiastici e chiese, ma soltanto cittadini e libertà di coscienza», avrebbe avuto «conseguenze disastrose», di fronte alle quali si erano arrestati anche molti sostenitori, in linea astratta, di quel principio. Ruffini giudicava preferibile il sistema italiano postunitario, che risultava ispirato ad un
giurisdizionalismo rimodernato, in quanto si uniformò al modo affatto diverso di esercitare la sua azione in ogni campo, che è tra un antico Stato assoluto e un moderno Stato costituzionale, più rispettoso di ogni libertà in genere e di quelle di coscienza in ispecie: giurisdizionalismo separatista, in quanto limita scrupolosamente la sua ingerenza agli interessi ed alle necessità pubbliche; giurisdizionalismo non confessionista, in quanto si astiene dal pronunciarsi nelle materie prettamente religiose e non impone più in nessun modo la fede: ma giurisdizionalismo pur sempre8.

Si tratta di un approccio, come si vede, se non meramente giuridico, sicuramente limitato, per il momento, alla storia degli istituti giuridici9; neppure un decennio dopo, tuttavia, con l’opera del 1901, Libertà religiosa. Storia di un’idea la prospettiva di Ruffini si ampliava notevolmente, coinvolgendo la storia delle idee e delle riflessioni politiche e religiose, oltre che giuridiche. L’opera aprì un nuovo, interessante, terreno di studi: quello del contributo dei riformatori italiani, ed in particolare, dei sociniani allo sviluppo del concetto di libertà religiosa. Ma è un altro l’aspetto che qui più ci interessa. Ruffini compì, in apertura del volume, un’interessante distinzione tra libertà religiosa ed atteggiamento di libero pensiero: il libero pensiero mira all’affrancazione dello spirito umano da ogni preconcetto dogmatico, da “ogni pastoia confessionistica”: i sostenitori del libero pensiero
non hanno punto come intento supremo quello di propugnare e di conseguire una libertà eguale per chi non crede come per chi crede, ma mirano innanzitutto a scalzare le basi delle credenze tradizionali ed imposte. Il principio che il pensiero debba essere lasciato libero e le opinioni siano incoercibili è per essi non già il fine ultimo, ma unicamente il mezzo indispensabile per poter proseguire a manifestare e far trionfare le loro speculazioni antireligiose.

Su questa scia viene rivolta una critica alla rivoluzione francese ed al pensiero di Rousseau:
Non s’è vista […] difatti la rivoluzione francese dare al mondo questo spettacolo sommamente significativo della miscredenza diventata a sua volta intollerante e persecutrice? […] E Giangiacomo Rousseau, dopo aver delineati i dogmi della sua religione civile non si peritava poi di assegnare allo Stato l’obbligo di imporli a tutti anche con la violenza10?



3. Come si è detto, vi sono già in nuce gli argomenti che saranno trattati negli articoli del 1905. Tra l’opera del 1901 e quegli articoli vi è però il saggio apparso sulla «Rivista d’Italia» nel 1902, La lotta contro le congregazioni religiose in Francia11 sulla legge sulle associazioni in Francia del 1901. Tale legge, tra le altre cose, sottoponeva le congregazioni religiose che volessero ottenere il riconoscimento della personalità giuridica ad un complesso procedimento autorizzativo, escludendo al tempo stesso per le congregazioni prive di tale riconoscimento, a differenza di quanto avveniva in Italia, la possibilità di costituirsi in associazioni non riconosciute. Inoltre, ai membri delle congregazioni non riconosciute veniva preclusa la possibilità di insegnare e veniva messa in discussione la stessa esistenza delle scuole private religiose. Su questi aspetti, ritenuti eccessivamente lesivi della libertà religiosa, si concentrava la critica di Ruffini. Ma, più in generale, egli attribuiva le tensioni francesi ad uno scontro tra “due Francie”, quella cattolica, conservatrice, ostile all’eredità della Rivoluzione, e quella figlia della Rivoluzione, laica ed illuminista, scontro negli anni immediatamente precedenti rinfocolato dall’affaire Dreyfus12. Rispetto all’«altenarsi che mai non ha posa di reazione clericale e di controreazione»13, Ruffini lodava il giurisdizionalismo liberale italiano. Ancora critico risultava invece il giudizio sul separatismo: primi sostenitori della separazione tra Stato-Chiesa in Francia erano stati alcuni cattolici (e tra questi Lamennais, Lacordaire e Montalembert; il giurista non si soffermava particolarmente, in questa fase, sul passaggio di Lamennais dall’ultramontanismo al cattolicesimo liberale) che intendevano sottrarsi al controllo statale, soprattutto con riferimento all’istruzione. A tale posizione, attraverso il liberalismo dottrinario di Guizot, si sarebbe poi ispirato Cavour, il cui separatismo quindi veniva ancora giudicato criticamente14.
Gli articoli del 1905 rappresentarono un’ulteriore sistemazione dei temi fin qui ricordati. In particolare, è sul rapporto tra le scelte di politica ecclesiastica francese e la necessità di tutelare la libertà religiosa che il giurista maggiormente si soffermò. L’analisi della situazione francese risultava equilibrata: venivano ricordate le posizioni ostili alla libertà di coscienza assunte dalla Chiesa cattolica francese e il potere economico acquisito dalle congregazioni religiose. Al tempo stesso si sottolineava come anche le politiche dei governi repubblicani potessero risolversi in una limitazione della libertà di coscienza:
Molto vuol essere consentito e condonato allo Stato francese in questo frangente. E primo, che vi fu tirato un po’ per i capelli. Una parte del clero (le Congregazioni religiose) era venuto in Francia, col favore degli ordinamenti liberali, non solamente raccogliendo attorno a sé una folla mai vista prima di accoliti, e cumulando nelle sue mani fortune mostruose […] ma uomini e beni aveva impegnati a fondo in una subdola azione sociale disgregatrice, e poi addirittura lanciata in guerra aperta contro la Repubblica […] reagendo come allora reagì la Repubblica non faceva che valersi di un diritto superiore ad ogni legge scritta, del diritto supremo così degli individui come delle collettività; cioè del diritto alla propria conservazione.

Ruffini riconosceva, in linea di principio, la correttezza del principio di separazione tra Chiesa e Stato:
Che v’è di più semplice, limpido e netto di questo principio, che le due potestà [Chiesa e Stato] la smettano una buona volta di intralciarsi e di contrastarsi sempre e si adattino a compiere ciascuna il proprio ufficio nella sua speciale sfera d’azione? Persegua adunque lo Stato senza impacci chiesastici i suoi fini, che sono tutti di questo mondo, e i suoi la Chiesa con piena libertà, che sono tutti oltremondani.

Al tempo stesso, rilevava che l’applicazione del principio risultava impossibile, anche, ed è un dato interessante, per la difficoltà di distinguere sentimento civico e coscienza religiosa:
Perché dunque avessero ragione quei semplicisti, bisognerebbe che quelle loro due famose sfere non avessero avuto sempre il malvezzo di sovrapporsi l’una all’altra, di perfettamente combaciare fra di loro e di accentrarsi entrambe in un punto medesimo; l’uomo individuo, cioè, il quale non ama troppo di prestarsi a vivisezioni magari solo ideologiche e a dissecazioni delle sue parti integranti per comodo dei teorici. Ora chi ha saputo dire mai con precisione dove, nell’uomo, finisca la coscienza religiosa e cominci il sentimento civico, fin dove possano arrivare i diritti del credente e dove debbano andar loro innanzi i doveri del cittadino.

L’aspetto più interessante è tuttavia costituito dell’analisi del separatismo e dal confronto tra separatismo francese e separatismo statunitense.
Merita ricordare che, se il dibattito francese era stato seguito nel modo cui sopra si è accennato, anche alla realtà del cosiddetto separatismo statunitense si era guardato con un certo interesse in Italia tra fine Ottocento e inizi Novecento soprattutto da parte di ambienti cattolico-liberali e conciliatoristi, che avevano guardato con simpatia (ed è un dato che Ruffini ricorda nei suoi articoli) all’“americanismo”, vale a dire quella corrente del mondo cattolico che guardava con simpatia al tentativo dell’episcopato americano (soprattutto di origine irlandese) di operare un felice incontro tra esigenze della società ed esigenze della fede, sulla base dell’assimilazione dei principi di libertà e di democrazia e dell’assenza di rapporti concordatari tra Stato e Chiesa, al fine di cristianizzare la società e laicizzare la Chiesa15. Ruffini sottolineava le differenze tra separatismo statunitense e separatismo francese:
Il separatismo americano ed il separatismo francese, guardati oltre le parole e le forme esteriori nella loro contenenza, negli intenti e nei risultati ultimi, appaiono due sistemi non solo divergenti, ma per alcuni versi addirittura antitetici.

In particolare, Ruffini sosteneva la natura paradossalmente “confessionistica” del separatismo USA: nell’articolo del 14 febbraio, il giurista piemontese ricordava, infatti, che i Padri pellegrini puritani avevano richiesto la separazione tra Stato e Chiesa in Inghilterra e, ancora prima, in Olanda, dove si trovavano in minoranza, mentre, una volta giunti nel Nuovo Mondo, avevano assunto a modello per le colonie del New England la teocrazia ginevrina di Calvino. Ruffini riprendeva a tale proposito l’espressione di Karl Rieker:
la teocrazia rimaneva pur sempre nelle stesse menti di quelle minoranze l’ideale supremo, l’ideale primario […] laddove il separatismo non era che un principio secondario, un programma di ripiego.

Le conseguenze di questo atteggiamento nella vita statunitense venivano descritte nell’articolo del 21 marzo: in esso Ruffini ricordava che a fianco della legislazione dello Stato federale notevole importanza rivestivano, in quel contesto, ovviamente, quelle dei singoli Stati e sottolineava che in alcuni degli Stati Uniti
viene punita la bestemmia, vietati, con minacce di pene, non solo il lavoro o lo spaccio di bevande alcoliche nei giorni di festa, ma ogni maniera di più innocente ricreazione […]. Il Congresso stipendia dei cappellani, che ne aprono con le loro preghiere le sedute; sussidia la stampa e la diffusione delle Bibbie, prescrive l’insegnamento religioso nelle scuole ed indice giorni di pubblica preghiera e penitenza.
In altre parole, argomentava il giurista riprendendo l’opera del teologo e storico della Chiesa Philipp Schaff16, che era stata tradotta in italiano proprio nella collezione di scienze politiche di Brunialti, negli USA la libertà religiosa è una «libertà nella religione e non dalla religione […] il vecchio ideale pietistico dello Stato cristiano è pertanto ancora una perfetta e vivente realtà negli Stati Uniti d’America» Manca nota alla citazione. Opposto risultava l’orientamento del separatismo francese che, a giudizio di Ruffini, ispirato all’atteggiamento che il giurista aveva definito ne La libertà religiosa di “libero pensiero”, voleva concludere l’opera di decristianizzazione della Francia avviata con la Rivoluzione. Quindi, concludeva Ruffini,
il loro ideale giacobino in uno Stato anticristiano, anzi addirittura antireligioso è, ognuno lo vede, proprio agli antipodi di quello pietistico degli americani. Quanto remoti, però, e l’uno e l’altro, dalla concezione veramente moderna dello Stato laico e quanto inferiori!

In sostanza,
Lo Stato adunque può, nell’atto di tracciare la linea di confine [tra Stato e Chiesa], lasciare tutto il maggiore spazio alla Chiesa, facendosi lui piccino piccino e ponendo a contrassegno visibile della separazione non un muro, ma una morbida siepetta di giardino tutta fiorita di campanile […]. Oppure lo Stato può serrare la Chiesa il più da presso che può non concedendole che il meno che può, e ancora col visibile rimpianto di non poterla addirittura cacciare in bando […]. La prima cosa fecero gli Stati Uniti, la Francia fece durante la Rivoluzione, e si appresta ora a rifare la seconda.



4. Negli anni successivi la posizione di Ruffini andò incontro ad approfondimenti e precisazioni. Mutò, in primo luogo, il giudizio sul separatismo di Cavour: in un saggio del 1908, Le origini elvetiche della formula del Conte di Cavour “Libera Chiesa in Libero Stato”17 la tesi di Cavour veniva associata non più al “partito cattolico” francese, che Ruffini, come si è visto, giudicava troppo esclusivamente volto a tutelare gli interessi della Chiesa cattolica, ma al protestantesimo liberale che il giovane Cavour aveva conosciuto a Ginevra, ed, in particolare, al pensiero di Alexandre Vinet18. Anche nei corsi universitari degli anni successivi le diverse sfumature dell’idea separatista furono approfondite: veniva ricordata la posizione del Vinet, per il quale «il culto non è punto cosa sociale o civica, ma tutta quanta interna ed individuale, vale a dire un sentimento del cuore» e la società civile, «sorta dalla necessità fisica» e tenuta insieme dalla «coazione esteriore», nulla deve avere a che fare con la società religiosa «che è sorta unicamente da una comunione di sentimenti, per un impulso interno, superiore ad ogni bisogno terreno o, se meglio si vuole, che è sorta da un solo bisogno, quello dell’immortalità»19. Ruffini ricordava l’influenza di tale posizione sul separatismo di Cavour che, a differenza del separatismo puritano statunitense e di quello rivoluzionario francese, mirava a tutelare «la libertà di tutti», cioè ad instaurare «un regime di libertà e di reciproca indipendenza profittevole così allo Stato come alla Chiesa»20. Il separatismo cattolico francese veniva invece giudicato criticamente: in particolare si sottolineava la paradossale coerenza di Lamennais che, partito da posizioni ultramontane e teocratiche nella Francia della Restaurazione, volte a condannare ogni collaborazione con lo Stato “ateo”, giunse dopo la Rivoluzione del ’30 ad un cattolicesimo liberale che, in nome dei principi di libertà dell’89, sosteneva una simile, al fondo, istanza di separazione della Chiesa dallo Stato. Ruffini ebbe inoltre modo di ricordare la diffidenza di Cavour (che doveva essere anche la sua) nel vedere associati i cattolici liberali francesi ai gesuiti nella rivendicazione della libertà di insegnamento21. Notevole importanza riveste poi lo scritto ruffiniano del 1913 su Libertà religiosa e separazione tra Stato e Chiesa22, apparso nella raccolta di studi in onore di Giampietro Chironi, che ripropose, in forma più ampia ed articolata, l’analisi contenuta negli articoli del 1905 e, in particolare, le critiche al separatismo statunitense. Ruffini, sosteneva che il separatismo, comportando l’inazione dello Stato e l’abbandono della vita ecclesiastica al campo dei privati, lasciava che «i più soverchiassero i meno, e in modo particolare, i soli» e che il sentimento religioso organizzato in forma collettiva prevalesse sul sentimento religioso individuale e sulla miscredenza23:
A guardar più in fondo alle cose, è insito veramente nell’essenza del sistema separatistico che esso debba riuscire principalmente giovevole al sentimento religioso, il quale sappia esplicarsi ed organizzarsi in forma collettiva, a tutto scapito del sentimento religioso individuale, e quindi disorganizzato. In fondo lo Stato non fa, col separatismo, se non abbandonare compiutamente il campo della vita ecclesiastica all’azione dei privati. Ed allora è fatale che, lasciati con le mani perfettamente libere i più riescano a soverchiare i meno, ed in modo particolare i soli […] poiché la credenza religiosa individuale, e più particolarmente la miscredenza, non sanno, salvo in casi eccezionali e in periodi tutt’affatto transitori, assumere la forma associativa ed opporre organizzazione ad organizzazione.

In tale critica si può in realtà riscontrare anche un riflesso dei timori del liberalismo europeo ottocentesco, sulla scia di Tocqueville, nei confronti della società democratica, concetto che in fondo si sovrapponeva con quello della nascente società di massa, per i rischi di conformismo e di pressione sociale da parte della maggioranza che comportava. Rivolgendo lo sguardo alla situazione contemporanea a Ruffini, è proprio Attilio Brunialti a ben esprimere questo atteggiamento quando, introducendo nel 1884 la prima traduzione italiana della Démocratie en Amérique individuava il problema della democrazia nella tendenza ad oltrepassare i giusti limiti, a non tener conto «delle necessità della storia, dei diritti imprescrittibili della coscienza umana»24. Inoltre, Ruffini cita, nel suo saggio del 1913, il libro di Angelo Mosso, La democrazia nella religione e nella scienza. Studi sull’America, pubblicato da Treves nel 1901. Mosso, personaggio eclettico, celebre fisiologo e appassionato di archeologia, nonché autore di saggi di divulgazione scientifica, aveva rielaborato nel libro i propri appunti del viaggio compiuto negli USA nel 1900-1901; esso riproponeva l’immagine degli USA come esempio di società democratica esposta ai rischi di individualismo estremo e prevalenza delle opinioni più superficiali. In campo religioso Mosso, pur apprezzando il principio separatista, opera, a suo giudizio, della minoranza illuminata che aveva redatto la Costituzione, ricordava che l’intolleranza dei primi coloni puritani aveva continuato a caratterizzare la vita americana per larga parte dell’Ottocento: in proposito Mosso significativamente osservava che «quando si lascia a un popolo ignorante la libertà religiosa il risultato è la teocrazia»25. Questo libro si collocava in fondo in un tipo di critica della società americana “massificata” ed “individualista” che, qualche anno più tardi, avrebbe avuto il suo esempio più illustre in Tra i due mondi di Guglielmo Ferrero26, con la descrizione dell’avvento di una “società quantitativa”, dove tutti i valori e i parametri di vita erano mutati rispetto all’antica “società qualitativa”.
Parallelamente, nel suo saggio Ruffini sviluppò poi il ragionamento già avviato negli articoli del 1905 sull’atteggiamento verso la religione proprio della rivoluzione francese. Ci si soffermava, al riguardo, sui culti rivoluzionari e sugli altri fenomeni “ecclesiastico-religiosi” del periodo: «il culto della dea regione, il Culto dell’ente supremo, il Culto decadario, la Teofilantropia»27: in proposito si richiamavano le diverse interpretazioni del fenomeno di due importanti storici della Rivoluzione, Alphonse Aulard e Albert Mathiez28. Le origini dei culti rivoluzionari venivano individuate nelle posizioni di Rousseau; anzi proprio nella politica ecclesiastica la connessione fra il Rousseau e i rivoluzionari risultava la più stretta, derivando, a giudizio di Ruffini, le scelte compiute dalla Francia rivoluzionaria in questo settore dalla teorizzazione della Religion civile proposta nel Contratto sociale29 ed in altri scritti rousseauiani. Non solo: Ruffini richiamava anche le posizioni di quanti avevano intravisto nel sistema politico propugnato da Rousseau una proiezione della teocrazia calvinista di Ginevra. Più in generale, si ricordava che gli inizi della Rivoluzione francese furono caratterizzati da una riviviscenza del sentimento religioso e dall’aspirazione, comune anche ai puritani nordamericani, «a costruire una repubblica veramente cristiana» e che i culti rivoluzionari miravano ad istituire in Francia «una teocrazia alla rovescia, una caricatura della teocrazia, ma pur sempre una teocrazia», al pari di quella a cui miravano i Padri pellegrini30. In questo modo si associavano orientamenti diversi, come quello laicista francese e quello puritano statunitense in un comune rifiuto della libertà religiosa ed, in un’ottica più ampia, in una comune posizione antiliberale.


5. La confutazione della tesi che individuava nella separazione tra Stato e Chiesa la migliore garanzia della libertà religiosa rappresentò una costante del pensiero ruffiniano che troverà completa illustrazione nel corso pubblicato nel 1924 La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo. Come già si è visto, al separatismo Ruffini preferì sempre un giurisdizionalismo moderno cioè “aconfessionistico”. Con riferimento alla specifica situazione francese, si può discutere se i sospetti ruffiniani nei confronti del separatismo, a cui si univa la critica della mentalità rivoluzionaria, non avessero indotto ad un giudizio eccessivamente severo nei confronti della legislazione di quel paese. Nei suoi articoli, Ruffini non si soffermò, ad esempio, sulle differenze tra il progetto Briand, maggiormente garantista per quel che concerne il libero esercizio del culto, e quello Combes, maggiormente impregnato di “gallicanesimo” e volto a delineare «un concordato, senza concordato», con significative ingerenze dello Stato nella vita della Chiesa. A prevalere, in Francia, fu sostanzialmente l’impostazione di Briand31. È stato poi rilevato come, alla fine dei conti, la legge di separazione sortì effetti positivi, soprattutto per la maggiore capacità della Chiesa francese di esplicare la propria azione nella società32. Anche l’aspetto più controverso, vale a dire il rifiuto della Santa Sede di acconsentire alla formazione delle associazioni cultuali previste dalla legge per la gestione degli edifici di culto sia alle associazioni di diritto privato previste dalla legge del 1901 (come prospettato dal governo francese a seguito del rifiuto delle associazioni cultuali) venne risolto con la legge del 1907 che consentiva ai parroci di essere occupanti, senza titolo giuridico, delle Chiese. Lo stesso Ruffini commentò con un articolo apparso sul «Corriere della Sera», il 25 gennaio 1924, l’accordo tra Francia e Santa Sede che in quell’anno pose fine al conflitto iniziato con la legge del 1905, sostenendo che alla fine ad uscire vincitrice, da più punti di vista, era stata la Chiesa cattolica. Illuminanti risultano le conclusioni dell’articolo:
la più savia politica ecclesiastica è di farne il meno che è possibile. Gli Stati debbono limitarsi alla difesa della loro sovranità; e ce n’è già abbastanza per i più forti. Pretendere di ridurre la Chiesa cattolica nei propri schemi è temerità e follia […]. Non si riducono a spalliera gli alberi nodosi, frondosi ed annosi come quello!33

Insieme però è possibile registrare alcune oscillazioni nel giudizio del giurista sul separatismo statunitense. Nel corso del 1924, infatti, venivano sostanzialmente ribadite le perplessità sul rapporto con la religione nella società statunitense e si tornava a sottolineare come il Cristianesimo costituisse comunque, se non la “religione di Stato” la “religione nazionale” americana, con conseguenze potenzialmente rilevanti ad esempio sulle decisioni dei tribunali, in considerazione del sistema del common law, nonché sul sistema dell’istruzione (ed ancora una volta Ruffini richiamava l’analisi di Angelo Mosso). Al tempo stesso si mostrava un qualche apprezzamento per il regime giuridico attribuito negli Stati Uniti alle proprietà delle Chiese, che lasciava le organizzazioni religiose libere di scegliere tra soluzioni diverse come quelle del trust, della sole corporation o della religious society34. Una più decisa apertura di credito verso il sistema separatista americano sembra poi evincersi da una lettera di Ruffini a Croce fin qui inedita del 193135. Ruffini scriveva a Croce per commentare i passaggi dedicati alla legge francese del 1905 nell’«ultima parte del suo grande lavoro»: si deve trattare della Storia d’Europa nel secolo decimonono. In essa, il filosofo napoletano si limitava a descrivere la situazione francese, rilevando come la soluzione di compromesso a cui alla fine si era pervenuti nel 1924 risultasse «più consona al concetto liberale della separazione»36. Ruffini invece, nella sua lettera, ricostruiva le vicende francesi fino all’accordo del 1924, riconoscendo che si trattava del «punto più intricato, oscuro, ambiguo, di tutto il diritto ecclesiastico moderno»; confrontava le associations cultuelles che si era tentato, senza successo, di costituire in Francia, con le diverse forme giuridiche del trust, della corporation sole e della religious society con cui negli USA le organizzazioni religiose erano libere di organizzarsi, e concludeva, con un giudizio che appariva più critico sull’esperienza francese rispetto a quello di Croce, che mentre lo «Stato americano aveva concepito ed attuato il suo separatismo sub specie libertatis, lo Stato francese sub specie dominationis e fece fallimento». Un peso in queste oscillazioni di giudizio lo dovette avere ovviamente la stipula dei Patti lateranensi, su cui il giurista piemontese espresse un giudizio negativo, soprattutto con riferimento al Concordato, che giudicava un passo indietro rispetto alla legislazione ecclesiastica dell’Italia liberale (mentre riteneva accettabile il Trattato per concludere la questione romana con la concessione della sovranità su un territorio limitato e praticamente simbolico alla Santa Sede, come ulteriore garanzia di indipendenza: Ruffini peraltro non aveva dubbi che la Santa Sede dovesse comunque essere considerata, al di là dell’esercizio della sovranità territoriale, un soggetto di diritto internazionale37).
Ma insieme era mutato anche il giudizio sulla democrazia in generale e sulle istituzioni e la società americana in particolare. Sul primo aspetto un’influenza doveva averla avuta il pensiero di James Bryce a cui Ruffini fece spesso riferimento nei suoi ultimi lavori, ed in particolare in Diritti di libertà. Lo storico e uomo politico britannico infatti, soprattutto in opere come The American Commonwealth del 1888, e Modern Democracies del 192138 aveva sostenuto che, pur con tutti i suoi difetti, la democrazia fosse l’unico terreno in cui le virtù liberali potessero continuare ad essere coltivate: proprio a questo concetto Ruffini fece riferimento, citando il Bryce, anche nel suo intervento in Senato contro la legge sulle associazioni proposta dal governo fascista nel novembre 1925, intervento poi riprodotto in Diritti di libertà39. Sul secondo aspetto, il giurista maturò notevolmente la conoscenza della vita, delle istituzioni e della cultura statunitense negli anni della prima guerra mondiale: ne Il presidente Wilson pubblicato nel 1919, raccogliendo alcuni articoli in precedenza apparsi sul «Corriere della Sera», egli mostrò di apprezzare il sistema istituzionale statunitense che aveva nell’autorità presidenziale un contrappeso alle tendenze demagogiche ed allo strapotere dei partiti frutto della politica di massa40; curò nello stesso anno la prefazione della biografia del poeta americano John Whittier apparsa nella collana «Americani illustri» di Bemporad, dimostrando una certa familiarità con il trascendentalismo americano e con le figure di Walt Whitman, di Henry David Thoreau e di Herman Melville, e quindi, nel 1920, quella del saggio di Enrico Sartorio Americani di oggigiorno41. Soprattutto in quest’ultimo l’idealismo americano, derivante anche dalla forte presenza religiosa, veniva esaltato. In questo caso le radici religiose della democrazia americana venivano giudicate positivamente e contrapposte, dallo stesso Ruffini nella prefazione e da Sartorio nel corso del saggio, all’utilitarismo e al materialismo che altri, come Ferrero avevano visto prevalente in quella società. In altre parole sembra aumentare con il passare degli anni la fiducia di Ruffini nelle società democratiche in generale e, in particolare, nella capacità delle società democratiche di garantire attraverso la separazione Stato-Chiesa la libertà religiosa42.
Ma, al di là di ciò, la posizione di Ruffini riflette l’atteggiamento che nei confronti del problema religioso ebbe la “civiltà liberale ottocentesca”: il rifiuto del confessionalismo e del temporalismo in nome della libertà di coscienza si accompagnava al rigetto dei progetti di sostituire alla religione tradizionale moderna religioni laiche. Anche queste infatti venivano considerate ugualmente oppressive della libertà di coscienza. Insieme, Ruffini si mostrava sospettoso (anche se, come si è visto, si tratta di un aspetto che andò forse attenuandosi nel corso del tempo) verso le forme di separatismo di tipo statunitense, che si accompagnavano ad un forte ruolo della religione nella vita pubblica, che poteva arrivare ad assumere la forma di civic religion43. Anche questa via, infatti, con le forme di conformismo che comportava, non forniva sufficienti garanzie di rispetto della libertà religiosa. Ciò non significa che vi fosse, da parte di Ruffini, indifferenza rispetto al problema che le diverse forme di “religione della politica” si pongono: quello di garantire la coesione delle società contemporanee, fondate sul primato della libertà individuale, sviluppando un senso di appartenenza e forme di solidarietà collettive. Di fronte ad un simile problema l’atteggiamento di Ruffini è tutt’altro che distaccato o scettico: dopo la descrizione, nell’opera del 1901, delle vicende degli spiriti religiosi che sostennero, proprio a tutela della purezza della loro fede, le ragioni della libertà di religione, il giurista liberale dedicò la maggior parte dei suoi studi storici a figure fortemente animate dalla fede religiosa: ancora i riformati italiani, i giansenisti, il cattolico liberale Manzoni, per non parlare dell’attenta ricostruzione che egli fece della formazione religiosa di Cavour. In questo senso, si può ipotizzare che Ruffini non fosse lontano da quei liberali che ad inizio Novecento furono sensibili alla religiosità modernista, come Alessandro Casati, o Tommaso Gallarati Scotti44. A sostegno di tale ipotesi si può ricordare il legame con i Giacosa45, anch’essi esponenti di questo milieu, ed anche un episodio minore, ricordato dal giovane Umberto Zanotti Bianco in una lettera ad un suo amico e collaboratore, Alessandro Favero: Ruffini rettore dell’Università di Torino fece esporre la bandiera listata a lutto in occasione della morte di Antonio Fogazzaro e ricevette per questo qualche rimostranza da parte delle autorità46. Si può ritenere insomma che anche per Ruffini, come d’altra parte per tutte queste personalità, valesse quanto Chabod ha osservato per i liberali moderati ottocenteschi, per i quali «impossibile appariva una vita di popolo sana e robusta ove una forte interiorità non sorreggesse gli ordini statali; e la forte interiorità poteva essere data solo dalla religione»47, ma si doveva trattare di un sentimento religioso che partisse dalla dimensione individuale, senza interventi diretti dello Stato e della dimensione politica, stimolato solo dallo “strumento” della libertà di religione e di coscienza, che consentiva agli uomini la riflessione sul problema religioso e l’educazione morale.













NOTE
1 Sulla legge francese, per una prima informazione, cfr. J.M. Mayeur, La Séparation des Églises et de l’État (1991), Paris, Éditions de l’Atelier, 2005; D. Moulinet, Genèse de la läicité, Paris, Les Éditions du Cerf, 2005; «Vingtième Siècle», 87, juillet-septembre 2005, numero speciale su Läicité, Séparation, Sécularitation 1905-2005 ed in particolare C. Bellon, Aristide Briand, du travail en commission au vote de la loi, pp. 57-72; G. Sale, A un secolo dalla legge di separazione tra Stato e Chiese in Francia, in «La Civiltà cattolica», CLVI, vol. IV, pp. 223-236.^
2 Chiesa, fede e libertà religiosa in un carteggio di inizio Novecento: Luigi Luzzatti e Paul Sabatier, a cura di S.G Franchini, introduzione di A. Zambardieri, p. XXXIII. Cfr. anche L. Luzzatti, Fatti nuovi e dottrine rettificate nelle relazioni costituzionali degli Stati colle Chiese, in «Nuova Antologia», quarta serie, novembre-dicembre 1905, pp. 353-365. Sulle reazioni italiane alla legge cfr. G. Spadolini, Giolitti e i cattolici, Firenze, Le Monnier, 1960, p. 211; sulle posizioni del «Giornale d’Italia», cfr. Chiesa, fede e libertà religiosa.., cit., p. 97.^
3 In generale sulle preoccupazioni della classe dirigente liberale per l’educazione delle masse e sull’attenzione al ruolo della religione in questo quadro cfr. F. Chabod, Storia della politica estera italiana 1870-1896 (1951), Roma-Bari, Laterza, 1997.^
4 A. Bertola, La vita e l’opera di Francesco Ruffini, in «Annali dell’Università di Torino», 1945, pp. 19-40 (pp. 26-27).^
5 V.E. Orlando, I criteri tecnici per la ricostruzione giuridica del Diritto pubblico, in «Archivio Giuridico», vol. 42 (1889), fasc. 1-2. Sull’argomento cfr., da ultimo, F. Grassi Orsini, Orlando, profilo dell’uomo politico e dello statista: la fortuna e la virtù, in V.E. Orlando, Discorsi parlamentari, Bologna, Il Mulino, pp. 13-118 (p. 31).^
6 Su Attilio Brunialti cfr. R. Camurri, Gli esordi di Attilio Brunialti nella scienza politica (1869-1884), in «Ricerche di storia politica», 2 (1987), pp. 5-23; I. Porciani, Attilio Brunialti e la “Biblioteca di scienze politiche”. Per una ricerca su intellettuali e Stato dal trasformismo all’età giolittiana in I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia fra Otto e Novecento, Napoli, Liguori, 1988, pp. 191-229; Catalogo storico delle edizioni Pomba e Utet 1791-1990, a cura di E. Bottasso, Torino, Utet, 1991; A. Brunialti, Alcune considerazioni sul sistema parlamentare in Inghilterra e in Italia, a cura di C. Carini, Firenze, Centro editoriale toscano, 2002; L. Compagna, Parlamentarismo antico e moderno, Palermo-Siracusa, Lombardi editore, 2003.^
7 Ora in F. Ruffini, Relazioni tra Stato e Chiesa. Lineamenti storici e sistematici, a cura di F. Margiotta Broglio, Bologna, Il Mulino, 1974, pp. 219-305.^
8 F. Ruffini, Relazioni tra Stato e Chiesa, cit., pp. 293-294.^
9 Di una prima interpretazione sul piano strettamente giuridico da parte di Ruffini delle posizioni dei sostenitori della separazione tra Stato e Chiesa ha parlato R. Pertici Tocqueville in Italia. Le origini di una tradizione di studi, in «Ricerche di storia politica», 20 (2005), pp. 327-346 (p. 331).^
10 F. Ruffini, La libertà religiosa. Storia dell’idea, Milano, Feltrinelli, 1967 (1901), pp. 5-6.^
11 Ora in Idem, Scritti giuridici minori, a cura di M. Falco, A.C. Jemolo, E. Ruffini, Milano, Giuffré, 1936, vol. I, pp. 347-390.^
12 Ivi, p. 352.^
13 Ivi, p. 351.^
14 Ivi, pp. 364-365.^
15 Cfr. O. Confessore, L’americanismo cattolico in Italia, Roma, Studium, 1984; Idem, La Rassegna nazionale e l’americanismo, in Cattolici e liberali. Manfredo da Passano e la Rassegna nazionale, a cura di U. Gentiloni Silveri, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, pp. 75-98.^
16 P. Schaff, Church and State in the United States, London-New York, Putnam, 1888.^
17 Ora in F. Ruffini, Ultimi studi sul Conte di Cavour, Bari, Laterza, 1936, pp. 95-124.^
18 Su questo aspetto cfr. R Pertici, cit., pp. 331-332.^
19 F. Ruffini, Relazioni tra Stato e Chiesa, cit., p. 147.^
20 Ivi, p. 141, pp. 155-171.^
21 Ivi, pp. 148-150, pp. 161-163.^
22 Ora in F. Ruffini, Scritti giuridici minori, cit., vol. I, pp. 103-148.^
23 Ivi, pp. 135-136.^
24 Cit. in R. Pertici, cit., p. 329.^
25 A. Mosso, La democrazia nella religione e nella scienza, Milano, Treves, 1901, pp. 106-139.^
26 Cfr. P. Treves, Ferrero, Guglielmo, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell’enciclopedia italiana, 1998, pp. 17-27.^
27 F. Ruffini, Scritti giuridici minori, cit., pp. 127-128.^
28 Ivi, p. 128. Aulard (Le Culte de la Raison et le culte de l’Etre supreme, Paris, 1892) sosteneva che i culti rivoluzionari erano strumenti demagogici propagandati tra le masse per difendere la rivoluzione, mentre A. Mathiez (Contribution à l’Histoire religiouse de la Révolution française, Paris, 1907) attribuiva a tali culti i caratteri di manifestazioni spontanee di una nuova religione scaturita dalla Rivoluzione. Sulle interpretazioni di Aulard e Mathiez dei culti rivoluzionari si veda, da ultimo, E. Gentile, Le religioni della politica, Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 9, 15-16.^
29 Ivi, p. 126.^
30 Ivi, pp. 129-130.^
31 C. Bellon, cit., pp. 62-63.^
32 Cfr., ad esempio, G. Sale, cit.^
33 Ora in Scritti giuridici minori, cit., pp. 419-424.^
34 Con il trust il patrimonio ecclesiastico risultava imputato ad un fiduciario, la corporation sole era una persona giuridica costituita non già da una pluralità di soggetti fisici ma da un solo soggetto fisico in ragione dell’incarico che ricopriva e per la durata del medesimo incarico; la religious societyrappresentava l’ordinaria persona giuridica.^
35 Ringrazio la dott.ssa Marta Herling, direttrice della Fondazione Biblioteca di Benedetto Croce per avermi consentito di citare questa lettera inedita.^
36 «Qualche anno dopo, essendosi fatto più acuto il dissenso con la Santa Sede e soppressa dalla Francia l’ambasciata presso il Vaticano, si venne addirittura (1905) alla separazione dello Stato dalla Chiesa, abolito il concordato del 1801, dichiarato aconfessionale lo Stato, riconosciuta pari libertà di coscienza e di culto a tutti i cittadini, tolti i sussidi a un particolare culto da parte dello Stato e dei comuni, e assegnata alle istituzioni di beneficenza la proprietà ecclesiastica, lasciando in uso ad associazioni di culto, che si sarebbero dovute costituire, gli edifizi chiesastici e le abitazioni dei vescovi e dei parroci. I cattolici francesi, ed in fine la stessa Chiesa di Roma si acconciarono all’ineluttabile, che la colpa loro aveva provocato e reso persuasivo; e solo procurarono ed ottennero negli anni dipoi di non costituire associazioni del tipo stabilito dallo Stato, ma altre che si dissero “canonico-legali”, le quali, in verità, erano più consone al concetto liberale della separazione» (B. Croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono, Milano, Adelphi, 1999 (1932), pp. 354-355).^
37 F. Ruffini, Relazioni tra Stato e Chiesa, cit., pp. 189-219. Sul fatto che soggetti giuridici di diritto internazionale non dovessero essere considerati più unicamente gli Stati, Ruffini si era soffermato anche negli anni del primo conflitto mondiale, riprendendo la concezione di Pasquale Stanislao Mancini sulle nazioni come soggetto di diritto internazionale (F. Ruffini Il principio di nazionalità in Giuseppe Mazzini ed in Pasquale Stanislao Mancini, ora in F. Ruffini, Guerra e dopoguerra, a cura di A. Frangioni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007, pp. 35-57), nonché in un saggio del 1928, La natura giuridica delle Unioni internazionali amministrative, ora in Idem, Scritti giuridici minori, cit., vol. II, pp. 191-231).^
38 J. Bryce, The American Commonwealth, London-New York, Mac Millan, 1888 (trad. it. La Repubblica americana, Torino, UTET, 1913-1916); Idem, Modern Democracies, New York, Mac Millan, 1921 (trad. it. Milano, Hoepli, 1930).^
39 F. Ruffini, Diritti di libertà, Torino, Gobetti, 1926, pp. 143-144. Per qualche riflessione sul rapporto Ruffini-Bryce, mi permetto di rinviare alla mia introduzione a F. Ruffini, Guerra e dopoguerra, cit., p. 28. La figura di James Bryce è singolarmente poco studiata in Italia. Per un’analisi del suo pensiero cfr. comunque D. Settembrini, Democrazia senza illusioni, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 69-80; F.L. Viano, Una democrazia imperiale: l’America di James Bryce, Firenze, Centro editoriale toscano; F. Tuccari, Il governo della pubblica opinione nell’American Commonwealth di James Bryce, in La democrazia tra libertà e tirannide della maggioranza nell’Ottocento, a cura di G.M. Bravo, Firenze, Olschki, 2004.^
40 Ora in F. Ruffini, Guerra e dopoguerra, cit., pp. 113-164.^
41 J. Borrett Wendell, Giovanni G. Whittier, poeta riformatore propugnatore del Risorgimento italiano, Firenze Bemporad, s.a. [ma 1919]; E. Sartorio, Americani di oggigiorno, Bologna, Zanichelli, 1920.^
42 Un legame tra democrazia e separazione tra Stato e Chiesa Ruffini lo individuò anche nella prolusione Guerra e riforme costituzionali, laddove individua tra le trasformazioni provocate dalla guerra, oltre alla prevalenza del suffragio universale e, quindi, della forma di Stato democratica, la sconfitta del sistema cesaropapista russo e di quello della Chiesa di Stato degli Stati del II Reich, nonché del “giuseppinismo giurisdizionalistico confessionista” austro-ungarico, a vantaggio di un sistema separatista (cfr. F. Ruffini, Guerra e riforme costituzionali, ora in Idem F. Ruffini, Guerra e dopoguerra, pp. 165-258 (pp. 173-175) ).^
43 Sui concetti di religione civile e di religione politica cfr. E. Gentile, op. cit. pp. 35-38 e passim.^
44 Sull’approccio alla religione di queste personalità cfr. N. Raponi, Ispirazione ideale e sensibilità religiosa fra esponenti del liberalismo italiano del XX secolo, in www.magna-carta.it, ora in Alla ricerca di una sana laicità, Siena, Cantagalli, 2007.^
45 cfr. P. Nardi, Vita e tempi di Giuseppe Giocosa, Milano, Mondadori, 1949.^
46 cfr. U. Zanotti Bianco, Carteggio 1906-1918, a cura di V. Carinci, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 102 (lettera dell’8 aprile 1911). Ruffini, riferiva inoltre Zanotti, aveva dichiarato il suo appoggio “di tutto cuore” ad una sottoscrizione da avviare tra gli studenti dell’Università per iniziative in memoria di Fogazzaro. Conoscenza ed apprezzamento per il tentativo di Fogazzaro di conciliare religione e evoluzionismo anche in F. Ruffini, Il presidente Wilson, cit., p. 125.^
47 F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896. Le premesse, Roma-Bari, Laterza, 1997 (5° ed.), pp. 211-212.^
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