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Francesco di Paola: le ragioni del suo culto, fra permanenze e sintomi di mutazioni
di Rossana Sicilia
«Paula, di piccol nome, al ciel si spinge/ Col Minimo, che grande in sen le nasce/ quindi ha per Padre e Figlio; e se le fasce/ Gli diè, questi di gloria, hoggi, la cinge»1, questi versi sono rappresentativi e suggestivi dell’influenza che la figura di S. Francesco ha avuto per il suo tempo e per il suo villaggio di nascita durante un lungo arco plurisecolare. Quest’influenza, invece, non si riscontra ai nostri giorni, come hanno testimoniato gli appuntamenti culturali e sociali che si sono avvicendati in occasione delle celebrazioni per il V centenario della sua morte, di cui in questo lavoro si intende offrire elementi di informazione e riflessione.
S. Francesco nasce e vive i suoi primi anni a Paola, piccolo villaggio, appartenente al feudo dei Ruffo di Montalto, poi degli Spinelli di Fuscaldo, che in questa fase presentava una popolazione non molto elevata2. Secondo il Cozzetto apparteneva, a metà Quattrocento, a una seconda fascia di centri abitati regionali, dal punto di vista delle dimensioni demografiche3. Tuttavia si trattava di un centro che avrebbe manifestato negli anni successivi un cospicuo aumento dei suoi abitanti. Quando nel 1447 venne inviato a Paola un funzionario statale addetto al conteggio dei fuochi, sulla base dei quali si dovevano pagare le imposizioni fiscali, di fronte alle preoccupazioni dei suoi concittadini, che temevano un aumento notevole delle tasse e che quindi sollecitarono l’intervento di Francesco, la sua natura votata a combattere le ingiustizie lo portò a schierarsi con la gente del suo villaggio. Successivamente scrisse una lettera indirizzata a Simone Alimena di Montalto, funzionario della Regia Udienza di Cosenza, suo amico, perché intervenisse a impedire le ingiustizie che stava perpetrando il numeratore fiscale ai danni dei suoi concittadini. Sono esemplari le parole scritte dal frate nella lettera citata:
guai a chi regge e mal regge. Guai ai ministri de’ tiranni et alle tirannie. Guai alli ministri di giustizia che li è hordinato far la giustizia e lor fanno il contrario4.

Dal punto di vista storico la posizione di Francesco d’Alessio (o Martolilla) è ineccepibile. Del resto la riforma del 1443, con cui Alfonso e il suo parlamento di San Lorenzo avevano stabilito il principio che la numerazione delle famiglie o “focatico” avvenisse ogni tre anni e che su questa si fondasse il pagamento dei contributi fiscali, era uno strumento dell’arbitrio dello Stato per estorcere cifre sempre più alte ai contribuenti. Gli studi compiuti, in particolare nell’ultimo trentennio, hanno mostrato, infatti, che nei primi decenni di applicazione della nuova legge aragonese a nessuna comunità furono decurtati i fuochi nelle numerazioni successive, eppure si è a conoscenza che molte comunità del Mezzogiorno furono coinvolte in drammatiche vicende belliche e in episodi di pestilenza5. Francesco condannava chi approfittava del potere e mal eseguiva gli ordini impartitigli, ma condannava anche un potere ingiusto e perciò lo definiva tirannico. In questo contesto il termine tirannia, adottato dall’eremita, si riferiva agli abusi perpetrati dal re e dai suoi emissari. La figura di Francesco appariva, quindi, perfettamente in grado di rappresentare e svolgere una funzione politica a fianco della sua gente, e più in generale del popolo meridionale, in quanto consapevole e cosciente di un forte sentimento di inadeguatezza dello Stato nei confronti della popolazione amministrata. L’assenza di documentazione non permette di seguire l’intervento dell’Alimena, ma l’azione di Francesco ebbe sicuramente esito positivo, come è testimoniato dal mancato aumento del focatico per la cittadina paolana6. La sua capacità di offrire protezione contribuì a diffonderne la fama di personalità di rilievo civile, oltre che spirituale, che attraeva gruppi di persone più o meno della sua età, era nato nel 1416, interessate a seguire l’esempio di una vita condotta in modo austero e penitente, votata al servizio della gente, nonostante vivesse da anacoreta. I caratteri della sua spiritualità emersero fin dalla giovane età e ne sembrano due i motivi ispiratori. Da una parte lo stile religioso della sua famiglia, che lo portò a esaudire a quindici anni un voto assunto dai suoi genitori al momento della nascita, per la grazia di averlo concepito in età avanzata, una fede, quindi, certamente marcata e ortodossa. Dall’altra la sua propensione personale che lo portava a compiere scelte di vita religiosa e di isolamento nella preghiera. Dopo l’anno di famulato, presso i Conventuali di San Marco Argentano, nonostante le richieste di rimanere nella regola, grazie alla sua condotta ineccepibile, preferì far ritorno a Paola7, dove seguendo il modello dei frati dell’indulgenza avrebbe voluto compiere vita eremitica, ma assieme ai genitori decise di andare in pellegrinaggio ad Assisi presso la tomba del santo di cui portava il nome. La tradizione vuole che nel corso del viaggio sostò a Roma, dove ancora una volta emerse il suo carattere forte e risoluto, che lo portava a contestare ogni manifestazione di sfarzo del potere ecclesiastico romano. Anche in questa occasione la validità delle sue argomentazioni non generarono una reazione ostile nei suoi confronti, infatti il cardinale Cesarini, da lui contestato, rispose in modo blando8. Sulla strada di ritorno si fermò a Montecassino dove ebbe modo di ampliare le conoscenze delle forme di vita monastica. Decise a questo punto di ritirarsi nel podere del padre per condurre vita eremitica. Quella di Francesco fu una manifestazione di eremitismo sui generis, difatti non esercitava una totale forma di isolamento, in quanto partecipava alla vita civile e religiosa della cittadina. Questa grande forza centripeta, espressione del suo carisma, e questa sua condotta di vita legata alla sua natura tutt’altro che mansueta era tuttavia fondata sull’etica ispirata dal messaggio evangelico. Lo testimoniava il suo costante impegno a favore degli umili e portato a manifestare in più occasioni le sue rimostranze nei confronti di ogni forma di potere, fosse esso ecclesiastico o laico. Tutto ciò lo condusse a essere oggetto di disapprovazione da parte del papa e dei sovrani. È il caso dell’inchiesta pontificia del 1467, con la quale la Curia romana volle fare chiarezza sia sull’evangelismo di Francesco, con supposte tracce critiche verso istituzioni consolidate della Chiesa, nonché sulle folle di fedeli che la fama di santità dello stesso riusciva ad attirare nel suo eremo9. A tal proposito venne scelto per svolgere questa indagine sulla personalità di Francesco monsignor Baldassarre de Gutrossis10, il quale rimase colpito positivamente dal rigore morale che testimoniava l’eremita, in contrasto con la cultura bassomedievale in cui la gravosità dei doveri penitenziali veniva mitigata da una serie di normative canoniche che ne svuotavano la volontà manifestata dal penitente con l’esigenza di dirimere i peccati e cambiare la propria condotta di vita. Francesco si inseriva quindi, senza esserne cosciente, in quel rinnovamento umanistico-rinascimentale del cristianesimo che élites ecclesiastiche europee perseguivano con personaggi del calibro di Erasmo. Il de Gutrossis trasmise le energie innovative del messaggio penitenziale di Francesco in alcuni alti esponenti della Chiesa del tempo, che trasformarono in elargizioni per la costruzione di una Chiesa nell’eremo francescano di Paola alcune tra le nuove pratiche penitenziali11. Non solo il legato pontificio si schierò dalla parte di Francesco, ma addirittura rimase talmente coinvolto dalla sua condotta di vita, da chiedere il permesso a papa Paolo II di lasciare la curia romana e andare a vivere al seguito dell’eremita di Paola. Fu grazie a questa personalità di notevole spessore intellettuale che il gruppo eremitico assunse una fisionomia giuridico-religiosa. Su consiglio del De Gutrossis, che era un giurista, l’eremita presentò un’istanza di riconoscimento del gruppo all’arcivescovo di Cosenza, Pirro Caracciolo, che il 30 novembre 1470 con la costituzione Decet nos, pose il gruppo eremitico alle dipendenze della Santa Sede nominando Francesco superiore di questa nuova congregazione religiosa12. Il carisma di Francesco aveva contagiato, quindi, anche il cardinale di Cosenza che, con una missiva dell’anno successivo a papa Sisto IV, tra l’altro, scriveva: «per mezzo di lui molte opere buone sono state compiute, rappacificazioni e pace etc., e sono stati evitati molti mali e ogni giorno se ne evitano altri e un buon esempio viene dato a molti»13.
Come si nota in questo documento del Pirro non si fa riferimento ai miracoli che, secondo la tradizione religiosa locale e meridionale, erano già numerosi. Ad attrarre folle di persone al cospetto di Francesco era la sua condotta di vita, la capacità di offrire comprensione e aiuto, la sua forza morale che lo portava ad assumere un atteggiamento di condanna nei confronti delle ingiustizie che riservava la vita sociale e quotidiana. La sua personalità rappresentava un porto sicuro per i deboli, un esempio da seguire per chi si sentiva in difetto morale nei confronti del resto dell’umanità e perciò peccatore e debole.
A tal proposito si deve ricordare, piuttosto che i tanti miracoli a lui attribuiti, un mancato miracolo di cui è rimasta traccia nella cultura e nell’editoria meridionale dell’epoca. Nel 1465 erano venuti in Calabria Enrico e Cesare d’Aragona, figli non primogeniti di re Ferrante d’Aragona. Nel castello di Terranova di Sibari assieme ad altri commensali si erano nutriti abbondantemente di funghi e come conseguenza di ciò erano stati in molti a manifestare gravi sintomi di avvelenamento. La moglie di Enrico si rivolse a Francesco di Paola, che aveva ormai fama di taumaturgo, ma l’eremita le diede un responso drammatico, sostenendo di non poter intervenire per guarire il suo sposo, in quanto Enrico avrebbe pagato le colpe della tirannia del padre Ferrante. Poco tempo dopo Enrico morì, mentre il fratello Cesare si salvò. L’episodio trovò uno straordinario testimone in Giovanni Maurello un poeta cosentino del tardo Quattrocento che scrisse una canzone in compianto per la morte di Enrico di Aragona, un incunabolo stampato a Cosenza e che insisteva sul tema del lutto come conseguenza di una vicenda naturale senza muovere rimproveri né verso l’eremita di Paola né verso le voci che allora si erano diffuse su una presunta volontà omicida nei confronti dei figli del sovrano aragonese14. Il mancato miracolo, dunque, trovò testimonianza nella cultura del tempo muovendosi nella direzione che rafforzava e non deprimeva il prestigio dell’eremita paolano. Questa fama, fondata su quest’ultimo elemento e sugli altri già accennati, giovò al gruppo eremitico di Francesco e dopo circa cinque anni proprio papa Sisto IV approvò la congregazione eremitica operante a Paola, offrendole l’opportunità di ampliarsi su tutto il territorio della Chiesa15.
Francesco fondò nuove cellule della sua congregazione, nei casali di Cosenza prima a Paterno e poi a Spezzano Sila, dove venne eretta la terza casa, successivamente a Corigliano Calabro e poi a Crotone, quest’ultima aperta dal suo fedele padre Paolo. Nel 1480 nasceva il primo eremo paolotto a Milazzo in Sicilia, su richiesta degli abitanti. La fama di Francesco era sbarcata in Sicilia, dopo che una delegazione della città di Milazzo si era recata all’eremo paolano per conoscere e invitare Francesco a recarsi nell’isola per diffondere anche qui il suo messaggio evangelico. L’eremita, come narra la leggenda accolta dal processo di canonizzazione del 1519, insieme a un suo confratello attraversò lo Stretto sul suo mantello, come venne raffigurato in un affresco dei palazzi vaticani attribuito ad Antonio Tempesta di circa un secolo più tardo rispetto all’evento16. A distanza di pochi anni nel porto naturale paolano sbarcò una delegazione francese. La fama del frate aveva raggiunto i paesi d’oltralpe, infatti, era stato Luigi XI a richiederne l’intervento, essendo a conoscenza delle sue capacità taumaturgiche, per essere guarito da una grave malattia. Si avviò con questa richiesta una complessa vicenda politico-diplomatica, che vide protagonisti in primo luogo il sovrano francese e poi il re di Napoli, Ferrante d’Aragona, infine lo stesso papa Sisto IV. Quest’ultimi vennero chiamati in causa per il rifiuto di Francesco di sottostare alle richieste di compiere, su commissione, un miracolo per un potente. Il frate testimoniò la sua correttezza morale e la sua rettitudine nei confronti del messaggio evangelico, di cui si sentiva interprete. Allettati dalla possibilità di ottenere da questa andata in Francia dei vantaggi, sia il papa che il sovrano meridionale si attivarono per convincerlo a recedere dalla sua decisione. Il primo ad agire fu re Ferrante, che in passato lo aveva osteggiato, ricambiato dall’atteggiamento antitirannico di Francesco e lo aveva minacciato di carcere. Il sovrano gli inviò una lettera in cui affermava:
considerato con quanta charità et vero amore ve site portato circa le cose concernente il nostro bene et honore de nostri populi: el che non potea essere altramente per la singolare virtù et aprobata vita vostra, pregamove che vogliate actendere con tucte vostre forze et ingenio ad tucto quel che cognoscerite pertinere ala pace et quiete de questa povera Italia la quale non pensa ad altro si non una volta de trovare se in modo che in defensione de la religione christiana possa andare contro li hinimici de quella. Lo maiore desiderio che nui tenemo al presente è che questo christianissimo Signor Re el quale avemo in loco de patre sia liberato de omne infirmità17.

Una lettera, quella di Ferrante, di grande spessore politico, in cui si affidò al frate l’arduo compito di garantire con la sua andata in Francia «la pace et de questa povera Italia», con l’ulteriore mandato politico-religioso di combattere contro gli infedeli. In un secondo momento anche il papa, da parte sua, palesò aspettative importanti nei confronti di questa missione, infatti si aspettava la ripresa dei versamenti alla Santa Sede delle decime per la lotta contro i Turchi che la Francia aveva interrotto qualche anno prima. Non meno pressanti erano le preoccupazioni di controllare le aspirazioni francesi sulla penisola, nonché l’abolizione della Prammatica Sanzione di Bourges. Per cui giunse da Roma una disposizione irremovibile, che vinse le resistenze di Francesco, il quale si accinse a partire da Paterno, dove allora risiedeva. Il viaggio per Napoli e il suo ingresso nella città capitale costituì una riprova della notorietà di Francesco che, secondo alcune fonti, dimorò in Castelnuovo, segno evidente del favore reale; secondo cronisti coevi, invece, venne ospitato nel convento di San Luigi e San Fantino. Un incontro importante Francesco lo ebbe, nella città partenopea, con il principe ereditario Federico d’Aragona al quale venne dato l’incarico di accompagnare l’eremita a Roma. Si trattava di una delle personalità più colte dell’ambiente napoletano, tanto che allo stesso vennero dedicate raccolte letterarie da Lorenzo il Magnifico e da Poliziano18. I rapporti tra Federico e Francesco dovettero essere particolarmente intensi, poiché, una volta lasciata Roma, il principe continuò ad accompagnarlo fino al confine con la Francia. Da qui le notizie sul viaggio di Francesco presenti nella letteratura del tempo. Nel corso del soggiorno a Roma, che gli testimoniò l’interesse del papa per la sua missione in Francia, l’eremita paolano si vide promessa l’approvazione di una regola per la sua congregazione, nonostante che una decisione del Concilio Lateranense del 1215, vietasse tale autorizzazione per le congregazioni eremitiche. Giunto al confine con la Francia il viaggio di Francesco continuò con un altro importante protagonista della vita culturale del tempo. Viaggiò con lui, infatti, in qualità di ambasciatore del re di Napoli, Francesco Galeota, autore affermato di buone prose letterarie e poetiche nelle quali compaiono testimonianze dei rapporti tra il letterato e Francesco, conservate nei manoscritti estensi19. Il Galeota gli riconosceva potere taumaturgico anche verso la natura e nello stesso tempo ricordava con commozione il “miracolo sociale” costituito dall’incontro di Francesco con il delfino Carlo di Valois, allora rinchiuso nel castello d’Amboise, dove era stato relegato dal padre. Il delfino scoppiò in lacrime di fronte all’eremita paolano, che intercesse presso Luigi XI per la sua liberazione. Questi episodi vennero largamente pubblicizzati in alcune opere di umanisti del tempo che assunsero la spiritualità francescana come vicina alla propria cultura. Il caso più noto è quello di Antonio de Ferraris, appartenente all’accademia pontaniana di Napoli, meglio conosciuto anche come il Calabro, che in una sua opera delineò la figura dell’eremita paolano, rappresentandolo dinanzi alla porta del paradiso e in lotta con San Pietro e gli altri santi, accusati tutti da Francesco di avere messo in crisi la cultura umanistica e le esigenze, da essa mosse, di riforma della Chiesa e degli ordini monastici20. Questa manifestazione culturale testimoniò la vicinanza della spiritualità francescana con le emergenze umanistiche coeve.
Non meno sentito apparve il ritratto che Amerigo di Guascogna dedicò a un vecchio frate barbuto, Francesco, in una novella, indirizzata a Eleonora di Aragona, e l’altro ritratto espresso nelle opere di Jacopo de la Marca che riprese temi dell’immaginario popolare manifestati nel momento dell’ingresso a Napoli, nel 1483, di Francesco. Ricorreva nella cultura coeva il tema del viaggio glorificatore e anche quello dell’eremita paolano può essere assimilato al viaggio compiuto da grandi monarchi, Carlo VIII nella sua famosa discesa in Italia nel 1494, Carlo V nel 1536 nel suo viaggio di ritorno dall’impresa di Tunisi compiuto in buona parte dell’Italia21. È suggestivo pensare alla grande notorietà sul piano europeo, che questa letteratura umanistica in gran parte scritta in latino e in grado, perciò, di raggiungere gli ambienti più colti dell’Europa, determinò per la diffusione del culto e del messaggio evangelico di Francesco.
Come è noto i poteri taumaturgici di Francesco non furono sufficienti a guarire il sovrano francese, ma nonostante il mancato miracolo la notorietà dell’eremita non venne scalfita. Del resto proprio la pubblicistica umanistica, attraverso le lettere a stampa sul suo viaggio, prodotte e ispirate dai sopraccitati umanisti, ma anche attraverso le relazioni dei diplomatici, in particolare quelli inviati alla corte di Luigi XI, determinò una maggiore conoscenza della personalità di Francesco che, dopo aver varcato i confini d’oltralpe, raggiunse anche la corte spagnola di Ferdinando il Cattolico e di Isabella di Castiglia.
Alla corte francese accrebbe il suo prestigio personale, svolse una proficua attività di consigliere di politica matrimoniale per la dinastia francese, in quanto incoraggiò l’unione fra il futuro Carlo VIII e Anna di Bretagna, dalla quale unione la monarchia francese risultò notevolmente rafforzata. Una volta che il delfino succedette al padre Luigi, fu proprio grazie all’attività del frate che il nuovo sovrano avviò una politica di buon vicinato con la Spagna e con gli Asburgo per predisporre la sua discesa in Italia, volta alla rivendicazione del Regno di Napoli, in nome dei suoi diritti ereditari nei confronti della dinastia angioina 22.
Qualche anno prima, nel 1487, la sua influenza nei confronti di Ferdinando il Cattolico si era esercitata attraverso missioni di incoraggiamento volte e spronare il sovrano nel perseguire l’offensiva militare contro i Mori, motivando la sua sollecitazione attraverso la promessa di una sicura vittoria cristiana contro i musulmani.
Le sue argomentazioni, a guerra conclusa, si mostrarono veritiere e il suo prestigio alla corte spagnola si accrebbe notevolmente, tanto che i sovrani decisero di inserire fra l’equipaggio castigliano, guidato per la seconda volta da Colombo, in partenza per il Nuovo mondo, un esponente tra i maggiori della sua congregazione, come era il padre Bernardo di Boyl23. Grazie a questa presenza il culto francescano sbarcò nelle Americhe, costituendo uno dei filoni più importanti della presenza cattolica in America Latina, supportata alcuni secoli dopo dal sopraggiungere di milioni di immigrati italiani, soprattutto meridionali.
Infine, durante le fasi delle guerre in Italia, che coinvolsero gran parte delle potenze europee, Francesco esercitò una ulteriore azione diplomatica, attraverso rapporti personali intrapresi con la Repubblica di Venezia e con l’imperatore del Sacro Romano Impero, Massiliano d’Asburgo, volti alla riappacificazione24. Ancora una volta questa sua azione politica determinò una ulteriore diffusione del suo messaggio e della sua congregazione nel Veneto e in Germania25.
Alla vigilia della morte del frate si può affermare che la sua congregazione eremitica si era diffusa in gran parte d’Europa26.
Intanto da parte del pontefice Giulio II era stata definitivamente riconosciuta la sua regola monastica e l’Ordine dei Minimi paolotti assunse la tripartizione, già usuale presso i francescani di Assisi, in frati, suore e terziari laici. Bisogna sottolineare che il primo monastero femminile paolotto venne fondato in Spagna, nonostante qualche perplessità mostrata da parte di frate Francesco.
La morte lo raggiunse mentre era ancora in Francia nel 1507 all’età di 91 anni. Immediatamente nacque l’interesse per ottenere l’apertura del processo di beatificazione, la prima ad avanzarne richiesta al pontefice fu Anna di Bretagna, a lui da tempo legata e che dal frate aveva ottenuto la guarigione miracolosa della figlia. Nel 1519 il processo si concluse con la santificazione di Francesco, che già sei anni prima era stato proclamato beato27.
Certamente l’influsso carismatico della sua personalità e il riconoscimento della sua santità, incentivarono la diffusione del culto francescano e dell’Ordine dei Minimi in Europa e in America Latina. In particolare in Spagna proliferarono i conventi francescani e le chiese a lui dedicate, che si diffusero anche nelle colonie dell’impero spagnolo. In Francia, invece, paese dove il santo aveva operato con tanta efficacia, conquistando, come si è visto, una notorietà europea, la diffusione del culto non ebbe la stessa intensità. È proprio in questo paese, a Tours, dove il santo era stato seppellito, che venne profanata la sua tomba nel 1562. Si trattò di un episodio legato alle vicende della guerra di religione tra ugonotti e cattolici. Proprio questa situazione francese, che vedeva la popolazione divisa, contribuì a bloccare la diffusione dei Minimi. Uno svolgimento diverso ebbe l’ordine nei Regni meridionali, che, se in Francia venne condizionato dalla difficile coesistenza con gli orientamenti protestanti, nel Mezzogiorno ricevette un forte impulso propulsivo oltre che dalla controriforma cattolica, anche dalla consapevolezza che proprio i Minimi erano uno dei pochissimi ordini monastici meridionali diffuso nel mondo cattolico per la sua propensione missionaria, che lo caratterizzava28. Una testimonianza assai significativa della centralità del culto paolotto nella vita religiosa meridionale è rappresentata dalla edificazione da parte dei sovrani borbonici della chiesa di San Francesco di Paola, in Piazza Plebiscito a Napoli, in cui si svolgevano molte delle cerimonie religiose più importanti che riguardavano la dinastia29.
Per questo motivo le classi dirigenti maggiormente legate alla massoneria e ai movimenti politici radicali, tra Sette e Ottocento, produssero provvedimenti di soppressione che riguardarono molti ordini religiosi e più specificamente l’Ordine dei Minimi, il cui fulcro paolano venne abolito l’8 agosto 1809 e ricostituito in seguito al ritorno sul trono di Napoli dei devoti Borboni30.
La fine della monarchia meridionale, sostituita da personalità della politica di formazione laica, determinò una nuova soppressione nel 1866, in questa fase le conseguenze dell’anticlericalismo portarono la classe politica locale a cancellare dallo stemma comunale della cittadina la figura di Francesco e la chiusura del convento si protrasse fino al terremoto del 190531. Venti anni dopo quello che era stato il primo romitorio di S. Francesco venne elevato a Basilica minore. Il culto del santo nella seconda metà del Novecento riprese vigore, soprattutto per iniziativa papale, tanto che da parte di Pio XII venne proclamato patrono dei marinai e da parte di Giovanni XXIII patrono della Calabria. Ancora nell’ottobre 1984, Giovanni Paolo II, in visita in Calabria, elevò la chiesa convento di Paola a Basilica maggiore.
Le vicende politiche ottocentesche e dei primi del Novecento ebbero ripercussioni anche su una popolazione che si mostrò passiva, senza difendere la permanenza dell’ordine in loco. Nella seconda metà del XX° secolo, invece, la favorevole congiuntura nazionale e internazionale, conseguenza di una rinnovata diffusione dell’ordine per la notorietà che Francesco di Paola assunse grazie alla spinta dei riconoscimenti vaticani, registrò fino alla fine degli anni Sessanta una ripresa in termini di partecipazione popolare al culto francescano. Su questa base, nell’ultimo trentennio del secolo scorso, gli amministratori comunali di Paola adottarono una politica di promozione turistica del culto paolotto attraverso la realizzazione di una nuova basilica in grado di accogliere migliaia di devoti. Questo progetto nel corso degli anni Ottanta costrinse il governo locale a intervenire pesantemente sull’assetto territoriale della cittadina e del suo hinterland, caratterizzato proprio in quegli anni da vasti movimenti franosi, cambiando il piano regolatore comunale. Le condizioni di degrado non condizionarono, però, le scelte dettate dal progetto politico di realizzare «l’industria del santo» e la nuova basilica sorse proprio a ridosso delle zone franose32. A spingere verso la realizzazione rapida di un grande contesto architettonico religioso contribuirono, nella cittadina di appartenenza del santo, i preparativi per l’anno giubilare. Di fatto alla vigilia dell’avvio del nuovo secolo le fasi preparatorie di questo evento religioso erano ultimate e il complesso religioso paolano era in grado di accogliere migliaia di fedeli33. Dopo un primo comprensibile momento di entusiasmo e di trasporto turistico religioso, l’«industria del santo» non riuscì a decollare, come testimonia la fievole partecipazione di fedeli alle celebrazioni del centenario della morte tenutesi nell’aprile scorso a Paola. È così che una cronista racconta, su un diffuso giornale locale, il giorno considerato più importante per le celebrazioni del cinquecentesimo anniversario della morte di Francesco a Tours:
Sono passati cinquecento anni dalla morte del santo patrono della Calabria e sembra che nessuno se ne sia accorto, perché a parte i soliti fedeli e qualche pulman, proveniente dalle principali città della regione, a Paola non c’era nessuno. A Paola sembrava il solito 2 aprile34.

Nei giorni precedenti un altro commentatore così si è espresso sulla stesso organo di stampa:
San Francesco che ben conosce i potenti di mezza Europa, non si sarebbe meravigliato del frenetico attivismo dell’ultima ora nei politici calabresi ansiosi di calcare la scena delle celebrazioni del cinquecentenario35.

Assume un significato particolare il dato che proprio il giornale su cui sono comparse queste due note, nei mesi precedenti, avesse preparato con grande enfasi la ricorrenza, pubblicando materiali rievocativi per un centinaio di pagine. La delusione mostrata è del tutto comprensibile. Altri e più importanti organi di stampa come la diffusissima «Gazzetta del Sud», dopo avere lanciato episodiche pagine celebrative e sponsorizzato le iniziative promosse dall’assessorato regionale ai beni culturali, è costretta di fronte ai risultati deludenti in termine di partecipazione dei fedeli a lasciar scomparire l’evento dalle prime pagine del quotidiano, relegando la notizia sul 2 aprile in una pagina locale e citando le parole dell’arcivescovo di Cosenza che ricordava «il carattere forte del santo paolano», un commento alquanto smilzo e riduttivo della figura di Francesco, che testimonia il disagio del cronista36.
La gerarchia ecclesiastica dell’Ordine dei Minimi aveva annunciato con molta enfasi l’avvio delle manifestazione celebrative dell’evento. Il 2 luglio 2006 era stato il priore dell’Ordine, padre Fiorini Morosini, a sottolineare come le celebrazioni dovessero essere inserite in un auspicabile contesto di forte rilancio dell’ordine in varie parti del mondo, in particolare nell’Europa orientale e in alcune aree asiatiche come l’India. Egli poneva come obbiettivo raggiungibile nel corso dell’anno il rientro dei Minimi nella cittadina francese di Tours, dove il santo aveva cessato di vivere, augurandosi che «l’ordine potesse tornare ad essere cittadino francese»37. Nei mesi successivi venivano ripetutamente lanciati dall’interno dell’Ordine, preoccupati segnali di scarsa attenzione da parte degli organismi pubblici verso le iniziative scientifiche e religiose celebrative dell’evento, anticipando di fatto lo svolgersi alquanto deludente delle manifestazioni celebrative. L’insuccesso delle celebrazioni viene considerato un segnale di allontanamento da parte dei fedeli italiani ed europei nei confronti di questa figura di santo, che nella loro considerazione è stato soppiantato dalla figura di un altro frate, questa volta cappuccino, come San Pio da Pietralcina. Ancora una volta nell’immaginario popolare ad assumere le vesti di garante e protettore dell’esistenza quotidiana è stata una personalità forte, che si è impegnata a livello sociale, con iniziative assistenziali, sia a livello psicologico che fisico, di grande spessore, come attestano le moderne strutture ospedaliere, che sono state create a San Giovanni Rotondo. Non è un caso che a distanza di secoli proprio l’attenzione verso gli umili e i sofferenti abbia contribuito a diffondere la religiosità e la fama di una personalità considerata taumaturgica. Attualmente il successo di San Pio è stato reso egemonico anche dalla grande attenzione che gli hanno riservato i media. Sulle reti nazionali, private e pubbliche, sono stati trasmessi vari sceneggiati sulla vita del santo, nonché continuamente si alternano documentari che ne ricostruiscono gli aspetti storico-religioso di particolare rilievo. Allo stesso modo con immediatezza, coinvolgendo l’opinione pubblica mondiale, la Chiesa si è mossa nei confronti di papa Giovanni Paolo II, sollecitando e sorreggendo la richiesta di santificazione immediata, certamente sulla scia del successo personale che l’operato in vita del papa ha suscitato nel mondo. È comprensibile, perciò, l’appannamento che ha riguardato San Francesco di Paola insieme ad altre figure di santi, che hanno risentito, anche, di una mancanza di attualità delle loro capacità taumaturgiche, rivolte a forme antiche e semplici di guarigioni miracolose, che non abbracciano le attuali e complesse problematiche della salute.
Un dato in controtendenza, a quanto prima rilevato, è costituito dalla notizia riportata sul portale dell’Ordine dei Minimi, secondo la quale a partire dal momento in cui si è aperto il portale web www.francescodipaola.info, nell’aprile 2007, dopo tre giorni i contatti da parte dei fedeli italiani all’estero sono divenuti così numerosi da intasare il sito, che si avvia a tutt’oggi a celebrare il milione di utenti. Si tratta di un fenomeno residuale e di sopravvivenza del culto paolano, presso i milioni di emigrati e di figli di emigrati di italiani all’estero, che non hanno ancora sostituito del tutto nel patrimonio della loro credenza religiosa la figura di Francesco con altre e più recenti personalità taumaturgiche. Tutto ciò testimonia che l’Ordine dei Minimi e l’«industria del santo» che, nell’ultimo trentennio, si è tentato di realizzare, non sono stati capaci di restare al passo coi tempi proprio in Italia, sua patria d’origine. Sul piano storico questa debolezza dell’ordine ha origini lontane. I Minimi, pur usufruendo della forte spinta che la fama taumaturgica e morale del santo gli aveva procurato, all’avvio dell’età moderna, non erano mai riusciti ad esprimere una originale forma di presenza presso le comunità dei fedeli in cui agivano in varie parti del mondo. Una testimonianza emblematica si ricava dagli studi più recenti condotti sulla presenza dell’ordine a Paola. Qui nel corso dell’età moderna il convento dei Minimi svolse un ruolo importante nella cittadina, ma solo a livello finanziario e come fornitore di servizi religiosi ai ceti medio-alti della società paolana. Non è un caso che già nel corso del Settecento nei confronti della presenza dell’ordine erano state formulate forti critiche e che tale freddezza tra popolazione e padri minimi caratterizzò anche il corso dell’Ottocento come si evince dalle precarie condizioni degli edifici in cui le istituzioni religiose dovettero vivere38.
Per concludere, sono ormai emerse nelle indagini scientifiche dell’ultimo trentennio le ragioni del successo del culto di Francesco di Paola, in un ambito europeo occidentale e nel nuovo mondo all’avvio dell’età moderna, mentre le ragioni dei sintomi di mutamento e di abbandono, soprattutto in Europa, del culto paolotto costituiscono un campo di indagine a carattere socio-religioso in cui lo storico, allo stato attuale, sembra muoversi, anche per la scarsità dei dati disponibili, con qualche difficoltà interpretativa.
















NOTE
1 F.F. Frugoni, I fasti del miracolo S. Francesco di Paola, Venezia, 1668, p. 429.^
2 R. Benvenuto, Dalle origini al Quattrocento, in Aa.Vv. Paola storia cultura economia, a cura di F. Mazza, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1999, pp. 32-41.^
3 F. Cozzetto, Mezzogiorno e demografia nel XV secolo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1986, p.148.^
4 F. Preste, Centuria di lettere del glorioso patriarca S. Francesco di Paola, Roma, 1655, pp. 76-77.^
5 G. Delille, Demografia, in Storia del Mezzogiorno, vol. VII-1°, Napoli, Edizioni Del Sole, 1991, pp. 26 sgg.^
6 F. Cozzetto, Mezzogiorno e demografia, cit., p. 148.^
7 R. Benvenuto, Dalle origini al Quattrocento, cit., p. 44.^
8 Anonimo, Vita di San Francesco di Paola, a cura di N. Lusito, Edizioni Santuario-Basilica di San Francesco, Paola, 1967, p. 12.^
9 A. Galuzzi, L’eremita Baldassarre da Spigno e il diploma Decet nos di monsignor Pirro Caracciolo. Osservazioni e ipotesi di studio, in «Bollettino ufficiale dell’ordine dei Minimi», 16 (1970), pp. 232-235.^
10 I codici autografi dei processi cosentino e turonense per la canonizzazione di San Francesco di Paola (1512-1513), Curia generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1964, p. 146.^
11 G. Fiorini Morosini, L’aspetto penitenziale della spiritualità dei Minimi, Curia generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1976, pp. 1-9.^
12 A. Galuzzi, L’eremita Baldassarre, cit., pp. 239-242.^
13 Cit. in Idem, La Societas pauperum eremitarum di Paola dalla Decet nos alla conferma pontificia, in «Bollettino ufficiale dell’Ordine dei Minimi», 22 (1976), p. 41.^
14 C. Vecce, San Francesco e la cultura letteraria e umanistica nella Napoli aragonese, in “San Francesco di Paola e l’Ordine dei Minimi nel Regno di Napoli”, Convegno di studi, Napoli 27-28 aprile 2007. Per tutte le citazioni riguardanti le relazioni di questo convegno ho utilizzato le schede redatte personalmente.^
15 A. Galluzzi, Origini dell’ordine dei Minimi, Pontificia Università Lateranense, Roma, 1967, pp. 132-135.^
16 G. Barbieri, M. Cordaro, S. Scarpino, Francesco di Paola Santo d’Europa. Vita, opere e testimonianze iconografiche, Effesette, Cosenza, 1982.^
17 E. Pontieri, Per la storia del regno di Ferrante di Aragona re di Napoli. Studi e ricerche, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1969, pp. 375-376.^
18 C. Vecce, San Francesco e la cultura letteraria e umanistica nella Napoli aragonese, cit.^
19 Ibidem.^
20 Ibidem.^
21 M. Zaggia, Tra Mantova e la Sicilia nel Cinquecento, Firenze, Olschki, 2003, vol. I, pp. 1-145.^
22 Y. Labande-Mailfert, Charles VIII et François de Paule. Les grandes questions du Règne, in San Francesco di Paola. Chiesa e società del suo tempo. Atti del convegno internazionale di studi (Paola, 20-24 maggio 1983), Curia generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1984, pp. 213 sgg.^
23 A. Galluzzi, Padre Bernardo Boyl dei Minimi primo evangelizzatore inviato dal papa nel Nuovo Mondo, in «Bollettino ufficiale dell’Ordine dei Minimi», 38 (1992), pp. 336-356.^
24 F. Pistoia, La pace in San Francesco di Paola, in San Francesco di Paola. Chiesa e società del suo tempo, cit. pp. 315 sgg.^
25 G. Sodano, San Francesco di Paola: l’itinerario del santo e la diffusione del culto, in Pellegrinaggi e itinerari dei santi nel Mezzogiorno medievale a cura di G. Vitolo, Napoli, 1999, pp. 79-89.^
26 S. Boesch Gajano, La santità di Francesco di Paola fra esperienza religiosa e riconoscimento canonico, in San Francesco di Paola e l’Ordine dei Minimi nel Regno di Napoli, Convegno di studi, Napoli 27-28 aprile 2007.^
27 F. Russo, Bibliografia di San Francesco di Paola, Roma, 1967; Idem (a cura di), Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco di Paola, in Atti del convegno internazionale di studio, Paola 7-9 dicembre 1990, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1992.^
28 M. Campanella, Insediamenti dei Minimi nel Regno di Napoli fra XV e XVII secolo in San Francesco di Paola e l’Ordine dei Minimi nel Regno di Napoli, Convegno di studi, Napoli 27-28 aprile 2007.^
29 F. Capobianco, Il tempio dei Borbone. La chiesa di San Francesco di Paola in Piazza Plebiscito a Napoli, Napoli, 1999.^
30 G. Caridi, A. Savaglio, Dalla prima restaurazione borbonica alla grande guerra, in Aa.Vv. Paola storia cultura economia, a cura di F. Mazza, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1999, pp. 32-41.^
31 Ivi, pp. 147-48, 152-154; Ascs, Gabinetto di prefettura, f. 2.^
32 Sulla politica urbanistica cfr. Archivio comunale di Paola (da ora Acp), Delibere del consiglio comunale (da ora Dcc), 1° agosto 1978, 22 marzo 1979; sul movimento franoso che interessò 11 ettari di territorio e bloccò per anni la strada statale 18 cfr. ivi, 3 dicembre 1980; sulla richiesta di rimozione del vincolo idrogeologico che impediva l’edificazione della nuova basilica, cfr. ivi, 20 ottobre 1989.^
33 P. Amato, Il nuovo santuario di San Francesco di Paola: architettura e committenza, Paola, 2000.^
34 A. Carbonelli, In tono minore, anzi minimo in «Il Quotidiano della Calabria» 3 aprile 2007.^
35 R. Losso, Poche iniziative per il Santo di Paola, ivi, 1° aprile 2007.^
36 Cfr. sulle iniziative della regione Calabria «Gazzetta del Sud» 2 aprile 2007; sulla cronaca della giornata del cinquecentenario cfr. ivi, 3 aprile 2007, p. 34.^
37 G. Fiorini Morosini, V centenario della morte di San Francesco di Paola. Discorso inaugurale della solenne celebrazione: 2 luglio 2006, in «Bollettino Ufficiale dell’ordine dei Minimi», 52 (2006), pp. 330-332.^
38 G. Galasso, F. Cozzetto, Una città nel Mezzogiorno moderno in Aa.Vv. Paola storia cultura economia, cit., pp. 99-111; Archivio di Stato di Cosenza, Paola santuario giubilare: Pietà popolare e vita materiale nel convento di San Francesco (secolo XVXIX), Editoriale progetto 2000, Cosenza, 2000, passim.^
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