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Prima di Meinecke. Karl Hillebrand e le origini dello storicismo
di Anna Maria Voci
Nel marzo 1939, tre anni dopo la pubblicazione della sua terza grande monografia di Geistesgeschichte, Die Entstehung des Historismus1, e lo stesso anno in cui ripubblicava in una breve silloge cinque saggi sul “senso storico ed il significato della storia”, aggiungendovi un nuovo Contributo alla storia dell’origine dello storicismo e dell’idea individualistica di Schleiermacher2, Friedrich Meinecke3 esprimeva un suo parere per il quale, tra gli uomini che nel secolo precedente erano riusciti meglio degli altri a riconoscere e comprendere (“erkennen”) l’essenza del loro tempo, due emergevano senz’altro su tutti gli altri, e cioè Karl Hillebrand, con la raccolta di suoi saggi degli anni ’70 (Zeiten, Völker und Menschen), e Theodor Mommsen con le sue Akademische Reden, uscite tra gli anni ’70 e ’90. Su Mommsen non era necessario dire null’altro. Ma Hillebrand, allora, quando Meinecke scriveva questa nota, era un personaggio pressoché sconosciuto non solo al grande pubblico, ma anche a buona parte della più ristretta cerchia degli intellettuali. Tant’è che Meinecke sente il bisogno di aggiungere: «Karl Hillebrand heute halb vergessen, mit Unrecht. Denn er war einer der ersten deutschen Schriftsteller durch ein Jahrzehnt hindurch. Sein merkwürdiges Schicksal […]»4. E, con questo accenno al «suo singolare destino», Meinecke allude con ogni probabilità proprio alla tenue e debole fama postuma che il fatum, appunto, riservò a Hillebrand5.
Ma cosa conosceva Meinecke della produzione intellettuale dello storico, storico delle letterature moderne, saggista e pubblicista Karl Hillebrand (1829-1884)? Dal cenno appena ricordato, contenuto in un suo scritto autobiografico, e da un’altra fugace menzione in una lettera allo storico Wilhelm Steffens del 5 novembre 1938, si ricava che la conoscenza di Meinecke della produzione di Hillebrand era di fatto limitata all’opera in 7 volumi Zeiten, Völker und Menschen6, usciti tra il 1874 ed il 1885. Nei primi sei volumi l’Autore aveva raccolto numerosi suoi saggi storico-culturali, letterari e anche politici, già pubblicati altrove, mentre l’ultimo, postumo, era stato pubblicato a cura della moglie, Jessie Hillebrand. Nella sua lettera a Steffens Meinecke fa però una osservazione eloquente e non casuale, dalla quale il lettore comprende subito che cosa del pensiero di Hillebrand egli soprattutto sentiva in sintonia col proprio: Meinecke rileva che lo stesso Hillebrand sapeva bene e aveva più volte affermato che il «periodo migliore dello spirito tedesco» («die gröbte Zeit des deutschen Geistes») si era definitivamente chiuso intorno al 1830, dunque all’incirca con la morte di Goethe.
Naturalmente la produzione di Hillebrand non era limitata ai sette volumi dell’opera sopra ricordata. Essendo egli ancora in vita altri suoi libri erano usciti, ad esempio uno in francese, nel 1867, sulla Prussia contemporanea7, cui l’anno seguente egli fece seguire un altro, sempre in lingua francese, di studi italiani8, e inoltre il libricino, uscito anonimo nel 1874, ma la cui paternità fu subito identificata, contenente dodici lettere di un “eretico in fatto di estetica”9, i due volumi, scritti in tedesco, di una storia della Francia che, nel piano originario, doveva andare dal 1830 al 1870, ma, a causa della sua morte, rimase interrotta al 184810, infine un libro, uscito nel 1880, che raccoglieva sei conferenze sulla storia del pensiero tedesco dalla Guerra dei Sette Anni alla morte di Goethe, tenute in inglese a Londra nel 187911.
Parecchie sue altre cose, però, sparse nelle principali riviste straniere (francesi, inglesi, nord-americane, italiane12) erano difficilmente reperibili. Solo nel 1941 e nel 1955 parte di questi membra disiecta fu raccolta, rispettivamente da Julius Heyderhoff13 e Hermann Uhde-Bernays14, e pubblicata. Sembra quasi superfluo rilevare che questa dispersione della produzione intellettuale di Hillebrand non facilitò certamente la diffusione della conoscenza della sua opera.
La lettura della raccolta Zeiten, Völker und Menschen procurò comunque un vero piacere a Meinecke, come attesta egli stesso nella lettera sopra ricordata del 5 novembre 1938, e gli dovette instillare una grande ammirazione non solo per lo stile brillante e molto colto del saggista Hillebrand, ma anche per lo spessore intellettuale dei suoi studi. In uno degli aforismi di Meinecke risalenti al 1942 troviamo infatti scritto che il «senso per l’individuale nella storia», cioè uno dei fondamenti dello storicismo secondo la nuova definizione di esso data da lui stesso, era nel complesso divenuto più profondo fino alla sua epoca. Ma nel secolo XIX, oltre a Ranke, solo alcuni altri, pochi spiriti scelti lo avrebbero posseduto a fondo, emergendo così di gran lunga sui loro contemporanei. A suo parere, questi spiriti erano Jakob Burckhardt, Carl Justi, Wilhelm Dilthey, e proprio Karl Hillebrand15.
Ai fini di questo saggio importa notare che, a quanto pare, Meinecke non conobbe soprattutto due scritti di Hillebrand, nei quali, credo, egli avrebbe potuto ritrovare parte delle numerose riflessioni sullo storicismo che, a partire almeno dagli anni ’10, occuparono sempre più la sua mente. Ivi avrebbe potuto trovare anche parte delle conclusioni cui egli pervenne in anni, appunto, di meditazioni sul tema delle origini dello storicismo. Anni dopo, nel 1939, egli ricorda, infatti, che le questioni collegate a quel grande tema gli «si aggiravano nella mente da decenni, non semplicemente come problemi specifici dello storicismo bensì come problemi vitali nel senso più elevato»16, e che, sin dall’inizio, oggetto del suo studio era stata la ricerca delle «radici dello storicismo nella vita spirituale, alla rilucente favilla d’una visione e formazione individualizzatrice della vita»17.
Basandosi sulla testimonianza autobiografica dello stesso Meinecke, è stato ricordato altrove che, con la venuta di Ernst Troeltsch a Berlino, nel 1915, questi, Meinecke e Otto Hintze cominciarono a incontrarsi regolarmente nel Grunewald18, lungo i cui viali alberati essi passeggiavano e, possiamo immaginare, discutevano, tra l’altro, proprio dei problemi connessi al concetto di storicismo; e fu proprio Troeltsch, il quale aveva cominciato a usare il termine Historismus nel 1913, a introdurlo nel dibattito e a indurre quindi Meinecke ad adottarlo19. Fu, come è noto, solo molti anni dopo che Meinecke diede una forma scritta compiuta ai risultati di queste lunghe meditazioni, di molti anni di letture e degli impulsi ricevuti dai colloqui con i colleghi.
I due scritti di Hillebrand cui sopra si è accennato sono un lungo saggio su Herder, apparso per la prima volta in tedesco nel 1955, nella traduzione dall’originale inglese fattane da Hermann Uhde-Bernays20, e pubblicato originariamente tra il 1872 ed il 1873 nella «North American Review», e il volume di Six Lectures on the History of the German Thought from the Seven Years’ War to Goethe’s Death, pubblicato a Londra nel 188021. Se Meinecke avesse conosciuto questi testi avrebbe, forse, menzionato il loro autore nella Vorbemerkung alla Entstehung des Historismus, dove elenca una serie di autori tutti tedeschi, ad eccezione dell’italiano Giorgio Falco, dai quali egli trasse spunti e materia di riflessione. In particolare Meinecke avrebbe avuto una buona ragione per menzionare l’opera precorritrice di Hillebrand perché fu proprio lui, Meinecke, che riuscì a portare a termine quel compito impegnativo sommariamente tratteggiato da Hillebrand nel 1879, nella sua prima Lecture, quando scriveva:

A new idea has been thrown into the world, which has profoundly modified our whole course of thought. Now this idea has been elaborated in Germany, and it is the history of this elaboration which is still to be written, and of which I venture to offer something like a general programme, the outlines of a plan, which it would require volumes to fill in22.

Questa “nuova idea”, uscita, per reazione al razionalismo astratto francese, da quel grande laboratorio del pensiero filosofico e storico europeo che, secondo Hillebrand, fu la Germania a partire almeno dal secolo XVIII, fu «the idea of Organism»23, il termine, cioè, che racchiude in sé un concetto di unicità irripetibile, «the idea of organic and historical development, which is properly the German idea»24, fu, come lo chiama anche Hillebrand, solo una volta nelle sue Lectures, lo historicism, ovvero «the great German idea»25.
Pure Hillebrand, come dopo di lui Meinecke, tornava continuamente a riflettere (da solo o con qualche amico, forse anch’egli passeggiando per il Lungarno o lungo i giardini di Firenze) sui diversi aspetti di quel tema così avvincente che era la nascita della «new German idea», perché evidentemente anche per lui esso toccava l’essenza più intima e profonda dell’uomo e della sua storia e toccava altresì il legame vitale e veramente cosmico esistente tra l’uomo e la sua storia con la natura, il creato. Il filosofo italiano Giacomo Barzellotti, che conobbe e frequentò molto spesso Hillebrand a Firenze, che, anzi, si definisce suo «intimo», con il quale Hillebrand «scambiava […] idee, sentimenti, aspirazioni», ci ha lasciato una testimonianza interessante nel necrologio a quest’ultimo:

Il concetto dominante della critica di Carlo Hillebrand, l’unico che egli, poco propenso com’era alle astrazioni, abbia più volte espresso anche in forma di principio generale, è quello che la Germania dall’Herder in poi contrappose al metodo del Razionalismo inglese e francese: il concetto, già intuìto dal nostro Vico, di una legge di continuità, di sviluppo organico, intima alla vita, non solo della natura, ma anche della società e delle forme del pensiero e dell’arte. È il concetto da cui uscirono le scienze storiche, e che oggi investe e trasforma a vista d’occhio tutta la scienza della natura, e ci fa pensare le istituzioni, i grandi prodotti della coscienza religiosa e del genio umano, non quali apparivano alla mente del secolo passato, come effetti arbitrari della riflessione e di volontà individuali, ma come il portato spontaneo e infinitamente vario della vita dei popoli. L’attitudine a vederla da questo aspetto era, se posso dir così, in una piega nativa della mente tedesca, di cui il Goethe esprime così bene in Verità e poesia uno fra i tratti fondamentali, dando come propria all’Hamann e all’Herder l’idea «che quanto l’uomo vuol produrre nel pensiero, nella vita o nell’arte deve nascere dall’armonia di tutte le sue facoltà cospiranti tra loro»26.

Scopo di questo saggio è di dimostrare che i punti salienti della nuova definizione “chiarificatrice”27 data da Meinecke a partire dagli anni ’20, e, poi, culminata nell’opera sulle origini dello storicismo28 (nozione intorno alla quale fino ad allora si era discusso in Germania «con incertezza e imprecisione di concetti»29), erano stati colti già da Hillebrand circa quaranta anni prima di Meinecke. Hillebrand precedette pertanto anche l’intuizione di Dilthey, che, nel suo saggio sul secolo XVIII e il mondo storico (1901), osservò rapidamente che il senso per l’individuale e per il genetico costituivano l’essenza del nuovo pensiero storico, ricordando Möser, Winckelmann, Hamann e Herder30.
Con questo non si vuole togliere nulla alla grandezza di Meinecke. Si vuole solo far notare che fu Hillebrand il primo ad avere l’intuizione della dimensione e del carattere della novità apportata al pensiero europeo dallo storicismo, dal nuovo “senso della storia” nato in Germania nel secolo XVIII, e che fu lui a dare «a fertile hint»31, un cenno fecondo delle implicazioni e degli aspetti di quel complesso tema che, poi, Meinecke, e solo lui, raccogliendo inconsapevolmente l’auspicio formulato decenni addietro da Hillebrand, riuscì ad elaborare in un «well established system, worked out by proofs and convincing arguments»32. In questo saggio mi sono limitata a illustrare solo alcuni tra gli innumerevoli spunti e le numerose suggestioni offerte dal confronto tra i testi di Hillebrand e di Meinecke.
Come è noto, Meinecke rinvenne alcuni precursori dello storicismo in un grande moto d’idee europeo, al quale parteciparono Vico, Leibniz, Shaftesbury, Montesquieu, Voltaire, Hume, Robertson, Gibbon, i preromantici inglesi, Burke, e che culminò nel «movimento tedesco» (come suona il titolo del secondo libro della Entstehung des Historismus), i cui principali rappresentanti, a suo giudizio, sono Justus Möser, Johann Gottfried Herder e, soprattutto, Johann Wolfgang Goethe, «die drei gröbten und wirksamsten unter den ersten Wegbahnern des neuen historischen Sinnes im 18. Jahrhundert»33. In generale, i prodromi, anche non tedeschi, della nuova sensibilità storicistica sono trattati da Meinecke incomparabilmente più in extenso rispetto a Hillebrand, il quale, nell’ambito del tema delle sue Lectures, che è, ricordo, la storia del pensiero tedesco tra 1760 circa e 1830 circa, nomina, sì, brevemente Klopstock, Wieland, Hume, Pope, Johnson, Lowth, Wood, Young, Macpherson, Diderot, e, meno brevemente, Winckelman, Lessing e Rousseau, ma, ad esempio, non menziona Justus Möser, la cui importanza nell’evoluzione del pensiero storicistico è, come si sa, molto considerata da Meinecke. Quanto a Vico, al cui ruolo nel movimento di pensiero detto dello storicismo filosofico fu dedicato, proprio lo stesso anno in cui Hillebrand pubblicava le sue Lectures, un libro da Karl Werner34, egli viene menzionato da Hillebrand, ma solo in relazione alla questione omerica, per difendere Herder dall’accusa di aver plagiato un’opinione espressa prima di lui appunto da Vico. Hillebrand è dell’opinione che, pur essendo stato Vico uno dei più grandi spiriti mai vissuti, che intuì e annunciò alcune teorie e leggi in seguito riconosciute giuste, la sua influenza sulle generazioni a lui seguenti fu tuttavia minima, e pertanto la sua importanza per la ricerca storica non può essere la stessa di quella di Herder35. È questa una tesi che, se l’avesse conosciuta, certamente sarebbe stata fortemente disapprovata da Croce, il quale ebbe a muovere qualche rilievo critico persino a Meinecke, per aver questi trattato, sì, di Vico «in un accurato e diligente paragrafo» della Entstehung, senza però assegnargli «il posto unico» che, a suo parere, gli sarebbe spettato come solo vero e proprio precursore dello storicismo36.
La trattazione sommaria di Hillebrand ha una ragione evidente. A differenza di Meinecke, lo scopo di Hillebrand non fu quello di dare una sistemazione teorica e coerente di quel fenomeno spirituale che fu l’avvento dello storicismo nel secolo XVIII, né di analizzarne a fondo, come fece Meinecke, le radici speculative, da quest’ultimo identificate nell’Illuminismo, nel Pietismo, nel Panteismo e nel Platonismo. È vero che nelle Lectures e nel saggio su Herder si trova qualche accenno a queste radici, al pietismo (la riscoperta dell’interiorità dell’uomo), al pensiero platonico (la riscoperta del valore della conoscenza intuitiva di forme tipiche), al Panteismo (il senso di intima congiunzione con la natura) e all’Illuminismo (la ribellione della ragione al giogo dell’autorità) quali matrici del senso dell’individualità e dello sviluppo, dello sviluppo dell’organismo, essenza della «new German idea». Nei testi di Hillebrand si trova pure qualche cenno all’importanza della rivalutazione della natura, «die gute Mutter», nei preromantici inglesi, per illustrare la quale (e mi pare un particolare interessante) sia Hillebrand che Meinecke citano il nuovo gusto inglese del giardino semplice e non artefatto alla maniera francese, che venne di moda nel corso del ’70037. Manca tuttavia in Hillebrand la percezione, così presente e pressante in Meinecke, della importanza della matrice neoplatonica nel pensiero storicistico di Herder38, per il quale Hillebrand si limita invece ad accennare alla grande influenza su di lui esercitata dalla concezione panteistica di Spinoza39, nonché a qualche richiamo a Shakespeare, Rousseau e, naturalmente, Hamann40. Si tratta di motivi che, dopo di lui, Meinecke, come si sa, sviluppò ampiamente.
Come recita il titolo delle sue Lectures, Hillebrand si proponeva semplicemente di esporre davanti ad un pubblico non tedesco e non specialista le linee generali di svolgimento del pensiero tedesco tra il 1760 ed il 1830 circa, nel quale un ruolo veramente centrale ha la scoperta di un nuovo senso storico. Nonostante la modestia che gli fa dire ai suoi ascoltatori britannici: «I give you the result neither of special investigation, nor of personal thought; but only what is the common property of every cultivated German»41, in realtà egli, consapevolmente o inconsapevolmente, riuscì a comunicare qualcosa di nuovo perché dimostrò di aver colto l’essenza della novità costituita per il pensiero occidentale del XVIII secolo dalla rivoluzione spirituale operata dalla nuova concezione dell’uomo e della storia contenuta, a suo giudizio, soprattutto nell’opera di Herder. Basta infatti confrontare le idee esposte da Hillebrand nei testi che verranno analizzati qui di seguito con il lungo articolo biografico su Herder di Rudolf Haym apparso nel 1880 nella Allgemeine Deutsche Biographie42, dove ci si limitava a riassumere gli aspetti noti della filosofia della storia di Herder, per cogliere la differenza. Manca qui proprio quello che si trova nei saggi di Hillebrand e che precorre la nuova definizione data poi da Meinecke dello storicismo: l’individuazione dei due principali elementi di novità insiti nel nuovo senso storico sviluppatosi soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo XVIII, in particolare grazie a Herder. Hillebrand intuì la novità dirompente del binomio individualità-evoluzione come matrice del nuovo senso storico e ne ascrisse il merito principale a Herder. Segnalo, inoltre, per fare un altro esempio, un saggio di Karl Lamprecht del 1897 dedicato a Herder e Kant quali teorici della scienza storica, nel quale si affrontano le principali categorie della filosofia della storia herderiana, ma manca del tutto il tema dell’origine dello storicismo43.
Le Lectures tenute da Hillebrand a Londra, presso la Royal Institution of Great Britain, nel maggio e giugno 1879 erano incentrate sulle tre generazioni di intellettuali, quella di Winckelmann, Kant e Lessing; quella di Herder, Goethe e Schiller, e infine quella dei fratelli Schlegel e dei fratelli Humboldt, che, a partire dalla fine della Guerra dei Sette Anni, grazie anche alla ricezione di impulsi fecondi provenienti dal pensiero francese (soprattutto Rousseau) e da quello dei preromantici inglesi, avevano gettato le fondamenta di una cultura tedesca nuova e nazionale, e avevano segnato «the period during which Germany was acquiring the intellectual hegemony, i.e. from about 1763 to about 1830»44. Per la quarta conferenza, cui diede il titolo The Reign of Herder (1770-1786), Hillebrand utilizzò il lungo saggio già pubblicato nel 1872-1873.
Già in questa esposizione sintetica del contenuto delle Lectures si vede l’analogia con l’argomentazione svolta da Meinecke nel suo libro, e poi ripresa in altri suoi scritti, per il quale

esattamente con la fine della guerra dei Sette Anni e in stretto rapporto con la coscienza nazionale ch’essa creò, il movimento tedesco comincia a instaurarsi più vigorosamente, e, fecondato da parte dell’Inghilterra come dalla Francia, a incrementare le tendenze preromantiche. Herder e Goethe si presentano adesso quali veri e propri e più vigorosi pionieri dello storicismo45.

Dopo Lessing, che aveva liberato la Germania dalla «Tyrannei fremder Regeln» nel campo della letteratura (cioè dalle prescrizioni rigide del classicismo francese)46, e dopo Winckelmann, che, con i suoi studi sull’Antichità, gettò nel mondo «il primo seme dell’idea tedesca» di sviluppo organico e storico47, un ruolo assolutamente centrale nella formulazione ed elaborazione della «new German idea» è ricoperto, a parere di Hillebrand, dalla figura del tutto singolare di Herder, che egli chiama una volta «poeta filosofico»48, un’altra «apostolo dell’umanità»49, un’altra lo scopritore del vero senso, del vero spirito della storia50, un’altra, infine, il padre spirituale del secolo XIX51.
Fu Herder ad applicare per primo «a new principle» alla teologia, alla storia, alla poesia, quello della superiorità della natura sulla civilizzazione, dell’intuizione sulla ragione: «The essence of Herder’s ideas lay in continually opposing synthesis to analysis, the individual to rule, spontaneous impulse to conscious action, organism to mechanism, development and growth to legislation and creation – in a word, in placing the fieri above the facere»52. Ritroviamo qui, oltre quaranta anni prima, esposta con maggiore dovizia di termini la definizione sintetica dello storicismo data da Meinecke nel suo libro del 1936: «Der Kern des Historismus besteht in der Ersetzung einer generalisierenden Betrachtung geschichtlich-menschlicher Kräfte durch eine individualisierende Betrachtung»53.
Hillebrand identifica le due componenti, o categorie principali, i due pilastri fondamentali di questa nuova visione storicistica di Herder nel concetto di evoluzione e in quello di individualità54, nell’idea della «organische Entwicklung» o «organic evolution», e in quella della «Unteilbarkeit des Individuums» o «entireness of the individual». Ed aggiunge: «Herder hat in Wahrheit den eigentlichen Sinn der Geschichte entdeckt»; «for it was Herder who discovered the true spirit of history»55. Quindi il nuovo spirito della storia scoperto da Herder consisteva nell’applicazione ad essa dei due principi della individualità e dell’evoluzione.
Anche qui cogliamo subito l’essenza della definizione di storicismo data da Meinecke in prosecuzione ed esplicitazione della sua definizione in precedenza ricordata: «Historismus ist eben zunächst nichts anderes als die Anwendung der in der groben deutschen Bewegung von Leibniz bis zu Goethes Tode gewonnenen neuen Lebensprinzipien auf das geschichtliche Leben»56. In questo passo Meinecke parla di «Lebensprinzipien», un’espressione molto generale con la quale egli si riferisce ai due nuovi principi dell’individualità e dello sviluppo, cioè proprio agli stessi già intuiti da Hillebrand. In uno scritto successivo egli tornò sul significato del termine Lebensprinzipien, specificando che, con esso, egli aveva inteso alludere ad «una nuova visione della vita umana in genere da cui soltanto scaturì quel principio scientifico», il principio dello storicismo57. Altrove Meinecke parla di «principi della coscienza storica» o di «nuovi principi vitali per la conoscenza e l’azione» alla base della nozione di storicismo, che egli individua sempre nel «senso dell’individualità e dell’evoluzione nella storia»58. Insomma, quelli che Hillebrand chiama «die beiden fundamentalen Lehrsätze Herders», «Herder’s two fundamental principles»59, e Meinecke i due «principi di vita» o «die neuen Grundgedanken»60 informanti il nuovo senso storico, lo storicismo, sono riconosciuti da entrambi nell’idea di individualità e in quella di sviluppo.
Hillebrand nota che Herder trasferì il concetto di evoluzione dal mondo della natura inanimata (delle piante) a quello dell’uomo, della sua attività intellettuale, e della storia umana61. Quanto al ruolo ispiratore svolto dal mondo naturale per il nuovo pensiero storicistico di Herder, un aspetto del pensiero di quest’ultimo peraltro già notato, pur se in modo generico, dagli studi ottocenteschi (come dimostra la voce biografica di Haym sopra ricordata62), in Meinecke, nel capitolo della Entstehung dedicato a Herder, esso non è esplicitato in un solo passo con la stessa nettezza che si trova in Hillebrand. Meinecke analizza però il modo in cui tale idea si svolge nel pensiero di Herder, evidenziandone, mi pare, più i tratti che rimandano al principio di individualità: un nuovo, più forte e profondo senso dell’interiorità e dell’io; la comprensione intuitiva delle cose mediante lo sforzo della totalità delle forze umane. Ciò non toglie, però, che anche Meinecke rilevi naturalmente l’importanza in Herder del «vegetativer Entwicklungsgedanke» del «concetto vegetativo dell’evoluzione»; egli sostiene che la prima forma dell’idea di sviluppo herderiana fosse di carattere vegetativo-biologico, e parla inoltre di una «concezione geniale» di Herder, che sarebbe consistita nel suo «herrlicher Sinn für das naturhaft wachstümliche in der Geschichte», «il suo meraviglioso intuito dei fenomeni di crescenza e di evoluzione organica nella storia», dal quale potè nascere «jener grobartige historische Relativismus […], der jede Epoche als Mittel und als Selbstzweck, als Individualität wie als Stufe einer Entwicklung zugleich anzusehen vermochte»63, dove si nota come Meinecke, di nuovo, a differenza di Hillebrand, tenda a portare il discorso sull’idea di individualità, in lui effettivamente onnipresente. E, ancora, proprio lo stretto legame esistente, sia per Herder che per Goethe, tra «Menschheit und Natur […] als ein einziger, einheitlicher, aber stufenweiser Kosmos wirkender, aus einem göttlichen Urgrunde fliebender Kräfte» Meinecke considera come uno dei principali effetti in entrambi dell’influenza del pensiero neoplatonico64, mentre in Hillebrand la dimensione di questa radice speculativa non è colta, come si è detto, appieno.
Quello che mi preme far notare è però che è proprio quella idea del trasferimento al mondo dell’uomo e al mondo storico dei due principi fondamentali esistenti in natura (l’individualità e l’evoluzione), già espressa, pur se parzialmente, da Hillebrand, a dare un senso ancor più compiuto alla definizione data da Meinecke ai due principi dello storicismo come «Lebensprinzipien», una definizione contestata da Croce, ma, mi pare, sulla base di una del tutto diversa impostazione speculativa logico-filosofica, che diffidava degli elementi indubbiamente irrazionali insiti nella definizione di Meinecke65.
Hillebrand aveva inoltre affermato che il principio dell’individualità in Herder, quello della «Unteilbarkei des Individuums» sprigionava dall’unione di tutte le facoltà possedute dal singolo individuo («this primitive entireness of the individual»66), e che «what is true of individuals is true of nations. What they produce – laws, constitutions, religions, poetry – always is, in a way, a collective work, the result of a union of all faculties and forces»67. Meinecke parla di un «Totalitätsgefühl für die geistig-sinnliche Gesamtnatur des Menschen», che è tra i principali presupposti del pensiero storico di Herder, nonché di un processo di evoluzione che investe non solo la personalità del singolo uomo, ma anche le «forze collettive», i «Volks- und Zeitgeister», le «Kollektivindividualitäten» e dunque l’intero processo storico68. Entrambi, Hillebrand e Meinecke, rinvenirono in Johann Georg Hamann l’ispiratore di questa convinzione di Herder69.
Secondo Hillebrand fu Herder che trasferì per primo nel campo della poesia, della religione e della politica anche «das Prinzip des Schöpferischen», il principio della creazione intellettuale spontanea, della comprensione intuitiva delle cose, della «individuelle Einbildungskraft», elemento irrazionale, originariamente applicato da Eraclito alla metafisica70. Ritroviamo un concetto molto simile in Meinecke, ma da lui applicato in primo luogo al mondo della storia: egli afferma che Herder fu il geniale scopritore di nuove provincie della vita storica, «Schöpfer einer neuen Methode der Einfühlung», una parola creata proprio da lui, Herder, «mit der auch alle diejenigen Provinzen, die er selbst noch beiseite lieb für die historische Erkenntnis nach und nach gewonnen werden konnten»71.
A giudizio di Hillebrand principale motore del rivolgimento spirituale portato dalla nuova concezione dell’uomo e della sua storia fu la reazione, l’opposizione al pensiero giusnaturalista razionalista francese. Vediamo, come si sa, questa idea svolta poi anche da Meinecke, che asserì come, alle sue origini «alles kam darauf an, das starre naturrechtliche Denken mit seinem Glauben an die Unveränderlichkeit der höchsten menschlichen Ideale und an die zu allen Zeiten vorhandene Gleichartigkeit der menschlichen Natur zu erweichen und in Flub zu bringen»72. Occorreva cioè superare e liberarsi dall’irrigidimento nel quale la mente umana era finita in virtù del giusnaturalismo, del pragmatismo e dell’intellettualismo illuministico, che partivano dalla supposizione che la natura e la ragione umane fossero in tutti i tempi rimaste sempre le medesime «e che i corsi storici quindi si ripetessero»73. Come per Hillebrand, anche per Meinecke un ruolo chiave in questa reazione fu svolto da Herder:
nel medesimo anno 1769 in cui il celebre Essai sur les moeurs et l’esprit des nations di Voltaire riceveva la sua forma definitiva, il giovane Herder nella sua traversata marittima da Riga in Francia scriveva riflessioni […] che infersero il più vigoroso colpo al diritto naturale, all’Illuminismo e alla storiografia dell’Illuminismo. Il nócciolo di queste idee era l’interesse – che si destava per la prima volta in lui – per l’evoluzione e per l’individualità nella storia74.


Già prima di lui, Hillebrand, nel 1879, aveva sottolineato l’importanza centrale che quel viaggio burrascoso e faticoso aveva avuto nell’evoluzione spirituale del giovane Herder, osservando che il diario da lui scritto in quelle settimane (Tagebuch einer Reise) contiene «den Ursprung von seinen sämtlichen Gedanken, die nachher die Geschichte, die Theologie und die Literatur in Deutschland verjüngt haben»75, cioè l’origine del suo nuovo senso storico. Troviamo qui, di nuovo, Hillebrand e Meinecke riprendere una considerazione ben nota, la rilevanza di quella traversata in mare per la maturazione interna di Herder76, arricchendola però di una interpretazione nuova che la inserisce nel tema dell’origine dello storicismo.
Nella Lecture su The Triumvirate of Goethe, Kant, and Schiller 1787-1800 Hillebrand accenna brevemente al fatto che i medesimi due principi della individualità e dello sviluppo sono presenti anche nell’opera di Goethe e Schiller. Essi dunque condivisero lo stesso concetto storicistico di Herder, in quanto
never ceased to believe […] that all vital creations in nature as in society are the result of growth and organic development, not of intentional, self-conscious planning, and that individuals on their part act powerfully only through their nature in its entirety, not through one faculty alone, such as reason or will, separated from instinct, imagination, temperament, passion, etc.77.

In un lungo saggio del 1937, che esaminava il ruolo svolto, soprattutto per influenza di Goethe, dall’ idea di individualità nel pensiero e nell’opera di Schiller, Meinecke mise in evidenza la parte avuta appunto da Schiller nell’approfondire la scoperta che il legame tra tutte le forze psichiche dell’uomo, la loro «totalità» costituisca un «principio vitale» e, con ciò, anche la «strada per l’individualità»78, il «contributo intimo e personale alle origini dello storicismo» dato appunto da Schiller79.
Quanto a Goethe, Hillebrand percepì che la sua visione della vita e della storia fu da lui acquisita attraverso lo studio della natura, e consiste «in trying to seize the unity of nature in the constant climax of its phenomena up to the highest, the intellectual phenomenon, man». Questa visione differisce da ogni visione simile precedente, soprattutto in quanto «considers the coherence of the universe as a process in time, a history in which or through which nature becomes conscious of itself, not as a connection by links in space only». Ed è proprio questo il punto nel quale si avverte meglio l’influenza di Herder su Goethe. Il mezzo per comprendere questo processo, questa storia, individuata da Goethe nella coerenza intima della natura, è dato dall’organo umano dell’intuizione, che già Herder aveva riconosciuto come la somma tra le facoltà umane. Fu, secondo Hillebrand, durante una passeggiata nei giardini pubblici di Palermo, in mezzo alla vegetazione meridionale, che Goethe ebbe una intuizione fondamentale: a lui si rivelò la legge della metamorfosi delle piante. Egli riscontrò un’analogia tra le diverse parti della stessa pianta, che sembravano ripetersi, cioè risalire tutte, pur nella loro differenziazione, ad una forma originaria ed evolversi allo stesso tempo: «unity and evolution were revealed to him at once»80. Come nelle piante, così nell’uomo: «man lives as an imperishable monad, capable of going through thousands of metamorphoses, but destined to rest on each stage of this unlimited existence, in full possession of the present, in which he has to expand his whole being». È questo il punto nodale del contrasto con Kant, il contrasto tra una visione dell’uomo come di una maglia nella catena della natura, e una concezione che lo estrae dall’ordine della natura inserendolo in un ordine superiore invisibile. È questo il contrasto che ha riempito di sé la storia intellettuale tedesca dal momento in cui Herder aprì le ostilità contro il suo antico maestro, sostenendo l’idea, poi ripresa da Goethe, «the German idea, κατ’ εξοχην, according to which nature is immanent in the human mind, and develops itself by the developing of the conceptions of this mind. For mind is nothing else but nature come to the consciousness of itself; its essence being the essence of nature, its contents the contents of nature»81.
Si tratta, anche qui, di cenni rapidi su Goethe e Schiller, che, qualche decennio dopo, toccò a Meinecke sviluppare sistematicamente e coerentemente nei suoi scritti. Su Schiller si è dato sopra un cenno. Per ciò che concerne Goethe, è noto che il capitolo della Entstehung a lui dedicato è l’apice dell’intera opera, essendo l’autore del parere che con Goethe «lo storicismo sarebbe pervenuto alla sua espressione più ricca»82. La riflessione di Goethe sulla storia, stimolata potentemente da Herder e Shakespeare, condusse, secondo Meinecke, infatti, «ad un ulteriore grandioso sviluppo del senso storico svegliato da Herder e Möser»83.
In quel capitolo egli mostra come, passo dopo passo, l’idea di individualità e quella di sviluppo penetrino e si consolidino nella mente di Goethe, dagli anni giovanili, segnati soprattutto dalle esperienze fatte nella sua città natale, Francoforte, e a Strasburgo, ai primi tempi a Weimar, all’esperienza fondamentale del viaggio in Italia (la «hinreibende Offenbarung», la rivelazione entusiasmante a lui dischiusasi «unter italienischem Himmel»84), agli eventi tumultuosi degli anni rivoluzionari, alla Restaurazione e fino alla sua fine. Mi limito solo a ricordare come anche Meinecke sottolinei e tratti con ampiezza di riflessioni il ruolo che, in Goethe, ha la natura, la quale con i suoi principi dell’individualità e dello sviluppo, riassume in sé anche la vita umana, e, dunque, implicitamente, pure la storia dell’uomo, e mi soffermo solo un po’ di più sulla “rivelazione” manifestatasi a Goethe in Italia. La grande scoperta da lui fatta nei giardini botanici italiani della Urform delle piante e delle loro metamorfosi, consistette soprattutto nel fatto che egli credette di scorgere una legge
la quale trascendeva il carattere meccanico delle leggi naturali fino ad allora note e deduceva le metamorfosi nella vita delle piante non solo da processi fisici e chimici, ma soprattutto da un intimo, arcano principio vitale. La parentela di tutte le piante fra di loro lo condusse all’idea di un tipo originario comune, dimostrabile in tutte, cioè di una‚ pianta originaria suprasensibile e la parentela di tutte le parti esterne della pianta in una stessa pianta lo portò ad accettare una loro originaria identità. Dopo di che, per spiegare le diversità pure esistenti, rimaneva solo da trarre senza sforzo la conseguenza che esse fossero sorte attraverso un’evoluzione graduale dalla pianta originaria. Una vasta zona della natura in tal modo si metteva in moto e subiva cambiamenti, conservando tuttavia un punto immobile, il tipo originario, il quale soltanto si dispiegava in molteplici modi. Veniva così fondato un nuovo rapporto di unità e molteplicità. L’enigma del contrasto veniva sciolto dall’intuizione dell’intima coesione derivante necessariamente dal processo vitale. Il pensiero che ogni singolo organo di una pianta avesse la disposizione a svilupparsi esso stesso, in date condizioni, in una pianta, cioè in una totalità, proiettava la sua luce su una tendenza della vita in generale, sulla tendenza a formare delle totalità85.


Insomma: «In Urformen und Metamorphosen sah Goethe alles Leben sich vollziehen. Auch die Geschichte mubte für ihn von Rechts wegen diesem Gesetze folgen» 86. Questo è un bell’esempio, mi sembra, e ben adatto a mostrare come, inconsapevolmente, Meinecke riprenda, rielabori e sviluppi stupendamente un’idea che, in nuce, era stata già intuita e concisamente espressa da Hillebrand.
A giudizio di Hillebrand la nuova visione dell’uomo e della sua storia, che Herder poggiò sui due nuovi principi, il principio della loro individualità, irripetibilità e unicità, e quello del loro svilupparsi, fluire, e continuo divenire, rappresentò una rivoluzione peculiarmente tedesca i cui effetti toccarono tutti i rami dell’attività intellettuale. Fu questa «the German revolution of thought», che, aperta da Winckelmann e Lessing, venne potentemente promossa da Herder soprattutto nelle scienze storiche, «under which name we comprise not only political and literary history, but also theology, philology, archaeology, and jurisprudence». Nessun altro scrittore riuscì ad esercitare l’influenza che ebbe Herder nel campo della letteratura e della scienza; nessuno prima di lui sparse una tale quantità di semi fecondi, che altri, dopo di lui, seppero raccogliere. La sua rivoluzione è paragonabile a quella operata da Kant nel campo della filosofia, e dalla Rivoluzione francese in campo politico. Dopo Lutero, Herder fu inoltre «the second great Teutonic rebel against the Latin spirit» dopo la prima grande rivolta dello spirito teutonico contro lo spirito latino «which we call Reformation». Il movimento iniziato da Herder in Germania fu generale, e si estese da Königsberg a Zurigo, da Strasburgo a Dresda87. Egli fu il fondatore del pensiero tedesco che, in seguito, liberato, ampliato, diffuso, e rafforzato, trovò, tra il 1775 ed il 1825, la sua somma espressione in Goethe nella poesia, in Hegel, il quale diede all’idea herderiana del fieri una forma dialettica e metafisica88, nella filosofia, in Niebuhr nella storia, in Savigny nella storia del diritto, in Friedrich August Wolf nella filologia classica, in Karl Otfried Müller nella letteratura greca, nei fratelli Grimm nella filologia germanica, nei fratelli Schlegel e la loro scuola di lingua e letteratura comparate, in Wilhelm von Humboldt nella linguistica, in Alexander von Humboldt nelle scienze naturali, e, poi, in David Friedrich Strauss nella teologia89. Tutti costoro non fecero altro che applicare ed elaborare ulteriormente le idee di Herder90. Ma il campo in cui questa rivoluzione fu particolarmente evidente fu quello degli studi storici, dove, fino alla sua comparsa, nella filosofia della storia aveva regnato la più meccanica teleologia, mentre Herder, opponendosi all’idea di un piano provvidenziale preconcetto, sovrintendente al corso della storia, «refused to see anything in history beyond the development of given germs»; «er weigerte sich, mehr zu sehen als die Entwicklung von vorhandenen lebendigen Keimen». Questa idea dell’evoluzione, commenta Hillebrand, «has undoubtedly proved the most fertile of modern ideas»; essa fu «zweifellos einer der fruchtbarsten aller modernen Gedanken»91. Legato a questo concetto dello sviluppo è naturalmente quello del divenire, il principio cioè che ovunque sulla terra tutti gli esseri viventi divengono quel che sono «according to the situation and necessities of place, according to the circumstances and opportunities of time, and according to the inborn or acquired physical and intellectual character of the race»92.
Sembra quasi superfluo notare che rileggiamo nei testi di Meinecke giudizi pressoché uguali. È vero che in Meinecke non troviamo questa stessa convinzione di Hillebrand circa l’ampio raggio di irradiazione del nuovo pensiero storicistico herderiano in tutti i campi delle Geisteswissenschaften. Per Meinecke, però, esattamente come per Hillebrand, lo Historismus costituì una delle più grandi rivoluzioni spirituali portate nel pensiero occidentale dalla Germania, e fu la seconda grande impresa dello spirito tedesco dopo la Riforma: «Das Aufkommen des Historismus war […] eine der gröbten geistigen Revolutionen, die das abendländische Denken erlebt hat»; lo spirito tedesco compì grazie ad essa «die zweite seiner Grobtaten nächst der Reformation»93; «il destarsi di questo senso dell’individualità ed evoluzione nella storia è una delle maggiori rivoluzioni spirituali che l’Occidente abbia vissuto»94. Questo nuovo senso storico reagiva al giusnaturalismo razionalistico e astratto del ’700, contrapponendo l’idea dinamica di un perenne svolgimento della storia (Entwicklung), il senso del suo fluire e del tramutarsi di tutti gli aspetti umani, all’idea pragmatica e teleologica della storia, e l’idea di individualità a quella della perenne uguaglianza, in tutti i tempi, dell’uomo nella storia, con la sua ragione, le sue passioni, le sue virtù95. Anche Meinecke non può fare a meno di soffermarsi sulla teoria herderiana dei germi originari e dell’influenza dell’ambiente nello sviluppo, nella modificazione di essi: il principio dell’evoluzione realizza il miracolo che lo stesso uomo non rimane tuttavia sempre lo stesso uomo96.
Per designare il nuovo movimento di idee nato in Germania e descritto da Hillebrand nei testi qui esaminati questi usa talvolta la locuzione “the German idea”, cioè l’idea di sviluppo organico e storico, oppure “the historical spirit”, o “the historic theory”97. Troviamo una sola volta il termine “historicism” (ed è l’uso più antico del termine finora rinvenibile in testi inglesi98) con il quale egli intende riferirsi, di nuovo, alla “great German idea of evolution” 99. Tale breve definizione del termine historicism, data in questo passo delle Lectures, ci consente di cogliere una differenza tra lui e Meinecke da ricondurre probabilmente al fatto che Hillebrand fu ancora in parte condizionato dalla critica ottocentesca della filosofia della storia herderiana. Mentre, infatti, in Hillebrand è senz’altro il principio dell’evoluzione organica a costituire il vero fulcro della «new German idea», e a essere dunque più posto in risalto, in Meinecke è invece l’altro principio, quello dell’individualità ad essere sottolineato con maggiore insistenza, considerando egli la scoperta di esso come la vera e propria rivoluzione spirituale portata dallo storicismo 100. D’altro canto non vi può essere dubbio che Hillebrand abbia già prima di Meinecke senz’altro intuito la rilevanza dell’idea di individualità. Si è infatti già ricordato il punto centrale del suo giudizio su Herder: per lui l’importanza di Herder consiste in primo luogo nell’aver egli scoperto il vero spirito della storia che risiede nei «two fundamental principles, that of organic evolution and that of the entireness of the individual»101, e anche in altri passi egli sottolinea l’importanza di questa idea dell’individualità102. Il punto è che Hillebrand non sviluppò questo concetto nel modo sistematico che poi riuscì a Meinecke.
Da quanto esposto finora si sarà, spero, ricavata l’idea che Hillebrand e Meinecke usino il termine “storicismo” nella stessa accezione, attribuendogli il medesimo significato. Questo è giusto, e non è affatto ovvio. Non è ovvio perché quel termine è stato usato, sin da quando è registrabile nelle fonti (dal 1797, in Friedrich Schlegel103), in accezioni diverse. Esse si distinguono tra loro per il giudizio di valore attribuito al termine, che fu, nel secolo XIX, prevalentemente negativo, peggiorativo, soprattutto nell’uso che se ne fece nella filosofia, nella teologia ed in economia, lì, cioè, dove la sua applicazione sembrava minacciare, relativizzandoli ad un contesto storico determinato e determinabile, i valori fondanti della società occidentale: la ragione, la religione e il libero mercato. Hillebrand e Meinecke lo usarono invece, come chiarirò qui di seguito, in una accezione positiva. Entrambi inoltre lo considerarono non tanto una geisteswissenschaftliche Methodologie, un approccio metodologico, bensì piuttosto una vera e propria Weltanschauung, che, con la sua scoperta dei due principi vitali dell’individualità e dello sviluppo, storicizza la vita e vivifica la storia. Infine entrambi usarono il concetto di storicismo principalmente come un concetto storico, pertinente cioè all’uomo come soggetto della storia e alla storia dell’uomo, non come una dottrina filosofica, come si era prevalentemente fatto nel XIX secolo. Già Hillebrand, insomma, ben prima di Meinecke e Troeltsch104, usò il termine storicismo per indicare un concetto storico, e cioè quella forma particolare di senso della storia o di pensiero storico, che, nata nel secolo XVIII in Germania, lì si sviluppò soprattutto, e poi si impose nel corso del secolo successivo.
Fino a qui i prevalenti punti di contatto che si è creduto di rinvenire tra i due. Vi è però una differenza importante tra Meinecke e Hillebrand, cui è necessario almeno fare un breve cenno in conclusione. Essa consiste nel fatto che il primo scrive in un periodo di crisi dello storicismo, di sensazione sgomenta e diffusa della peribilità e perdita dei valori, e si pone l’obiettivo di rammentare allo storico e al suo pubblico, disorientato e confuso dai possenti rivolgimenti storici e spirituali verificatisi nel secondo e terzo decennio del secolo XX, la grande rivoluzione culturale operata dallo spirito tedesco tra la fine del secolo XVIII e l’inizio del XIX. Meinecke vuole opporsi all’accusa rivolta allo storicismo di condurre nell’abisso di un relativismo, «der zwar alle Weltanschauungen verstehe, aber keine mehr habe»105; egli vuole richiamare alla mente dei contemporanei le origini di questo profondo e rivoluzionario movimento del pensiero, un movimento di progresso della ragione umana, non di crisi, soprattutto per dare alla disciplina storica rinnovata forza e capacità di superare la crisi di identità allora incombente106. Proprio per questo evidente desiderio di Meinecke di astrarsi dalla discussione, così accesa in Germania dopo il 1918, sugli aspetti inquietanti venuti alla luce con lo svolgersi delle dimensioni dello storicismo, sulle questioni pressanti sorte, soprattutto a partire dalla fine del secolo XIX, intorno ad esso, è stato affermato che lo storicismo di Meinecke presenta i tratti di una «Beruhigungsphilosophie», e che pertanto esso fu, al suo tempo, inattuale, non al passo con il carattere spirituale dell’epoca in cui trovò una sistemazione teorica nella Entstehung107.
Hillebrand, invece, che morì a soli 55 anni nel 1884, visse e scrisse in un periodo nel quale non si erano ancora molto diffusi «gli effetti di quel veleno» insito indubbiamente «nello storicismo, che tutto relativizza»108, perché capace «di considerare ogni singolo aspetto storico, ogni istituzione, ogni idea e ideologia soltanto come un momento transitorio nell’infinito flusso del divenire»109. Certamente, già al tempo suo qualcuno aveva cominciato a scorgere i rischi insiti nell’affermarsi del pensiero storicistico. Penso naturalmente al caso famosissimo della critica di Nietzsche allo storicismo, che è però piuttosto critica a uno storicismo “positivista”, della ricerca storica fine a se stessa, riducentesi allo studio esatto e “scientifico” delle fonti per ricostruire con la più grande esattezza, obiettività e veridicità possibile ciò che è avvenuto nel passato110. Penso però anche, ad esempio, alle riflessioni di Dilthey sul relativismo minacciante la vita, contenute nella sua Einleitung in die Geisteswissenschaften del 1883, e alla sua metafora «das Messer des historischen Relativismus, welches alle Metaphysik und Religion gleichsam zerschnitten hat»111, e penso anche, per fare un altro esempio, ad una osservazione di Karl Werner nel suo libro su Vico del 1879, sopra ricordato, il quale parla di un «einseitiger Historismus […] der eine denkende Selbsterhebung über zeitgeschichtliche Strömungen […] ausschliesst»112.
Al contrario, Hillebrand credette ancora fermamente nella «positività creatrice del pensiero storico-genetico»113, il cui supremo ideale era l’ideale di umanità di Schiller, Goethe e Herder114, ed era confidente che, dotata di questa nobile tradizione di pensiero, la Germania, da poco tempo unificatasi e costituitasi in Stato nazionale, avrebbe trovato il giusto equilibrio tra umanismo e patriottismo, tra individualismo e uniformità115. Semmai, scopo di Hillebrand fu quello di fare «propaganda» all’estero in favore del nuovo Stato tedesco e della sua cultura, di guadagnare loro maggiore simpatia, di convincere l’opinione pubblica inglese, della quale si faceva molto conto essendo l’Inghilterra considerata la patria del liberalismo, ad abbandonare ogni sentimento ostile o ogni sospettosità verso la Germania imperiale. Significative sono, a questo proposito, le frasi da lui scritte al suo amico Otto Hartwig, storico medievista e direttore della Biblioteca Universitaria di Halle, il 7 luglio 1879, poco dopo aver terminato le sue Lectures a Londra, che, a quanto egli comunica, avevano avuto una eco molto positiva: «Mein Stück Propaganda für den deutschen Gedanken im Royal Institution ist nicht ohne Widerhall gewesen; und wir brauchen Freunde, denn wir sind nicht geliebt im Ausland – meist durch unsere Schuld, mub ich hinzufügen», cioè, come spiega a Hartwig in questo contesto, per colpa dell’abitudine dei Tedeschi di accusare se stessi, di sentirsi inferiori agli altri, di non possedere a sufficienza quel certo senso di sicurezza che ad altre nazioni proviene dalla tradizione del passato116. Da altra fonte, però, più o meno contemporanea a questa, apprendiamo che egli attribuiva la scarsa simpatia riscossa dai Tedeschi all’estero a un certo qual senso di vanità superba, acquisito dal piccolo borghese tedesco dopo le vittorie di Sadowa e di Sedan, e da lui sfoggiato, in particolare atteggiando le labbra a quello che veniva definito «il sorriso di Sedan», soprattutto quando era all’estero117.
Naturalmente quello in cui Hillebrand confidava fermamente nel 1879 si rivelò con gli anni una illusione fallace. Al tempo suo, negli anni ’20 e ’30 del secolo XX, Meinecke non avrebbe potuto scrivere quanto aveva scritto Hillebrand nel 1879. Allora quest’ultimo si era ben reso conto che lo sforzo di costruire l’unità nazionale aveva fatto scomparire, almeno per quel momento, la concezione di Schiller, per la quale l’arte era la più alta forma di attività umana, e la vita pratica doveva subordinarsi ad una più alta vita ideale. E tuttavia egli si sentiva «confident that, as soon as the long-yearned-for national State is complete and insured against inner and outer enemies, Germany will come back to the creed of the real founders of her civilisation». Ma con una differenza: la Germania «will never again profess that unspoken contempt for the State, which lay at the root of all the thought of Schiller’s generation; but neither will she any longer see in the State an end, as she does now, instead of a means, a necessary means, a noble means even, but a means, nevertheless, not an end». E invece avvenne proprio il contrario di quello che Hillebrand aveva sperato e predetto: lo Stato divenne a poco a poco sempre più proprio il fine, non il mezzo dell’esplicazione delle energie non solo materiali, ma soprattutto di quelle morali di un’intera nazione. Complesse e molteplici sono le cause di questa involuzione che, data la premessa della “rivoluzione spirituale” operata dallo storicismo tedesco, non avrebbe dovuto avere luogo. È sicuramente molto penetrante, pur se forse non del tutto esaustiva, la spiegazione data da Croce, quando osserva che
una rivoluzione mentale, veramente piena e viva, si lega a una correlativa rivoluzione morale, a un nuovo orientamento e atteggiamento rispetto ai problemi della vita pratica […]. Il correlativo dello storicismo, erede dell’illuminismo, era, nella vita attiva e pratica, l’indirizzo nuovo della libertà, non più astratta e atomica come nell’illuminismo, ma concreta e unificata con la vita sociale e storica. Ora, in Germania, per le particolari condizioni politiche del paese, arretrate rispetto a quelle dell’Inghilterra e della Francia […] il processo si squilibrò verso la teoria a scapito della pratica; e parve, sebbene non potesse essere e non fosse in tutto così, una rivoluzione di carattere esclusivamente teorico […]. Da ciò l’inefficacia o la poca efficacia civile e pratica della loro filosofia storicistica, che perse via via il generoso spirito illuministico di umanità che animava ancora lo Herder e altri pensatori […] e non dié alcun incentivo a quel tanto, che pure più tardi affiorò in Germania, del movimento liberale europeo118.

Non si trattava in realtà solo delle condizioni politiche arretrate della Germania, ma anche dell’evolversi, dopo il 1871, sia della situazione politica ed economica internazionale, sia di dati strutturali interni, quali il coagularsi di nuovi e consistenti fermenti e sollecitazioni sociali, o l’irrompere di potenti ed espansive spinte economiche, fattori tutti che, agendo insieme e interagendo con i noti, profondi rivolgimenti spirituali segnati dall’affermarsi di ideologie e correnti di pensiero distanti dal liberalismo, contribuirono ad allontanare la Germania dal sentiero liberale, senza tenere conto del ruolo che, nelle scelte politiche indirizzanti la vita civile e morale di un paese, ebbe la volontà forte di singoli uomini.
















NOTE
1 F. Meinecke, Die Entstehung des Historismus, München und Berlin, Oldenbourg, 1936. L’opera è stata ristampata nell’edizione nazionale degli scritti di Meinecke: Die Entstehung des Historismus, hrsg. und eingel. von Carl Hinrichs, Stuttgart, Koehler, 1959 (Werke, Bd. 3). Qui di seguito citerò dalla ristampa: München, Oldenbourg, 1965. La traduzione italiana apparve nel 1954: Le origini dello storicismo, trad. di M. Biscione, C. Gundolf, G. Zamboni, Firenze, Sansoni, 1954 (Biblioteca Sansoni, N.S., 20) (rist.: 1967 e 1973).^
2 F. Meinecke, Vom geschichtlichen Sinn und vom Sinn der Geschichte, Leipzig, Koehler & Amelang, 1939. La trad. ital. apparve nel 1948: Senso storico e significato della storia, a cura di M.T. Mandalari, con appendice di B. Croce, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1948 (Biblioteca storica). Questo testo è stato ripubbl. nel 1980 a cura di F. Tessitore.^
3 Su di lui mi limito a rinviare al recente volume, che raccoglie gli atti di un convegno tenuto nel 2004, in occasione del cinquantenario della sua morte: Friedrich Meinecke in seiner Zeit, hrsg. von Gisela Bock und Daniel Schönpflug, Stuttgart, Steiner, 2006 (Pallas Athene, 19), con la bibliografia degli scritti su di lui dal 1915 al 2006. Cfr. anche il volume di atti del colloquio tenuto in occasione del venticinquesimo anniversario della morte: Friedrich Meinecke heute. Bericht über ein Gedenk-Colloquium zu seinem 25. Todestag am 5. und 6. April 1979, bearb. und hrsg. von Michael Erbe, Berlin, Colloquium Verlag, 1981 (Einzelveröffentlichungen der Historischen Commission zu Berlin), e inoltre il profilo di Ernst Schulin, Friedrich Meinecke, in Deutsche Historiker, hrsg. von Hans-Ulrich Wehler, I, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1971, pp. 39-57; rist. in Idem, Traditionskritik und Rekonstruktionsversuch. Studien zur Entwicklung von Geschichtswissenschaft und historischem Denken, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1979, pp. 117-132.^
4 Qui la nota si interrompe: F. Meinecke, Autobiographische Schriften, hrsg. von Eberhard Kessel, Stuttgart, Koehler, 1969 (Werke, Band 8), pp. 450-451.^
5 Su di lui cfr. il volume di W. Mauser, Karl Hillebrand. Leben, Werk, Wirkung, Dornbirn, Vorarlberger Verl. Anstalt, 1960 (Gesetz und Wandel, 1); il saggio di Rudolf Vierhaus, Zeitgeschichte und Zeitkritik im essayistischen Werk Karl Hillebrands, in «Historische Zeitschrift», 221 (1975), pp. 304-325; il capitolo a lui dedicato da J. Nurdin, L’idée d’Europe dans la pensée allemande à l’épocque bismarckienne, Bern-Frankfurt, Peter Lang, 1980, pp. 527-560; infine gli atti del convegno fiorentino per il centenario della sua morte: Karl Hillebrand eretico d’Europa, Firenze, 1-2 novembre 1984, a cura di L. Borghese, Firenze, Olschki, 1986 (Gabinetto scientifico-letterario G.P. Vieusseux. Studi, 3).^
6 La lettera di Meinecke è in Idem, Ausgewählter Briefwechsel, hrsg. von Ludwig Dehio und Peter Classen, Stuttgart, Koehler, 1962 (Werke, Band 6), pp. 182-183.^
7 K. Hillebrand, La Prusse contemporaine, Paris, Baillière, 1867.^
8 K. Hillebrand, Etudes italiennes, Paris, Franck, 1868.^
9 K. Hillebrand, Zwölf Briefe eines ästhetischen Ketzers, Berlin, Oppenheim, 1874.^
10 K. Hillebrand, Geschichte Frankreichs von der Thronbesteigung Louis Philipps bis zum Falle Napoleons III., 2 voll., Gotha, Perthes, 1877-1879.^
11 K. Hillebrand, Six Lectures on the History of the German Thought From the Seven Years’ War to Goethe’s Death Delivered at the Royal Institution of Great Britain May & June 1879, London, Longmans, Green and Co., 1880.^
12 Ad es. la «Revue moderne», la «Revue des Deux Mondes», il «Journal des Débats», la «Nuova Antologia», la «Fortnightly Review», la «North American Review».^
13 K. Hillebrand, Geist und Gesellschaft im alten Europa. Literarische und politische Porträts aus fünf Jahrhunderten, ausgewählt und eingeleitet von Julius Heyderhoff, Leipzig, Koehler & Amelang, 1941 (2Stuttgart, Koehler, 1954).^
14 K. Hillebrand, Unbekannte Essays. Aus dem Französischen und Englischen übersetzt und mit einem biographischen Nachwort “Joseph und Karl Hillebrand” herausgegeben von Hermann Uhde-Bernays, Bern, Francke, 1955.^
15 È uno degli aforismi pubblicati nella sezione Zur Geschichte des Historismus, in Friedrich Meinecke, Zur Teorie und Philosophie der Geschichte, hrsg. und eingel. von Eberhard Kessel, Stuttgart, Koehler, 1959 (Werke, Band 4), pp. 215-263: qui p. 241.^
16 Meinecke, Contributo alla storia dell’origine dello storicismo (cfr. più avanti, nt. 28), p. 91.^
17 Meinecke, Contributo alla storia dell’origine dello storicismo (cfr. più avanti, nt. 28), p. 96.^
18 Era (ed è) uno dei quartieri, con ville, molto verde e molti alberi, tra i più distinti e benestanti della zona centrale di Berlino.^
19 Cfr. Ernst Schulin, Das Problem der Individualität. Eine kritische Betrachtung des Historismus-Werkes von Friedrich Meinecke, in «Historische Zeitschrift», 197 (1963), pp. 102-133: qui pp. 109-110 (saggio rist. in Idem, Traditionskritik, cit., pp. 97-116 e 252-259). Sulla storia dell’uso del termine Historismus cfr. più avanti, e alle nt. 98 e 103.^
20 K. Hillebrand, Herder, in Idem, Unbekannte Essays, cit., pp. 82-183.^
21 Cfr. sopra, alla nt. 11.^
22 Hillebrand, Lectures, cit., p. 27.^
23 Ivi, pp. 24-25.^
24 Ivi, pp. 92-93.^
25 Ivi, p. 281.^
26 G. Barzellotti, Carlo Hillebrand, in «Archivio Storico Italiano», ser. IV, 15 (1885), pp. 291-310: qui pp. 292 e 302.^
27 Così la definisce C. Antoni, Dallo storicismo alla sociologia, Firenze, Sansoni, 1973, p. 114.^
28 F. Meinecke, Ernst Troeltsch und das Problem des Historismus (1923), ripubbl. in Idem, Zur Teorie und Philosophie der Geschichte, cit., pp. 367-378; Idem, Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte, München-Berlin, Oldenbourg, 1924; Idem, Goethes Geschichtsauffassung und der Historismus, (1930), ripubbl. in Idem, Zur Theorie und Philosophie der Geschichte, cit., pp. 279-284; Idem, Edmund Burkes Leistung fü den Historismus, in Sitzungsberichte der Preubischen Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-historische Klasse, 1935, pp. 218-219; Idem, Die Entstehung des Historismus, (1936), cit.; Idem, Klassizismus, Romantizismus und historisches Denken im 18. Jahrhundert, (1936), ripubbl. in Idem, Vom geschichtlichen Sinn, cit., di nuovo in Idem, Zur Theorie und Philosophie der Geschichte, cit., pp. 264-278, e, in trad. ital., col titolo: Classicismo, Romanticismo e pensiero storico nel sec. XVIII, in Senso storico e significato della storia, cit., pp. 45-62. La riflessione sullo storicismo continuò naturalmente anche dopo la pubblicazione della Entstehung: Idem, Schiller und der Individualitätsgedanke, (1937), ripubbl. in Idem, Zur Teorie und Philosophie der Geschichte, cit., pp. 285-322 (trad. ital.: Schiller e l’idea di individualità. Uno studio sulla storia delle origini dello storicismo, in Idem, Pagine di storiografia e filosofia della storia, a cura di Giuseppe Di Costanzo, Napoli, ESI, 1984, pp. 319-358); Idem, Zur Entstehungsgeschichte des Historismus und des Schleiermacherschen Individualitätsgedankens, in Vom geschichtlichen Sinn, cit., ripubbl. in Idem, Zur Teorie und Philosophie der Geschichte, cit., pp. 341-357 (trad. ital.: Contributo alla storia dell’origine dello storicismo e dell’idea individualistica di Schleiermacher, in Senso storico e significato della storia, cit., pp. 91-111).
Sulle reazioni a favore o contro la nuova definizione di Meinecke nel mondo tedesco degli studi rinvio a O.G. Oexle, Meineckes Historismus. Über Kontext und Folgen einer Definition, in Historismus in den Kulturwissenschaften. Geschichtskonzepte, historische Einschätzungen, Grundlagenprobleme, hrsg. von O.G. Oexle und Jörn Rüsen, Köln-Weimar-Wien, Böhlau, 1996, pp. 139-200; rist. in Idem, Geschichtswissenschaft im Zeichen des Historismus. Studien zu Problemgeschichten der Moderne, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1996 (Kritische Studien zur Geschichtswissenschaft, 116), pp. 95-136.^
29 C. Antoni, Dallo storicismo alla sociologia, cit., p. 114.^
30 W. Dilthey, Das Achtzehnte Jahrhundert und die geschichtliche Welt, in «Deutsche Rundschau», 108 (1901), pp. 241-262 e 350-380; ripubbl. in Idem, Gesammelte Schriften, III, sesta ed., Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1992, pp. 210 sgg.: qui pp. 246-247; trad. ital.: Il secolo XVIII e il mondo storico, 2Milano, Edizioni di Comunità, 1977.^
31 Hillebrand, Lectures, cit., p. 190.^
32 Ibidem.^
33 Meinecke, Entstehung, cit., p. 355; trad. ital., p. 294: «In Möser, Herder e Goethe noi vediamo i tre massimi ed i più efficaci tra i pionieri del nuovo senso della storia nel secolo XVIII».^
34 K. Werner, Giambattista Vico als Philosoph und gelehrter Forscher, Wien, Faesy & Frick, 1879; 2Wien, Wilhelm Braumüller, 1881.^
35 Hillebrand, Herder, cit., pp. 163-164.^
36 B. Croce, Lo storicismo e la sua storia (cfr. più avanti, alla nt. 57), p. 208. Questo saggio è stato ripubbl. in Il dibattito sullo storicismo, a cura di F. Bianco, Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 203-217, da cui si cita.^
37 Hillebrand, Herder, cit., pp. 154-155; Meinecke, Entstehung, cit., pp. 245-246; Idem, Senso storico, cit., pp. 55-56.^
38 Mi limito a rinviare ad un solo passo: «Bis zuletzt bestätigt es sich, dab der Untergrund seines [di Herder] neuen historischen Sinnes das platonisch-neoplatonische Weltbild gewesen war» (Meinecke, Entstehung, cit., p. 434; trad. ital., p. 365: «Fino all’ultimo rimane confermato che lo sfondo del suo nuovo senso storico è la visione platonico-neoplatonica del mondo»). Su questo aspetto rinvio alle osservazioni di E. Seeberg, Zur Entstehung des Historismus. Gedanken zu Friedrich Meineckes jüngstem Werk, in «Historische Zeitschrift», 157 (1938), pp. 241-266.^
39 Hillebrand, Lectures, cit., p. 136; Idem, Herder, cit., p. 176.^
40 Hillebrand, Lectures, cit., pp. 111-112.^
41 Ivi, p. 34.^
42 Allgemeine Deutsche Biographie, 12, Leipzig, Duncker & Humblot, 1880, pp. 55-100. Lo stesso vale per l’opera su Herder che lo stesso Haym pubblicò in quegli anni: Herder nach seinem Leben und seinen Werken dargestellt, 2 voll., Berlin, Gaertner, 1880-1885 (rist.: Berlin, Aufbau Verlag, 1958). Rinvio, per fare un esempio, al passo nel quale Haym in quest’ultima opera (II, p. 250) riassume la filosofia della storia di Herder: «Geschichte ist nur wo Entwicklung ist, und Geschichte besteht nur kraft des Zusammenhangs und der Wechselwirkung der Individuen. Ein neues Prinzip also, das von Herder sofort als ‘das eigentliche Prinzip zur Geschichte der Menschheit’ erklärt wird, stellt sich dar».^
43 K. Lamprecht, Herder und Kant als Theoretiker der Geschichtswissenschaft, in «Jahrbücher für Nationalökonomie und Statistik», 3. Folge, 14 (1897), pp. 161-203; rist. in Idem, Ausgewählte Schriften zur Wirtschafts- und Kulturgeschichte und zur Theorie der Geschichtswissenschaft, mit Vorwort und literarischen Bemerkungen von Herbert Schönebaum, Aalen, Scientia Verlag, 1974, pp. 353-395.^
44 Hillebrand, Lectures, cit., pp. 228 e 259-260.^
45 Meinecke, Classicismo, Romanticismo, cit., p. 60.^
46 Hillebrand, Herder, cit., p. 153.^
47 Hillebrand, Lectures, cit., pp. 92-93 e p. 146.^
48 Hillebrand, Herder, cit., p. 82.^
49 Hillebrand, Herder, cit., p. 152; Idem, Lectures, cit., p. 148.^
50 Herder, Lectures, cit., p. 171; Idem Herder, cit., p. 183.^
51 Hillebrand, Lectures, cit., pp. 169-171; Idem, Herder, cit., pp. 181-183.^
52 Hillebrand, Lectures, cit., p. 106; Idem, Herder, cit., p. 154.^
53 Meinecke, Entstehung, cit., Vorbemerkung, p. 2; trad. ital. p. X («il principio primo dello storicismo consiste nel sostituire ad una considerazione generalizzante ed astrattiva delle forze storico-umane la considerazione del loro carattere individuale»).^
54 Hillebrand, Lectures, cit., pp. 115-116 e 171; Idem, Herder, cit., p. 157.^
55 Hillebrand, Herder, cit., p. 183; Idem, Lectures, cit., p. 171.^
56 Meinecke, Entstehung, cit., Vorbemerkung, p. 2; trad. ital., p. X («Storicismo non è altro, in un primo tempo, che l’applicazione alla storia dei nuovi principi d’esistenza affermatisi col grande movimento tedesco che dal Leibniz va fino alla morte di Goethe»).^
57 Meinecke, Contributo alla storia dell’origine dello storicismo, cit., pp. 91-92. Era stato, tra gli altri, Croce, nel suo libro La storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza, 1938, nel capitolo intitolato Lo storicismo e la sua storia, a criticare la scelta di Meinecke di attribuire grande importanza a Goethe nell’origine dello storicismo, e, nel complesso, a giudicare l’esposizione e l’interpretazione di Meinecke troppo pregne di elementi irrazionali. Cfr. anche più avanti, alla nt. 65.^
58 Meinecke, Classicismo, Romanticismo, cit., p. 47; Idem, Schiller e l’idea di individualità, cit., p. 321.^
59 Hillebrand, Herder, cit., p. 183; Idem, Lectures, cit., p. 171.^
60 Meinecke, Entstehung, cit., p. 369.^
61 Hillebrand, Herder, cit., p. 169; Idem, Lectures, cit., p. 120.^
62 E anche l’opera di Haym su Herder, cit. sopra, in nt. 42, dove si può cfr. ad es. il passo alla p. 136 del II vol., che riassume il pensiero di Herder così: «die Gesetze der Geschichte sind höhere Naturgesetze. Der Mensch ein Gewächs der Natur, das höchste Produkt der genetischen Kraft unseres Planeten».^
63 Meinecke, Entstehung, cit., pp. 373, 386 e 414; trad. ital., pp. 310, 322 e 348: «quel grandioso relativismo storico capace di considerare ogni epoca della storia insieme come mezzo e come fine, come individuo e come fase di una nuova evoluzione».^
64 Meinecke, Entstehung, cit., p. 412; trad. ital., p. 346: «Ambedue erano per principio fermamente convinti che la natura e l’umanità formavano un tutt’uno, un cosmos unico, unitario, ma graduato, di forze attive che sgorgavano da un fondo divino».^
65 Nel 1948, prima che apparisse la traduzione italiana della Entstehung, Croce osservò che «lo storicismo è, non già principio di vita (nel qual senso tutti gli uomini vivendo nella storia sarebbero, vogliano o non vogliano, storicisti), ma, proprio, “principio di scienza”, e come tale si venne formando nei suoi pensatori e sopra tutti nello stesso Hegel» (appendice al volumetto Senso storico, cit., pp. 115-116). Per Croce, infatti, la rivoluzione storicistica fu, sì, opera principalmente tedesca, ma non di Möser, Herder o Goethe, bensì di Kant, Fichte, Schelling e Hegel, dato che lo storicismo non sgorga da una «nuova visione della vita», bensì è «un principio logico». Per Meinecke, invece, “principio di vita” non è il semplice vivere degli uomini nella storia, ma l’applicazione all’uomo e alla sua storia dei due principi fondamentali infusi nella natura.^
66 Hillebrand, Lectures, cit., p. 115; Idem, Herder, cit., p. 158.^
67 Hillebrand, Lectures, cit., pp. 115-116; Idem, Herder, cit., p. 157.^
68 Hillebrand, Lectures, cit., pp. 115-116; Idem, Herder, cit., pp. 157-158; Meinecke, Entstehung, cit., pp. 376-377 e 425; trad. ital., p. 312-313 e 357.^
69 Hillebrand, Herder, cit., pp. 157-158; Idem, Lectures, cit., p. 115; Meinecke, Entstehung, cit., pp. 376 e 402; trad. ital. p. 313 e 337.^
70 Hillebrand, Herder, cit., pp. 82 e 158.^
71 Meinecke, Entstehung, cit., p. 357; trad. ital., p. 296: «egli diventò […] il creatore di un nuovo metodo di intuizione l’Einfühlung […] per mezzo del quale a poco a poco potranno essere conquistati per la conoscenza storica tutti quei campi che egli stesso lascerà ancora inesplorati».^
72 Meinecke, Entstehung, cit., p. 13; trad. ital., p. 3: «Tutto il còmpito dello storicismo è consistito nell’indebolire e rendere mobile il rigido pensiero giusnaturalistico, con la sua fede nella invariabilità dei supremi ideali umani e nella eguaglianza assoluta ed eterna della natura umana».^
73 Meinecke, Classicismo, Romanticismo, cit., p. 47.^
74 Meinecke, Classicismo, Romanticismo, cit., p. 49. Nel testo di questa traduzione si trova “1760” per “1769”, che è evidentemente un refuso.^
75 Hillebrand, Herder, cit., pp. 97-98.^
76 Cfr. la voce di Haym, in Allgemeine Deutsche Biographie, cit., pp. 63-64.^
77 Hillebrand, Lectures, cit., pp. 174-175.^
78 Meinecke, Schiller e l’idea di individualità, cit., p. 358.^
79 Ivi, p. 357.^
80 Hillebrand, Lectures, p. 185-188.^
81 Ivi, pp. 192-193.^
82 Croce, Lo storicismo e la sua storia, cit., p. 207.^
83 Meinecke, Entstehung, cit., p. 446 e 453 e sgg.; trad. ital., pp. 377 sgg.^
84 Meinecke, Entstehung, cit., p. 472; trad. ital., p. 399.^
85 Meinecke, Entstehung, cit., pp. 474-475; trad. ital., pp. 401-402.^
86 Meinecke, Entstehung, cit., p. 531; trad. ital. p. 450: «Ogni cosa vivente Goethe vedeva effettuarsi in forme primordiali e metamorfosi. Anche la storia doveva a buon diritto seguire secondo lui la medesima legge».^
87 Hillebrand, Herder, cit., pp. 82, 154, 157; Idem, Lectures, cit., pp. 130-131, 149, 169-170, 214-215, 261-262.^
88 Hillebrand, Lectures, cit., pp. 265-266.^
89 Hillebrand, Herder, cit., pp. 82, 173-174 e 182-183; Idem, Lectures, cit., pp. 169-170.^
90 Hillebrand, Lectures, cit., p. 171.^
91 Hillebrand, Lectures, cit., pp. 130-132; Idem, Herder, cit., p. 176.^
92 Hillebrand, Lectures, cit., p. 133.^
93 Meinecke, Entstehung, cit., Vorbemerkung, pp. 1-2; trad. ital., pp. IX-X: «E il sorgere dello storicismo è stato […] una delle maggiori rivoluzioni spirituali che il pensiero occidentale abbia prodotto»; lo storicismo fu «opera dello “spirito tedesco che in esso ha compiuto, dopo la riforma, la seconda delle sue imprese di portata universale».^
94 Meinecke, Senso storico, cit., p. 47.^
95 Meinecke, Entstehung, cit., Vorbemerkung, p. 3.^
96 Meinecke, Entstehung, cit., p. 377; trad. ital., p. 314.^
97 Hillebrand, Lectures, cit., pp. 92-93, 193, 268 e 281.^
98 Finora si è affermato che i termini «“historism and” “historicism” began to be used after 1900» (G.G. Iggers, voce Historicism, in Dictionary of the History of Ideas, II, ed. P.P. Wiener, New York, Scribner, 1973. Cfr. anche Dwight E. Lee-Robert N. Beck, The Meaning of “Historicism”, in «American Historical Review», 59 [1954], pp. 568-577: qui p. 568, nt. 1).^
99 Hillebrand, Lectures, cit., p. 281.^
100 Cfr. il saggio di Schulin, Das Problem der Individualität, cit.^
101 Hillebrand, Lectures, cit., p. 171.^
102 Cfr. ad es. Ivi, pp. 115-116, 120 e 123.^
103 Cfr. G.G. Iggers, Historicism: The History and Meaning of the Term, in «Journal of the History of Ideas», 56 (1995), pp. 129-152. Sulla storia ed i significati del termine rinvio anche al saggio di O.G. Oexle, «Historismus». Überlegungen zur Geschichte des Phänomens und des Begriffs, in “Braunschweigische Wissenschaftliche Gesellschaft. Jahrbuch” (1986), pp. 119-155; rist. in Idem, Geschichtswissenschaft im Zeichen des Historismus, cit., pp. 41-72, da cui si citerà qui di seguito (trad. francese in: Idem, L’historisme en débat. De Nietzsche à Kantorowicz, Paris, Aubier, 2001, pp. 53-110). Per una rassegna critica sul numero sorprendentemente alto di lavori sullo storicismo, usciti in Germania tra anni ’80 e ’90 del sec. XX, cfr. E. Schulin, Neue Diskussionen über Historismus, in «Storia della storiografia», 33 (1998), pp. 109-117.^
104 Questa novità è di solito attribuita, appunto, a loro: cfr. ad es. Wolfgang Hardtwig, Traditionsbruch und Erinnerung. Zur Entstehung des Historismusbegriffs, in „Geschichte allein ist zeitgemäb”. Historismus in Deutschland, hrsg. von Michael Brix und Monika Steinhauser, Lahn-Giessen, Anabas Verlag, 1978, pp. 17-27: qui p. 20.^
105 Meinecke, Entstehung, cit., p. 577.^
106 Cfr. J. Rüsen, Konfigurationen des Historismus. Studien zur deutschen Wissenschaftskultur, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1993, pp. 332-333. Sulle ragioni per le quali Meinecke scelse il periodo delle origini dello storicismo fermandosi a Goethe sono da leggere anche le meditate riflessioni di Schulin, Das Problem der Individualität, cit., pp. 120-122. Sulla crisi dello storicismo mi limito a rinviare alla recentissima pubblicazione Krise des Historismus-Krise der Wirklichkeit. Wissenschaft, Kunst und Literatur 1880-1932, hrsg. von O.G. Oexle, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2007.^
107 Oexle, Historismus, cit., p. 65.^
108 F. Meinecke, La storia e il presente, trad. ital. in Senso storico e significato della storia, cit., pp. 5-18: qui p. 10.^
109 Ivi, p. 8^
110 Mi limito solo a rinviare a Oexle, «Historismus», cit., pp. 53-57, e al mio saggio Nietzsche, Hillebrand e l’attualità della Seconda Inattuale, in «L’Acropoli», 7 (2006), pp. 545-565.^
111 Cfr. Oexle, «Historismus», cit., pp. 49-50^
112 Passo notato da Calvin G. Rand, Two Meanings of Historicism in the Writings of Dilthey, Troeltsch, and Meinecke, in «Journal of the History of Ideas», 25 (1964), pp. 503-518: qui p. 504, nt. 5.^
113 Meinecke, La storia e il presente, cit., p. 10.^
114 Hillebrand, Lectures, p. 221.^
115 Ivi, pp. 224-225.^
116 La citazione è tratta da: Hessische Landesbibliothek Wiesbaden, Nachlab Otto Hartwig, Hs. 323. Questa lettera fu scritta da Eastbourne (Sussex). Lo stesso concetto, che cioè i Tedeschi non si facevano amare all’estero, è ripetuto da Hillebrand nel saggio di quello stesso anno, il 1879, Deutsche Stimmungen und Verstimmungen, pubbl. in Zeiten, Völker und Menschen, VI: Zeitgenossen und Zeitgenössisches, 2Strabburg, Trübner, 1907, pp. 323-350: qui p. 340.^
117 Nelle sue memorie, Bernhard von Bülow, che, alla metà degli anni Settanta, era stato segretario dell’ambasciata tedesca presso il Quirinale e aveva conosciuto Hillebrand (il quale spesso in quel tempo fu ospite, a Roma, a Palazzo Caffarelli) ricorda che «Er [cioè Hillebrand] meinte, dass seit den groben Siegen der Bismarckschen Aera wir Deutsche uns ein wenig überschätzten. Mancher biedere Deutsche spreche, als ob er selbst Sadowa und Sedan gewonnen und die Politik von 1862 bis 1871 gemacht hätte. Das‚ Sedan-Lächeln’, mit dem der deutsche Philister, der früher zu übertriebener Demut geneigt habe, jetzt im Ausland auftrete, mache uns keine Freunde» (cit. da H. Uhde-Bernays, Nachwort, a Hillebrand, Unbekannte Essays, cit., pp. 349 e 389, nt. 49).^
118 Croce, Lo storicismo e la sua storia, cit., pp. 214-215.^
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