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Il '29 di Adolfo Omodeo. Il Concordato, i Discorsi di Cavour, la rottura con Gentile
di Francesco Torchiani
L’anno del Concordato rappresenta un punto di svolta per il manipolo di intellettuali che ancora si riconoscono, seppure con crescenti distinguo, nel magistero di Giovanni Gentile. Il “fronte” idealista, costituito da amici e sodali del pensatore siciliano ha già subito un duro colpo cinque anni prima, quando sull’onda del delitto Matteotti l’allora ministro dell’Istruzione aveva rassegnato le dimissioni, per rendere più facile al Presidente del Consiglio il superamento della crisi1. Allora, Giuseppe Lombardo Radice, compagno di Gentile sin dai tempi della Scuola Normale e responsabile dell’Istruzione Superiore aveva rotto per via epistolare i rapporti con il filosofo inviandogli una lettera piena di rassegnazione2; lo stesso aveva fatto, qualche settimana dopo, anche Guido De Ruggiero, fresco professore di Storia della filosofia a Roma e da anni amico e collaboratore del filosofo di Castelvetrano3. Un altro gentiliano “doc” come Luigi Russo, pur rimanendo vicino a Gentile4 attraverso la collaborazione alle sue numerose iniziative editoriali fino ad ereditare la guida del periodico della Fondazione «Leonardo», si era progressivamente spostato, nella sua imponente attività storico-letteraria, verso uno storicismo di marca crociana, la cui formula sarebbe stata codificata proprio nel ’29 con la raccolta di saggi Problemi di metodo critico5. Ernesto Codignola, autentico “braccio destro” di Gentile nella battaglia per la riforma scolastica6, si era invece mantenuto in prima linea nel difendere la scelta del filosofo di sostenere il regime, spendendosi in modo particolare per difendere l’integrità della riforma omonima, minacciata dai “ritocchi” apportati dai ministri che si erano susseguiti da Fedele in avanti7.
Fra quelle degli intellettuali sopra citati, spicca, per drammaticità e complessità la biografia di Adolfo Omodeo8. Laureatosi con Gentile a Palermo nel 1913, lo storico del cristianesimo sin dal ’24 aveva espresso al venerato maestro tutta la sua delusione non solo per l’esito della riforma scolastica, avversata da ogni parte e già minacciata di numerosi “ritocchi”, ma soprattutto per il precipitare della situazione politica con il delitto Matteotti. Con onestà intellettuale, Omodeo ammetteva che il tentativo di utilizzare il fascismo come “cavallo di Troia” per introdurre nella vita culturale italiana la tanto agognata riforma scolastica in vista del “rinnovamento nazionale”, si era rivelato una chimera; anzi, aveva contribuito a rafforzare il prestigio di un governo autoritario e violento9, come la crisi politica mostrava inequivocabilmente. Il carteggio fra i due proseguiva per tutta la seconda metà degli anni Venti, mantenendosi su un tono piuttosto monocorde: lo storico palermitano tornava più volte sul suo desiderio di vedere allontanato il nome di Giovanni Gentile da quello di Mussolini e del regime liberticida; il suo maestro, invece, minimizzava la portata dei provvedimenti volti alla soppressione delle libertà e alla fascistizzazione della cultura e della società, ravvisando in essi la concretizzazione del suo attualismo ed irridendo all’inesistenza di una qualunque alternativa politica al fascismo. Fallito era pure ogni tentativo di “conciliazione” fra Gentile e Croce10, nonostante i tentativi di Omodeo e Russo di instaurare una “tregua armata” fra i due filosofi, in difesa di una oramai compromessa unità del “fronte” idealista nella cultura italiana: «non dobbiamo fare come i capponi di Renzo»11, scriveva Omodeo a Gentile. A turbare i sentimenti di devozione che caratterizzavano il contegno di Omodeo verso l’amato maestro contribuivano inoltre le rivalità accademiche con la “scuola romana” di Armando Carlini, Arnaldo Volpicelli ed Ugo Spirito, formatasi sotto la guida del Gentile già divenuto teorico dell’attualismo, come l’atteggiamento di quiescenza dimostrato dagli attualisti di fronte alla crescente influenza della Chiesa, in vista della Conciliazione.
La prospettiva degli accordi fra Italia e Santa Sede preoccupava non poco Omodeo, che aveva improntato la sua attività scientifica, straordinaria per mole e qualità, all’analisi filologica, storica e politica del cristianesimo delle origini, rompendo, in questo modo, due tabù: il primo, che voleva la storia del cristianesimo relegata a un ruolo secondario negli studi storici, destinata al massimo ad essere coltivata dagli ecclesiastici a causa del suo scarso valore scientifico; il secondo, che non concepiva una storia del cristianesimo scevra dall’ispirazione religiosa dello storico. Attraverso una padronanza senza pari degli strumenti filologici nella disamina delle fonti, infatti, Omodeo aveva dato invece un saggio di storicismo integrale, strappando la storia della Chiesa e delle origini cristiane all’oblio e al dilettantismo per farla entrare a pieno diritto nel vasto campo d’indagine della scienza storica. Non a caso, la sua Esperienza etica dell’Evangelio12 era stata messa all’Indice dal Sant’Uffizio.
Il 1929 è dunque un anno cruciale nella biografia intellettuale dello storico palermitano; se i Patti Lateranensi dell’11 febbraio suonavano per molti intellettuali idealisti della prima ora, tra cui il “fedelissimo” Codignola, come il de profundis al compromesso tra fascismo e filosofia gentiliana, per Omodeo gli accordi con la Santa Sede erano la prevista, temuta conclusione di un connubio pericoloso per le sorti della cultura italiana. Un incontro, quello tra Stato e Chiesa, tra attualismo e neoscolasticismo, che non poteva non preoccupare chi aveva indirizzato la sua attività scientifica verso la lucida critica del dogmatismo imperante negli studi storico-religiosi. A questo proposito, lo scambio epistolare tra Omodeo ed Ernesto Codignola si rivela prezioso al fine di comprendere questo passaggio cruciale nella biografia dello storico.
Il 1928 si era chiuso con la prospettiva di intraprendere per l’anno seguente un vasto programma di lavoro: l’edizione critica delle Ricordanze di Settembrini per la Nuova Italia; quella degli epistolari dei caduti della guerra mondiale, la stesura di due articoli per l’Enciclopedia Italiana, le ricerche sulla mistica giovannea e quelle appena iniziate su Joseph de Maistre13 e il cattolicesimo della Restaurazione. «I tempi non volgono propizi per me», scriveva preoccupato a Lombardo Radice, «mi pesa però assai la mancanza di amicizie. E pensare che la mia gioventù fiorì nel seno d’amicizie che apparivano immortali e nella collaborazione fervida con comuni pensieri e in comuni problemi»14. Il riferimento era naturalmente a Gentile, verso il quale andava tutta la delusione di Omodeo, per lo stravolgimento operato nei confronti delle numerose voci di Storia del Chiesa da lui redatte per l’Enciclopedia diretta dal filosofo. Come ha mostrato Gabriele Turi15, la crescente influenza di Padre Tacchi Venturi e delle gerarchie ecclesiastiche nell’Enciclopedia Italiana, soprattutto dopo la Conciliazione, si era tradotta nello smembramento delle voci di “Storia del Cristianesimo e Materie Ecclesiastiche” in due raggruppamenti distinti, “Materie Ecclesiastiche” dirette da Tacchi Venturi e la generica “Storia della filosofia e storia del cristianesimo”, diretta da Gentile. Il declassamento delle voci di “Storia del cristianesimo”, sottoposte per altro ad un puntuale controllo da parte di revisori ecclesiastici, in quelle filosofiche, era il preludio alla scomparsa della sezione, che si sarebbe consumata di lì a poco. Tutte le voci redatte da Omodeo per le lettere A e B, gli erano state restituite per effettuarvi correzioni che avrebbero dovuto alterare in profondità il pensiero dell’autore16. Lo storico protestava che «l’obiettività di un’enciclopedia è una forma di buona creanza, ma non può offendere l’intima sostanza della scienza. Mettere d’accordo indirizzo critico e tesi cattolica è impresa disperata, come conciliare sistema tolemaico e sistema copernicano […]. Io per conto mio nella scienza sono intransigente e non mi sento l’animo per concordati e compromessi»17.
Già un articolo per l’Enciclopedia è cosa quanto mai scialba – continuava lo storico –: l’abbandonarlo poi agli scrupoli dei preti è il colmo della mortificazione. Divento un somaro adibito al trasporto di materiale erudito. Possibile che, specialmente in questi tempi, mi debba esser negata anche la gioia dell’opera mia, e lo studio debba diventarmi fatica bruta? Mi creda, mi sento scorato assai, e invece devo reagire perché sento che i miei compiti diventano più ardui: e bisogna pure che faccia qualcosa per salvare ciò che è minacciato: almeno l’onore della cultura italiana18.

Di fronte ad una situazione che lo storico giudicava già compromessa, l’esito del VII congresso di Filosofia, svoltosi a Roma tra il 26 e il 29 maggio dello stesso anno e presieduto da Gentile, rafforzava agli occhi degli idealisti la sensazione di una sconfitta storica19, a vantaggio della neoscolastica di Padre Gemelli, che in quella sede aveva definito l’idealismo un vero e proprio “veleno filosofico”20. Il congresso, organizzato da uno degli allievi di Gentile più sensibili al richiamo della filosofia neoscolastica, Armando Carlini, aveva visto una netta contestazione al discorso di Gentile Filosofia e Stato21, tutto improntato all’orgogliosa rivendicazione del lavoro fatto per dar vita allo Stato etico, che non poteva però essere confuso con lo stato confessionale.
La situazione del residuo “fronte idealista” sembrava precipitare ulteriormente quando nel maggio si erano manifestati i sintomi della grave malattia che per mesi avrebbe tormentato Luigi Russo. Codignola, come dimostra l’imponente carteggio inedito22, era legato al critico siciliano da un rapporto di amicizia rinsaldatosi negli anni tormentati della permanenza di Gentile alla Minerva. Russo aveva difeso a spada tratta i principi della riforma scolastica ed era stato tra i collaboratori più attivi delle imprese editoriali del pedagogista fiorentino, come consulente editoriale della Vallecchi e de La Nuova Italia, fondata a Venezia da Giuseppe Maranini e trapiantata a Firenze23.
Grazie al ruolo di direttore dell’Ente nazionale di cultura fiorentino e alla sua cattedra di Pedagogia al Magistero, Codignola aveva così i mezzi finanziari per promuovere le iniziative editoriali proprie e degli amici. Proprio Russo aveva dato alle stampe, giusto un anno prima, il volume Francesco De Sanctis e la cultura napoletana24, nel quale Omodeo aveva giustamente salutato l’auspicata inversione di tendenza negli studi sul Risorgimento, depurando la figura del grande storico e riformatore dell’ateneo napoletano dall’aurea “metafisica” di cui l’aveva rivestito l’attualismo25. A Codignola, Russo confessava le crescenti difficoltà incontrate da “Leonardo” e la diffidenza di Gentile che sentiva crescere nei suoi confronti26. Non a caso, in nome dell’unità dell’idealismo, Codignola avrebbe cercato di comporre fino a tutto il 1930 il dissidio tra il critico e il filosofo. Ma, per Omodeo e il pedagogista-editore veniva prima di tutto la salute dell’amico: «È inutile che ti dica – scriveva Codignola – che non lasceremo nulla di intentato per strappare Russo alla morte. Io lo considero come mio fratello. Occorrerebbe che tu ed altri amici gli toglieste il pensiero del “Leonardo”, preparandogli il materiale per i numeri prossimi»27; pronta la risposta del suo interlocutore:
Ho scritto più volte chiedendo che si affidi a me la cura di “Leonardo”. Tu raccogli tutto il materiale esistente presso Russo e spediscimelo. Prega personalmente tutti gli amici e i conoscenti di Firenze di mandare a me articoli e recensioni. Io comincerò a sollecitare nel raggio delle mie conoscenze. Fammi mandare anche la bozza del nuovo volume che Russo aveva iniziato presso Laterza. Che si tenti di tutto per salvarlo! Ho nell’animo lo spavento di un nuovo caso Donadoni28: per la famiglia questa cosa sarebbe più paurosa. Tienimi informato. Io e Croce viviamo in trepidazione! È una delle maggiori speranze per i nostri studi lui! Se venisse meno, mi sentirei annichilito anch’io, che oramai da tanti anni lavoro con lui, in perfetta concordanza di convinzioni e di ideali29.

A preoccupare Omodeo non era solo il dolore personale e il pensiero della famiglia di Russo, ma anche la consapevolezza che la sua perdita sarebbe stata irreparabile per il residuo “fronte” idealista, osteggiato dalla scuola attualista di Gentile, dai nazionalisti schiacciati sulle direttive del regime, dalla scuola neoscolastica di Padre Gemelli e Gustavo Bontadini.
Penso che una sorte maligna si stia portando via uno dopo l’altro i migliori, quelli in cui c’era da fidare per l’avvenire degli studi italiani: Donadoni, Anzilotti30, ora lui! E siamo tanto pochi a lavorare! Chi potrà sostituire la sua bella energia? Non mi so dar pace31.

Seppure in trepidazione per la sorte dell’amico, che iniziava a mostrare segni di vistoso miglioramento agli inizi di luglio, Omodeo non rinunciava a portare avanti i suoi numerosi studi; la raffinata esegesi degli scritti del Vangelo di San Giovanni era ultimata per l’estate e pubblicata a puntate sulla nuova creatura editoriale di Codignola32, quella «Civiltà Moderna» nata come continuazione di «Levana», e destinata a raccogliere il fiore della cultura non allineata al regime nel corso del decennio successivo. Il primo fascicolo, pubblicato nel giugno del 1929, si apriva con un editoriale di Codignola che non lasciava adito a dubbi:
La nuova rivista si rivolge ad un pubblico molto più largo perché non si restringerà a discutere problemi e filosofia dell’educazione; essa intende dibattere i problemi più vivi della storiografia contemporanea, affidandone la trattazione ai migliori nostri studiosi, che esporranno, in una forma comprensiva e sintetica, accessibile ad una larga cerchia di lettori colti, i risultati delle loro indagini. […] Gli amici che si stringono attorno alla nuova rivista sono tutti fermamente convinti che alla cultura italiana contemporanea incomba il dovere di imporsi energicamente a preoccupanti manifestazioni di torbida faciloneria e acrisia futuristica, pseudomistica e prammatistica e di difendere conquiste preziose cui il nostro paese non potrebbe rinunciare impunemente, in particolar modo la ferma e serena fiducia nella feconda opera del pensiero e della critica33.

Omodeo se ne complimentava subito con l’amico: «Alle mie conoscenze napoletane la tua Rivista è piaciuta…dicono che si legga tutta, mentre questo non capita a “Pegaso”»34, la neonata rivista diretta da Ugo Ojetti. La rivista, rifletteva la volontà di Codignola di difendere, nel nuovo clima post-concordatario, l’unità del fronte idealista; lo dimostrava il carattere super partes del primo fascicolo della rivista, che, da un lato, dava ampio risalto all’intervento di Gentile su Filosofia e Stato al VII Congresso di Filosofia35, nel quale aveva rivendicato la bontà della cultura laica; dall’altro, accoglieva la stroncatura di Piero Fossi al volume “demolitorio” verso l’opera di Benedetto Croce scritto “a sei mani” dagli attualisti Ugo Spirito, Arnaldo e Luigi Volpicelli36.
Nel frattempo, Omodeo proseguiva il lavoro sulle voci a lui assegnate per l’Enciclopedia diretta da Giovanni Gentile, con il quale i rapporti erano sempre più freddi. A farli precipitare ulteriormente, la volontà di Omodeo di trasferirsi dalla cattedra di Storia della Chiesa dell’ateneo napoletano a quella di Storia moderna. Omodeo riferiva di complotti in facoltà contro di lui, nonostante il generale accordo dei colleghi sul suo passaggio alla Storia moderna; gli storici Giuseppe Paladino e Francesco Ercole avevano invece fatto ricorso “agli argomenti di Tecoppa”37 facendo sospender tutto. L’amarezza di Omodeo era grande, tanto che lo storico confessava di aver pensato a un trasferimento alla cattedra di Storia antica a Firenze, «ma non ci saranno dei Tecoppa anche a Firenze?». Che la vicenda sarebbe andata avanti per le lunghe, ad ogni modo, era chiaro:
La tormenta di cui ti ho parlato – scriveva Omodeo – pare si vada aggravando. Vi concorre, pare, il risentimento di G[entile] contro di me. Almeno i male intenzionati si fanno forti di tale risentimento […]. Si tratta di un’indegna montatura da parte di bassi interessi, che mi colpisce in pieno fervore di studi, che – lo dico con orgoglio – potrebbero fare onore all’Italia. Tu vedi di fare quanto è possibile per aiutarmi […]. Su tutta questa faccenda sento di avere operato con diritta coscienza, giustificando sempre il mio operato e evitando ogni asprezza che potesse offendere altri. Non so perciò se il risentimento sia giusto.

Omodeo si riferiva alla preoccupazione di Gentile dovuta all’eventualità di “perdere” un posto importante come la cattedra di Storia della Chiesa, alla quale Omodeo era stato chiamato “per chiara fama” grazie all’insistenza del maestro, divenuto ministro della Pubblica Istruzione38. Non che mancassero i titoli per tale nomina, ma, come si è ricordato in precedenza, le caratteristiche della produzione scientifica di Omodeo ed il suo essere allievo diretto di Gentile avevano finito per rendergli invisi, in facoltà, laici e cattolici, seppure per opposti motivi. L’allontanamento concretizzatosi negli anni della dittatura rendeva la posizione di Omodeo piuttosto scomoda per il filosofo di Castelvetrano, che pure non si era opposto al trasferimento di cattedra. Tra gli allievi di Gentile era però diffusa la sensazione che Omodeo avesse “tradito” l’antico maestro, rinnegandone posizioni e scelte, come era accaduto indirettamente già nel 1926, quando lo storico aveva proposto per “Leonardo” l’articolo Storicismo formalistico, nel quale prendeva di mira le posizioni degli attualisti, “celebratori dell’azione e della storia fatta da altri” e della “filosofia della forza”; considerato “poco ortodosso” da Gentile, lo scritto veniva dirottato sulla più defilata “Educazione politica”39.
Anche la presunta diserzione – tu conosci il mio pensiero – è ubbia, –puntualizzava Omodeo – Quando potremo sinceramente tirare le somme si vedrà chi ha più accorato G[entile]: se io che ho dimostrato la fecondità del suo pensiero in campo storico o i chierichetti ripetitori di formule40.

Codignola cercava di rassicurare lo sconsolato amico con una lettera assai franca:
Caro Omodeo,
tu interpreti male la condotta di Gentile. Non si tratta di risentimenti. Mi ha parlato della cosa l’ultima volta che l’ho veduto a Roma. Mi ha detto che egli ti aveva messo in un posto di grande responsabilità, che tu non dovevi disertare. Egli è persuaso che nessuno ti toccherà, che anzi la politica nostra si sta orientando sempre più in senso antivaticanesco. Mi ripeté più volte che il tuo passaggio alla storia moderna poteva assumere l’aspetto di diserzione dettato dalla paura. Il che avrebbe nuociuto a tutti41.

Gentile, Omodeo e Codignola, insomma, erano ben consapevoli che con la firma degli accordi con la Santa Sede, il ruolo della Chiesa nella società italiana, alta cultura compresa, non avrebbe potuto che aumentare. Certo, rimanere al proprio posto avrebbe significato, per Omodeo, essere un bersaglio facile. «Sei padrone di non pensarla come lui – proseguiva il pedagogista –, ma, come vedi, i risentimenti proprio non c’entrano. Egli avrebbe seguito la medesima linea di condotta con me o con Fazio»42. Omodeo non cambiava posizione: i pensieri di Gentile gli erano noti, ma il guaio era che i colleghi di facoltà li avevano trasformati in un “pugnale” contro di lui. Per di più, in privato, Gentile si era detto disponibile ad appoggiare il passaggio, che aveva motivazioni non solo “politiche”, ma anche personali:
Quando si annunziò il concordato – scriveva Omodeo –, credetti necessario pensare ai miei, perché la portata degli accordi si presentava catastrofica. Verso il 10 marzo, venendo a Firenze, ne parlai a Roma al G[entile]. Parole sue testuali: “Credo che il passaggio sia opportuno farlo”.

In successivo colloquio, a quanto riferisce Omodeo, il filosofo aveva fatto dietro front, lasciando l’amaro in bocca al suo antico scolaro:
E poi, non lo nascondo, mi era tornato il desiderio di un insegnamento più vasto ed efficace. Da sei anni insegno ad otto mediocrissimi alunni della facoltà di filosofia, che a Napoli è come la sentina dell’Università. Era un’onestissima ambizione, sopravvissuta alla rinunzia da me serenamente fatta alla possibilità di maggiori guadagni e di maggiori “onori”: poter lavorare di più e con più efficacia. E a G[entile] dimostrai che il mio passaggio non avrebbe nuociuto alla sostanza della cosa. Avrei potuto tenere l’insegnamento di Storia della Chiesa come incarico e riversare in esso i migliori elementi della scolaresca di storia generale […] E considerare la mia cattedra un caposaldo di suprema resistenza, dopo il crollo di tutta l’opera sul Cavour e sulla destra a cui, sia pure a denti stretti, ha plaudito anche il G[entile], non mi passava e non mi passa per la testa.

alludendo al progetto a lungo accarezzato dallo storico per una biografia cavouriana, presto tramontato a causa del delicato momento politico, che nulla doveva contribuire a turbare.
Le critiche di Omodeo all’operato del maestro non si limitavano all’atteggiamento tenuto nei suoi riguardi, ma investivano l’intero operato del filosofo siciliano, nel passaggio cruciale costituito dagli accordi col Vaticano e dalla sconfitta ai danni del pensiero tomistico nel VII congresso di filosofia:
Anche tutta la campagna di Gentile mi pare poco nobile. Nello stesso congresso di filosofia che passa per un grande successo, c’è un pericolo enorme: l’aver riconosciuto ufficialmente una posizione alla chiesa in quanto tale nella vita della scienza, cosa finora inaudita, e l’aver creato, a danno del vero e dello schietto pensiero filosofico, possibilità di compromessi e transazioni in cui possono prosperare uomini vili come i Guzzo43 e i Carlini44, per i quali G[entile] è estremamente indulgente, per quanto è severo con me che credo di avere religiosamente osservato il meglio del suo insegnamento. In questa lotta io credo che le tortuosità non giovino e solo la netta professione d’una fede nostra possa salvarci. Perciò, pure senza fare il minimo gesto d’avversione all’azione di G[entile] non mi sono considerato soldato sotto la sua bandiera. E, da quel codardo che sono, proprio in questi giorni vado pubblicando un’analisi critica di un evangelio, ad affermazione d’un’imperturbata attività scientifica. È modo diverso di apprezzare la situazione che speravo potesse essere riconosciuto da tutti. Mi sono ingannato. Ecco tutto45.

Emerge, da questa lettera, tutta l’amarezza dello storico, che credeva di avere assunto una posizione chiara, proprio perché non ortodossa, di fronte a quello in cui si era trasformato l’idealismo gentiliano, e che per questo era stato messo alla porta come un apostata, colpito dal sentirsi oggetto di una «incomprensione radicale da parte di chi dovrebbe meglio di ogni altro intendermi». Una delusione che trovava sfogo solo nella gran mole di lavoro che lo storico si era accollato46. In quei mesi Omodeo era infatti al lavoro per completare l’edizione di una vasta serie di lettere di soldati caduti durante la Grande Guerra47; scopo dello storico era quello di offrire una testimonianza del sacrificio compiuto dalla gioventù italiana in vista di un generale rinnovamento nazionale, che le vicende del dopoguerra avevano contribuito a vanificare. In parallelo le ricerche sul Vangelo di San Giovanni lo portavano ad affrontare una gran quantità di problemi interpretativi a livello filologico e simbolico, ma che avrebbero dato frutti assai positivi nel volume48 già pronto per esser pubblicato da Laterza, in ideale continuità con il Gesù49 e il Paolo di Tarso50; a questi lavori si aggiungevano gli studi copiosi sul Risorgimento italiano per la «Critica» di Croce; si capisce in questo modo come la compilazione delle due voci Lettere ai Corinzi e ai Colossesi per l’Enciclopedia fosse per lo studioso quasi una sottrazione del proprio tempo a svantaggio delle più ampie ed originali ricerche intraprese.
Quanto a Gentile, Codignola non tornava sull’argomento, consapevole forse del carattere incomponibile del dissidio intercorso fra il filosofo di Castelvetrano e il suo antico scolaro. Proprio in quei giorni, anzi, Gentile sfogava la sua frustrazione contro
un certo sentimentalismo antifascista (mi dispiace molto usare questa parola, ma tu mi comprenderai) per cui a furia di volersi opporre a volgarità incompatibili degli scalmanati ignorantissimi della piazza si finisce col creare una sorta di tabù stranissimo per cui la vittima diventa il tiranno e l’essere fatto segno, sul terreno politico, ad una blanda persecuzione, costituisce un privilegio ingiustissimo sul terreno scientifico. Ingiustissimo perché un filosofo deve avere più coraggio a stare al governo che alla opposizione e bisognerebbe che gli intelligenti non facessero pagare troppo caro il primo atteggiamento a chi lo abbia preso e lo mantenga con onesta convinzione51.

L’occasione di queste parole era la già citata recensione negativa del giovane Piero Fossi al volume denigratorio verso il pensiero di Croce scritto da affermati studiosi attualisti. Ma è chiaro che, in questo momento, Gentile parlava a nuora, vale a dire a Codignola, perché suocera, cioè Omodeo, intendesse.
Nonostante i tentativi di porsi a “cerniera” fra gli amici in rotta di collisione, Codignola si mostrava rispettoso delle ragioni di ognuno. Tuttavia, consapevole delle difficoltà, economiche e morali, in cui versavano gli amici Omodeo e Russo, il pedagogista-editore pensava così di affidare ai due studiosi un’opera di grande dimensioni che avrebbe visto la luce grazie ai finanziamenti dell’Ente nazionale di cultura di Firenze. Ne scriveva ad Omodeo agli inizi di agosto:
Caro Omodeo,
sono riuscito ad iniziare la collezione di Documenti di storia italiana, promossa dall’Ente di Cultura con le prediche del Savonarola di cui saranno pubblicati i primi volumi nei prossimi mesi.
Desidererei includere nella collezione anche i Discorsi politici di Cavour, diventati oramai una rarità bibliografica. Li vorrei affidare alle cure tue e del Russo. Così indirettamente si potrebbe aiutare un po’ il Russo, il quale con la perdita della direzione del “Leonardo” si troverà in gravi impicci economici. Ogni volume dovrebbe essere preceduto da una breve introduzione illustrativa e il testo accompagnato da copiose note52.

Russo, infatti, si era ripreso53, ma la sua estromissione da “Leonardo” era imminente. Codignola aveva cercato con tutte le forze di salvare in extremis la rivista, o almeno di dar vita ad un nuovo periodico da affidare al critico siciliano. Ma le difficoltà, soprattutto economiche, si erano rivelate insormontabili:
Caro Omodeo,
Russo desidererebbe continuare la pubblicazione di “Leonardo” sia pure con un altro nome e presso un altro editore. Ed anch’io sono d’avviso che occorrerebbe fare ogni sforzo per impedire che si spegnesse questa voce di libera critica, intelligente e verace. Ma c’è una difficoltà insormontabile, la mancanza di denaro. Ho fatto bene i calcoli e mi sono persuaso che è impossibile continuare la pubblicazione del periodico, compensando direttore e redattore se non si trovano per i primi due o tre anni almeno trentamila lire a fondo perduto. Io potrei procurarne sei o sette mila. Le altre dovrebbero procurarne gli amici facoltosi. Se credi che la cosa sia possibile, parlane ai tuoi amici di Napoli e sappimi dire qualcosa54.

Codignola accennava poi al pieno accordo di Russo per l’edizione dei Discorsi di Cavour, mentre Omodeo dava alle stampe, su «La Critica» di Croce, il suo primo lavoro scientifico nel campo di studi risorgimentali; in Primato francese e iniziativa italiana55, lo storico dava un saggio del respiro internazionale della sua produzione. Dopo aver dimostrato la matrice “europea” dell’idea di “primato” della nazione italiana nel pensiero politico di Mazzini, dalla consapevolezza del quale l’eroe genovese faceva discendere la necessità dell’azione, Omodeo accostava l’operato dell’esule a quello di Cavour.
Il Mazzini vive quest’ansia di arrivare in ritardo: che l’Italia possa non trovare posto nell’Europa. Partecipa a tutto il moto dello spirito europeo. Il suo pensiero fondamentale non differisce molto da quello che diciotto anni più tardi guiderà il Cavour: inserire l’Italia nella viva realtà europea. Il divario è in ciò: che per il Cavour, specialmente dopo il 1848, la realtà europea sono gli stati costituiti; per il Mazzini, nel 1831, la realtà europea non poteva non essere l’Europa dei popoli, ché l’Europa diplomatica era cosa troppo avversa, blocco cementato dalla politica di Metternich56.

In nuce, questo passo del 1929 contiene il succo dell’interpretazione “dialettica” dell’operato di Cavour e Mazzini, sviluppata nella grande biografia cavouriana.
Con queste premesse storiografiche, il lavoro di Omodeo e Luigi Russo al monumentale corpus dei Discorsi cavouriani, assumeva un preciso significato politico e culturale. Oggetto di deformazioni crescenti da parte della storiografia coeva, il Risorgimento conosceva da alcuni anni una svalutazione dell’operato dell’establishment liberale, Cavour in primis, a favore di Casa Savoia e addirittura dell’opposizione cattolica. Dalle sulfuree recensioni risorgimentali raccolte in Tradizioni morali e disciplina storica57, edito in quell’anno da Laterza, sino alla caduta del regime, Omodeo avrebbe prestato alcune delle pagine più efficaci della sua vasta produzione alla lotta contro quello che lui stesso aveva definito “L’Antirisorgimento”. Luzio, Volpe, Rodolico, Salata e molti altri gli studiosi bersaglio delle puntuali ed efficaci osservazioni dello storico, la cui padronanza senza pari delle fonti, unita ad una certa verve polemica comune all’amico Russo, provocava spesso la stizzita reazione degli avversari, che pure, grazie al sostegno accordato al regime, monopolizzavano le più prestigiose riviste e accademie. Il senso di frustrazione per il disconoscimento dei risultati del proprio lavoro, nel momento in cui gli avversari, rinunciando alla propria onestà intellettuale, contribuivano a dare una patente di ufficialità alla cultura promossa dal regime liberticida, spiega il fervore oserei dire “religioso” che anima le pagine dell’Omodeo all’apice della maturità scientifica.
Da qui l’impegno nelle ricerche sul Cavour, che l’avrebbero occupato per tutto il tormentato decennio, funestato da gravi lutti familiari e crescenti difficoltà economiche. L’edizione critica dei Discorsi del primo ministro, il cui operato veniva svalutato dalla storiografia “ufficiale” sino a darne una lettura “provvidenzialistica”, in modo da rendere lo statista piemontese precursore58 inconsapevole delle “machiavellerie” mussoliniane, era quindi la migliore occasione per dare un contributo ad una lettura del suo pensiero scevra da ogni implicazione ideologica e da ogni antistorica forzatura. Dare nuova vita al pensiero di Camillo Cavour, che aveva parlato di “libera chiesa in libero stato”, era un segnale politico preciso nel quadro della Conciliazione. Per servire allo scopo, Omodeo pensava ad un’edizione che si sviluppasse in modo diacronico, in modo da far emergere il pensiero cavouriano nel suo evolversi:
Dirai a Russo, a cui devo scrivere, che non condivido del tutto il suo punto di vista circa l’aggregazione per materia delle opere cavouriane. Il carteggio Cavour-Nigra59 mi ha rivelato gli inconvenienti di tal metodo. Per intendere un uomo politico la cronologia è importantissima: anche i problemi dei rapporti con la Chiesa sono diversi in lui nei primi anni dell’attività parlamentare e nel ’60, di fronte alla questione romana. Con la divisione per materia daremmo un colorito dottrinario al grande ministro. Proprio quello che conviene togliere. Ho ancora in mente le cretinate dei “romani”, che trasformato Cavour in un teorico lo facevano superare da… B. Spaventa! Invece delineando nei prologhi dei singoli volumi le situazioni politiche nei diversi momenti si ha la visione dell’azione del Conte60.

Un nuovo fervore di studi tornava così ad impadronirsi dello storico palermitano, confortato dalla visita – forse l’ultima – a Gentile, che era tornato ad invitarlo a non abbandonare la cattedra di Storia della Chiesa; presto si sarebbe liberata quella romana, visto che gli accordi con il Cardinal Gasparri avevano segnato la sorte accademica di Ernesto Buonaiuti: «Io a questo discorso risposi un po’ evasivamente. In altri tempi avrei veduto adempimento di uno dei miei più cari sogni in tale possibilità. Ma molti motivi, primo fra tutti quello di occupare una cattedra di uno che sarebbe destituito per manovre pretine, mi ripugna»61, scriveva a Russo.
Sempre Omodeo, nel frattempo, si prodigava per salvare la rivista dell’amico62. La sorte del «Leonardo» era comunque segnata, complici le incomprensioni crescenti fra Russo e Gentile. Codignola confessava ad Omodeo di «sperare sino all’ultimo» nel salvataggio della Rivista, anche se Russo aveva già «perduto ogni speranza»63. Nel dicembre, infine, il critico si dimetteva da direttore del «Leonardo», che sarebbe stato da lì in avanti diretto da Fortunato Gentile e pubblicato per i tipi della casa editrice milanese Treves. Russo, da par suo, dava vita a «La Nuova Italia», edita dalla casa editrice Vallecchi in cui Codignola aveva assunto un ruolo importante come Consigliere editoriale64. Il tono battagliero col quale Russo aveva dato inizio da dicembre alla nuova rivista, non lasciava adito a dubbi su quale fosse la scelta di campo fatta da quel momento da parte dello storico; nel suo editoriale d’apertura “Io dico seguitando..”65, Russo prendeva di mira tutte le tendenze della cultura italiana che si ponevano come vicine al regime: giovanilismo, strapaese, dilettantismo giornalistico spacciato per cultura, che non poteva darsi senza lavoro serio e ponderato. Il succo del sulfureo scritto di Russo, a testimonianza di una perfetta comunione di intenti, tornava nella lettera indirizzata qualche settimana prima da Omodeo a Codignola:
Il risveglio culturale, per vari segni, appare prossimo. La gente non ne può più di futurismo, novecentismo, letteratucoli di terza pagina, strapaese. Se diamo l’esempio di duro lavoro ci tireremo appresso le forze nuovo che ci servono. Ma bisogna lavorare e prendere a pedate i chiacchieroni66.

Ma per lavorare in piena libertà, Omodeo aveva bisogno di liberarsi del peso della collaborazione all’Enciclopedia, una corvee sopportata mal volentieri per il controllo esercitato da terzi sul suo operato, in un clima dove «la promessa libertà scientifica vien meno per troppi riguardi». Di fronte ai crescenti malumori di Omodeo, lo storico della chiesa Alberto Picherle gli offriva di compilare, come contropartita, alcune voci per la sezione “Storia moderna”, ricevendo però il diniego dello storico, a causa della palese scarsa considerazione, quando non aperta ostilità, che circondava il suo lavoro. Lo storico, esasperato, inviava a Gentile l’ultima lettera di un carteggio che durava dal 1911, ma che negli ultimi cinque anni già recava tutte i segni dell’imminente rottura. «Io avrei lasciato liberi i preti di gabellare, come han fatto, Abramo quale personaggio storico, o di far l’apologia, se crederanno, del miracolo di san Gennaro: a condizione che essi non avessero inquisito nei miei lavori. L’Enciclopedia avrebbe fotografato la cultura italiana, in cui c’è Padre Venturi e c’è Adolfo Omodeo»67. Le condizioni per una collaborazione, con tutta evidenza, non sussistevano più. Allo stesso modo, il residuo legame che dal 1911 legava i due studiosi doveva dirsi irrimediabilmente tramontato; Omodeo si sentiva oramai un allievo sconfessato dal maestro di cui pensava di aver custodito gelosamente la lezione appresa sin dagli anni di Palermo, ma che col tempo si era troppo allontanato da quelle posizioni che in gioventù tanto lo avevano entusiasmato. La risposta di Gentile sarebbe arrivata quasi due mesi dopo, il 24 gennaio del 1930. Subito dopo aver ricevuto l’ultima missiva del maestro, lo storico ne comunicava il contenuto all’amico fiorentino:
Gentile mi rinvia due delle voci – Corinzi e Colossesi – che gli avevo inviato per l’Enc. dicendosi “convinto che sarebbe impossibile pubblicarle senza parecchie e non indifferenti modificazioni: la qual cosa, ne sono sicuro, dispiacerebbe a te non poco, come a me dispiacerebbe metterti davanti al fatto compiuto”. La cosa, se non mi è dispiaciuta per quanto riguarda me, mi è dispiaciuta per quanto riguarda lui che ha completamente vaticanizzato l’Enc.
Rilette le voci le ho trovate serie ed equanimi e non senza qualche pregio di chiarezza. Penso che, pubblicate, [assumerebbero] un compito divulgativo sempre utile. Si riferiscono a tre lettere di Paolo. Perciò le invio a te se le vuoi per la tua rivista. Naturalmente nella nota d’accompagnamento non parlo affatto dell’Ente.
La pubblicazione avrebbe due vantaggi: I di non darla vinta a padre Venturi che le ha fatte espellere dall’Enc. II di impedire ogni e qualsiasi attacco dei ragazzi gentiliani (lui crede che da solo non farebbe nulla contro di me).
Una volta che le due voci fossero di dominio pubblico, non potrebbero darmi addosso in nessun modo. Un semplice rinvio li metterebbe dalla parte del torto. Io non voglio polemizzare, restando però in una posizione di vantaggio, che impedisca anche il possibile attacco.

E, come sempre in Omodeo, il peso per l’enorme mole di lavoro:
L’articolo sul “Settembrini” è a buon punto68; sul Gioberti sto scrivendo un lungo saggio che spero richiamerà attenzione sull’epistolario69. Ma sono un po’ stanco e lo scrivere di questi tempi mi costa più fatica del solito70.

Da par suo Codignola preferiva non entrare nel merito della rottura consumatasi fra Gentile ed Omodeo, ma accettava di buon grado di pubblicare le due voci rifiutate per «Civiltà Moderna»71, invitando l’amico a iniziare il lavoro per il Cavour. Aggiungeva solo: «Fatti coraggio e non lasciarti prendere dalla sconforto. Chi osa trionferà di tutti gli ostacoli»72.
Il 1929 segna dunque una frattura irrimediabile nel “fronte idealista”. D’ora in avanti, l’ostilità fra la “scuola romana” e quella “palermitana” di Gentile, non sarà più a livello di schermaglie e punzecchiature polemiche, ma diventerà una contrapposizione frontale. La mancata protezione offerta da Gentile, la cui influenza nella vita culturale italiana andava da qualche tempo declinando, agli allievi veniva però compensata dal sodalizio intellettuale e lavorativo instaurato da questi ultimi con Benedetto Croce. Omodeo, come è noto, divenne sin dal 1928 il principale collaboratore de «La Critica», assieme a Francesco Flora e all’ex gentiliano Guido De Ruggiero73.
L’attenzione al tema dei rapporti Stato-Chiesa, assieme alla lotta contro l’Antirisorgimento propugnato dalla storiografia allineata al regime, avrebbe costituito il “filo rosso” della monumentale produzione dello storico. Oltre ai volumi dei Discorsi parlamentari, i cui saggi introduttivi sarebbero stati rifusi e integrati nel classico L’Opera politica del conte di Cavour74, uscito per «La Nuova Italia»; una fitta serie di saggi e di interventi minori testimoniano questo interesse: basti citare la recensione75 al volume di Walter Maturi sul concordato tra Regno di Napoli e Santa Sede, in cui Omodeo saluta con favore il giudizio critico di Maturi, che aveva espresso le sue perplessità sulle condizioni dell’accordo e sulle modalità della sua attuazione, avvenuta non senza grave danno per il governo borbonico. Saggi su la politica religiosa dopo il 186076, come sull’atteggiamento di Cavour attorno alla questione romana77, sembravano in più di un passo riecheggiare temi e problemi vivi e attuali, senza nulla sacrificare al rigore storico, o peggio, al determinismo da Omodeo tanto rifuggito in sede storiografica. Così, le ricerche condotte negli anni successivi anche all’estero sul cattolicesimo della restaurazione e sulla politica estera cavouriana, come i saggi destinati ad abbattere la nascente “leggenda” del liberalismo carloalbertino78 o del pensiero giobertiano, si riallacciano tutti a questa esigenza di difendere la laicità della cultura e di combattere gli storici che, abdicando al loro ruolo, piegavano fatti e circostanze in modo conforme alla fascistizzazione della cultura79.
Diversa la posizione di Codignola, che ancora nei primi anni Trenta si manteneva fedele alla linea gentiliana, seppure su posizioni di forte autonomia. Per il pedagogista, Croce aveva sbagliato a separarsi da Gentile «spezzando il fronte unico intellettuale che l’idealismo aveva creato nel paese»80. Non era però accettabile che la filosofia di Gentile si trasformasse in un pensiero dogmatico, per di più ad opera di tralignati discepoli, nel bel mezzo dell’offensiva clericale e neoscolastica. Proprio per scongiurare questo rischio «Civiltà Moderna» era nata «per combattere l’acrisia e lo spirito presuntuosamente e cafonescamente dogmatici che stanno invadendo larghe cerchie di così detti intellettuali italiani»81.
Rottura dunque, ma anche “riposizionamento” in piena sintonia con le posizioni crociane, di questo sparuto manipolo di intellettuali, Omodeo appunto, Russo e De Ruggiero ed a suo modo Codignola, in difesa dell’autonomia e della serietà della cultura, minacciata dalla fascistizzazione della società e dal conformismo, che sempre si accompagna all’acquiescenza dei chierici al potere politico.




NOTE
1 Cfr. M. Di Lalla, Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1975, pp. 315-329; G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Torino, UTET, 2006, pp. 358-367.^
2 Giuseppe Lombardo Radice a Giovanni Gentile, Roma, 8 aprile 1925, in M. Di Lalla, Giovanni Gentile…, cit., pp. 334-335.^
3 Guido De Ruggiero a Giovanni Gentile, Napoli, 26 aprile 1925, Ivi, p. 339.^
4 Cfr. Luigi Russo-Giovanni Gentile. Carteggio, a cura di R. Pertici e A. Resta, Pisa, Edizioni della Scuola Normale, 1999.^
5 L. Russo, Problemi di metodo critico, Bari, Laterza, 1929. Su Russo si veda ora G. Giarrizzo, Luigi Russo (1892-1961) e la ‘vera religione’, in «Rivista Storica Italiana», 109 (1997), pp. 961-1023; resta valido il classico E. Garin, La cultura italiana fra ’800 e ’900, Bari, Laterza, 1962, pp. 179-211.^
6 Cfr. G. Turi, Lo Stato educatore. Politica e intellettuali nell’Italia fascista, Bari, Laterza, 2002, pp. 168-186. Turi offre una linea interpretativa diversa dal classico E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 137-169.^
7 Sul punto J. Charnitky, Fascismo e scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1996.^
8 Nella vasta bibliografia su Omodeo si veda, per un quadro generale G. De Marzi, Adolfo Omodeo: Itinerario di uno storico, Urbino, Quattro Venti, 1988; M. Musté, Adolfo Omodeo. Storiografia e impegno politico, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici-il Mulino, 1990; A. Omodeo, Lettere. 1910-1946, Torino, Einaudi, 1962; Giovanni Gentile-Adolfo Omodeo. Carteggio, a cura di S. Giannantoni, Firenze, Sansoni, 1975; Benedetto Croce-Adolfo Omodeo. Carteggio, a cura di M. Gigante, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1978. Fondamentali in contributi di A. Garosci, Adolfo Omodeo. I. La storia e l’azione, in «Rivista Storica Italiana», 67 (1965), fasc. 1, pp. 146-183; Idem, Adolfo Omodeo. II. La guerra, l’antifascismo e la storia; Ivi, fasc. 3, pp. 639-685; G. Galasso, Personalità e spiritualità di Adolfo Omodeo, in Idem, Croce, Gramsci e altri storici, Milano, Il Saggiatore, 1969, pp. 169-184; D. Cantimori, Commemorazione di Adolfo Omodeo, in Idem, Studi di storia, Torino, Einaudi, 1959, pp. 51-75; Idem, Il senso della storia di Adolfo Omodeo, Ivi, pp. 76-81. W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962, pp. 517-549.^
9 Cfr. Adolfo Omodeo a Giovanni Gentile, Napoli, 19 dicembre 1924, in A. Omodeo, Lettere…, cit., p. 419.^
10 Sul tentativo di instaurare una “tregua” tra i due maestri dell’idealismo cfr. Adolfo Omodeo a Giovanni Gentile, Napoli, 27 ottobre 1927, Ivi, p. 432: «L’importante è che chiunque ha dedicato la sua vita agli studi senta l’urgenza di riconquistare progressivamente sia in fatto che in diritto la piena libertà di critica, per tutti, senza di che la nostra cultura cade in preda agli adulatori e alle spie. Io non propongo riconciliazioni forse difficili. Vorrei una tregua d’armi, o meglio l’impegno di accettar dei limiti senza di cui daremmo fuoco all’edifizio della nostra cultura. Pensiamo di più alle nostre idee che alle persone altrui, e collaboriamo tutti, sia pure per vie diverse, a restaurare condizioni in cui sia possibile pensare e scrivere». Dopo l’uscita della Storia d’Italia dal 1870 al 1915 che conteneva un cenno assai polemico verso l’operato di Gentile, il filosofo rispondeva: «Carissimo, avrai visto nell’ultimo libro del Croce come sia stata osservata da lui la tregua invocata; e come sia quindi facile per me il silenzio» (Giovanni Gentile a Adolfo Omodeo, Roma, 30 gennaio 1928, Ivi, p. 437, n. 1. Sulla vicenda e sul parallelo tentativo di Russo di stabilire una pacificazione fra i due G. Turi, Giovanni Gentile…, cit., pp. 398-400.^
11 Adolfo Omodeo a Giovanni Gentile, Napoli, 27 ottobre 1927, Lettere…, cit., p. 431.^
12 A. Omodeo, Esperienza etica dell’Evangelio, Roma, 1920, 2° ed. Bari, Laterza, 1924. Cfr. Adolfo Omodeo a Giovanni Gentile, Napoli, 6 agosto 1924: «Carissimo Professore, sui giornali di oggi vedo che il Sant’Uffizio ha messo all’Indice la mia Esperienza etica dell’Evangelio. Ci avrei riso su: ma mi sorprende che la condanna colpisca la minore delle mie opere, e proprio quella che va per le scuole. Inoltre, contro una consuetudine oramai invalsa, il Sant’Uffizio si occupa di un autore che non ha mai fatto professione di cattolicismo, Mi pare evidente l’intenzione di danneggiare la nostra influenza nelle scuole. Condannando le nostre opere scolastiche, si destano preoccupazioni di ordine politico dei presidi, scrupoli nei padri di famiglia ecc..Si getta un riverbero di contrasti politici nella scuola e si specula sull’atteggiamento filo cattolico del governo. Io le segnalo il pericolo», in A. Omodeo, Lettere…, cit., p. 415.^
13 Cfr. Adolfo Omodeo a Giovanni Gentile, Napoli, 16 novembre 1928, in A. Omodeo, Lettere…, cit., p. 441. Studi confluiti in Idem, Un reazionario. Il conte J. De Maistre, Bari, Laterza, 1939; Idem, La cultura francese nell’età della Restaurazione, Milano, Mondadori, 1946.^
14 Adolfo Omodeo a Giuseppe Lombardo Radice, Napoli, 7 febbraio 1929, Lettere…, cit., p. 445.^
15 G. Turi, Il filosofo, il gesuita, il mecenate. L’Enciclopedia italiana specchio della nazione, Bologna, il Mulino, 2000.^
16 Omodeo aveva compilato per l’Enciclopedia le voci: Acedalma, Achamot, Anania, Anna, Anticristo, Apocalisse, Apollos, Apostolo, Atti degli Apostoli, Barbelognostici, Basilide, Bauer (B.), Bauer (F. Chr.), Bousset (W.), Cerinto.^
17 Adolfo Omodeo a Giovanni Gentile, Napoli, 16 febbraio 1929, Lettere…, cit., p. 446.^
18 Adolfo Omodeo a Giovanni Gentile, 16 febbraio 1929, in A. Omodeo, Ivi, cit., p. 446.^
19 Del resto è stato proprio Renzo De Felice a parlare della Conciliazione come “sconfitta” di Gentile; cfr R. De Felice, Mussolini il fascista. La costruzione dello Stato fascista 1925-1929, Torino, Einaudi 1968, p. 417, n. 1; sull’opposizione dei cattolici e dei neoscolastici a Gentile si veda ora il bel libro di A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 131-162.^
20 Cfr. G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia…, cit., pp. 425-427.^
21 G. Gentile, La Filosofia e lo Stato, in “Atti del VII congresso nazionale di Filosofia”, Roma, Bestetti & Tumminelli, 1929, pp. 17-26.^
22 Cfr. Luigi Russo a Ernesto Codignola, Napoli, 1 settembre 1922, in riferimento ad alcune superate incomprensioni fra Codignola e De Ruggiero: «[…] Sono lieto di quel che tu mi dici del De Ruggiero. Io poi non ho diffidato mai un momento della tua opera. Anche il De Ruggiero, in questi ultimi tempi, si era persuaso del disinteresse del tuo metodo di lotta. Gli ho fatto un po’ capire la natura del tuo carattere, e che se tu non ci fossi, bisognerebbe far di tutto per creare un… Codignola! Fra gli idealisti c’è molta astrattezza di idee: quel famoso idealismo militante, di cui cominciò a parlarmi nel 1910, solo ora comincia a diventare una realtà. Si è abbandonata oramai la forma illuministico divulgativa (Lombardo Radice, Prezzolini), e si passa a una forma più concreta e immediata. In questo campo tu hai un primato di assoluta originalità», in Archivio Ernesto ed Anna Maria Codignola, Firenze. Carteggio (d’ora in avanti AC).^
23 S. Giusti, Una casa editrice negli anni del fascismo. «La Nuova Italia» 1926-1943, Firenze, Olschki, 1983.^
24 L. Russo, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, Firenze, Vallecchi, 1928. L’ampio carteggio con Ernesto Codignola permette di cogliere le origini e lo sviluppo del volume di Russo, dall’originaria storia dell’ateneo napoletano durante il rettorato di De Sanctis al volume di più generale storia della cultura. Cfr. il profondo giudizio di E. Garin, La cultura italiana…, cit., pp. 195-197.^
25 A. Omodeo, recensione a L. Russo, Francesco De Sanctis…, cit., in «La Critica», 26 (1928), pp. 355-360 è ora in Idem, Difesa del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1951, pp. 520-525. Cfr. Adolfo Omodeo a Luigi Russo, in Lettere, p. 439.^
26 Cfr. ad esempio la “Riservatissima” di Luigi Russo a Ernesto Codignola, Firenze, 14 aprile 1926: «Caro Codignola. Mi giunge notizia, da persona bene informata, che io sarei stato sostituito già, nelle direzione della Leonardo. […] Ti prego di indagare come stanno le cose. […] So che la “Leonardo” è motivo di gelosie e di invidie nel campo romano. Credevo che si fossero quietati. Invece, no», in AC. ^
27 Ernesto Codignola ad Adolfo Omodeo, Firenze, 4 maggio 1929, in AC. ^
28 Eugenio Donadoni (1870-1924). Storico e critico letterario bergamasco. Professore di materie letterarie in numerosi licei siciliani, fra cui quello di Palermo. Professore di lettere nei licei Berchet e Parini di Milano. Professore incaricato di letteratura italiana a Messina fino al 1921. Professore di Letteratura italiana a Pisa nel 1922, presto abbandonò l’incarico per la malattia che lo condusse alla morte. Omodeo era stato suo allievo, seppure solo per tre mesi, nel liceo di Palermo; Codignola aveva trovato nell’ammirato insegnante, trasferitosi a Milano, una guida franca e preziosa nei primi passi da lui mossi nel mondo della scuola dopo il diploma alla Scuola Normale e la laurea a Pisa28. Adolfo Omodeo ad Ernesto Codignola, Napoli, 6 maggio 1929, in AC. Per il rapporto di Donadoni con Omodeo cfr. M. Musté, Adolfo Omodeo, cit., pp. 20-41; per il rapporto con Codignola, A. Santoni Rugiu, Dai primi del ’900 alla riforma Gentile, in Ernesto Codignola in 50 anni di battaglie educative, in «Scuola e città», 18 (1967), pp. 164-169. Dopo la prematura morte di Donadoni Codignola e Omodeo si erano prodigati per alleviare le sofferenze economiche della famiglia del compianto maestro. Cfr. Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 2 ottobre 1924, in AC.^
29 Adolfo Omodeo ad Ernesto Codignola, Napoli, 6 maggio 1929. La preoccupazione per un nuovo “caso Donadoni” tornava nella risposta di Ernesto Codignola ad Adolfo Omodeo, Firenze, 9 maggio 1929: «Non ti dico con quale strazio io segua il decorso della malattia. Non lasceremo nulla di intentato per salvarlo, ma comincio a temere anch’io che si corra il pericolo di assistere ad un nuovo caso Donadoni», in AC.^
30 Antonio Anzilotti (1885-1924) storico fiorentino, autore di importanti ricerche di carattere storico ed economico sulla Lorena e in generale sulla Toscana del XVII e XVIII secolo. Studioso del Risorgimento, diede alle stampe una biografia di Gioberti pubblicata a Firenze nel ’22, divenuta presto un classico. Professore di Storia moderna a Napoli, Pavia e Pisa. Sulla sua parabola R. Pertici, Storici italiani del Novecento, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici nazionali, 2000, in particolare pp. 121-122.^
31 Adolfo Omodeo ad Ernesto Codignola, Napoli, 11 maggio 1929, in AC.^
32 A. Omodeo, La mistica giovannea, in «Civiltà Moderna», 1 (1929), fasc. 2, 3, confluiti e ampliati in Idem, La mistica giovannea. Saggio critico con una nuova traduzione dei testi, Bari, Laterza, 1930, con l’importante recensione di L. Salvatorelli, Il IV Vangelo e la storia cristiana, in «La Nuova Italia», 1 (1930), pp. 357-360.^
33 E. Codignola, Presentazione, in «Civiltà Moderna», 1 (1929), 15 giugno.^
34 Adolfo Omodeo ad Ernesto Codignola, Positano, 15 luglio 1929, in AC.^
35 G. Gentile, La Filosofia e lo Stato, in «Civiltà Moderna», 1 (1929), fasc. 1, pp. 8-17.^
36 Si tratta di P. Fossi, recensione a U. Spirito, A. Volpicelli, L. Volpicelli, Benedetto Croce, Roma, Anonima Editoriale, 1929, in «Civiltà Moderna», 1 (1929), fasc. 1, pp. 142-146; la replica di U. Spirito, A proposito di una recensione, in «Civiltà Moderna», 1 (1929), fasc. 2, pp. 303-305 e la replica di E. Codignola, Postilla, Ivi, p. 305. Sulla vicenda si veda anche l’opinione di E. Garin, Cronache di filosofia italiana. 1900-1960, Bari, Laterza, 1966, pp. 249-250.^
37 Adolfo Omodeo ad Ernesto Codignola, Positano, 15 luglio 1929, cit.^
38 Una ricostruzione dettagliata in M. Musté, Adolfo Omodeo, cit., pp. 218-226.^
39 Cfr. G. Turi, Giovanni Gentile…, cit., pp. 396-397.^
40 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 17 luglio 1929, in AC.^
41 Ernesto Codignola ad Adolfo Omodeo, Viareggio, 21 luglio 1929, in AC.^
42 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Viareggio, 21 luglio 1929, cit. Vito Fazio Allmayer (1885-1958), allievo di Giovanni Gentile, dal 1925 professore di Storia della filosofia a Palermo, dove insegnò fino al 1950 anche Filosofia teoretica e Filosofia morale. Fra i massimi esponenti dell’idealismo italiano.^
43 Augusto Guzzo (1894-1986), allievo di Giovanni Gentile, professore di Storia della filosofia prima e in seguito di Filosofia teoretica a Torino. Fautore di un pensiero attualista che guardava alla conciliazione col cristianesimo.^
44 Armando Carlini (1878-1959), allievo e successore di Gentile sulla cattedra pisana di Filosofia teoretica. Fra i più significativi esponenti di un attualismo ispirato a posizioni cattoliche di matrice agostiniana.^
45 Adolfo Omodeo ad Ernesto Codignola, Napoli, 25 luglio 1929, in AC. A questo sfogo, nella stessa lettera, Omodeo aveva premesso: «Resta però inteso che io desidero vivamente che tu ti astenga in qualsiasi modo da sollecitare Gentile in favor mio. Ho molta superbia, e desidero che non si equivochi, specialmente ora che si presenta l’occasione di tacciare di viltà chi fino a qualche mese fa passava per un temerario testa calda».^
46 Ernesto Codignola ad Adolfo Omodeo, Cogne, 23 agosto 1929: «[…] Se hai degli estratti dei tuoi studi sugli epistolari dei Combattenti mandameli perché io te li faccia recensire per Civiltà Moderna. Attendo per il 3° numero la tua recensione all’epistolario del G[ioberti]”, in AC. L’articolo sarebbe stato pubblicato come A. Omodeo, L’epistolario del Gioberti, in «La Nuova Italia», 1 (1930), pp. 93-100; Ivi, pp. 148-153.^
47 Gli articoli videro la luce sulla «Critica» di Croce dal 1929 al 1933, per essere poi raccolti in A. Omodeo, Momenti della vita di guerra, Bari, Laterza, 1934.^
48 A. Omodeo, La mistica giovannea, cit. Il volume veniva recensito due volte da E. Buonaiuti, in «Nuova Rivista Storica», 14 (1930), pp. 436-437; in «Ricerche religiose», 6 (1930), pp. 458-459. La replica in A. Omodeo, Un prete, in «La Nuova Italia», 2 (1931), p. 80.^
49 A. Omodeo, Gesù e le origini del Cristianesimo, Messina, Principato, 1913.^
50 A. Omodeo, Paolo di Tarso apostolo delle genti, Messina, Principato, 1922.^
51 Giovanni Gentile ad Ernesto Codignola, Roma, 7 luglio 1929, in AC.^
52 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 3 agosto 1929; proseguiva Codignola: «Sappimi dire se accetti in massima la mia proposta. In questo caso scenderemo a maggiori particolari. Hai visto [Balbino] Giuliano? Sappimi dire a che punto è la pratica per il tuo passaggio», in AC. Giuliano divenuto ministro della Pubblica Istruzione il 12 settembre dello stesso anno, succedeva a Giuseppe Belluzzo; cfr. Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 18 settembre 1929: «Che ne pensi di Balbino ministro? Dopo la peste di Bell., anche se non farà grandi cose, sarà sempre un certo refrigerio», in AC.^
53 Luigi Russo a Ernesto Codignola, Firenze, 27 luglio 1929: «Caro Codignola, niente ricadute. Io sto benino, i movimenti sono corretti, e l’unico guaio e la grande pigrizia in cui vivo sepolto”, in AC; Luigi Russo ad Ernesto Codignola, «Non lavoro affatto, e le mie applicazioni intellettuali sono solo quelle della lettura del giornale. Così mi si è attaccato ora il male contrario della pigrizia e, come vedi, scrivo lettere raramente. È venuto a trovarmi Balbino Giuliano […]. Vedo continuamente gente; Lipparini e Della Volpe che vengono da Cutigliano, Guerri e Levi che vengon da Pian degli Ontani e Piero Pieri. L’altro giorno ho avuto la visita di Guido De Ruggiero. […] Laterza mi ha finito di stampare i miei Problemi di metodo critico, e le prime copie dovrebbero venir fuori tra giorni. Per l’abbondanza del materiale ho dovuto dimezzare il volume. Già questo supera le 300 pagine. Più in là, con titolo diverso, metterò fuori il 2° volume», in AC.^
54 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 21 ottobre 1929, in AC.^
55 A. Omodeo, Primato francese e iniziativa italiana, in «La Critica», 27 (1929), pp. 223-240. Si vedano a proposito le profonde osservazioni di W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento…, cit., pp. 526-528.^
56 A. Omodeo, Primato francese…, cit., ora in Idem, Difesa del Risorgimento…, cit., pp. 32-33.^
57 A. Omodeo, Tradizioni morali e disciplina storica, Bari, Laterza, 1929. La “polemica” di Omodeo contro le letture strumentali del risorgimento era iniziata con la recensione a A. Luzio, La Massoneria e il Risorgimento italiano, Bologna, 1925, in «Leonardo», 2 (1926), ora in Idem, Difesa del Risorgimento…, cit., pp. 447-450, dove sono raccolte gran parte degli scritti prima pubblicati nel citato Tradizioni morali.^
58 Ad esempio L. Rossi, Da Cavour a Mussolini, Milano, Corbaccio, 1929; E. Vercesi, I patti del Laterano: la questione romana da Cavour a Mussolini, Milano, Libreria d’Italia, 1929.^
59 Omodeo aveva recensito i primi quattro volumi del Carteggio ne «La Critica»; si tratta di A. Omodeo, A proposito del Carteggio Cavour–Nigra, Vol. I-IV, in «Leonardo», 1928-1929, ora in Idem, Difesa del Risorgimento…, cit., pp. 268-326. A tal proposito, avevo rivelato la bontà dell’operazione in sé, ma anche i difetti dell’edizione, che accoglieva materiale non pertinente omettendone altro, rendendo così auspicabile una capillare ricerca d’archivio per rendere completo e finalmente fruibile tutto il materiale disponibile.^
60 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 23 ottobre 1929, in AC.^
61 Adolfo Omodeo a Luigi Russo, Napoli, 18 ottobre 1929, in A. Omodeo, Lettere…, cit., p. 448.^
62 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 23 ottobre 1929, cit.,: «Ho parlato con l’amico di qui – Croce –. Si offre di concorrere per lire 3000, e mi ha permesso di sollecitare il concorso di amici milanesi. Credo si faccia bene a salvare “Leonardo” anche se per il momento ci sono più riviste che collaboratori».^
63 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, (20) novembre 1929, in AC.^
64 Il carteggio fra Codignola e Omodeo, come quello intrattenuto con Gentile, testimonia gli sforzi dello studioso fiorentino di appianare le divergenze fra il filosofo e Russo, coronato da un temporaneo successo64. Il pedagogista poteva così tirare un sospiro di sollievo, almeno per il momento. Cfr. Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 26 dicembre 1929: «Con grandi sforzi sono riuscito ad appianare definitivamente la vertenza Russo-Gentile. Quest’ultimo temeva che Russo continuasse la polemica sulla rivista. Ora spero che non ci siano altri intoppi, a meno che non neghino a Luigi il permesso della gerenza. Finora non ha ricevuto nessuna risposta. Speriamo l’abbia oggi. Farò mandare a Doria il volumetto del Panz[ini]. Pregalo di dedicargli una recensione breve (non merita un lungo studio) e di essere cortese nella forma. Occorre mettere le cose a posto senza metterci dal lato del torto e prestarsi a rappresaglie», in AC. Il “volumetto” cui fa riferimento Codignola è l’estratto dei capitoli di una biografia cavouriana ad opera di Alfredo Panzini, il primo dei quali era A. Panzini, Il conte di Cavour, in «Italia Letteraria», I (1929); il volume sarebbe uscito solo nel 1931 per Mondadori. G. Doria, Una nuova vita di Cavour, in «Civiltà Moderna», I (1929), fasc. 3, pp. 517-522, aveva dimostrato che i capitoli di Panzini erano in gran parte un plagio di H. Treitsche, Cavour, trad. di Giovanni Cecchini, Firenze, «La Voce», 1921. Sulla polemica Russo-Gentile cfr. anche S. Giusti, Una casa editrice…, cit., pp. 100-102.^
65 L. Russo, Io dico seguitando, in «La Nuova Italia», 1 (1930), fasc. 1, ora in Idem, Elogio della polemica. Testimonianze di vita e di cultura 1918-1932, Bari, Laterza, 1933, pp. 194-219.^
66 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, 23 ottobre 1929: «Ho ricevuto anche l’invito ad abbonarmi alla C. M. Ti confesso che, poveretto come sono, la rivista intendo estortartela. Per compenso abbonerò la biblioteca della facoltà di lettere, a cui puoi far già spedire i primi due fascicoli», in AC. La consonanza di pensiero fra Russo ed Omodeo emerge anche nella lettera di Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 20 dicembre 1929: «ho fatto il possibile, per calmare Luigi. Però farebbero bene a lasciarlo in pace […]. Ora il sentimento più vivo di tutti è di uscire dai quattro dadà a cui si è ridotto, nelle sue degenerazioni, l’attualismo, di cercare campi nuovi. Io mi vado facendo un animo nuovo. Mi pare di essere abitante di un altro pianeta, e così farà Luigi», in AC.^
67 Adolfo Omodeo a Giovanni Gentile, in A. Omodeo, Lettere…, cit., p. 436.^
68 A. Omodeo, Luigi Settembrini, in «Civiltà Moderna», 2 (1930), pp. 725-761, ora in Idem, Difesa del Risorgimento, cit., pp. 236-267. L’articolo di Omodeo avrebbe dovuto fare da premessa all’edizione delle Ricordanze del Settembrini, da pubblicare presso la casa editrice La Nuova Italia. Sarebbe stato pubblicato però da Laterza come L. Settembrini, Ricordanze della mia vita, a cura di Adolfo Omodeo, Bari, Laterza, 1934. Il saggio conteneva una stilettata rivolta a Giuseppe Paladino, fra i suoi principali avversari nella facoltà napoletana, la cui interpretazione sugli scritti del piemontese veniva letteralmente smontata in una nota di tre righe a piè di pagina. Per i testi della polemica col Paladino, svoltasi sulle pagine della «Civiltà Moderna» nel 1931, si veda la citata Difesa del Risorgimento, pp. 558-565.^
69 A. Omodeo, L’epistolario di Gioberti, in «La Nuova Italia», 1 (1930), pp. 93-100; pp. 148-153. Gli studi di Omodeo sul Gioberti sono raccolti e rielaborati in A. Omodeo, Vincenzo Gioberti e la sua evoluzione politica, Torino, Einaudi, 1941.^
70 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 31 gennaio 1930, in AC.^
71 In «Civiltà Moderna», 2 (1930), pp. 224-248; pp. 994-1000.^
72 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 1 febbraio 1930, in AC.^
73 Oltre al già citato Carteggio Benedetto Croce-Adolfo Omodeo, si vedano i carteggi Benedetto Croce-Francesco Flora, a cura di E. Mezzetta. Introduzione di E. Giammattei, Bologna, il Mulino, 2008 e Benedetto Croce-Guido De Ruggiero, a cura di A. Schinaia e N. Ruggiero. Introduzione di G. Sasso, Bologna, 2008.^
74 A. Omodeo, L’opera politica del conte di Cavour (1848-1957), 2 voll., Firenze, La Nuova Italia, 1941.^
75 A. Omodeo, recensione a W. Maturi, Il concordato del 1818 tra la Santa Sede e le Due Sicilie, in «La Critica», 1930, ora in Idem, Difesa del Risorgimento…, cit., pp. 454-460.^
76 A. Omodeo, La politica ecclesiastica dopo il 1860, in «La Critica», 1931, ora in Idem, Difesa del Risorgimento…, cit., pp. 410-426.^
77 A. Omodeo, Il conte di Cavour e la questione romana, in «La Nuova Italia», 1 (1930), ora in Idem, Difesa del Risorgimento…, cit., pp. 327-68.^
78 A. Omodeo, La leggenda di Carlo Alberto nella recente storiografia, Torino, Einaudi, 1940.^
79 La maggior parte dei testi cui qui si fa cenno sono ora raccolti in A. Omodeo, Difesa del Risorgimento…, cit.^
80 Ernesto Codignola a Giovanni Gentile, Firenze, 7 agosto 1929, in AC.^
81 E. Codignola, Replica a Ugo Spirito…, cit., p. 305.^
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