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Canzoni ed emigranti sul 41° parallelo
di Tommaso Rossi
Frutto di una ricerca avviata nel 1997 e successivamente proseguita in seguito all’attribuzione di una borsa di ricerca Fulbright e al dottorato in Storia e Analisi delle Culture Musicali dell’Università la Sapienza di Roma, Birds of passage, i musicisti napoletani a New York (1895-1940) della musicologa napoletana Simona Frasca (Libreria Musicale Italiana, 215 pagine, € 23) è un saggio che tocca, praticamente per la prima volta, un tema appassionante, ovvero quello della storia dell’emigrazione musicale napoletana negli Stati Uniti, in particolare a New York, nel nevralgico e drammatico periodo tra il 1895 e il 1940. La emigrazione italiana (e in particolare meridionale) nella Grande Mela è certamente un grande dramma collettivo, fatto di sofferenze fisiche e morali: una lacerazione che è allo stesso tempo materiale e mentale, che porta gli immigrati a contatto con la realtà sconvolgente di una società altamente industrializzata e urbanizzata. In questo contesto, per la prima volta, l’immigrato si confronta con grandi fenomeni tipici della società di massa, ne sperimenta le contraddizioni, ma anche le nuove e sconfinate possibilità.
Il volume della Frasca segue il processo di emigrazione innanzitutto da un punto di vista strettamente sociologico, evidenziando, ad esempio, le aree di addensamento nella metropoli degli immigrati italiani e chiarendo però subito un punto essenziale: la musica (insieme con la religione) è uno degli elementi identitari principali con cui gli italiani mantengono un forte legame sentimentale con la terra d’origine, lo strumento attraverso cui non soltanto corre il filo dei ricordi ma anche si costruisce un futuro in un mondo profondamente diverso.
Musica e religione, ovvero la musica e la festa. Ma anche musica e intrattenimento. Se è vero che ogni festività religiosa si arricchisce di un’ampia e variegata offerta musicale, nello stesso tempo si pongono basi per una capillare occupazione degli spazi dedicati alla fruizione spettacolare (musica, teatro e cinema). Tra gli anni ’10 e gli anni ’20 del ’900 sono attive a New York ben trentadue sale che allestiscono spettacoli per il pubblico italiano, dove, in particolare la comunità napoletana gioca un ruolo determinante. Ci sono anche le scuole che diffondono la cultura musicale italiana. Ben otto di queste sono pubblicizzate su «La Follia di New York», il settimanale umoristico fondato nel 1893 da Francesco Sisca e dai figli Alessandro e Marziale che dedicava ampio spazio alla musica ed era vivamente impegnato nello sforzo di favorire l’integrazione della comunità italiana nel contesto newyorkese. Proprio l’analisi de «La Follia di New York» consente alla Frasca di mostrare quanto il settore della musica rappresentasse allo stesso tempo un veicolo d’integrazione ma anche un forte baluardo identitario.
Il discorso diventa assai interessante quando la ricerca passa ad esaminare più in dettaglio gli artisti che contribuirono in prima persona a questa stagione della storia della musica napoletana.
E, ovviamente, non mancano le sorprese. In un curioso alternarsi e sovrapporsi tra generi colti e generi popolari, in un mulinello di attrazioni e respingimenti tra cultura “alta” e cultura “bassa” giocano un ruolo di primo piano personaggi come il grande Enrico Caruso (straordinario interprete di melodrammi, ma anche autore e interprete di canzoni in lingua napoletana), il leggendario Eduardo Migliaccio, in arte Farfariello (autore e interprete di macchiette e indiscusso protagonista del repertorio comico), la straordinaria Gilda Andreatini in arte Gilda Mignonette, regina di quello stile interpretativo larmoyant che tanto si adattava agli stilemi musicali e poetici della canzone di quegli anni. In particolare la Mignonette fu anche il simbolo di quel dualismo esistenziale che caratterizzò molti degli artisti napoletani immigrati e cioè il vivere in perpetua migrazione tra i due oceani. La Mignonette, infatti, in autunno, in corrispondenza con la Festa della Piedigrotta, lavorava e portava al successo a Napoli le canzoni che, poi, durante l’inverno, avrebbe esportato negli Stati Uniti.
La figura di Caruso è tuttavia centrale in questa trattazione, nel rappresentare il vero e proprio “ariete” della diffusione della canzone e della cultura napoletana negli States. Il successo tributato a Caruso si trasformò, infatti, in un implicito riconoscimento a tutto l’ambiente degli immigrati italiani, di cui Caruso era il simbolo vincente e la testimonianza della piena e totale accettazione da parte della società americana dell’imponente fenomeno migratorio italiano e meridionale. Il grande successo di Caruso cade esattamente nella fase iniziale della diffusione del disco a livello popolare, sollecitandone enormemente la diffusione, anche attraverso campagne pubblicitarie massicce che utilizzarono proprio l’immagine del grande tenore napoletano come principale veicolo promozionale: lo slogan dei dischi della etichetta Victor, impegnata in una serrata campagna contro la rivale Edison era testualmente concepito: “Both are Caruso” (entrambi sono Caruso), laddove il tenore era ritratto accanto ad un disco Red Seal.
Capitoli ugualmente interessanti sono dedicati, poi, ad altre personalità del panorama musicale napoletano a New York, ad altri “uccelli migratori”, oggi per lo più dimenticati, che contribuirono a cementare un’identità e, nello stesso
tempo, a gettare ponti con la cultura americana. Questi musicisti, oltre al già citato Farfariello, si chiamano Tony Ferrazzano, Giuseppe De Laurentiis, Armando Cennerazzo, Raffaele Balsamo, Giuseppe Milano, Joe Masiello e, poi, alcune significative figure femminili, alle quali la Frasca dedica uno specifico capitolo.
Le considerazioni della Frasca sulle etichette discografiche, i direttori d’orchestra e i produttori dimostrano, poi, come il mondo della canzone napoletana negli Stati Uniti fosse anche un’organizzata macchina economica, in grado di occupare settori di mercato e di pianificare con spirito d’impresa la propria offerta commerciale. Il libro è arricchito anche da alcune preziose testimonianze “sul campo”, ovvero interviste a testimoni diretti del periodo in questione, quali ad esempio Fernando Esposito, uno degli eredi della Phonotype Record, azienda ancora in attività a Napoli, che ricorda i rapporti commerciali con alcune aziende attive a New York che stampavano le matrici prodotte negli studi napoletani.
All’inizio degli anni ’40, mentre le nuove generazioni italo-americane sono ormai pienamente inserite nel nuovo contesto sociale e culturale e le vecchie generazioni si irrigidiscono in uno statico e asfittico culto del passato, la figura dell’”uccello migratore”, il musicista a cavallo degli Oceani che unisce Napoli a New York, scompare per sempre, diventando “un fantasma della storia”.
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