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Il disagio del «Fuori». Il sionismo cosmopolitico di fine secolo riletto da Michael Stanislawski
di Vincenzo Pinto
Michael Stanislawski nel suo libro ricostruisce lo scenario del fin de siècle attraverso i percorsi di quattro intellettuali ebrei, Theodor Herzl, Max Nordau, Ephraim Moses Lilien e Vladimir Jabotinsky, divenuti sionisti pur essendo cresciuti in un ambiente ed essendo fondamentalmente cosmopoliti.
Il loro nazionalismo appare come un’identità che sopravvive “etnicamente” soggetta alla mediazione della forma e che ricompare in una particolare congiuntura politica e culturale. Dal loro caso l’autore intende capire gli spostamenti ideologici centrali, condivisi e ancora misteriosi del nostro tempo, l’abbandono dell’universalismo a favore del provincialismo, nonché le dinamiche psicologiche che si mettono in atto nel processo di costruzione della Kultur, a un tempo assolutistica e relativistica..
La figura assolutamente predominante nel libro è quella di Jabotinsky, scrittore simbolista russo divenuto dopo la Prima Guerra Mondiale il capo carismatico del sionismo di destra. La sua adesione fideistica al nazionalismo fa parte di una serie di “conversioni” normali nella Russia dell’”età d’argento”.
L’espressione ossimorica “ultra-nazionalismo cosmopolitano” permette di collocare la costruzione identitaria sionista all’interno della “crisi della ragione” riflessa nel nichilismo nietzschiano e in un “disagio della postmodernità” descritto lucidamente da Zygmunt Bauman.


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