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Passato e presente del Partito d’Azione
di Adolfo Battaglia
La visione “di destra” del Partito d’Azione come elitario e subalterno e la visione “di sinistra” come giacobino e sessantottardo, lasciano aperta la fondamentale questione su quale sia il reale significato e insegnamento che oggi si può derivare dall’azionismo.
La formazione del Partito d’Azione affonda le sue radici negli anni ’30, in una estesa rete di antifascismo democratico attivo e passivo, dove confluivano molteplici esperienze intellettuali e politiche, insieme alle altre anche l’organizzazione clandestina italiana di Giustizia e Libertà. Il partito fu fondato a Milano da un gruppo di democratici puri, il principale motore della sua formazione fu Ugo la Malfa. Fecero parte al processo di formazione del PdA, ma non ne furono protagonisti: Gobetti, che per tutti gli azionisti fu uno stimolo alla riflessione e un punto di riferimento rimanendo nel retroterra culturale del partito; i principali esponenti del movimento liberal-socialista che, proprio come i fondatori del PdA, avvertivano la gravità del problema italiano e l’urgenza di un intervento rinnovatore incisivo; Emilio Lussu, che tuttavia trovò nel partito un ambiente favorevole al suo generoso animo di combattente. Tutti erano uniti dal desiderio di creare uno strumento politico realmente nuovo e da un’irriducibile esigenza di libertà e giustizia.
Anche se il Partito d’Azione era un albero nato da differenti radici si può affermare che l’obbiettivo comune era la rivoluzione democratica, però, i problemi reali per la sua realizzazione erano la Resistenza e la Repubblica. Nella loro risoluzione il partito fu guidato da Ferruccio Parri, Riccardo Bauer e Ugo La Malfa, la leadeship di Parri fu decisiva nella Resistenza, considerando la sua visione di una guerra patriottica di liberazione e di riscatto nazionale, infatti la sua impostazione anti-settaria fece sì, che tra le Brigate partigiane organizzate e coordinate dai partiti antifascisti non si creassero rischi di particolarismo politico, ma il movimento partigiano risultasse un fenomeno unitario mosso da un interesse morale nazionale, inoltre Parri e il Partito d’Azione evitarono che la resistenza si identificasse col Partito Comunista.
Il PdA risultò unito ancora una volta nella battaglia di La Malfa per la Repubblica, questo orientamento - le cui origini risalgono probabilmente alla conclusione dell’Aventino, quando si manifestò la responsabilità della monarchia nell’affermazione del fascismo - fu posto per la prima volta dai padri fondatori del partito nel ’41-’42. Esso fu avversato da più parti, a volte con successo, ma dopo la fine della guerra, un’assemblea Costituente avrebbe deciso sovranamente della forma dello Stato.
Il ruolo e il destino degli azionisti si determinò nella mancata intesa tra PdA e socialisti, l’intesa sarebbe stato lo strumento per realizzare un paese nuovo attraverso una serie di grandi riforme strutturali, a questo si aggiunse lo spaccamento interno tra Lussu, secondo il quale il partito doveva dichiararsi esplicitamente socialista, e l’Esecutivo di La Malfa, Bauer e Rossi-Doria, dimessisi dopo il congresso di Cosenza del ’44. Dopo gli eventi dell’aprile ’45, il Governo presieduto da Parri, la cui candidatura fu avanzata dal CNLAI su pressione degli azionisti settentrionali, si trovò a gestire la fase più drammatica della ricomposizione unitaria del paese, il suo insuccesso si riversò sul partito, il PdA si era dimostrato incapace e a questo seguì il suo definitivo scioglimento nel febbraio ’46.
Quel che resta del Partito d’Azione sta in alcuni suoi contenuti, sta in quella concezione dello Stato democratico e in quel tipo di riflessione a carattere metodologico e storico sull’azione politica che presiedette in particolare ai successi conseguiti dal partito nelle sue battaglie. Rimane il senso etico che connotò l’opera dei suoi uomini, l’impegno morale, l’aver colto esattamente la struttura dei vincoli che in un momento dato pesa sull’intervento politico, la consapevolezza di dover creare preventivamente le condizioni politiche necessarie - da parte dello schieramento riformatore - al rinnovamento della struttura di una nazione insieme alla valutazione del rapporto della condizione internazionale con la condizione interna.
Il PdA fu in effetti un’alternativa al PCI e alla sua politica, gli azionisti rifiutavano il principio gerarchico e autoritario di “ciascuno al suo posto”, essi intendevano rivisitare tutti gli steccati e le barriere sociali, rimescolare tutti gli equilibri politici, coniugare concetti difficili da conciliare. Fatto sta che il Partito d’Azione si disperse e alcuni decenni dopo il PCI scomparve, così vennero sprecate egualmente le energie morali raccolte ai fini della costruzione del nuovo Stato democratico.
Oggi il centro-destra continua senza sosta e senza contrasto la dilatazione di una caratteristica patologica del tessuto storico del paese, cioè il decadimento di valori morali. I partiti che compongono il centro-sinistra non sono davvero consapevoli della natura e della vastità del problema da affrontare e non sono immuni dai mali che il centro-destra accentua. Quel che occorre al centro-sinistra allora è un progetto vero, caratterizzato da una concezione coerente dello Stato democratico e dell’etica politica, dare cioè una base politico-morale alla sua opera, riflettendo appunto sull’esperienza e la tradizione politico-culturale dell’Azionismo.


Sintesi a cura della redazione
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