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La baia di Napoli in alcuni campioni di poesia di lingua inglese dell'Ottocento
di Vincenzo Pepe
Tra le forme di rappresentazione di Napoli e della sua baia, particolare interesse rivestono le testimonianze che nell’Ottocento viaggiatori e visitatori più o meno autorevoli di lingua inglese (britannici, americani, irlandesi) preferirono affidare non alle forme canoniche in prosa della letteratura di viaggio (diari, memorie, lettere), bensì al componimento in versi. Anche se pubblicate in volume, o su riviste e antologie per tutto il corso del diciannovesimo secolo, restano testimonianze poco conosciute al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Varia è la loro tipologia testuale (sonetti, odi, poemetti) e varie sono anche le funzioni comunicative ad esse affidate. In linea con gli stilemi della poesia meditativa romantica e tardo-romantica di derivazione wordsworthiana o, come vedremo, shelleyana, operanti nella cultura inglese ancora nella seconda metà del secolo, la bellezza dello scenario della baia non è solo l’oggetto della descrizione o della celebrazione, ma il catalizzatore nella cui presenza l’autore dà la stura a ricordi, sensazioni, meditazioni pseudo filosofico-esistenziali: Napoli come l’equivalente continentale del Lake District, o delle montagne scozzesi, insomma.
Il musicista John Lodge Ellerton (1801-1873), per esempio, il quale ritornò a Napoli in età matura dopo esserci stato in gioventù, trova immutata la bellezza dello scenario:

[…] still the vine-clad mountains rise,
Reflected in the deep;
And Capri’s isle at distance lies,
And Ischia’s rugged steep—
The gleaming wavelets joyful greet
The moon that rises bright,
And fairy music, faint and sweet,
Comes trembling through the night1.

[… ] ancora si levano le montagne coperte di viti,
che si specchiano nel mare!
E l’isola di Capri giace lontana,
e il pendio ineguale di Ischia.
Le piccole onde luccicanti salutano allegre
la luna che sorge radiosa,
ed una musica divina, tenue e dolce
arriva tremula attraverso la notte]

ma questo fatto lo rattrista, perché l’eternità della bellezza del “fairy landscape” acuisce in lui, per contrasto, la percezione della sua caducità: «Tu sei bella come allora // che attraversai in barca la tua baia scintillante // ma i miei occhi sono offuscati, il mio cuore è freddo, // e la gioventù è passata».
Su un piano meno banale, questo tema della serena bellezza dello scenario napoletano come schermo contro cui il poeta proietta le proprie inquietudini o la propria tristezza, era stato molti anni prima espresso da Shelley nel componimento Stanze scritte nello sconforto vicino Napoli, il cui incipit, come si ricorderà, recita:

The sun is warm, the sky is clear,
The waves are dancing fast and bright,
Blue isles and snowy mountains wear
The purple’s noon transparent might,
The breath of the moist earth is light,
Around its unexpanded buds;
Like many a voice of one delight,
The winds, the birds, the ocean floods,
The City’s voice itself, is soft like Solitude’s.

[Il sole è caldo, il cielo è chiaro,
le onde danzano veloci e lucenti,
isole azzurrine e montagne innevate indossano
la potenza trasparente del meriggio violaceo,
l’alito della terra umida è leggero,
attorno ai suoi boccioli non dischiusi:
come tante voci di un gaudio comune,
i venti, gli uccelli, le onde del mare,
la stessa voce della città, è tenue come quella della solitudine]

Versi che ritroviamo quasi identici in Mal du Pays: from the Bay of Naples, componimento inserito da John Edmunde Reade (1800-1870) nel canto quinto di Italy: a Poem in six Parts, with Historical and Classical Notes (Londra 1838). L’autore, che forse non si è accontentato delle lodi altisonanti e pompose che per tutto il corso della “sezione napoletana” del suo poema ha rivolto alle fattezze della “Nymph of immortal Beauty”, insiste ora sulla paradisiaca bellezza dello scenario davanti ai suoi occhi:
I sit upon a craggy stone
Beneath the vine-embosomed hill;
The Waves are wildly round me thrown,
Each revelling in its own sweet will:
And blue as Ocean is the sky,
Lit by the Sun’s all-cloudless eye!
The Spirit of intense delight
Lives here; the air is joy revealing:
Vesuvius, from his purple height,
Seems basking in the common feeling:
One chain of harmony and love
Links all below – around – above.

[Sto seduto su una pietra scabra
sotto la collina ammantata di viti;
le onde mi si lanciano attorno scomposte,
ciascuna festosa nella sua dolce libertà;
e azzurro come il mare è il cielo,
illuminato dall’occhio del sole privo di nubi!
Lo Spirito della gioia intensa
abita qui: l’aria è gioia che si manifesta;
il Vesuvio, dalla sua altura violacea,
sembra crogiolarsi al sentimento comune:
una sola catena di armonia e d’amore
lega tutto in basso, attorno, in alto.]

ma per chiedersi da dove provenga la «nube di tristezza che gli pende sul cuore», e per comunicare quello che secondo lui il lettore muore dalla voglia di sapere, e cioè che si sente solo:
And wherefore hangs this cloud of sadness
Upon my heart, when all is gay?
Why lights not upon me the gladness
That animates this glorious day?
It is that on this craggy stone
I feel the only thing – alone.

Lo sfruttamento del precedente shelleyano non si esauriva nell’adattamento del topos di derivazione petrarchesca al milieu partenopeo. Perché, come si sa, oltre al componimento citato, a Napoli Shelley aveva dedicato un’ode composta sull’onda dell’entusiasmo per i moti del 1820-21, nella quale alla città è rivolto un potente monito, perché si desti, e si liberi del giogo della tirannide. Nei componimenti dedicati a Napoli, al motivo della celebrazione del paesaggio cominciò così ad affiancarsi quello politico-patriottico, sostenuto da appelli e incitazioni alla riscossa. Significativo, al riguardo, ci sembra un componimento intitolato An evening in the Bay of Naples, che inizia proprio con i versi d’apertura dell’Ode to Naples dello Shelley collocati in esergo:

Naples! Thou heart of men which ever pantest
Naked, beneath the lidless eye of Heaven!
Elysian City, which to calm enchantest
The mutinous air and sea! They round thee, even
As sleep round Love, are driven!
Metropolis of a ruined Paradise
Long lost, late won, and yet but half regained!

[Napoli! Tu cuore di uomini che sempre ansima
nudo, sotto l’occhio senza palpebre del Cielo!
Città elisia, che calmi con incantesimo
l’aria ammutinata e il mare! Essi attorno a te sono attratti,
come sonno attorno all’amore!
Metropoli di un Paradiso in rovine
da tempo perduto, di recente vinto, ma pure ancora solo a metà riconquistato]

e, dopo una descrizione della bellezza del golfo, si conclude con l’auspicio che i figli di Napoli «possano svegliarsi dal sonno, // come il fuoco distruttivo che cova // innocuo da tempo nelle profondità // delle celle sulfuree del Vesuvio»2.
Tra gli imitatori di Shelley, però, non tutti avevano la forma mentis laica del loro caposcuola; molti erano condizionati dai pregiudizi tipici della mentalità protestante, e perciò non meraviglia il fatto che il grido di riscatto lanciato alla città, venga qualche volta accompagnato da moralistiche considerazioni sul contrasto tra la bellezza peccaminosa e lo stato di servaggio politico di Napoli; sulla fiacchezza fisica e morale della sua gente; o, ancora, sulla disponibilità con cui la città si è “concessa” ai vari conquistatori che si sono succeduti nei secoli. Che è quanto succede in Napoli: canto della sirena di William Sotheby (1757-1833), scrittore famoso in Inghilterra forse più come traduttore di Virgilio che come poeta. In questo testo, dopo aver tracciato la storia delle dominazioni straniere subite da Napoli, l’autore esorta la città a dimenticare «gli orrori del passato», e a «destarsi»; ma non resiste poi alla tentazione del predicozzo: «Per quanto bellissima, molto meglio sarebbe stato per te, Parthenope // se fossi stata meno bella, o se il cielo generoso // assieme al dono della bellezza fatale avesse dato // ai tuoi figli animo e braccio // per schiacciare in guerra il tuo invasore»3. Ma evidentemente questo non gli basta, perché subito dopo aggiunge quasi con tono di rimprovero:
But thou still hast bent
To each bold suitor, and resign’d thy charms,
Like her, the peerless Fair,
Who drew brave knights to solemn tournament
And mortal strife in arms,
Her hand the prize–thus, hast thou, Syren! Stood
Aloof from perilous combating:
And when the conqueror came from fields of blood,
Unhelmeted his brow, and kiss’d the ring
That fetter’d thee to conquest–each, in turn,
Each, of thy charms in turn possest,
Forgot the battle on thy breast.

[Hai sempre ceduto
a ogni audace corteggiatore, e concesso le tue grazie,
come faceva lei, la Bella senza pari,
che spingeva coraggiosi cavalieri al solenne torneo
e a scontro mortale in armi,
la sua mano il premio – nello stesso modo, tu, Sirena!
Te ne stavi lontana dalla furia della mischia;
e quando veniva il vincitore dai campi insanguinati,
toltosi l’elmo, e baciato l’anello
che ti incatenava alla conquista – ciascuna, a turno,
ciascuna delle tue grazie goduta a turno,
dimenticava la battaglia sul tuo seno.]

Ma l’influenza della formazione protestante sulla rappresentazione di Napoli non si manifesta solo in questo modo. Perché la tetraggine bacchettona fa sì che qualche osservatore più che dalla radiosità del paesaggio della baia venga attratto addirittura dall’ombra che su di essa proietta il Vesuvio, il quale diventa un sinistro «memento mori»:
But, ah! ’tis past; a deeper brown
Has tinged the foliage of the wood,
Vesuvius’ mighty shadows frown
Majestically o’er the flood;
The moon has set, and shadowy sleep
Now holds dominion o’er mankind,
Binding in slumber’s vision deep,
The force of thought and power of mind4.

[Ma ahimé! È già finito: un marrone più intenso
ha tinto il fogliame del bosco;
le potenti ombre del Vesuvio maestose
calano accigliate sull’acqua;
la luna è tramontata, e la foschia del sonno
ora ha preso il comando sulle cose umane,
immobilizzando nella profondità del sonno
la forza del pensiero e il potere della mente.]


Fortunatamente, però, ci sono i componimenti nei quali la rappresentazione si libera della cappa moralistico-religiosa. A qualche poeta, difatti, la bellezza dello scenario della baia ricorda orazianamente che la vita va goduta intensamente nell’attimo, e il suo piacere non va guastato da speranze vane o ideali irrealizzabili. Notevole, al riguardo, il sonetto Naples a City on the Sea, di autore anonimo, che ci piace citare nella sua interezza:
A robe of sunlight hung over all thy bowers,
Fair City! As with music stirring strain, --
Whose pattering echoes fell like summer-rain
Upon thy sleeping wave,--we neared thy towers
Grey with antiquity. On either shore
Myriads of forms were glancing in the light,
And crowds expectant crowned each shining height,
As the gay vessel up thy haven bore;
Bright pennons glittered in the noon-tide ray,
And heaven and earth kept jubilee that day.
Alas! That man should mar a scene like this
With vain aspirings after perfect bliss;
Some bright, ideal, ever distant good
For which he’ll charter kindred, home, and blood!5

[Un manto di luce era steso su tutti i tuoi pergolati,
città bella, mentre con cadenza musicale,
i cui echi picchiettanti cadevano come pioggia d’estate
sull’onda addormentata, ci avvicinavamo alle tue torri
grigie di antico. Su l’una e l’altra sponda
miriadi di forme occhieggiavano nella luce,
e folle in attesa incoronavano ciascuna altura lucente,
mentre il gaio vascello attraccava nel porto.
Luminosi i pennoni luccicavano ai raggi di mezzogiorno,
e il cielo e la terra facevano festa quel giorno.
Ahimé, che l’uomo debba rovinare una scena come questa
con vane attese di una gioia assoluta,
di un qualche bene luminoso, ideale, sempre distante,
per il quale barattare la famiglia, la casa e il sangue!]

Sulla stessa lunghezza d’onda dell’anonimo autore del sonetto precedente è sintonizzato un certo Robert Snow, il quale ringrazia il figlioletto che lo ha accompagnato in Italia, perché con il suo atteggiamento di rapita e ingenua ammirazione di fronte allo splendore dello scenario napoletano, gli ha fatto scoprire la gioia della fruizione della bellezza fine a se stessa, non contaminata dalle incrostazioni intellettualistiche. Il quadretto che il genitore fa della scena assumendo il punto di vista del figlio ha la freschezza delicata di una gouache:
Yet the scene
For thee had young delights, that of themselves
Came flocking: glanced thine eye from shore to sea,
Following the lights and shadows of the clouds,
That now illumed, now half eclipsed, the sails
Suspended in the offing: far beneath
Thou didst point out upon the waveless blue
The dotted circle of the fisher’s net,
Hauled in upon the shore by slow degrees:
And at thy very feet the violet
With its perfume, the lizard with its hues,
Wooed thy attention6.

[Eppure, quella scena
per te era fonte di piaceri giovanili, che spontaneamente
ti si presentavano a frotte: il tuo sguardo vagava dalla spiaggia al mare,
seguendo le luci e le ombre delle nubi,
che ora illuminavano, ora quasi eclissavano, le vele
sospese al largo; lontano
indicavi sull’azzurro immoto
il cerchio punteggiato della rete del pescatore,
che poi veniva tirata piano sulla spiaggia;
e proprio ai tuoi piedi la violetta
col suo profumo, la lucertola con le sue tinte,
corteggiavano la tua attenzione.]

In qualche autore il piacere della contemplazione della bellezza dello scenario napoletano catalizza un desiderio di assoluto il quale, come è prevedibile in anime intrise di mitografia romantica, si manifesta a sua volta come «cupio dissolvi». È questo il caso del misterioso T. W. B. che firma un componimento dal titolo Naples. Dopo aver meditato sull’ineffabilità dell’«incanto dell’anima // che tu sola tra le città, Napoli // sai infondere in chi ti ammira», il poeta formula l’auspicio che la Provvidenza gli conceda di «morire a Napoli, così che i miei sensi accesi // possano dolcemente dissolversi nell’eternità»7.
Come si è visto, varie sono le angolazioni dalle quali questi poeti inquadrano lo scenario di Napoli e della sua baia. Una costante, tuttavia, ci sembra rappresentata dalla graficità e anzi pittoricità della rappresentazione, la quale allevia la pesantezza retorica che sembra gravare sull’ispirazione. In questi momenti espressivi più felici le parole sono usate a mo’ di pennelli e colori, quasi a visualizzare, a rendere credibili per il lettore scenari che sembrano irreali allo stesso scrittore. Notevole, in tal senso è il caso del poeta Samuel Rogers (1763-1855) il quale, dopo aver iniziato il componimento Naples con l’affermazione perentoria «This region, surely, is not of the earth», colloca la baia napoletana in una regione intermedia tra favola e realtà: «Every where // Fable and Truth have shed, in rivalry, // each her peculiar influence»8. Le quali parole sembrano riprese nel componimento dello Snow sopra citato, dove la baia è presentata come «a map-like realm of wonders, aye at odds // with fable and reality».
Il carattere di testimonianza della veridicità dello spettacolo straordinario che si offre alla vista dello scrittore è evidente sul piano stilistico dall’uso intensivo della deissi. Nel componimento Drifting del poeta pittore americano Thomas Buchanan Read (1822-1872), per esempio, la descrizione del carattere “paradisiaco” della baia è punteggiata di riferimenti spaziali localizzzanti:
Here Ischia smiles
O’er liquid miles;
And yonder, bluest of the isles,
Calm Capri waits,
The sapphire gates
Beguiling to her bright estates9.

[Qui Ischia sorride
su liquide miglia;
e lì, più azzurra tra le isole,
Capri aspetta serena,
i suoi cancelli di zaffiro
invitano ammalianti ai suoi domini di luce.]

Lo stesso si verifica in Monte Barbaro che abbiamo citato su. Qui, tra l’altro, si legge:
Here lay the ancient mole, Puteoli;
There, in the distance, Capri; Nisida
Hard by, and Solfatara: o’er the bay
Sorrento, and the snow-clad craggy peaks
Above Castellammare; whence the eye
Passed over mount Astruni, and reposed
On Naples and Vesuvius.

[Qui l’antico frangiflutti, Pozzuoli;
lì, in lontananza, Capri; Nisida
poco più là, e Solfatara. In fondo alla baia
Sorrento, e le cime ineguali innevate
sopra Castellammare, da dove l’occhio
passava sul Monte Astruni, per posarsi
su Napoli e il Vesuvio.]

Ma è nel citato componimento di Samuel Rogers che questo procedimento comunicativo sembra raggiungere maggiore efficacia, perché i riferimenti “localizzanti” non solo mirano a dare immediatezza alla rappresentazione, e a veicolare così nel lettore l’illusione di vedere con i propri occhi i luoghi famosi della baia; ma anche a fargli cogliere il senso del tempo e della storia. L’intento, del resto, è dichiarato dallo stesso poeta, il quale a mo’ di nocchiero e guida turistica porta il lettore nel suo giro in barca attraverso la baia «per sbarcare dove // ci aspetta un sogno ad occhi aperti. In un passo // duemila anni scorrono a ritroso e rimaniamo fermi //come quelli da tanto tempo dentro questa pace terribile //immobilizzati, senza chiederci ‘è possibile’?» Mentre i nostri occhi vengono così indirizzati al lì delle «torri di Cuma», o al qui dei«boschetti di Baia deliziosa», del lontano passato di cui sono testimonianza i templi e gli «archi grandiosi e indistruttibili» le nostre orecchie riescono a percepire ora solo il rumoreggiare del mare o il verso del gufo.
Let us go round;
And let the sail be slack, the course be slow,
That at our leisure, as we coast along,
We may contemplate, and from every scene
Receive its influence. The CUMAEAN towers,
There did they rise, sun-gilt; and here thy groves,
Delicious BAIAE. Here (what would they not?)
The masters of the earth, unsatisfied,
Built in the sea; and now the boatman steers
O’er many a crypt and vault yet glimmering,
O’er many a broad and indestructible arch,
The deep foundations of their palaces:
Nothing now heard ashore, so great the change,
Save when the sea-mew clamours, or the owl
Hoots in the temple.

[Giriamo,
allentiamo la vela, e rallentiamo l’andatura,
così che con calma, navigando sotto costa,
possiamo ammirare, e da ogni scena
ricevere la sua influenza. Le torri di Cuma
lì sorgevano dorate dal sole; e qui i tuoi boschetti,
Baia deliziosa. Qui (cosa non avrebbero fatto?)
i padroni della terra, non soddisfatti,
costruirono nel mare; ed ora il nocchiero vira
su molte cripte e volte ancora scintillanti,
su molti archi grandiosi e indistruttibili,
le fondamenta profonde dei loro palazzi.
Niente ora si sente sulla spiaggia (quale trasformazione)
se non il rumoreggiare del mare, o il verso del gufo
nel tempio.]

Non sempre stucchevoli, dunque, come si vede, questi componimenti che immortalano la baia di Napoli. Ma non possiamo concludere queste note senza accennare a qualche altra piccola perla nella quale capita di imbattersi rovistando nel mucchio. Più che dallo scenario della baia sono ispirati dal mattino napoletano, nelle belle giornate così straordinariamente belle per questi visitatori provenienti dalle brumose e fredde regioni del Nord, da diventare un’essenza divina che anima e vivifica il paesaggio aprendo il cuore alla luce e alla speranza. I primi che vogliamo citare sono quelli di apertura di un componimento intitolato Lines on Morning Written at Naples di Lady Emmeline Stuart Wortley (1806-1855):
’Tis Morning! She is a glad Reveller here:
What time she speeds on her illumed career!—
And makes all the Earth her Image!!-While she seems
Reflected from these rosy-running streams!
And painted on the beauty of the flowers,
And kindling ’mid the rich sheen of the bowers—
On earth etherial, as amidst the sky
A Light—a Life—a Power—a Majesty10.

[È mattino! Qui è un allegro festaiolo;
come accelera la sua corsa di luce!—
e fa tutta la terra a sua immagine!—mentre sembra
specchiarsi in questi rosei corsi d’acqua!
Dipinto sulla bellezza dei fiori,
e fiammante nel ricco splendore dei pergolati—
etereo sulla terra, come in mezzo al cielo
una Luce—una Vita—un Potere---una Maestà!]

I secondi appartengono invece al componimento Morning in the Bay of Naples di John Todhunter (1839-1916), poeta irlandese pressoché sconosciuto, ma pieno di talento, come forse concorderanno i lettori:
Like a great burst of singing came the day,
After the dawn’s soft prelude, from heaven’s cave;
Swooping to clasp the billowy-bosomed bay
In his ecstatic arm, wooing each wave
To give him kiss for kiss. His glorious way
Was pioneered by the brisk winds, which gave
New life to the waking world, and filled each sense
With measureless desire and hopes immense.
In short, it was a most delicious morn—
What clouds there were soared in the upper sky,
Or round the mountains died as they were born
In the bright haze that clung mysteriously
To the dim coast. An Amalthea’s horn
Of rathe delight seemed emptied from on high
On all the progeny of land and sea—
Shore maidens sang and sea-birds shrieked for glee.
There was a breath of fragrance in the air
That stole upon the spirit like young love;
An incense wafted from, you knew not where—
From thymy dell and seaweed-scented cove-
Ocean and earth had found each other fair,
And mingled their fresh lips—the tamarisk grove
Sighed for the kiss of the wave, and waves leapt up
To yield the wind’s dew for the myrtle’s cup11.

[Come una grande esplosione di canto arrivò il mattino,
dopo il languido preludio dell’alba, dalla caverna del cielo;
abbassandosi a stringere il petto ondoso della baia
nelle sue braccia estatiche, e corteggiando ciascuna onda
perché gli restituisse bacio per bacio. Il suo ingresso glorioso
fu preceduto da venticelli frizzanti, che davano
nuova vita al mondo che si destava, e impregnavano i sensi
di desiderio smisurato e speranze immense.
In breve, fu un mattino delizioso—
le poche nubi che c’erano se ne volavano in alto,
o morivano attorno alle montagne appena natee
nella luminosa foschia che restava misteriosamente avvinta
alla costa indistinta. Un corno di Amaltea
di precoce piacere sembrò svuotarsi dall’alto
su tutte le creature di terra e di mare—
dalla gioia cantavano le fanciulle, di gioia stridevano gli uccelli marini.
C’era un alito fragrante nell’aria
che si insinuava nello spirito come amore appena nato:
un incenso che arrivava da non sapevi dove—
da un boschetto di timo o da una valletta profumata di alghe.
Oceano e terra si erano incontrati
e avevano mischiato le loro fresche labbra: il boschetto di tamarisco
ansimava per il bacio dell’onda e le onde saltavano
per offrire ai venti la rugiada per la coppa di mirto.]




NOTE
1 Il componimento, intitolato Naples 1855 appartiene alla raccolta Miscellaneous Poems [Qui, come altrove, le traduzioni sono mie].Top
2 Il componimento, firmato “Iota” e siglato “Naples, September 25th, 1835” apparve nel numero XXXI della rivista irlandese« The Dublin University Magazine».Top
3 Il componimento è inserito nel poema Italy and other Poems, pubblicato nel 1828.Top
4 Il componimento apparve nel terzo volume dell’antologia Specimens of American Poetry (1829).Top
5 Nell’antologia Gems of English Poetry, with Illustrations by Great Artists, pubblicata a Londra nel 1865.Top
6 Il componimento, intitolato Monte Barbaro e siglato “Naples, March 1844” è raccolto nell’opera Memorials of a Tour on the Continent, to which are added Miscellaneous Poems, pubblicata nel 1845.Top
7 Il componimento, che reca anche la data “Castellammare, September 1839”, fu pubblicato nel 1843 sulla rivista «Keepsake» edita anche dalla Blessington.Top
8 Il componimento fa parte, come si sa, di un più lungo poema intitolato Italy (1820-28).Top
9 L’americano Thomas Buchanan Read fu anche pittore. Per qualche tempo fece parte del Pre-Raphaelite Movement. Viaggiò in Italia tra Roma e Firenze nel periodo 1850-1858. Il componimento Drifting, che il poeta compose dopo un suo soggiorno napoletano, fa parte del gruppo dei “Miscellaneous Poems” inseriti nel secondo volume delle Poetical Works of Thomas Buchanan Read.Top
10 Emmeline Stuart Wortley fu famosa forse più per i suoi viaggi per il mondo, che per la sua produzione poetica. Tra le sue tappe non poteva mancare Napoli che fu celebrata in due opere: Impressions of Italy and other Poems e Hours at Naples, entrambe pubblicate nel 1837.Top
11 Fu medico e drammaturgo, e tra i fondatori della Irish Literary Society. Il componimento che si è proposto appartiene alla raccolta di poemi lirici e narrativi Laurella and other Poems, pubblicata nel 1876.Top
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