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La Giunta delle fratture: il caso Campania
di Aurelio Musi
Per più di un motivo una riflessione sul nuovo assetto dell’esecutivo appena decollato alla regione Campania va ben oltre la sua dimensione locale e può essere utile per cogliere alcune linee di tendenza della vita politica nazionale.
La giunta Caldoro, risultato della vittoria schiacciante del centro-destra in Campania, è la proiezione locale di una condizione di incertezza che caratterizza il quadro politico nazionale e, in particolare, l’esecutivo. L’incertezza è dovuta, in primo luogo, al fatto che il governo, pur essendo espressione di un’ampia e sicura maggioranza parlamentare, deve fronteggiare una crisi economica e finanziaria internazionale di proporzioni gravissime: con provvedimenti sicuramente impopolari, scarsamente condivisi, rivolti a colpire soprattutto il settore pubblico, a ridurre drasticamente risorse in settori vitali per il paese come la cultura, la ricerca, ecc, a contrarre tutti i trasferimenti agli enti locali; provvedimenti, per di più, congiunturali e non strutturali, assolutamente insufficienti a risolvere i problemi della crisi italiana entro i parametri europei. In secondo luogo, ad alimentare l’incertezza del quadro politico nazionale sono: le divisioni di compiti fra il direttorio del ministro Tremonti per il governo dell’economia e il presidente Berlusconi, in ben altre preoccupazioni affaccendato; le oscillazioni delle stesse alleanze tradizionali, fondate sull’asse pdl-Lega, e lo “stop and go” del dialogo fra Berlusconi e Casini; il non allineamento dell’area finiana e il suo destino politico.
Questo contesto generale non è stato ininfluente sulla genesi della giunta Caldoro e sicuramente avrà il suo peso negli atti concreti del governo della regione Campania. Intanto colpiscono alcune analogie fra i due livelli, quello nazionale e quello regionale. Stefano Caldoro ha vinto le elezioni con un margine notevole sul suo rivale del centro-sinistra Vincenzo De Luca. Si è chiuso così un ciclo politico iniziato nel 1993. L’era Bassolino lascia in eredità a Caldoro problemi irrisolti che vanno ad accumularsi con le conseguenze della crisi economico-finanziaria nazionale: lo spaventoso deficit della sanità e di altri settori dell’amministrazione regionale; il mancato decollo di un ciclo integrato dei rifiuti e l’assenza di qualsiasi piano di bonifica del territorio; l’ipertrofica crescita dell’indotto politico regionale, rappresentato da consulenze, società partecipate e altre espressioni di un costoso sistema di potere che ha gravato pesantemente sulla gestione delle risorse e ha contribuito a corrompere la sostanza e l’immagine della politica a livello locale; la debolissima risposta alla pervasività della questione criminale.
L’ampia maggioranza di cui dispone Caldoro, se mette al sicuro il presidente dall’eventualità di crisi di governo, è tuttavia insufficiente sia a dare risposta ai problemi lasciati in eredità dal passato esecutivo sia ad affrontare i contraccolpi della crisi in atto e della pesante restrizione dei trasferimenti di risorse dal centro verso la periferia. Da tale punto di vista non aiuta molto in questa fase l’omogeneità tra governo regionale e governo nazionale. Dunque le novità della giunta Caldoro si spiegano anche alla luce delle considerazioni precedenti: il senso, la percezione acuta della crisi in atto che superano largamente qualsiasi logica di contrapposizione di schieramento; la disponibilità a realizzare fronti comuni che si esprime anche in un nuovo linguaggio e un inedito approccio, più analitico, scientifico, conoscitivo e, per così dire, ai problemi; l’ingresso di tecnici e professori universitari nell’esecutivo regionale. Certo non è agevole, per ora, prevedere quali possibilità avranno questi elementi inediti di prevalere su altri motivi che richiamano logiche di permanenze e di continuità di più lunga durata: in particolare nepotismo e trasformismo, esemplificati nella vicepresidenza attribuita a Giuseppe De Mita, nipote di Ciriaco e nell’assessore Guido Trombetti, rettore dell’ateneo fridericiano, proposto da Rifondazione e bassoliniani come candidato della sinistra alla regione. Decisioni legittime, certo. Tuttavia, come ha efficacemente scritto sul «Corriere del Mezzogiorno» Paolo Macry, «nel momento germinale di una nuova giunta e di una nuova stagione politica sarebbe stato lecito attendersi dal governatore e, non di meno, da De Mita e Trombetti un ragionamento che spiegasse serenamente all’opinione pubblica il senso di scelte comunque controverse». Caldoro ha invece vantato il migliore governo regionale, De Mita ha esibito il suo curriculum, Trombetti ha taciuto. Ma, ancora per riprendere Macry, «neppure Trombetti può dimenticare che anche un tecnico di alto profilo, nel momento in cui accetta ruoli di governo pubblico, assume comunque un’identità politica. E che, con o senza tessere di partito, il suo percorso è stato, fino ad ieri, tutto all’interno della sinistra. Proprio perché fondata su un forte mandato popolare di discontinuità, la giunta Caldoro farà bene a rompere con un tipico vizio del bassolinismo: dissimulare i problemi, evitare le discussioni, ignorare le critiche».
Aperture, novità, continuità, permanenze di vizi antichi e timidi segnali di un nuovo corso: tutto questo sta segnando i primi passi della giunta Caldoro. Che, tuttavia, deve fare i conti con l’inesorabile verdetto finale dei rapporti di forza. E questo verdetto implica il fatto che l’autonomia del governatore Caldoro sia assai relativa: essa dipende sia dal coordinatore regionale del pdl, Nicola Cosentino, sia da alcuni “signori delle tessere e del voto” come Pasquale Sommese. Il primo ha dimostrato di pesare moltissimo sia nella composizione della giunta sia nella crisi alla provincia di Caserta con le dimissioni del presidente Domenico Zinzi, candidatura mai digerita fino in fondo da Cosentino. Quanto a Sommese, egli rappresenta il valore aggiunto dell’accordo elettorale fra pdl e Udc, che ha notevolmente condizionato l’esito del voto in Campania.
La giunta delle fratture: potrebbe essere questa la definizione per il nuovo esecutivo regionale varato dal presidente Stefano Caldoro. Più che costituire una discriminante fra governo e opposizione, la giunta sta mettendo in bella mostra difficoltà, contraddizioni e contrasti interni ai due schieramenti: proprio in un momento in cui la gravità della crisi regionale, proiezione di quella nazionale, ma anche prodotto di specifiche condizioni locali, esigerebbe chiarezza, unità di intenti sia nelle forze di governo che in quelle di opposizione.
Le fratture nel pdl sono molteplici e avranno contraccolpi considerevoli sul governo della regione. La prima è costituita da un palese conflitto fra gli assessori e il consiglio che, nel suo complesso, si sente escluso dalla logica che ha caratterizzato le scelte del governatore: e non si capisce fino a che punto la frattura possa essere sanata dalla promessa di rivedere lo statuto regionale e aumentare il numero degli assessori. I finiani, per bocca di Bocchino, promettono battaglia e non sono disponibili a mettere in discussione norme statutarie.
Un altro fronte si è aperto nel rapporto tra pdl e udc. Sembrava che Caldoro lo avesse risolto in bellezza, piazzando alla vicepresidenza Giuseppe De Mita, simbolo della lunga durata di un potere territoriale che “il tempo stenta a logorare” (e ci si perdoni di aver scomodato Fernand Braudel per le nostre miserie politiche!). Ma sul capo del governatore è caduta la tegola Zinzi con la crisi alla provincia di Caserta. E Cosentino si è preso la rivincita, liberandosi di una personalità a lui non gradita.
Non meno rilevanti sono le fratture interne al pd e alle forze di opposizione. Intanto il pd ha un problema di leadership in consiglio regionale. È davvero singolare la distanza che separa la posizione del capogruppo Giuseppe Russo da quella di Vincenzo De Luca. Il primo tuona contro, nientemeno, che la “lobby dei professori”; denunzia una «politica troppo debole verso congregazioni di élites e aggregazioni di interessi». Il secondo mostra apertura e disponibilità verso l’esecutivo di Caldoro. Non c’è che dire: il pd inizia proprio bene il suo lavoro; ci aspettano tempi molto duri! Elettori e cittadini vorrebbero sapere se esisterà e chi sarà la guida politica dell’opposizione in seno al consiglio regionale: il capogruppo del pd, lo sfidante di Caldoro o il bassoliniano Marciano che pure fa sentire la sua voce non proprio in sintonia con gli altri due?
Ma sulla “lobby dei professori” val la pena tornare. Si ha l’impressione che sempre più spesso i politici parlino a vanvera, con scarsa o nulla conoscenza del significato delle parole che usano. Nel loro vocabolario limitato ricorrono termini buoni per tutti gli usi, intercambiabili. Il fenomeno della lobby si identifica, generalmente, con un gruppo di persone che, mediante pressioni anche illecite su uomini politici e funzionari pubblici, riesce ad ottenere provvedimenti legislativi o amministrativi in proprio favore. Se questo è il significato corretto, che evidentemente sfugge all’on. Russo, non si capisce come e in che senso i tre professori universitari, assessori della giunta Caldoro, Guido Trombetti, Edoardo Cosenza e Caterina Miraglia, possano essere espressione di una lobby. Hanno storie politiche e professionali molto diverse per poter costituire un gruppo di pressione e assumere l’organica e compatta rappresentanza di interessi. Quanto poi alle “congregazioni di élites” rappresentate nella squadra degli assessori, è bene, per ora, sospendere il giudizio e rinviarlo ai primi atti di governo. Non altrettanto si può fare nei confronti della passata giunta regionale, che, proprio sul consociativismo delle élites, ha caratterizzato, sotto la guida di Bassolino, il suo operato.
La verità è un’altra: e su questa dovrebbero interrogarsi il pd e il centro-sinistra. In particolare su due fatti corposi. Alla vigilia delle consultazioni regionali il flusso dei consensi di professionisti, tecnici e professori universitari è andato dal centro-sinistra verso il centro-destra. E il mondo dei professori ha marcato la sua assenza all’incontro napoletano con Bersani, dedicato proprio ai temi universitari.
Disgregazioni, riaggregazioni, riposizionamenti: non è solo trasformismo, né solo gattopardismo. Come ben ha scritto Giustino Fabrizio sulle pagine di «Repubblica Napoli», ci sono quelli sempre pronti a saltare sul carro del vincitore, «incapaci di impiantare un’etica pubblica e di articolare una società civile autonoma dai centri di potere»; ma ci sono anche tecnici «portatori di un valore professionale», interessati a mettere a disposizione le proprie competenze. Su tutto questo varrebbe la pena inaugurare una riflessione più approfondita.
Di sicuro la giunta Caldoro interpreta l’ambigua coesistenza di gattopardismo e modernità. Ma, altrettanto sicuramente, il mix tra compromesso politico ed apertura ai tecnici, così come è stato tradotto, è inadeguato a fronteggiare le nuove/vecchie emergenze (sanità, rifiuti, ecc.) nel tempo storico della spaventosa crisi economica che stiamo attraversando.
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