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La difesa della cultura: gli anni Trenta di Adolfo Omodeo. Dal carteggio con Ernesto Codignola. Seconda parte
di Francesco Torchiani
Oltre a quello contro l’attualismo, un altro fronte polemico, questa volta di carattere squisitamente storiografico, impegnava Omodeo nel primo scorcio degli anni Trenta: quello rivolto ad arginare la crescente “deformazione” del Risorgimento italiano. L’uscita dei nuovi volumi di Alessandro Luzio e Nicolò Rodolico1 offriva allo storico palermitano l’occasione per riprendere il filo della mai sopita polemica contro lo stravolgimento, in chiave nazionalistica, monarchica o filo-cattolica del processo di unificazione.
Del Luzio, a dire il vero, Omodeo aveva già stroncato in passato Massoneria e Risorgimento; lo storico palermitano aveva allora rimproverato al volume in questione un tono smaccatamente partigiano2, assieme al tentativo di liquidare senza troppi complimenti la storia della massoneria italiana, rivalutando allo stesso tempo il ruolo esercitato dalle forze monarchiche e cattoliche nel processo risorgimentale. La discussione riprendeva ora con la pubblicazione del volume Cavour prima del 18483, dove Luzio metteva in luce i “limiti” della figura dello statista piemontese, accusato di aver anteposto la tutela dei propri affari al servizio nei confronti della monarchia in pericolo; del resto, avrebbe notato anni dopo Walter Maturi, «per il Luzio i re sabaudi, Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II hanno avuto sempre ragione»4. L’inimicizia dello storico marchigiano5, passato dal ruolo di semplice archivista a Mantova, a figura di primo piano negli studi risorgimentali dopo l’adesione al fascismo, non sarebbe stata però senza conseguenze per Omodeo:
Circa la nuova introd[uzione] al Cavour la situazione è questa: per cominciare a lavorare avrei bisogno di vedere il volume dei carteggi cavouriani sul Congresso di Parigi, di cui si attende la stampa. Se fossi in buone relazioni col Luzio – divenuto nel frattempo presidente della Commissione editrice incaricata della pubblicazione dei documenti cavouriani – gli chiederei di comunicarmi le bozze.
Ma ora, specialmente dopo la denuncia dell’imbroglio carloalbertino e la successiva tirata d’orecchie da parte di don Benedetto, mi deve detestare come il diavolo. Ma appena avrò finito il III vol. calcolando che Luigi ne preparerà altri 3, mi metterò a lavorare al 7°.

Le complicazioni legate alla reperibilità di documenti, assieme alla crescente “terra bruciata” che lo storico vedeva attorno a sé, lo rendevano assai pessimista sulla propria condizione, apparentemente senza sbocchi o possibilità di stravolgimenti:
Cercherò di mandarti qualcosa per le tue riviste. Non ti nascondo però che sono notevolmente stanco, anche perché le necessità economiche mi costringono a lavori troppi svariati, con perdita notevole di tempo e di energia […] Qui tutto al solito: forse il velo di tristezza e di tedio è più profondo. Siamo spiriti malinconici extrabiliari! Ha ragione don Giovanni. Non abbiamo le sue felici digestioni6.

È interessante notare come nelle sue lettere Codignola non avvallasse mai esplicitamente gli sferzanti giudizi di Omodeo su Gentile, al quale, come dimostra il ricco carteggio, si mostrava comunque strettamente legato, nonostante la vera e propria “degenerazione” che a suo giudizio caratterizzava la scuola del filosofo siciliano. Non per niente Luigi Russo, già nelle primavera del ’32, poteva scrivere a Guido De Ruggiero che Codignola «è schierato dalla parte nostra, per necessità delle cose»7.
Ambiguità mantenute da Codignola anche nei confronti del regime. Da un lato, sempre nel 1932 rassegnava le dimissioni da Fiduciario per la Sezione fiorentina dei professori universitari fascisti8, mentre l’anno seguente vedeva aprirsi contro di lui un processo per diffamazione a causa di alcune frasi ingiuriose pronunciate in privato contro Mussolini, assieme ad un’inchiesta per la sua condotta come direttore dell’Ente Nazionale di cultura. Le “frasi irripetibili” pronunciate da Codignola, permettevano a Sebastiano Crinò, ordinario di Geografia a Firenze, di denunciare il pedagogista, assistito in quell’occasione da Giulio Paoli e Piero Calamandrei: «Quel mascalzone di Crinò mi ha scritto una lettera pepata, mi ha dato querela per ingiurie», scriveva Codignola, «ma siccome non ha accettato il giurì d’onore è già bell’e liquidato»9. I rumori della disputa fiorentina erano giunti fino a Roma. In una lettera anonima indirizzata al capo della polizia Bocchini si riferivano i particolari dell’affaire Codignola, mentre si attribuiva l’insabbiamento della vicenda al ministro dell’Educazione Nazionale Francesco Ercole, condirettore de “La Nuova Italia”, e ai timori che gli ulteriori sviluppi dell’inchiesta avrebbero mandato su tutte le furie Gentile10. In una lettera dell’anno successivo inviata a Michelangelo Di Stefano, capo della Divisione Polizia Politica, la famigerata OVRA, il questore di Firenze rispondeva che era difficile fare un quadro preciso della situazione e del contegno di Codignola nel “groviglio di odi feroci” che caratterizzava l’ambiente dell’Istituto di Magistero fiorentino11. Ercole si affrettava tuttavia a chiudere la vicenda sottolineando come l’inchiesta promossa attorno all’Ente avesse fotografato il funzionamento “regolare” dell’istituzione, mentre le accuse di Crinò risultavano «fondate su fatti inesistenti e arbitrariamente travisati»12. «Mi congratulo del felice esito della tua vertenza con quel mascalzone», gli rispondeva intanto Omodeo; «Che vuoi, ci vuol pazienza, e continuare a lavorare sotto l’onda di contumelie dei vari Orano13, Guglielmotti, Fanelli14 e G.! Certe volte mi si paralizza l’ispirazione [...]»15.
Da notare, inoltre, che le stesse personalità implicate nell’inchiesta per tacciare Codignola di antifascismo, alla caduta del regime avrebbero presentato un vasto dossier denunciando stavolta l’atteggiamento filofascista del professore fiorentino, chiedendone senza successo l’epurazione dal corpo dei docenti universitari16.
A queste spie di una scricchiolante fiducia nel fascismo occorre aggiungere il rapporto intessuto da Codignola con le voci della cultura italiana non allineate al regime, ospitate in «Civiltà Moderna»; tra esse, quella di Gaetano De Sanctis, cacciato dalla cattedra per il mancato giuramento di fedeltà al fascismo, messo sotto contratto per la prevista Storia dei greci da pubblicare per “La Nuova Italia” e quelle di Paolo e Piero Treves17, figli del leader socialista Claudio, storico del pensiero politico il primo ed allievo di De Sanctis il secondo.
Da un lato, dunque, un crescente dissenso nei confronti della dittatura; dall’altro, l’insistenza con gli amici Russo ed Omodeo affinché entrambi prendessero la tessera del PNF secondo quanto prescritto dalle disposizioni ministeriali. Non si trattava di una raccomandazione fatta per garantire agli amici il “quieto vivere”. Ancora qualcosa legava il pedagogista al fascismo e soprattutto a Mussolini, che aveva convinto personalmente a sposare il suo progetto di riforma della scuola prima della marcia su Roma. Scriveva infatti ad Omodeo:
ti ho telegrafato poco fa. Russo ha inoltrato la domanda. A mio avviso, tu devi fare altrettanto. Oltre le gravi considerazioni d’ordine familiare cui non puoi sottrarti, essendo padre di parecchi figli, i recenti avvenimenti in Germania e la politica internazionale di Mussolini ti dovrebbero aver persuaso che l’Italia ha iniziato una politica di equilibrio e di moderazione, cui tutti dobbiamo collaborare con le migliori forze nostre. Rimane la politica interna, di cui tu continuerai ad essere perplesso. Ma i paesi, come gli individui, procedono gradualmente nelle loro conquiste e le recenti iscrizioni in massa sono destinate a distruggere taluni residui di razzismo e a dare un più largo respiro a tutte le forse del paese.
Ad ogni modo, tu sai come io la penso: dalla finestra non si possono indirizzare le forze storiche. Occorre partecipare ad esse, lavorando e soffrendo. Conosco anche le tue obiezioni, ma in questo caso sono troppo…filosofiche18!

Considerazioni ribadite nel volumetto Il rinnovamento spirituale dei giovani19, pubblicato da Mondadori nella collana “Problemi di vita fascista”. «Documento tipico di un fascismo ‘liberale’, in nome del quale l’autore difende l’autonomia della cultura contro l’inframmettenza e il controllo del potere politico e auspica un rapido ristabilimento della libertà di stampa»20, il volume di Codignola veniva recensito su «Leonardo» da Delio Cantimori21, che, ancora suggestionato dalla lettura di Carl Schmitt e dall’idea gentiliana della supremazia dell’etica sulla politica, aveva tracciato un articolato giudizio sul pamphlet del pedagogista. Se «di fronte allo straripamento di mostruosità al quale si può assistere oggidì, in Europa» il volumetto gli era parso una prova «del maggior equilibrio e buon senso italiano [...] e della giovinezza spirituale dell’Autore, dell’entusiasmo della sua fede fascista», Cantimori rilevava nello scritto alcune “aporie” di non poco conto, soprattutto per quanto concerneva il rapporto tra fascismo italiano e nazionalsocialismo. L’analisi più compiuta di questa recensione di Cantimori è stata fatta in un importante contributo di Roberto Pertici, e ad esso occorre rimandare. Quello che in questa sede preme sottolineare è la difficoltà del giovane recensore nell’inquadrare il pensiero di Codignola, che gli sembrava al bivio tra la classica distinzione liberale fra “politica” e “cultura”, e la riduzione di quest’ultima a funzione della prima, oramai affermatasi nel pensiero contemporaneo, come insegnava il caso tedesco. Secondo Cantimori, insomma, Codignola era in “ritardo” rispetto alle più avanzate tendenze culturali del tempo, delle quali Carl Schmitt era il principale epigono: il giurista tedesco, infatti, era in piena sintonia con la modernità, in quanto dalle sue posizioni ultraconservatrici aveva subordinato etica ed arte alla politica. Così il richiamo alla libertà di stampa da ripristinare, fatto da Codignola, altro non era se non una prova dell’ambiguità dell’autore, che sembrava ispirato da una vena squisitamente “liberale” senza avere il coraggio di portarla alle naturali conseguenze. Del resto, la lettera del pedagogista ad Omodeo sopracitata, con l’allusione alla “mite” politica mussoliniana rispetto al dramma in atto in Germania, sembra attestare l’immagine di un Codignola a metà tra la condizione di outsider, propria di Omodeo e Russo, e quella di Gentile, intellettuale “organico” al fascismo, benché sempre più frequentemente sotto attacco22.
Una qualche perplessità di fronte a questa dichiarazione doveva averla provata anche Omodeo, la cui prima lettera a Codignola in nostro possesso risaliva a due mesi dopo, ed era tutta incentrata sul lavoro al Cavour.
Caro Ernesto, vado lavorando alla II introduzione: l’egemonia parlamentare del conte di Cavour. Ma l’affare è un po’ lungo: si tratta d’abbracciare la storia movimentatissima di 8 anni di vita politica: qui mi mancano le collezioni dei giornali, e dovrei fare un viaggio a Roma per consultarli alla bibl. del Risorgimento […] Se mi puoi far avere un anticipo suoi prossimi volumi mi faresti un vero piacere. I bisogni della famiglia son cresciuti enormemente, ed io, pur lavorando disperatamente, e, credo, in maniera non spregevole, giungo a fatica a provvedere!

Tornava poi a sottolineare la nuova iniziativa promossa a suo danno da parte del ministro Francesco Ercole, illustre storico col quale Omodeo aveva polemizzato in più di un occasione per aver ravvisato, in una delle dispense del corso tenuto da Ercole nell’ateneo napoletano, diversi passi tratti della Storia del sistema degli stati europei di Eduard Fueter. Il Ministero dell’Educazione Nazionale23 gli aveva vietato di ripetere l’esperienza del viaggio di ricerca compiuto l’anno precedente.
Quel grad’uomo di Ercolino ha posto il veto a che mi fosse concessa anche quest’anno la missione all’estero, che il dr. generale era disposto a darmi! Sicché si impedisce a uno dei non ultimi studiosi di storia la possibilità di completare certe ricerche sull’età della restaurazione, ricerche che ritengo sarebbero [ritornate] ad onore degli studi italiani. Ma si vede che Ercolino ritiene che gli studi nazionali siano a sufficienza onorati dai suoi volumi plagiati per metà dal Fueter24! Tu sapresti consigliarmi qualche altra via per ottenere “onorevolmente” una missione di almeno un paio di mesi a Parigi e a Ginevra?
Ho veduto che ho già materiale sufficiente per mettere insieme un nuovo volume di saggi storici sul tipo di Figure e passioni del Risorgimento e di qui a non molto anche un volume di saggi di storia religiosa. La Nuova Italia sarebbe disposta a pubblicare almeno il primo di questi volumi, dandomi, ben inteso, un onesto compenso?
[…] Hai veduto gli attacchi contro Luigi? Ma chi li suggerisce? Io penso ad Ercolino. Don Giovanni ha avuto attaccata l’Enciclopedia. Per fortuna mi distraggo da simili sconcezze leggendo Cavour e Mazzini25.

Privato della possibilità di recarsi all’estero, Omodeo progettava un vasto piano di lavoro, a partire dalla raccolta dei saggi sulle lettere dei soldati caduti apparsa da Laterza dal titolo Momenti della vita di guerra26: «Che mi sia riuscito per un momento di far rivivere quella nostra generazione carsica?»27 La pubblicazione di quel volume era un modo per fare rivivere quel gruppo di giovani che erano andati in guerra nella speranza di un rinnovamento nazionale, tradito dal dopoguerra e dall’avvento della dittatura, che aveva usurpato il ricordo dei caduti facendone un mito fondante della “Terza Italia” fascista. Una mistificazione che Omodeo, nel suo piccolo, cercava di combattere con le armi della cultura. Come scriveva all’amico Luigi Russo, era il caso di «raccoglierci in opere di lungo respiro, di quelle che poi restano come pietre angolari della cultura d’una età e lavorare anni e anni». Ecco quindi il progetto di una storia della civiltà europea nel XIX secolo, quello di una storia critica delle origini del cristianesimo, di un lavoro monografico sul Mazzini. Proprio sulla «Critica» iniziavano ad apparire i numerosi saggi su Mazzini e Cavour28, che già pensava di rielaborare integrando le introduzioni ai Discorsi parlamentari promesse a Codignola – la seconda era ancora in fieri – e ricavare così un grosso studio sullo statista piemontese, da pubblicare magari per La Nuova Italia o per Laterza.
[…] Ora attendo che tu mi invii le indicazioni necessarie, e riprenderò l’organizzazione di un altro paio di volumi – dei Discorsi – : ciò che faciliterà l’ideazione del nuovo saggio. Ho già delle buone idee e spero che quando avrò messo insieme i miei studi cavouriani la figura del grande ministro apparirà in una nuova luce.

La casa editrice in questo modo «avrebbe assicurata un’opera unica nel suo genere e di sicura vendita, anche se non celerissima, e che appagherebbe non poco lo smercio dei discorsi parlamentari»29; altrimenti avrebbe chiesto le due prefazioni per approntare il volume presso Laterza, editore de «La Critica» dove, per altro, avevano visto la luce la maggior parte dei contributi cavouriani. La casa editrice fiorentina si mostrava però alquanto restia a concedere questo permesso, lasciando aperta però la possibilità di stampare il volume per i propri tipi30. A complicare le cose il crescente bisogno di liquidità da parte di Omodeo, che dal ’32 si era anche assunto l’onere di un corso di Storia del Risorgimento presso l’Istituto superiore femminile pareggiato “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, a causa della riduzione degli stipendi sui pubblici funzionari decretata dal governo. Da qui la richiesta di un anticipo da parte della casa editrice o dell’Ente nazionale di Cultura.
Io mi devo insistere in questa faccenda finanziaria sia perché, continuando le cose così come vanno, mi vedrò costretto, col peso crescente della famiglia, ad abbandonare ogni attività scientifica per divenire un fabbricatore di edizioni scolastiche, se i lavori seri dovessero essere per me un mero lusso […]31.

Codignola, che faceva da intermediario fra la case editrice e lo storico, non poteva però far nulla. Rispondendo all’amico specificava che il contratto fra la Nuova Italia e l’Ente Nazionale di cultura non lasciava adito a dubbi: l’Ente finanziava le opere ritenute di rilevante interesse in modo che la casa editrice le pubblicasse, ma contemporaneamente cedeva tutti i diritti all’editore. Lo stesso valeva per i Discorsi e, naturalmente, per i saggi posti a introduzione dei suddetti. “La Nuova Italia”, proseguiva il pedagogista, «ha investito capitali ingenti in queste pubblicazioni. Non ha avuto finora che dolori e preoccupazioni a cominciare dagli amici. C’è in Italia uno strano accanimento contro tutti coloro che pare riescano a realizzare qualcosa di duraturo e di veramente vitale!». Tra gli “amici” cui faceva riferimento il pedagogista vi era probabilmente anche Luigi Russo, protagonista di un lungo braccio di ferro con l’editore fiorentino per il commento, destinato a diventare celeberrimo, ai Promessi Sposi32.
Omodeo non nascondeva certo il suo rammarico33 per questo nuovo ostacolo al disegno a lungo accarezzato di scrivere un volume destinato a restituire a Cavour la corretta collocazione storiografica:
Ma non credere che dentro di me non senta la profonda amarezza di trovarmi in questo imbarazzo per le dure necessità della mia vita. Venticinque anni di febbrile lavoro scientifico, solo interrotto dalla pausa della guerra, di lavoro continuato nelle situazioni più avverse, e non credo infruttuoso per la cultura, non sono ancora sufficienti a darmi, non dico l’agiatezza, ma un po’ di tranquillità di vita. E son costretto a passare otto o dieci ore al giorno al tavolino come ai lavori forzati, mentre le volpi e i volponi34, le mosche cocchiere, gli ambasciatori della cultura si son ritagliate prebende per sé, per i figli, i generi, e presto per i nipoti e confiscano a proprio vantaggio tutti i mezzi di studio (Ercole mi ha negato ogni ulteriore sussidio per le mie ricerche all’estero su Civiltà moderna e cattolicesimo nel secolo XIX!)
Certamente a nessun patto io mi cambierei con nessuno degli storiografi laureati, o degli accademici d’Italia. Ma ciò non impedisce che mi senta pieno di sdegno per questa sudicia oligarchia, che va facendo di me un proletario e mi lesina i mezzi di lavoro35.

Il senso di impotenza nutrito da Omodeo verso l’establishment della cultura di regime era acuito anche dalla consapevolezza di non poter aiutare i suoi migliori allievi, come Giuseppe Santonastaso36 od Ernesto De Martino. Anche in questo caso l’intervento di Omodeo presso Codignola si era rivelato importante per dare alle stampe i primi lavori di questi studiosi, rispettivamente i Pensieri postumi di Sorel37 o Il concetto di religione38: Omodeo ammetteva che questo era l’unico modo in cui poteva essere utile ai propri scolari, «perché con la camorra di don Giovanni e di Ercolino io non posso entrare in nessuna commissione»39 .
Il botta e risposta sul destino editoriale del Cavour si concludeva con il dietrofront di Codignola, che scriveva all’amico per chiedergli, anche a nome della casa editrice, di pubblicare «un tuo volume sul grande statista, che raccogliesse i due saggi su di lui, che tu pubblicherai nel corso dell’edizione” dei Discorsi “e, se fosse possibile, con qualche altro tuo scritto del medesimo lavoro e sullo stesso argomento»40. Rientrata la vertenza sul Cavour e incassato, con qualche difficoltà, l’assenso di Laterza, Omodeo annunciava all’amico di essersi messo al lavoro per ultimare i saggi per «La Critica» e la prefazione ai Discorsi, contando così di licenziare il volume al massimo entro un anno: «L’intitolerò o L’opera politica del conte di Cavour oppure C. di Cavour uomo di stato, perché la biografia abbraccerà solo il periodo 1848-1861 della grande azione politica»41. Nel frattempo si impegnava prima presso Laterza e poi presso Codignola, per raccogliere e dare alle stampe alcuni degli studi più significativi di Francesco Ruffini, scomparso nel marzo del ’3442.
Occorre ricordare, inoltre, come la crisi del mercato editoriale, particolarmente acuta per quanto riguardava le riviste – nel 1935 chiudevano «Pan» di Ugo Ojetti, a sua volta succeduta a «Pegaso» chiusa nel 1933, «Leonardo» di Federico Gentile e «La Cultura”, sequestrata a Torino perché in odore di antifascismo – e la dichiarata ostilità del fascismo fiorentino alla sua azione editoriale, limitassero notevolmente la sua capacità di azione rispetto al passato.
Immagina se io sarei lieto di aiutarti – scriveva Codignola – e di contribuire a portarti in condizioni di attendere unicamente al lavoro scientifico. Ma anche i miei mezzi stanno diminuendo ogni giorno e l’impossibile non lo posso fare neppure per le persone cui mi sento maggiormente legato. Non tento neppure di fare la proposta di cui mi parli alla N. I. – ottenere un anticipo sul Cavour dalla casa fiorentina qualora l’Ente di cultura avesse opposto resistenza. La Casa ha già troppi impegni per lavori scientifici, alcuni dei quali gravissimi, come quelli con l’Ente. Non vuole a nessun costo assicurarsene altri per non andare con le gambe all’aria. […] Noi siamo costretti ad attenerci al piano che ci siamo già preposti da anni, e questo tuo volume esula da esso e costituisce quindi un aggravio impreveduto. Per le ragioni che ti ho già esposto non propongo alla N. I. il volume del Ruffini. Sarei però lieto di contribuire in qualche modo alla sua ristampa. […] Pubblicherò molto volentieri i saggi inediti del Ruffini. Se me li fai mandare, comincerò ad includerne uno nel numero prossimo di “Civiltà”. Sono dolente di quello che mi scrivi della tua famiglia –i primi sintomi della malattia della figlia Ida- Io non ho per ora le tue preoccupazioni ma ne ho altre non meno gravi e non so vedere con serenità il prossimo futuro43.


* * *


Come in qualche modo anticipava la lettera di Codignola, il nuovo fervore di lavoro di Omodeo era destinato ad essere presto funestato dalla morte della figlia Ida, scomparsa il 21 aprile 1935: un colpo dal quale lo storico non si sarebbe mai più ristabilito del tutto. Scriveva all’amico due mesi dopo la scomparsa della figlia:
Caro Ernesto, grazie delle tue affettuose parole. Ho ricominciato a lavorare anche se il cervello e il cuore sono annebbiati. Naturalmente lavoro al Cavour, per uscirne presto, se il cervello mi regge44.

Sono gli anni più duri per Omodeo, stretto fra il dolore della perdita, da lui definita “come una carie dell’anima”45 e l’enorme mole di lavoro di cui si era sobbarcato per rimediare alle nuove difficoltà economiche della famiglia, sopraggiunte dopo la perdita del redditizio incarico di Storia del Risorgimento presso l’Istituto “Suor Orsola Benincasa”, come stabilito dal nuovo ministro dell’Educazione Nazionale, il quadrumviro Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon. Deciso a rimuovere “gli angoli morti” del mondo accademico e promuovere una cultura “a passo di marcia”, vale a dire autenticamente fascista, il nuovo ministro aveva dato disposizione che venissero vietati gli incarichi aggiuntivi ai professori non iscritti al PNF. Mentre compilava, allo stesso tempo, il contributo sull’egemonia parlamentare cavouriana per i Discorsi, il nuovo ciclo di saggi su De Maistre e il cattolicesimo agli inizi del XIX secolo per «La Critica»46, la rielaborazione dei suoi articoli su Alfred Loisy storico delle religioni, destinati ad essere ripubblicati l’anno seguente47, cercava di trovare un contratto per dare alle stampe un manuale scolastico.
Nelle lettere ai pochi, fidati amici, tornava spesso in questo periodo la definizione della propria esistenza come “il solito deserto”, “il solito dolore”48, un forte sentimento di incomunicabilità anche con i numerosi studenti che da qualche tempo affollavano i suoi corsi: «M’accorgo che quello sgomento che faccio ai giovani è un po’ quello dell’anacoreta che cala a predicar penitenza e rinunzia, a perseguir qualcosa che si conquista con pena e dolore». Ripensando alla sua gioventù spesa nelle trincee e alla guerra etiopica appena iniziata, Omodeo ravvisava il profondo distacco tra la sua generazione e quella dei giovani che si erano arruolati con entusiasmo per la conquista “imperiale”:
Non critico per questo, capisco che la nuova generazione vive sotto un nuovo segno, matura una nuova esperienza di vita gregale, che avrà i suoi pregi, e che elimina le note, diciam così romantiche dell’ambizione, dell’autonomia; ma c’è un distacco che io vorrei, ma non posso superare: perché questa aspirazione di libertà io la sento come un valore eterno, e non posso rinunziarci. [...] Ora i giovani sapranno combattere e morire in Abissinia, ma lo faranno con un animo diverso dal nostro49.

Uno spunto di rinnovata verve polemica tornava però nella recensione al volume di Alessandro Luzio Aspromonte e Mentana, apparsa ne «La Critica». In questo vero e proprio saggio di metodo storico, Omodeo contestava allo storico marchigiano un uso disinvolto dei documenti, piegati a mostrare un’immagine artefatta di avvenimenti e personaggi storici, in una sovrapposizione fra storia e cronaca dove l’amore di Vittorio Emanuele II con la bella Rosina finiva con l’assumere lo stesso rilievo tributato ai rivolgimenti militari e alle cadute dei ministeri. Di questo, come degli altri lavori di Luzio era pronto a riconoscere l’importante lavoro di scavo e pubblicazione dei documenti, anche se il lettore doveva fruirne “fuori dalla lente dell’autore”.
In mezzo a questo guazzabuglio – proseguiva Omodeo – siede il Luzio a spartir ragione e torto, gloria e infamia, con tali risultati che verrebbe voglia di pregarlo d’applicar a se stesso per primo il suo famoso principio storiografico: “solo i documenti”. Ci dia i documenti e non apra bocca50.

Luzio non replicava, ma persisteva nell’impedire ad Omodeo di visionare i documenti degli archivi torinesi, cui lo storico poteva parzialmente rimediare grazie alla generosa disponibilità dimostratagli, negli anni a venire, dalle famiglie Robilant e Visconti Venosta.
Per Vallecchi, intanto, probabilmente grazie all’influenza degli amici fiorentini, Omodeo iniziava il lavoro a un manuale di storia greca e romana per gli studenti del ginnasio51. Invitava poi Codignola a proseguire la pubblicazione della «Civiltà Moderna», che navigava in cattive acque, anche perché molti degli abbonati erano insolventi.
Circa «Civiltà Moderna» mi sono accertato che tutti gli abbonati di mia conoscenza, biblioteche comprese, hanno rinnovato l’abbonamento. Io ti consiglio di continuare. Data la scomparsa di tante riviste, le superstiti finiranno a trovarsi bene, nonostante qualche difficoltà di questo momento. Luigi ti avrà detto delle difficoltà in cui io mi sono venuto a trovare a causa della perdita di un impiego molto redditizio52. Prego anche te di cercarmi un lavoro redditizio presso case editrici. Se nelle cose di questo mondo il buon senso avesse maggior peso, io penso che la mia collaborazione e la mia consulenza eventuale nelle intraprese di una casa editrice renderebbe di più di quanto verrebbe a costare: ma purtroppo presso quasi tutte le case tali funzioni sono state arraffate da figli di papà tipo Federico53. Ad ogni modo, vedi se puoi procurarli qualche lavoro redditizio.
Ti prego anche di ripetere ai dirigenti della Nuova Italia d’inviarmi le nuove pubblicazioni, e soprattutto il lavoro del Cassirer sul Rinascimento54. Da questi invii verrà fuori di tanto in tanto qualche recensione (ora penso di recensire il II volume del Sismondi55) e la casa avrà sempre maggiori vantaggi da questi invii che da quelli che fa ai valvassori fossili della cultura.
Del resto ben poco ho da dirti: tiro avanti con una tenacia che ha della disperazione, e vivo una vita amarissima56.

Nonostante riferimenti canzonatori che la rivista fiorentina «Il Frontespizio», organo del fascismo “giovanile” intransigente scagliava contro tutto l’idealismo, senza troppe distinzioni fra Gentile57, Croce e i crociani, tra questi Omodeo e Russo, lo storico palermitano non rinunciava a stoccate polemiche nei confronti della storiografia “ufficiale” del regime. Lo dimostrano la recensione al secondo volume della biografia carloalbertina di Nicolò Rodolico, apparsa su «La Critica»58. Se la recensione al primo volume, risalente al 1931, aveva concesso qualcosa all’imponente lavoro archivistico di Rodolico, a cui andava riconosciuto il merito di aver tracciato un profilo del principe di Carignano meno agiografico di quello di Alessandro Luzio, la critica al secondo volume non faceva sconti. «Il nuovo volume mi pare infinitamente peggio. L’ho sulla scrivania per recensirlo», scriveva a Russo; «Metterò giù il mio giudizio e te lo invierò con grande gratitudine perché mi aiuterai in questa mia sovrumana e disumana fatica dello sterminio di una nuova razza di centauri, che devasta i campi fiorenti della storia. Ma ne sono stufo, è una nuova campagna di guerra che mi grava sulle spalle»59. Nella nuova fatica dello storico siciliano Omodeo ravvisava «la caduta nella più gretta e falsa agiografia» del sovrano piemontese, di cui veniva retrodatata la maturazione di un convincimento liberale, propria, anche qui con molte eccezioni, degli ultimi mesi del regno carloalbertino, alla sua intera durata. Alla rivalutazione svolta dalla monarchia nel processo risorgimentale, cui faceva pendant il ridimensionamento delle forze liberali, nell’analisi di Rodolico si faceva largo la dissimulazione dell’ostilità della Chiesa contro il moto italiano. «Ma», proseguiva Omodeo, «oltre queste deformazioni e esagerazioni, il cui elenco completo esigerebbe troppo spazio, nel Rodolico irrita la goffa ricerca delle attenuanti e delle discriminanti, là dove egli s’accorge che l’apologia è impossibile: e quindi un versar colpa su questo e su quello, un gioco di inutili sottigliezze»60. Insomma, partito con la volontà di elaborare uno studio critico sul Savoia, lo storico era ricaduto nei toni apologetici che si era posto come obiettivo principale di evitare. Sorprende come Omodeo fosse in grado di dare giudizi tanto circostanziati ed argomentati, lavorando a cose tra loro diversissime, come i saggi su de Maistre e il manuale di storia antica, assieme alle lezioni sulla chiesa cristiana del secondo secolo61 e al commento scolastico al De bello gallico di Cesare62: «Di questi giorni lavoro come una bestia», si sfogava con Russo, «passo intere giornate davanti alla macchina da scrivere, salto da un lavoro all’altro non contando le migliaia di anni che separano gli argomenti»63; «Tu però procura di non forzare troppo la tua macchina che hai già logorato oltre misura negli ultimi anni», gli faceva eco un Codignola pure immerso «nel lavoro e nelle preoccupazioni. Non si ha voglia neppure di scrivere. Ma occorre reagire al demone della depressione e dell’esasperazione col lavoro. Non vedo altro rimedio»64.
A testimonianza del riguadagnato vigore intellettuale dello storico, nel ’37 usciva per «La Critica» una lunga recensione ad uno dei volumi “di punta” della collana storica de La Nuova Italia, Paideia di Wegner Jaeger65. Nel tentativo del filosofo tedesco di offrire una ricostruzione del processo di formazione dello spirito greco da Omero a Platone, Omodeo salutava il risultato di un programma “condotto egregiamente”, una notevole “ricchezza dell’erudizione”, soprattutto se paragonata alla vastità della ricerca, la «felicità esegetica dei singoli passi». Muoveva però alcuni significativi rilievi: al di là della traballante «struttura storica dell’opera nel suo complesso», lo storico palermitano ricusava in toto quella che fin dall’inizio gli era parsa una nota stonata, una concessione grossolana al pensiero imperante nella Germania coeva. «L’intendere il fenomeno ellenico quale dato cieco, fatto etnico, retaggio di razza e di sangue», non solo era antistorico, ma finiva per considerare come pre-determinate quelle caratteristiche del pensiero che l’opera si proponeva di spiegare nel loro divenire e sulla scorta di stimoli esterni, come a voler «pigiare e rinchiudere la pianta sviluppata nel seme»; soprattutto, questa osservazione al libro di Jaeger consentiva ad Omodeo di definire l’approccio zoologico e razzistico alla storia come del tutto inaccettabile dal punto di vista metodologico. Certo, questo influsso era piuttosto contenuto nell’opera dello studioso tedesco, che pure si era segnalato per aver difeso «gli studi classici in un paese dove essi gloriosamente fiorirono, e dove ora per un delirio collettivo par che non si sappia apprezzare altro che la barbarie nibelungica e il mito della quercia d’Irminsul». Ciò non faceva venir meno la critica omodeiana, perché
nel campo della scienza il compromesso non è mai felice; nasce da un debole senso dei presupposti e delle esigenze della scienza, e di quella metodologia che, senza mai apparire in un primo piano nella ricostruzione storica, deve pur sempre accompagnare vigile l’opera, giudicando del legittimo uso dei concetti e della logicità dei criteri costruttivi66.

Lo storico respingeva così ogni determinismo “zoologico”, pur presente in maniera piuttosto labile nella trattazione di Jaeger, come in passato si era battuto contro la lettura materialistica ed attualistica della storia.
Sempre nel 1937 i rapporti fra Omodeo e lo studioso fiorentino conoscevano un certo raffreddamento, a causa di motivi contrattuali legati al ritardo nell’edizione dei Discorsi del Cavour, per i quali Omodeo aveva percepito un anticipo che immaginava dovesse essere integrato da una percentuale del 15% sulle vendite dell’opera, mentre per Codignola, contratto alla mano, si trattava di una somma che già comprendeva la percentuale delle vendite, eccetto una piccola somma ancora da versare. La discussione tornava anche nel carteggio fra Codignola e Russo, ma dietro l’irremovibilità del pedagogista non stava certo la volontà di negare agli amici e fidati collaboratori dei quattrini, quanto piuttosto la difficoltà dell’Ente da lui diretto; in crescenti difficoltà finanziarie67, screditato agli occhi del regime68, che in fin dei conti ne era tra i finanziatori principali, a causa della gestione assai poco ortodossa del pedagogista, L’Ente si era visto sottrarre il controllo delle centinaia di scuole serali controllate nella provincia di Firenze e in Emilia, mentre il peso dell’istituzione e del suo direttore erano andati vistosamente calando. Così Codignola finiva per rispondere in modo piuttosto seccato ad una lettera di Omodeo69, ove lo storico desiderava conoscere il motivo della richiesta del suo interlocutore a “far presto” col Cavour e a compenso ridotto: si trattava del tentativo del pedagogista di non esporsi troppo nei confronti del milieu politico-culturale fiorentino, visto il persistente finanziamento concesso alle ricerche di uno studioso antifascista, o più semplicemente di difficoltà editoriali della casa editrice?
[…] Tu accenni ad amarezze che io avrei avuto per non avere sufficientemente rispettato certe forme. Non so a che precisamente tu alluda. Ma le uniche mie amarezze, di cui sono orgoglioso, le ho avute per aver difeso la giustizia e il diritto conculcati e per essermi sempre rifiutato di tradire la mia fede nel pensiero come hanno fatto troppi nostri amici. Chi ti ha detto altro o è male informato, e gli converrebbe l’obbligo di tacere, o stravisa i fatti. Sono così inesorabili i mastini che ho alle calcagna che se solo avessi commesso il minimo fallo sarei stato colpito sino in fondo senza pietà.
Un terzo punto: tu accenni un po’ misteriosamente a imbarazzi editoriali che l’anno scorso avrebbero colpito la N. I. […] Ti posso formalmente assicurare che questo imbarazzo è una fandonia priva di qualsiasi consistenza. La casa non è stata mai in crisi o lo è stata sempre, e lo è quindi anche adesso, a seconda del punto di vista da cui ci si mette. Benché io sia riuscito a persuadere dell’altissimo significato della mia impresa uomini di affari che hanno rivelato in questo una sensibilità assai superiore a quella di parecchi uomini di studio malevoli e invidiosi, io devo continuamente [combattere] perché essi conducano a fine con celere ritmo una serie di pubblicazioni onerosissime, per cui hanno già dovuto sborsare oltre mezzo milione (100 mila lire all’anno circa dal 1930 in poi con bilanci perennemente passivi). […] Mi rendo conto del tuo malumore contro la sorte che ti è toccata, e pochi possono intendere come me la tua amarezza, ma occorre essere grati anche nel dolore non riversando la colpa dei nostri malanni su innocenti, che debbono lottare anch’essi duramente giorno per giorno, come è sempre accaduto a me, nonostante certe apparenze70.

A questo punto il carteggio fra Codignola e Omodeo comincia a diradarsi, complice anche il parallelo raffreddamento dei rapporti fra il pedagogista e Russo. Lo stesso Codignola aveva impresso alla sua attività una svolta piuttosto significativa. Abbandonata l’importante attività di traduzione alle Lezioni di filosofia della storia71 di Hegel, il pedagogista dava inizio ad una vasta serie di ricerche sul giansenismo, destinate a sfociare in tre corposi volumi di carteggi, pubblicati fra il 1939 e il 194372. All’edizione degli epistolari, Codignola aveva intercalato saggi specifici sul tema, che sarebbero confluiti nel dopoguerra nel volume Illuministi, giansenisti e giacobini nell’Italia del ‘70073. Un’attività di ricerca vasta e rigorosa, lontana dalla produzione a carattere divulgativo tipica del pedagogista e che avrebbe suscitato le lodi di un recensore esigente come Gioele Solari74. Un vasto scavo che lo studioso fiorentino intraprendeva nel momento in cui la sua collocazione politica era oramai ai margini del fascismo.
Lo dimostrava, a partire dal ’38, l’inclusione del figlio Tristano75, di forti simpatie antifasciste, nel comitato di redazione de «La Nuova Italia», mentre tra i giovani collaboratori della rivista si segnalavano i nomi di Raffaello Ramat, Giorgio Spini, Enzo Enriques Agnoletti, quest’ultimo divenuto dal 1940 consigliere delegato della casa editrice. Come ha notato Simona Giusti, sulla scorta della lezione di Eugenio Garin, il crescente peso del crocianesimo nella linea editoriale della rivista sarebbe stato il viatico per l’approdo al “liberalsocialismo” di buona parte dei più giovani collaboratori, influenzati dagli scritti di Guido Calogero ed Aldo Capitini, per altro largamente presenti nelle pagine delle riviste di Codignola; giovani che a Firenze avrebbero costituito il nucleo degli intellettuali raccoltisi attorno al Partito d’Azione76.
La riflessione crociana nei campi della storiografia, della letteratura e dell’estetica avrebbe costituito il “lievito” – per usare un’espressione del filosofo napoletano – delle tendenze liberali e democratiche che avevano contraddistinto l’attività delle riviste fiorentine fin dalla loro comparsa sulla scena intellettuale italiana. Un passaggio, quello dall’idealismo al liberalsocialismo, di cui ha parlato Guido Calogero77 e che, a giudizio di Eugenio Garin, si attaglia perfettamente al caso di Codignola78. Non una frattura, dunque, ma un’evoluzione intellettuale dovuta al sedimentarsi di impressioni, giudizi, avvenimenti, fra i quali, non da ultimo, la reazione alla leggi razziali e ai loro effetti sul mondo dell’alta cultura. Un tentativo tanto generoso quanto vano, quello di Codignola, di offrire aiuto concreto a studiosi e amici come Paul Oskar Kristeller79, Paolo e Piero Treves, Rodolfo Mondolfo, Mario Fubini, Arnaldo Momigliano80, Giorgio Falco e molti altri, di cui questo carteggio purtroppo non reca traccia, che non poteva essere privo di conseguenze nella maturazione di un giudizio critico, da parte del pedagogista, nei confronti della dittatura e della sua politica culturale81. Accanto all’evolversi della situazione politica interna ed estera, un ruolo importante in questa maturazione può senza dubbio essere ascritto al sodalizio con Adolfo Omodeo, per quella vera e propria «professione di fede, o per dirla protestanticamente, di confessione»82, che lo storico palermitano aveva sempre attribuito alla ricerca e all’insegnamento, di cui l’epistolario con Codignola è documento fedele.

* * *


Lo studio della figura di Cavour, cui Omodeo, come si è visto, attendeva alacremente da anni nel binomio inscindibile con quella di Mazzini, è, fra le opere date alle stampe da La Nuova Italia, la più vicina al modulo storiografico crociano. Eppure, benché lui stesso ritenesse decisiva la buona riuscita dell’opera, non aveva rinunciato a proseguire gli studi su de Maistre, il cattolicesimo della restaurazione e Carlo Alberto – «saran dolori per i diversi calo-albertisti»83, meditando un ritorno agli studi di storia del cristianesimo delle origini, con un’analisi più precisa della letteratura cristiana del II secolo. Tuttavia, se da anni sognava di scrivere «currenti calamo, senza una nota erudita, una storia del cristianesimo antico fino al concilio di Nicea»84, in quelle drammatiche circostanze «il coscienzioso lavoro del filologo lo stancava, e allora tornava al Cavour, al Mazzini»85.
Proprio attorno alla biografia cavouriana si appunta il carteggio fra lo storico e Codignola in questo ultimo scorcio degli anni ’30, in cui la prospettiva di un nuovo conflitto era oramai evidente. Tornato in tutta fretta a Milano dopo un soggiorno di alcune settimane a Parigi nel settembre del 1938, Omodeo lasciava in una lettera alla moglie l’impressione dell’atmosfera che si respirava nella capitale francese:
Da vari giorni vivevo a Parigi con l’incubo della guerra: i riservisti partivano: dinanzi alle case s’ammucchiavano i cumuli di sabbia per i casi d’incendio, l’illuminazione era ridotta; partivano gli autobus requisiti; si smontavano opere d’arte; l’archivio degli Esteri si chiudeva. […] Il viaggio – di ritorno – fu un vero viaggio di guerra. Il treno rigurgitava d’italiani ritornanti: tendine abbassate ai finestrini, lampade azzurre in molte stazioni, non un lume nelle popolose campagne che si traversavano. “Dolci” ricordi di anni lontani che mi empivano di tristezza86.

Placatasi la bufera con gli accordi di Monaco, lo storico pensava a un nuovo viaggio nella capitale francese, che veniva continuamente rimandato «perché attendo un momento di relativa calma: non vorrei il bis del settembre scorso». La messe di materiale raccolto per la biografia era nel frattempo aumentato a tal punto da paventare la possibilità di spezzarla in due volumi, per facilitarne lo smercio; Omodeo era però ottimista: «Chissà? Forse verrà il mio miglior lavoro»87. Nel frattempo, nella sua febbrile attività di recensione a «La Critica», lo storico presentava importanti pubblicazioni della casa editrice fiorentina, come la Bibliografia generale dell’età romana imperiale compilata da Giovanni Sanna88, fidato collaboratore di Codignola e traduttore delle Lezioni di Storia della filosofia di Hegel e della Storia sociale ed economica dell’impero romano di Michael Rovstovtzeff89; gli ultimi volumi della Filosofia del greci nel suo sviluppo storico di Eduard Zeller curata da Rodolfo Mondolfo90 e, soprattutto, la Storia dei greci in due volumi di Gaetano De Sanctis.
La pubblicazione dell’opera che il maestro torinese, ormai privo della vista, aveva dettato agli allievi e che aveva subito numerose traversie, come il furto del manoscritto, costituiva il “fiore all’occhiello” della produzione della Nuova Italia. Seguita passo dopo passo da Codignola, come dimostra l’ampio carteggio fra i due studiosi91, la pubblicazione dell’opera rappresentava un nuovo tassello della fisionomia “crociana” che avevano assunto le collane della casa editrice sulla fine degli anni Trenta, confermata di lì a poco dal Cavour di Omodeo. Proprio lo storico palermitano aveva dedicato una delle sue più riuscite recensioni al volume desanctisiano su «La Critica»92, lodando l’impianto dell’opera che, come dimostravano già il terzo e il quarto volume della Storia dei romani, era ispirata ad un carattere di alta divulgazione, sorretta da una padronanza senza pari della documentazione storiografica, letteraria ed archeologica. Se ne complimentava lo stesso Codignola: «Ho letto poco fa la tua bella recensione al De Sanctis. Spero che sia riuscita di grande sollievo al povero vecchio e che altri parlino con tono altrettanto alto dell’opera sua»93.    
Eppure, nella seconda parte della recensione finiva per farsi largo qualche riserva nei confronti dell’ultima fatica dell’anziano professore, verso il quale Omodeo nutriva ammirazione profonda, dovuta, del resto, «a chi adempie così religiosamente la missione del dotto, nelle più avverse circostanze che si possano immaginare». La storia desanctisiana gli sembrava in qualche modo discontinua, per il diverso tipo di approccio utilizzato nell’esporre l’evolversi della storia greca, ove andavano ravvisate le prime «e più profonde scaturigini di un moto creatore dello spirito umano, che sopravviverà e lavorerà da dentro nei millenni e nelle più svariate civiltà». In De Sanctis finivano per sovrapporsi in modo non sempre coerente gli “schemi filologici”, derivati dalla lezione del maestro Karl Julius Beloch, e i “concetti storici”. Anche in questo caso Omodeo dava una lezione preziosa di metodo storico; posto «che io non sono affatto un nemico della filologia, e credo di averlo dimostrato, per quanto ho potuto, piegandomi a tutte le ricerche filologiche che sorgevano nel corso dei miei studi»94, l’applicare metodi euristici e classificatori alla storia, cosa di per sé costruttiva, rischiava di produrre risultati “rovinosi”. I due approcci andavano tenuti “mentalmente distinti”, e il superiore senso dello sviluppo storico doveva in qualche modo “dominare” lo strumento filologico, per coglierne tutte le positive ricadute. Questa riflessione sul rapporto tra filologia e storia non doveva aver lasciato del tutto persuaso il maestro torinese, se Omodeo confidava a Codignola: «Il De Sanctis mi ha scritto ringraziando, ma mi pare si sia adombrato di alcune mie osservazioni. Gli ho risposto assicurandolo che la questione per me non aveva nulla di personale, e si limitava al rapporto fra storia e filologia»95.
Nel frattempo, il precipitare della situazione politica internazionale e i timori per un ingresso in guerra dell’Italia, spingevano Omodeo, che aveva ultimato il lavoro di revisione nell’estate, a sollecitare la pubblicazione del volume cavouriano: «Per molti motivi io vorrei sbrigare questo lavoro. Se invecchiasse in un cassetto avrò poi la seccatura dell’aggiornamento. Inoltre dovrei ricavare l’introduzione II ai Discorsi parlamentari. Infine, se la situazione si complica, si avrà un rinvio sine die. Penso che alla casa editrice – se sa lanciarlo – il volume dovrebbe rendere»96.
La sospirata pubblicazione dei primi due volumi della biografia, comprendenti l’analisi nell’attività politica del conte dal 1848 al 1857, lasciavano soddisfatto l’autore, che li dedicava alla memoria della figlia scomparsa cinque anni prima97. Ambizioso il programma dello storico; se la storiografia anglosassone, pur con lavori di alto livello, aveva privilegiato l’analisi della politica estera del Conte, facendone quasi – nel caso del Cavour di Treitschke – un piccolo Bismarck in anticipo sui tempi, mentre la produzione italiana si era impantanata in ricostruzioni agiografiche viziate dalla scarsità di documentazione, Omodeo aveva cercato di seguire una terza via: restituire il respiro europeo dell’azione politica del Conte.
La polemica contro la storiografia italiana era particolarmente sentita, perché a giudizio dello storico la deformazione e il travisamento dei fatti si erano estesi all’intero spettro dell’esistenza dello statista. La lente deformante con la quale venivano letti i principali eventi della vita di Cavour aveva portato in un primo tempo, ad esempio, alla lettura dei Discorsi Parlamentari come un “evangelio di vita politica”, mentre andava sottolineato il carattere pragmatico dell’azione parlamentare del conte, resosi manifesto con l’acquisizione dell’egemonia della camera subalpina. In questo Cavour dimostrava di aver compreso la lezione di Mazzini, il vero e proprio alter-ego del politico piemontese, e tuttavia così simile per l’apertura cosmopolita e la visione “religiosa” della politica. Così l’esule e il primo ministro, nell’opera di Omodeo, sembravano giocare quasi di sponda: a Mazzini andava il merito di aver vagheggiato l’unità come mezzo della libertà prima per l’Italia e poi per tutta l’Europa; a Cavour quello di aver calato il disegno nella realtà delle cancellerie e dei gabinetti ministeriali, sganciando “l’emancipazione” italiana da quella più generale europea ed arrivando a conseguire così la meta agognata. Se andava respinta ogni caricatura di Cavour come “demiurgo”, tanto più intollerabile era la vera e propria “leggenda” che si andava a costruire attorno a Carlo Alberto, Vincenzo Gioberti e addirittura i membri più reazionari della corte e del clero piemontese. In quest’ottica, i saggi raccolti ne La leggenda di Carlo Alberto nella recente storiografia98 e Vincenzo Gioberti e la sua azione politica99 pubblicati quasi in contemporanea presso il giovane ma già affermato editore Einaudi, andavano intesi non come il corollario, piuttosto come le premesse di questo lavoro. Di più, il ritratto di Cavour era delineato “in negativo” sul profilo di Gioberti, lo stesso che il suo antico maestro Giovanni Gentile aveva inserito nel Pantheon dei “profeti del Risorgimento”. Se Gioberti era l’uomo dei voltafaccia sensazionali e degli azzardi spericolati, che «dopo essersi atteggiato a direttore spirituale, a prete di casa del popolo italiano», aveva abbracciato la Convenzione, Cavour rappresentava l’uomo del juste milieu: «Uomo di affari, egli trasferiva nella politica il senso del limite, entro cui soltanto il commercio è commercio e non frode, e il concetto del credito, essenziale al politico come al commerciante»100. Il pragmatismo anglosassone di “Lord Camillo”, come l’aveva ribattezzato la democratica “Concordia”, dava alla sua azione politica «l’eleganza di una dimostrazione matematica o di una prestigiosa trasformazione di energie compiuta da un sapiente ingegnere»101.
Nell’affrontare la complessa parabola della politica cavouriana, in grado di portare al consolidamento delle forze costituzionali in Piemonte e al progressivo rafforzarsi della prassi liberale nello stato subalpino pur nel contesto della reazione seguita al ’48, Omodeo dimostrava al contempo, contro la tesi avanzata della storiografia filo-cattolica, il disegno cavouriano di una separazione vera e propria tra Stato e Chiesa, e non di un concordato, una volta raggiunta la sospirata unità. Walter Maturi, nel definire l’opera dell’Omodeo come una storia «politico-parlamentare-diplomatica del tipo tradizionale»102, faceva notare invece lo scarso rilievo assunto nella vasta ricerca dall’immigrazione politica degli italiani provenienti da altre regioni, mentre il quadro economico e sociale rimaneva piuttosto sullo sfondo, non permettendo così di cogliere il nesso profondo tra idee cavouriane e trasformazione della società piemontese. La spiegazione di questa effettiva mancanza del saggio omodeiano, che pure lo storico napoletano non esitava a definire un capolavoro, andava ricercata nel duopolio dialettico che animava l’intera narrazione di Omodeo, quello fra la “libertà” di Cavour, ovvero dei moderati, e la “libertà liberatrice” di cui Mazzini era il profeta; un “principio animatore” di storia che, scelto con coerenza come canone interpretativo, non poteva non provocare alcune sfocature, ma dava al contempo quell’efficacia all’opera omodeiana sul risorgimento che permette ancora oggi di cogliere i frutti migliori di tale lavoro: la solidità dell’ispirazione sorretta dall’acribia filologica103. E davvero si può essere d’accordo con Delio Cantimori, nel ravvisare il problema di fondo della storiografia omodeiana non nella generica attenzione alle molteplici manifestazioni del fenomeno religioso, vale a dire «dal nesso fra origini cristiane e cattolicesimo della Restaurazione», quanto «nello sforzo verso un rinnovarsi della coscienza della tradizione italiana ed europea, lo sforzo per sprofondare più addentro le radici, per rinfrancare la solidarietà con il suo popolo, attraverso l’aristocratica mediazione della scienza»104. Una produzione, insomma, che anche nei numerosi scritti di storia del Risorgimento appare «compiuta nel non compiuto, dal punto di vista letterario collezione di frammenti e non bene ordinata enciclopedia, dal punto di vista sostanziale storia compiuta, massiccia»105, sorretta dalla volontà di ricercare le scaturigini del pensiero laico e liberale nel primo cinquantennio dell’Ottocento106, le cui premesse andavano ricercate nei tre lustri seguiti al Congresso di Vienna.
Quasi sopraffatto dagli sforzi e dalle amarezze del decennio da lui consacrato agli studi sul Cavour, Omodeo rifiutava la proposta di realizzare un volume sul Settecento o il Risorgimento per la collana di “Storia della Civiltà Italiana” promossa da Codignola107 per La Nuova Italia.
Ben difficilmente potrò collaborare alla tua collezione. Ho davanti più lavori che vita, e per di più sono alla ricerca che rassettino un po’il magro bilancio. Inoltre mi vado allontanando dal Risorgimento. Ora mi occupo della cultura francese dell’età della restaurazione, e presto dovrò, se la proposta della Facoltà supererà i diversi ostacoli che si delineano, occuparmi di storia antica108.

Una speranza destinata ad andare nuovamente delusa, questa volta a causa delle difficoltà sollevate da Bottai, allora ministro dell’Educazione Nazionale, e da rivali di Omodeo in seno alla facoltà napoletana.
Lo scambio epistolare fra Omodeo e Codignola è privo, nel periodo successivo alla pubblicazione del Cavour, di episodi significativi, eccetto la preparazione, presto interrotta dal precipitare della situazione politica, di un’antologia di storici francesi dell’Ottocento109. La pubblicazione di quattro monografie nel breve volgere di due anni aveva richiamato una certa attenzione attorno ad Omodeo, che stringeva un accordo con Einaudi per assumere il sospirato ruolo di “consulenza”110 in una progettata collana di volumi storici e di classici antichi. Ad Omodeo, ad esempio, si deve la pubblicazione presso la casa editrice dello Struzzo del classico Il medioevo barbarico in Italia di Gabriele Pepe111, uno dei suoi migliori allievi. Presto tramontata questa ipotesi, a causa di alcune incomprensioni con l’editore112, superate di lì a poco, Omodeo accettava l’invito a curare una collana di studi di storia politica e diplomatica per l’I.S.P.I di Milano, una scelta che gli sarebbe costata qualche critica. Proseguiva, frattanto, il lavoro a «La Critica» di Croce, mentre la partenza per il fronte africano del figlio Pietro, presto caduto prigioniero degli inglesi, costituiva la sua preoccupazione maggiore. Dopo la pubblicazione del IX volume dei Discorsi, con la II introduzione rifusa ne L’Opera politica del conte di Cavour, il lavoro che aveva accompagnato Omodeo per un decennio sarebbe rimasto incompiuto113.
L’attività di Omodeo, culminata con la chiamata al rettorato dell’ateneo napoletano, sino all’avvento alla Minerva, seppure solo per un mese, unitamente alla militanza nel Partito d’Azione, davano allo storico palermitano l’occasione di uscire dal profondo isolamento degli anni Trenta, e di mettere a frutto i principi e i propositi enucleati in una vasta serie di interventi, discorsi ed articoli di giornale e nella concreta prassi politica. Proprio in questa circolare, drammatica, connessione fra storia e vita risiede la peculiarità della storiografia omodeiana, la più vicina all’ideale crociano di storia come “religione della libertà” negli anni della dittatura e dell’ottundimento delle coscienze.



NOTE
1 A. Omodeo, recensione a N. Rodolico, Carlo Alberto principe di Carignano. 2 voll., Firenze, Le Monnier, 1930, in «La Critica», 29 (1931), pp. 379-384.^
2 A. Omodeo, recensione a A. Luzio, Massoneria e Risorgimento, in «Leonardo», 2 (1926), pp. 194-195, ora in Idem, Difesa del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1951, pp. 447-450.^
3 A. Luzio, Profili biografici e bozzetti storici. Vol. I, Milano, Cogliati, 1927, pp. 119-121.^
4 W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962 p. 445.^
5 Per un puntuale profilo R. Pertici, Luzio, Alessandro, in Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. LXVI, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2006, pp. 708-712.^
6 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 27 gennaio 1933, in Archivio Ernesto Codignola, Pratolino, Firenze (d’ora in poi AC).^
7 Luigi Russo a Guido De Ruggiero, Firenze, 18 maggio 1932, in AR. Giustificando la ritardata uscita di un articolo di De Ruggiero su «La Nuova Italia», Russo attribuiva il fatto a semplici difficoltà editoriali: «Se ci fosse stato impedimento di altra natura, ti avrei avvertito e avrei controbattuto. Ma Monsieur Lapin [Carlo Pellegrini] è stato messo abbastanza da parte e C[odignola] è sempre più dalla parte nostra ed è sempre più polemico contro il Castelvetrano». Alludeva poi a questioni di carattere economico e familiare che avevano minato «quella prontezza vigile, che prima aveva nelle sue cose […] C’è poi la lotta col Castelvetrano che è sempre più aperta; Armando da Pisa [Armando Carlini] si è fatto coraggio persino lui e gli ha scritto contro una nota frondista in “Vita Nova”. E gli altri chierici lo accusano apertamente di crocianesimo. E poi non manca la lotta contro i fiorentini, i quali hanno preso coraggio, dopo il mio ritiro: contro di me battevano politicamente, contro di lui letterariamente. Nell’ultimo numero del “Frontespizio” (stampato da Vallecchi), il quadrumvirato de “La Nuova Italia”, è definito “palliduccio riflesso del triumvirato Russo, De Ruggiero, Omodeo” […] Ti racconto questi particolari, perché tu ti renda conto della mutata situazione, e, mi pare, più favorevole a noi».^
8 Cfr. Alessandro Pavolini a Ernesto Codignola, Firenze, s. d., ma primavera 1932. Nella lettera in cui annunciava a Codignola le dimissioni accettate da Starace e caldeggiate dallo stesso RAS di Firenze, Pavolini prendeva atto del fatto «che i nostri concetti di cultura e della vita universitaria in rapporto alla politica sono diversi», esprimendo un pieno disaccordo su “punti di vista e fatti”, espressi dal pedagogista nelle lettera di dimissioni presentata agli inizi di marzo, «sul giudizio dei quali non potevo con Lei concordare», in AC. Per le rimostranze di Codignola a causa del contegno di Pavolini nei suoi confronti cfr. Ernesto Codignola a Vice Segretario del PNF, 17 dicembre 1931, in R. Gori, Gentilianesimo e fascismo nella biografia di Ernesto Codignola, in «Critica Storica», 23 (1987), pp. 279-280.^
9 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 31 marzo 1933, in AC.^
10 Informativa anonima a Capo della Polizia Bocchini, Genova 17 maggio 1933, in Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione Pubblica Sicurezza, Carte Polizia Politica, Codignola prof. Ernesto, Busta 312, fasc. 21761. ^
11 Ivi, Michelangelo di Stefano a questore Amedeo Palma, 14 febbraio 1934, con lettera anonima indirizzata al Capo della Polizia Bocchini.^
12 Francesco Ercole a Ernesto Codignola, Roma, 6 giugno 1933, in AC. I giudizi di Ercole venivano ribaditi in una lettera a Codignola del 19 ottobre 1933, in AC.^
13 Paolo Orano (1875-1945), socialista e collaboratore de l’«Avanti!», dopo la Grande Guerra entra nel Partito Sardo d’Azione per aderire nel 1923 al PNF, dopo essere stato eletto deputato. Saggista e scrittore, tra i fondatori della Scuola fascista di giornalismo e vicedirettore del Popoli d’Italia. Docente e poi rettore dell’Università di Perugia dal 1936, nominato senatore nel 1939.^
14 Giuseppe Attilio Fanelli, teorico del corporativismo fascista, direttore dal 1931 al 1935 de «Il secolo fascista».^
15 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, aprile 1933, in AC. ^
16 Su questo punto cfr. Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 4 aprile 1945; Ernesto Codignola ad Adolfo Omodeo, Firenze, 17 giugno 1945; Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 5 luglio 1945; Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 29 luglio 1945, in AC.^
17 Sull’antichista cfr. R. Pertici, Piero Treves storico di tradizione, in «Rivista Storica Italiana», 90 (1993), fasc. 4, pp. 651-735, ora in Idem, Storici italiani, cit., pp. 199-257.^
18 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, 29 luglio 1933, in AC. La lettera è stata pubblicata da R. Gori, Gentilianesimo e fascismo, cit., pp. 267-268. Anche in virtù di questo scritto Gori conferma la sua interpretazione del ruolo di Codignola come “mediatore” tra fascismo e cultura, coerente con il tipo di “valutazione pragmatica” del fascismo propria del pedagogista, il quale “esalterà il moderatismo della cultura, il suo ruolo “umanistico”, privilegiandone cioè il livello del laboratorio rispetto a quello dell’azione”, Ivi, p. 256.^
19 E. Codignola, Il rinnovamento spirituale dei giovani, Milano, Mondadori, 1933. ^
20 R. Pertici, Mazzinianesimo, fascismo e comunismo: l’itinerario politico di Delio Cantimori (1919-1943), in «Cromohs», 2 (1997), pp. 1-128. Cito da http://www.unifi.it/ riviste/cromos/2_97/pertici.html. L’interpretazione dell’itinerario intellettuale di Cantimori offerta da Pertici è ribadita in Idem, Delio Cantimori tra fascismo e nazionalsocialismo, in «Rivista Storica Italiana», 121 (2009), fasc. 1, pp. 150-175.^
21 D. Cantimori, recensione a E. Codignola, Il rinnovamento spirituale dei giovani, in «Leonardo», 5 (1934), pp. 364-368.^
22 A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti, Bologna, il Mulino, pp. 301-362.^
23 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 3 giugno 1933: «Seguo, come puoi immaginare, gli avvenimenti. Meravigliosi certi nostri amici! Veramente sul machiavellico io non m’ero mai illuso. Fin ora io son lasciato stare. Non so che pensare: se prendere buoni o cattivi presagi. Per conto mio sono tranquillo. Ma sulla sciocchezza del prossimo machiavellico non si può far nessun conto», in A. Omodeo, Lettere. 1910-1946, Torino, Einaudi, 1962, p. 505. Il “machiavellico” in questione è Francesco Ercole, studioso del pensatore fiorentino. Omodeo si riferiva alla circolare del ministro Ercole con la quale si vietava alle scuole e ad enti ministeriali di abbonarsi alla «Critica» di Croce. Dello stesso Ercole il provvedimento con cui Giuseppe Lombardo Radice, pedagogista illustre e collaboratore di Gentile alla riforma scolastica fino alla rottura con l’antico compagno della Scuola Normale avvenuta nel 1925, direttore della rivista «L’Educazione Nazionale», era stato destituito dall’insegnamento con atto del Ministro Ercole.^
24 E. Fueter, Storia del sistema degli stati europei 1492-1559, Firenze, La Nuova Italia, 1932. L’occasione per denunciare il plagio si sarebbe avuta tre anni dopo, con la doppia recensione a Feuter e a F. Ercole, Da Carlo VIII a Carlo V, in «La Critica», 33 (1935), pp. 293-295.^
25 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 28 settembre 1933, in AC.^
26 A. Omodeo, Momenti della vita di guerra, Bari, Laterza, 1934. Cfr. A. Garosci, Adolfo Omodeo III. Guida morale e guida politica, in «Rivista Storica Italiana», 68 (1966), fasc. 1, che definisce il volume come «un breviario di esperienze eroiche», «azione storica, più che rappresentazione storica», all’interno di un’opera che aveva avuto il merito di rilevare, fra i primi «la diversità della formazione del fante e del soldato nella guerra nazionale italiana», ma che tuttavia risultava «un po’ scissa in sé stessa». Difetti, del resto, noti anche a Omodeo che ravvisava nel suo lavoro un certo «virtuosisimo d’intarsio», pp. 146-149.^
27 Adolfo Omodeo a Luigi Russo, Napoli, 23 maggio 1933, in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 504.^
28 Si tratta di A. Omodeo; cfr. Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, [31 dicembre 1934]: «[…] Da diverse parti mi si dice che la sezione Mazzini e Cavour che vado pubblicando sulla “Critica” è piaciuta molto. Speriamo che questo mio lavoro possa ravvivare gli studi cavouriani», in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 529.^
29 Adolfo Omodeo ad Ernesto Codignola, Napoli, 26 febbraio 1934, in AC.^
30 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 7 gennaio 1935: «[…] Io, e lo dico senza false modestie, ho quasi ultimato il più serio studio critico che si sia fatto fin ora in Italia sulla politica del Cavour. Ti par bello che proprio un Ente di cultura venga a dirmi aspramente: il lavoro – tranne una profonda rielaborazione – rimanga smembrato e in un certo modo inedito se non si stampa presso la Nuova Italia? E se Laterza, che ancora non si è pronunziato, dicesse lo stesso, otto o nove anni di studio e di ricerche dovrebbero andare dispersi davvero?»., in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 533.^
31 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, [dicembre] 1934.^
32 Sulla vicenda si veda il lungo carteggio inedito fra Russo e Codignola, in AC, e quello fra Russo e La Nuova Italia nell’Archivio Luigi Russo di Pietrasanta (LU). Il volume in questione è A. Manzoni, I promessi sposi, commento e note a cura di L. Russo, Firenze, La Nuova Italia, 1936.^
33 Cfr. anche Adolfo Omodeo a Luigi Russo, Napoli, 12 gennaio 1935, in cui mi pare si colga più di un riferimento polemico anche a Codignola «ma sono seccato, e sempre più profondamente disgustato, di tutti e di tutto il consorzio umano. Ho la coscienza di fare lavori non senza importanza nella nostra vita culturale, Trovassi mai fra i capoccioni della cultura un disinteressato aiuto, un solo che dicesse “aiutiamolo a fare, non foss’altro per giustificare col lavoro suo la nostra ragion d’essere”. E tolgono la missione all’estero, e i mezzi per studiare all’interno, e chiudon le riviste, gli atti accademici, rimutano, rimpastano, intorbidano le biblioteche, archivi, case editrici, tutto, senza far nulla e per impedire ad altri di fare. Quando vedo “La Nuova Italia” e ripenso a cosa essa era quando l’avevamo noi, quando vedo “Civ[iltà] Mod[erna]” malamente abborracciata, mentre, se ci lasciassero fare, potrebbe venire un prezioso organo di studi, provo un impeto di sdegno», in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 535.^
34 Il riferimento è a Gioacchino Volpe.^
35 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 7 gennaio 1935, cit.^
36 Giuseppe Santonastaso (1904-1976) poi ordinario di Storia delle dottrine politiche a Bari e Napoli. Cfr. Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 7 ottobre 1931: «[…] Desidererei domandarti un favore per il povero Santonastaso. L’anno scorso aveva vinto un concorso per il liceo pareggiato d’Orvieto. Quest’anno il liceo è stato regificato, ed era tutto lieto. Ma ora vien fuori la faccenda che per essere assunti dallo Stato dovrebbe avere un anno intiero di servizio, mentre fu assunto se non sbaglio il gennaio o il febbraio. Rischia di trovarsi sulla strada senza lavoro e senza nessun vantaggio del concorso vinto. Potresti tu: I Premere su Giuliano […]? II Potresti trovargli lavoro? A me fa una gran pena. È come perseguitato dalla iettatura: non gliene va una bene. Ha notevoli difetti di cultura, ma è il giovane più volonteroso che abbia fin ora trovato», in AC. ^
37 G. Santonastaso, Pensieri postumi di Sorel, in «La Nuova Italia», 2 (1931), fasc. 1, pp. 15-20. ^
38 E. De Martino, Il concetto di religione, in «La Nuova Italia», 4 (1933), fasc. 11, pp. 325-329.^
39 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 8 ottobre 1933: «[…] Ti invio un eccellente studio di un mio scolaro sul concetto di religione. Vedi di pubblicarglielo in N. I. Il suo indirizzo (inviagli le bozze) è: Ern. De Martino, Via Posillipo 150 Napoli. Mi ha anche dato un altro lavoro di natura erudita sui gephyrismi di Eleusi: molto buono. Se “Civiltà Moderna” dispone di caratteri greci io te lo mando. Fagli avere gli estratti con una certa prontezza perché vorrei riuscisse nei concorsi», in AC. Per una biografia di Ernesto De Martino (1908-1965), antropologo e storico, dal 1959 ordinario di Storia delle religioni a Cagliari, rimando a V. Lanternari, De Martino, Ernesto, in Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. XXXVIII, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1990, pp. 584-588; G. Galasso, Croce, Gramsci e altri storici, Milano, il Saggiatore, pp. 222-320. De Martino si era laureato con Omodeo nel 1932 con una tesi sui gephyrismi eleusini. Il contributo eleusino proposto da Omodeo per «Civiltà Moderna» sarebbe stato invece pubblicato in altra sede. Cfr. E. De Martino, I Gephyrismi, in «Studi e materiali di storia delle religioni», 10 (1934), pp. 64-79.^
40 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 31 gennaio 1935, in AC. Proseguiva Codignola: «Spero che il Laterza, che può capire l’importanza nazionale e l’alto significato della nostra pubblicazione, non ti impedirà di raccogliere in detto volume i saggi che sei venuto pubblicano su “La Critica” e che già sono apparsi nel tuo vol. Tradizioni. Pregalo anche a nome mio di aiutarci e sono sicuro che egli lo farà volentieri». ^
41 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 19 febbraio 1935, in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 536.^
42 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, [dicembre] 1934: «Io dovrei chiederti anche qualche altra informazione. Posto che la N. I. si specializza in Cavour, sarebbe disposta a trattare col figlio del Ruffini una nuova edizione della Giovinezza del Cavour, a cui si aggiungerebbero in appendice alcuni frammenti dello studio non ultimato su Il pensiero religioso del Cav.? Inoltre potrei farti avere per le tue riviste parecchi saggi inediti del Ruffini sui Sociniani, S. Francesco di Sales, i movimenti religiosi nella Ginevra della restaurazione. Tu li pubblicheresti?», in AC. La giovinezza di Cavour sarebbe stato però pubblicata in 2 voll. a Torino, Modica, 1937-1938; la casa editrice fiorentina avrebbe invece pubblicato F. Ruffini, I giansenisti piemontesi e la conversione della madre di Cavour, Firenze, La Nuova Italia, 1942. Il saggio F. Ruffini, Metodisti e sociniani nella Ginevra della Restaurazione, in «Civiltà Moderna», 7 (1936), estratto, pp. 56.^
43 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 3 aprile 1935, in AC. ^
44 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 25 maggio 1935, in AC, in risposta ad Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 19 maggio 1935: «Caro Omodeo, non ho più osato scriverti dopo la sventura che ti ha colpito. Più si amano gli amici, più si sente l’impossibilità di dire loro vane parole di conforto nelle loro sventure. Spero che il lavoro e la cura degli altri figli ti abbiano ridato un po’ di serenità. Come mi pare di averti già scritto, il Consiglio dell’Ente ha accettato le mie proposte per il tuo Cavour», in AC. Si veda anche Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 10 luglio 1935: «[…] Mi auguro che tu possa ritrovare la pace e la serenità nel lavoro. Il tormento maggiore nel periodo in cui viviamo è dato appunto dalla quasi assoluta impossibilità di potersi raccogliere in modo fecondo. Ma ho la ferma persuasione che il nostro sacrifizio non sarà stato invano», in AC. ^
45 Adolfo Omodeo a Luigi Russo, Napoli, 29 aprile 1935, in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 538.^
46 La prima serie apparve su «La Critica» l’anno seguente; cfr. A. Omodeo, Cattolicesimo e civiltà moderna nel secolo XIX. I. J. de Maistre 1 Il cattolico e l’illuminato, pp. 31-48; 2 I momenti gnostico eterodossi, pp. 108-118; 3 L’orientamento reazionario, pp. 183-192; 4 Di fronte alla Rivoluzione, pp. 192-204; 5 Dio ed uomini nella creazione della storia, pp. 267-284; 6 Il momento satanico, pp. 344-358; 7 In Sardegna e in Russia, pp. 438-50; ripubblicati in Idem, Un reazionario. Il conte J. de Maistre, Bari, Laterza, 1939.^
47 Saggi e recensioni raccolti in A. Omodeo, Alfred Loisy storico delle religioni, Bari, Laterza, 1936. Cfr. Adolfo Omodeo a Luigi Russo, Napoli, 14 ottobre 1935: «[…] In qualche punto parrà difficile, ma credo che metodologicamente abbia una certa importanza. Se tu potessi ottenete che qualcuno s’assumesse di recensirlo, non sarebbe male. Io non oso chiedere a te una recensione, perché so in quanti lavori sei impegnato: però vedi se a Firenze c’è qualche persona di buona volontà», in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 550.^
48 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 27 aprile 1935: «Caro Ernesto, a Roma ho ricevuto la tua affettuosa lettera e ti ringrazio del tuo interessamento alle cose mie. […] La mia vita scorre come al solito. Ora tento di stordire col Cavour lo strazio, come prima stordivo le preoccupazioni penose. Gli altri figli hanno bisogno di me e mi faccio forza. Ma il sapore della vita è perduto, e mi sento condannato a vivere», in AC; Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 27 novembre 1935: «[…] Sono nuovamente molto stanco e abbattuto. La rielaborazione degli studi cavouriani procede. Presto metterò mano ai saggi sull’egemonia parlamentare del Cavour come 2° introduzione. Attendo da te le bozze del Ruffini per ricorreggerle. Mi son fatto mandare dal figlio del R. tutti i libri necessari per la revisione dei passi citati», in AC; Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 18 gennaio 1936: «[…] Qui da parte mia nulla di nuovo. Ho ripreso la composizione dei volumi cavouriani e in mezzo a cento altre cure porto avanti la biografia cavouriana», in AC.^
49 Adolfo Omodeo a Eva Zona, Roma, 10 agosto 1935, in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 544.^
50 A. Omodeo, recensione a A. Luzio, Aspromonte e Mentana, in «La Critica», 24 (1935), ora in Idem, Difesa del Risorgimento, cit., p. 574. ^
51 A. Omodeo, Italia e Roma, Firenze, Vallecchi, 1936.^
52 La perdita del corso di Storia del Risorgimento presso l’Istituto “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. ^
53 Federico Gentile (1904-1996), fu chiamato a lavorare alla Sansoni, acquisita dal padre, dal 1932, dopo aver lavorato alla milanese Treves.^
54 E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, Firenze, La Nuova Italia, 1935. Il libro non venne recensito da Omodeo.^
55 A. Omodeo, recensione a G. C.L. Sismondi, Epistolario II, (1814-1823), in «La Critica», 35 (1937), pp. 129-135. Omodeo aveva anche recensito lo studio sul Sismondi di R. Ramat, Sismondi e il mito di Ginevra, in «La Critica», 34 (1936), pp. 456-458.^
56 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 19 febbraio 1936, in AC: «[…] In quanto alla casa ti ringrazio della modificazione del contratto che tu hai proposto alla “Nuova Italia”. Io lavoro senza sussidio alcuno e le ricerche storiche mi vengono a costare molto. Sono stato a Torino due volte per la durata di varie settimane, dovrò tornarci verso primavera per nuove ricerche; a giorni devo andare a Roma per vedere alcuni documenti che sono stati messi a disposizione. In conclusione, la maggior parte delle risorse dell’Ente se ne andrà a finanziare queste ricerche. Ora non vedo l’ora di finire alcuni lavori urgente per finanziare la mia casa e per poter terminare il mio grande studio cavouriano», in AC.^
57 A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti, cit., pp. 142-150.^
58 A. Omodeo, recensione a N. Rodolico, Carlo Alberto negli anni del regno 1831-1843, in «La Critica», 35 (1937), poi rifusa in Idem, La leggenda di Carlo Alberto nella recente storiografia, Torino, Einaudi, 1940. Cito a Idem, Difesa del Risorgimento, pp. 190-198.^
59 Adolfo Omodeo a Luigi Russo, Napoli, 7 luglio 1936, in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 561.^
60 A. Omodeo, Difesa del risorgimento, cit., p. 197.^
61 Poi raccolte in A. Omodeo, Saggi sul cristianesimo antico, Napoli, ESI, 1958, pp. 59-202.^
62 G.G. Cesare, I commentarii della guerra gallica. Libro primo, a cura e con introduzione di A. Omodeo, Firenze, Le Monnier, 1938-1939. L’Introduzione è ora in A. Omodeo, Il senso della storia, a cura di L. Russo, Torino, Einaudi, 1948, pp. 78-102.^
63 Adolfo Omodeo a Luigi Russo, Napoli, 4 dicembre 1936, in AC.^
64 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 6 febbraio 1936, in AC.^
65 A. Omodeo, recensione a W. Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, Firenze, La Nuova Italia, 1936, in «La Critica», 35 (1937), pp. 454-461, ora in Idem, Il senso della storia, cit., pp. 30-39.^
66 A. Omodeo, Il senso della storia, cit., p. 34. ^
67 Cfr. Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 11 febbraio 1937: «[…] Tu mi dovresti aiutare a condurre in porto l’edizione del Cavour, cui tengo moltissimo, accettando una piccola decurtazione nel compenso per ogni volume. È un sacrificio che chiederò a tutti gli altri collaboratori. Solo a questo patto mi riuscirà forse di regolare nel miglior modo le pendenze. E ti chiedo di accontentarti per i volumi che devi ancora preparare, di £2000 anziché di £2000 per ogni volume di 500 pagine», in AC. ^
68 Cfr. la denuncia anonima La caduta morale del prof. Codignola, Firenze, 6 luglio 1936 e la denuncia di un anonimo, Genova, 6 agosto 1940: «Certo prof. E. C., residente in Firenze […], insegnante dell’Istituto di Magistero di Firenze, innanzi l’inizio delle nostre ostilità usava mettere in ridicolo i Segertari Federali anche le sue stesse lezioni all’Istituto sopraccennato. Il predetto professore, inoltre, durante le sue lezioni, trovava pure modo, assai spesso, di sfrecciare bottate al regime, nonché usare ironie circa varie istituzioni fasciste e a dimostrare la sua aperta contrarietà al regime medesimo. Tanto che svariati studenti facenti spola fra Firenze e svariate località della linea Firenze-Livorno per recarsi dalle proprie residenze all’istituto di cui sopra, vennero ripetutamente uditi raccontarsi tutto questo e commentarlo: mentre taluni o per la loro giovanile inconsideratezza o per altri motivi, si divertivano, anche, a ripetere le battute d’ironie e peggio, del mentovato professore», in ACS, Ministero dell’Interno. Divisione pubblica sicurezza. Polizia Politica, Codignola prof. Ernesto, Busta 312, fasc. 21761. Di “accanita persecuzione” da parte del fascismo fiorentino parla lo stesso Codignola nella lettera a Giuseppe Bottai del 24 gennaio 1937, in R. Gori, Gentilianesimo e fascismo, cit., p. 284. Secondo Gori, inoltre, la richiesta di iscrizione alla Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, presentata nell’estate del ’36, appare «un tentativo, drammatico per certi versi, di rompere un isolamento sempre più accentuato, in cui egli si viene a trovare proprio dopo che si sono compiuti i destini imperiali del fascismo», Ivi, p. 283.^
69 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 18 febbraio 1937, in AC. (R)^
70 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 1937, in AC. Seguiva la replica di Omodeo, Napoli, 10 marzo 1937: «[…] Le mie opere, tranne che si tratti di argomenti astrusi di storia delle religioni si smerciano abbastanza bene, come lo dimostrano il volume sui caduti e quello di storia del Risorgimento. Anche il mio volume su Gesù è giunto alla seconda edizione. Ad ogni modo io non avrei trovato tanta difficoltà a collocare la mia biografia cavouriana con un compenso a percentuale.[…] Tu hai molti nemici, non molto tempo fa i giornali pubblicarono il verdetto di un giurì d’onore intorno alle accuse che ti aveva mosso un malevolo (bada che proprio a ciò mi riferivo là dove accennavo ai dispiaceri che avevi avuto). Il verdetto ti era stato favorevole, va bene. Ma data questa ostilità contro di te, credo che non convenga dar molti pretesti alle malignità. Nel caso mio, non ti nascondo che non mi preoccuperebbe menomamente un attacco per avere ricevuto un sussidio dall’Ente: non ci vorrebbe molto a provare i miei viaggi e soggiorni a Torino. Un attacco avverso nell’altra posizione m’avrebbe dato non poco fastidio. Sono povero: che almeno possa fruire dei vantaggi della povertà! Tu poi mi domandi in base a che io affermo che c’è stata una crisi nella casa editrice. Ti rispondo subito: in base all’arresto di quasi tutta la produzione. Per i Discorsi del Cavour tu avevi in mano il materiale fin quasi a tutto il IX volume. Se mi sono sbagliato, nessuno più lieto di me. Ripiglierò a curare quei volumi, cosa molto più piacevole per me che il narrare la lupa di Romolo ai ragazzini della I ginnasiale», in AC. Omodeo si sarebbe rivolto a Codignola nei mesi successivi per la richiesta di ospitare un articolo di denuncia contro un plagio ai danni di un volume scolastico di Omodeo. L’articolo avrebbe dovuto essere firmato da Luigi Russo. Cfr. la risposta di Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 12 novembre 1937: «Ti ringrazio delle informazioni. Sono prontissimo a pubblicare l’articolo di Russo, ma occorre procedere con molta cautela per non tirarci addosso una querela per diffamazione e magari con ingiuste richieste di danni da parte degli editori. Non basta avere ragione per vincere queste lotte. Occorrerebbe quindi che Russo facesse un articolo molto sereno e pacato e largamente documentato, facendo trarre le conclusioni al lettore piuttosto che a lui. Io, ad ogni modo, sono pronto ad ospitare lo scritto», in AC. ^
71 G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia. Traduzione di E. Codignola e G. Sanna. Vol. I. Introduzione. La filosofia orientale; la filosofia greca dalle origini a Anassagora, Firenze, La Nuova Italia, 1930; Vol. II. Dai sofisti agli scettici, ivi, 1932; Vol. III. Dai neoplatonici alla Riforma, ivi, 1934. ^
72 Carteggi di giansenisti liguri. 3 voll., con introduzione, note e commento di E. Codignola, Firenze, Le Monnier, 1940-1943. ^
73 E. Codignola, Illuministi, giansenisti e giacobini nell’Italia del ‘700, Firenze, La Nuova Italia, 1947.^
74 G. Solari, Per la storia del Giansenismo italiano, in «Rivista di Filosofia», 29 (1948), pp. 40-64. Sul rapporto fra Codignola e Solari mi permetto di rimandare a F. Torchiani, Gioele Solari e ‘le ricerche pazienti e ingloriose’. Dalle lettere a Ernesto Codignola, in «Clio», a. 46 (2010), fasc. 1, pp. 51-63. ^
75 Cfr. il profilo di N. Tranfaglia, Un socialista scomodo: Tristano Codignola, in Idem, Labirinto italiano. Il fascismo, l’antifascismo, gli storici, Firenze, la Nuova Italia, 1989, pp. 291-340.^
76 S. Giusti, Una casa editrice negli anni del fascismo. ‘La Nuova Italia’ 1926-1943, Firenze, Olschki, 1983, pp. 200-206.^
77 G. Calogero, Difesa del liberalsocialismo e altri scritti, a cura di M. Schiavone e D. Cofrancesco, Milano, Marzorati, 1972. ^
78 E. Garin, Intellettuali italiani nel XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 165-169.^
79 Cfr. E. Capannelli, La storia della cultura nell’Archivio Ernesto Codignola, in Ernesto Codignola pedagogista e organizzatore di cultura, a cura di G. Tassinari e D. Ragazzini, Roma, Carocci, 2003, pp. 127-133.^
80 Cfr. le lettere di Arnaldo Momigliano a Ernesto Codignola in Appendice ad A. Momigliano, Pace e libertà nel mondo antico, a cura di R. Di Donato, Firenze, La Nuova Italia, 1999, pp. 147-163.^
81 Cfr. il già citato fascicolo personale di Codignola nelle Carte della Polizia Politica, con il crescente numero di denuncie anonime nei confronti del magistero di Firenze, trasformato in un “covo di antifascisti”. ^
82 D. Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, 1959, p. 68.^
83 Adolfo Omodeo a Luigi Russo, Napoli, 26 gennaio 1938, in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 585.^
84 Adolfo Omodeo a Luigi Russo, Napoli, 28 febbraio 1931, in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 465.^
85 D. Cantimori, Studi di storia, p. 71. ^
86 Adolfo Omodeo a Eva Zona, Milano, 1 ottobre 1938, in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 596.^
87 Adolfo Omodeo a Luigi Russo, Napoli, 16 giugno 1939, Ivi, p. 607.^
88 A. Omodeo, recensione a G. Sanna, Bibliografia generale dell’età romana imperiale, Firenze, edizioni dell’Ente nazionale di cultura, 1938, in «La Critica», 37 (1939), p. 451.^
89 M. Rostovtzeff, Storia economica e sociale dell’Impero romano, Firenze, La Nuova Italia, 1932. ^
90 E. Zeller, La filosofia dei greci nel suo sviluppo storico, Firenze, La Nuova Italia, 1932-1938.^
91 Un rapido spoglio del carteggio in E. Capannelli, La storia della cultura, cit., pp. 134-137.^
92 A. Omodeo, recensione a G. De Sanctis, Storia del greci, 2 voll., Firenze, La Nuova Italia, 1939, in «La Critica», 37 (1939), pp. 298-305, ora in Idem, Il senso della storia, cit., pp. 40-50.^
93 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Collealto (Dogliano), 5 agosto 1939, in AC.^
94 A. Omodeo, Il senso della storia, cit., p. 43.^
95 Cfr. Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 13 agosto 1939, in AC.^
96 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 15 novembre 1939, in AC. Ma si veda anche Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 3 maggio 1940: «[…] Cercherò di tormentare un po’ meno le bozze. Ma devi anche metterti in testa che non è umanamente possibile, per una preoccupazione finanziaria, impedire all’autore di perfezionare stilisticamente un periodo, o di porre un’aggiunta che chiarisca e completi. E in genere io ho fatto delle aggiunte. La casa editrice poi deve pensare che io mi ero impegnato semplicemente a dare i miei saggi d’argomento cavouriano, e che poi disinteressatamente li ho rielaborati in un’opera vastissima in più volumi, senza chiedere nulla in più, mentre mi trovo in condizioni di vera povertà. Quindi da parte mia pregalo di un po’ di pazienza tenendo presente il vantaggio che ne ricava», in AC ; Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 25 maggio 1940, in AC.^
97 A. Omodeo, L’opera politica del conte di Cavour, 2. voll., Firenze, la Nuova Italia, 1940.^
98 A. Omodeo, La leggenda di Carlo Alberto nella recente storiografia, Torino, Einaudi, 1940.^
99 A. Omodeo, Vincenzo Gioberti e la sua evoluzione politica, Torino, Einaudi, 1941. Nello stesso anno aveva finalmente visto la luce Idem, L’egemonia parlamentare del Conte di Cavour, introduzione a C. Benso Di Cavour, Discorsi politici, Vol. IX 1853-1854, Firenze, La Nuova Italia, 1941.^
100 A. Omodeo, L’opera politica, cit., p. 14.^
101 Ivi, p. 12.^
102 W. Maturi, Interpretazioni del risorgimento, cit., p. 543.^
103 Cfr. il complesso giudizio di A. Garosci, Adolfo Omodeo III, cit., pp. 158-162. Notava Garosci: «Rimettendo, com’era, Napoleone III (neppur lui solitario demiurgo di una politica) al centro della politica europea, la cosiddetta scaltrezza del conte di Cavour si rivela una virtù profonda, che vince perché ha messo nel suo mazzo della politica liberale le forze proprie alla sua affermazione, anche inconsce o riluttanti, e perché si è tenuto coerente al proprio compito. Spetterà ad altri (per il rapporto Napoleone III-Mazzini, al Salvatorelli, agli storici diplomatici dell’equilibrio per l’assieme della situazione europea) chiarire altri aspetti di questa verità; ma ad essa l’Omodeo si era sollevato primo in forza della propria genialità di storico: della ricerca cioè, illuminata dall’ansia della verità», Ivi, p. 162.^
104 D. Cantimori, Studi di storia, cit., p. 68.^
105 A. Garosci, Adolfo Omodeo III, cit., p. 157.^
106 G. Galasso, Croce, Gramsci, cit., p. 312.^
107 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 5 settembre 1940: «Caro Omodeo, la N. I. pubblicherà, sotto la mia direzione, una vasta collana di opere, strette da un’unica idea, l’illustrazione della civiltà italiana in tutti i suoi aspetti. Una sezione sarà dedicata alla letteratura, un’altra alla storia, ecc.. La suddivisione sarà per giù quella tradizionale, così per la letteratura come per la storia. A te affiderei volentieri uno o più volumi, p. es. il Settecento o il Risorgimento, ecc.. ed altro, a tua scelta. I collaboratori saranno scelti tutti con criteri rigorosamente ed esclusivamente scientifici. Se accetti fammi qualche proposta. Naturalmente la Casa ti farebbe ottime condizioni», in AC. Alla collana avrebbero dovuto collaborare, fra gli altri, Ernesto Buonaiuti, Delio Cantimori, Gino Luzzatto, Manara Valgimigli. ^
108 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 18 settembre 1940, in AC. Proseguiva Omodeo: «[…] A proposito di Cavour, quel miserabile di Ercole ha plagiato completamente il mio saggio sugli inizi della politica Cavouriana, lo ha ripubblicato quasi integralmente in dispense, tacendo sempre il mio nome, come se io non mi fossi mai occupato di storia subalpina, e ripetendo il caso del libro del Fueter. La Casa editrice avrà sicuramente un danno finanziario, ed io rischio di avere morale. Infatti, siccome quasi nessuno dei giovani che hanno studiato quelle dispense sarà andato a ricercare nella vasta collezione dei discorsi il mio saggio, ai loro occhi, ora che esce la biografia di Cavour, passerò io per plagiario. Bisognerà studiare un qualche rimedio», in AC. La risposta di Ernesto Codignola di Adolfo Omodeo, Montecatini, 9 ottobre 1940: «Caro Omodeo, non credo ci sia più nulla da fare per Ercole. Si perderebbe il sonno e la fatica. Potrai sempre, a suo tempo e luogo, rimettere la cosa a posto con una breve nota. Ma oramai il costume è quello! L’Ente è in liquidazione! Ripensaci per il volume che ti vorrei affidare. Il tema lo potresti scegliere di tuo gradimento. E il lavoro ti verrebbe compensato bene. Spero che tu riesca a passare alla Cattedra di Storia antica: lo auguro a te e all’Università di Napoli», in AC. La denuncia di plagio da parte dello storico in A. Omodeo, recensione a F. Ercole, Il primo ministero Cavour, in «La Critica», 39 (1941), pp. 52-54, ora in Idem, Difesa del Risorgimento, cit., pp. 566-569, col titolo Un caso di telepatia.^
109 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 30 gennaio 1943: «Caro Codignola, ho ricevuto la tua e ti dico in linea di massima che volentieri farei la raccolta che tu dici, perché è un argomento che posseggo abbastanza e so dove mettere le mani per una buona antologia», in AC; Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Positano, 23 luglio 1943: «[…] Ho impostato l’antologia dei liberali francesi, ma la chiusura delle biblioteche m’inceppa non poco. Alcune opere poi a Napoli non si trovano. Avrei bisogno delle memorie del de Serre, degli scritti di Camille Jordan e degli scritti di Charles Comte il direttore del “Censeur” […] Intanto, per meglio rallegrarmi, la posta da un gran pezzo non mi porta lettere di mio figlio prigioniero in Egitto, a Genifa, sulla zone del Canale. Ho da stare molto lieto! Ad ogni modo si tira avanti e si lavora», in AC.^
110 Cfr. Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, s.d., ma autunno 1940: «In quanto al volume che mi chiedi, ti confesso che mi si va esaurendo l’ispirazione risorgimentale, per una tristezza che tu comprenderai. E bisognerà che cerchi di fare la II parte del Cavour. Oramai il mio desiderio è che una casa editrice utilizzi la mia competenza dandomi da dirigere una vasta e attiva collezione storica. Mi sentirei di abbracciare storia antica e moderna, di trovar collaboratori, e di renderla molto redditizia. Ma gli editori sono iniqui, tirano al soldo immediato, e, non so perché, mentre dilapidano milioni, si mostrano atterriti all’idea di passarmi non molte migliaia di lire all’anno, per tirarmi fuori dalla mia cronica povertà», in AC. ^
111 G. Pepe, Il medioevo barbarico in Italia, Torino, Einaudi, 1941.^
112 Il giudizio negativo espresso sul libro di Pepe da un altro illustre consulente della casa editrice torinese, Giorgio Falco, cacciato dalla cattedra nel ’38 in seguito al varo della legislazione sulla razza. Cfr. Adolfo Omodeo a Giulio Einaudi, Napoli, 2 luglio 1941, in A. Omodeo, Lettere, cit., pp. 649-651.^
113 I volumi successivi sarebbero stati curati, dopo la morte di Omodeo, da Armando Saitta: C. Benso di Cavour, Discorsi Parlamentari, Firenze, la Nuova Italia, Vol. XI-XIV, 1957-1969.^
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