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Prospettive italiane 2009-2010
di G. G.
Dobbiamo ancora una volta tornare su un nostro articolo (Cronache italiane, forze politiche e Mezzogiorno) già pubblicato nel "Corriere del Mezzogiorno" (20 dicembre 2009), e la lettura chiarirà — crediamo — il motivo di questa, per noi molto insolita, riproduzione di cose che abbiamo avuto occasione di dire o scrivere altrove. Ecco, dunque, il testo dell'articolo al quale ci riferiamo e che è polarizzato alla fine sul Mezzogiorno e i suoi problemi, ma il cui quadro di considerazioni va oltre questo più specifico ambito:
«Gravissimi sono stati gli ultimi casi italiani, dall'aggressione a Berlusconi ai successivi e spesso sconcertanti commenti, dall'immediata denunzia dei "responsabili e mandanti morali" (Di Pietro aveva appena predetto che si giungeva a scontri e violenze di piazza) alla deprecazione della responsabilità dell'aggredito per le sue provocazioni (che non erano fatte, però, con corpi contundenti o armi improprie, e, tuttavia, qualcuno ha anche detto a Berlusconi di non fare la vittima). Sotto un'apparente distensione almeno verbale del clima politico, si è giunti, così, a confondere e deteriorare quel tanto di confronto e dibattito politico che pure c'era, a manifestazioni di intolleranza anche sulla rete telematica e a varie altre dimostrazioni di ostilità più che politica. Di qui i tanti sorpresi e, invero, sorprendenti stupori perché un fatto così grave non produceva il "miracolo a Milano" (come nel film di Zavattini), ossia un generale e repentino "volemose bene"; con tanto di abbracci, se non di baci.
Altrove sarebbe accaduto lo stesso? Può darsi. In Italia, però, tutto assume subito un altro carattere. Da noi si è alla continua ricerca di "soluzioni condivise". Le decisioni sulle riforme, di cui tanto (e soltanto) si parla, debbono essere "compartecipate". Ossessivo è il richiamo alla necessità del confronto e del dibattito tra le forze politiche (e che cosa hanno fatto finora?). E, questo, in un paese in cui una parte del ceto politico disconosce ogni legittimità e diritto a pubbliche responsabilità per quelli che ritiene nemici ben più che avversari, e sul fronte opposto un'altra parte ritiene nemici i suoi avversari, e rei di un estremismo e di pregiudizi ideologici rovinosi.
Bisognerebbe, quindi, auspicare che ci si decida infine a non cantare più questa nenia della "condivisione". Il confronto politico è opposizione, non convergenza. Che cos'è la "democrazia dell'alternanza'; senza le regoli dell'alternanza, che sono appunto quelle del contrapporsi e del propug soluzioni alternative? E quale altro senso avrebbe, se non fosse materiata di simili contrapposizioni e alternative? Il sogno italiano è sempre quello del "connubio" (magari anche poco cauto, oltre che poco casto) tra centro-destra e centro-sinistra, che fu all'origine della nostra tradizione politica parlamentare, con Cavour e Rattazzi, già prima dell'unificazione italiana nel 1861. Dopo due sole varianti di rilievo si sono avute al connubio (come lo denominò; nel Parlamento di Torino, Ottavio Thaon di Revel): il "trasformismo" e molto dopo, il "compromesso storico". In pratica, si è sempre ricercato il "consociativismo" (salvo poi a denunziarlo). Le alternative richieste dal sistema ci sono state solo quando le contrapposizioni politiche sono state più nette (e, talora, drammatiche).
La vera anomalia del sistema democratico in Italia è qui. Può essere diverso il caso di modifiche costituzionali, per le quali, certo, la "condivisione" è auspicabile, ma sempre solo fino a un certo punto, a meno che (è chiaro) le riforme volute da una parte non alterino il sistema, come fu con le "lei fascistissime" del 1925. Da noi si gridò alla Costituzione violata già per la legge elettorale maggioritaria del 1952-1953 (la "legge truffa": e quella attuale?); e, come nulla, provvedimenti di legge sono sanzionati o annullati non solo dalla Corte Costituzionale (che è fatta per questo), ma anche da tribunali ordinari o amministrativi o, magari, dal Consiglio di Stato.
Quel che però appare più preoccupante oggi qui da noi non è tanto neppure questo quanto il grado elevato di friabilità delle forze politiche. Sorgono sempre nuovi partiti o si scindono quelli esistenti, o in essi si adombra continuamente il fantasma di prossime o già di fatto operanti scissioni. E questo non fa bene al sistema, e ne provoca in alta misura la molto scarsa e insoddisfacente funzionalità; ed è pure, in parte, all'origine della perenne instabilità del sistema e della correlativa ricerca di connubi, trasformazioni, compromessi e condivisioni.
Nuoce, poi, soprattutto al Mezzogiorno. Al Mezzogiorno che più di altre parti del paese ha bisogno di coesione, chiarezza di vedute e solidale tensione operativa delle forze politiche. Al Mezzogiorno la cui fama di depressione e di carenza di dinamismo rimane tale che in Germania sono in molti a denominare "Mezzogiorno" la Germania Orientale, rimasta indietro a quella Occidentale dopo la riunificazione del 1989. Al Mezzogiorno nel quale anche per le prossime e straordinariamente importanti elezioni regionali servirebbe più che mai un quadro di partiti e movimenti all'altezza programmatica e operativa dei problemi più urgenti (per non parlare di quelli di fondo), e nel quale quel che soprattutto si vede sono rivalità, faide e risse di persone, gruppi e gruppetti per le candidature e per i "posti". Tutto, dunque, nella mie tradizione della "disgregazione meridionale". E alle elezioni mancano orami solo una novantina di giorni».

Come ci sembra che sia immediatamente evidente, ciò che è accaduto dopo il 20 dicembre non pare aver cambiato nella sostanza le ragioni delle considerazioni di allora. Ci sono stati ulteriori interventi del presidente Napolitano, del quale si deve indubbiamente ammirare la pazienza prima ancora delle altre sue non comuni doti, così come c'è stata una telefonata di Berlusconi a lui, e altre dichiarazioni dello stesso Berlusconi: interventi in più di un caso di indubbio rilievo al di là dell'occasione. C'è stato qualche parlamentare della Italia dei Valori che si è detto pronto a lanciar lui contro Berlusconi una statuetta di ferro a ogni licenziamento di lavoratori di Termini Imerese. C'è stato il voto della finanziaria in Senato senza che fosse posta la questione di fiducia. Ci sono state le ormai quotidiane, e sempre più fastidiose e più stanchevoli, esternazioni radio-televisivo-giornalistiche dei presidenti di Camera e Senato e dei soliti noti delle segreterie e direzioni di partiti e gruppi parlamentari, per non parlare di esponenti minori o locali del "teatrino della politica" (e in questo caso l'irridente definizione, usata e abusata, come si sa, in chiave non di rado discutibile, da Berlusconi sembra stare al posto giusto). Ci sono stati varii episodi dei contrasti interni sia al campo della destra, sia, e alquanto di più, a quello della sinistra. C'è stata la ridda continua delle voci e controvoci circa le candidature alle prossime elezioni regionali. C'è stata la costituzione di una nuova forza politica, l'Alleanza per l'Italia, di ancora incerta consistenza organizzativa ed elettorale, ma che deve ancora dimostrare di essere una forza nuova.
Nulla, comunque, appunto, di nuovo in tutto ciò e in quant'altro si potrebbe dire al riguardo, o di essenziale o che segni, come suol dirsi, una effettiva svolta. Il presidente Napolitano, nel ripetere la sua deplorazione per l'aggressione a Berlusconi, ha anche espresso la sua impressione che quel mai abbastanza deplorato episodio abbia anche indotto a qualche salutare ripensamento. Lo vorremmo credere anche noi, ma non abbiamo la medesima impressione, e ci sembra che questo sia ancora un
wishful thinking, e che, al di là o al di sotto di qualche manifestazione in tal senso immediatamente a ridosso del fatto, le cose siano grosso modo rimaste come erano. E, peraltro, siamo sempre convinti che il problema non sia quello di giungere a uno stadio di condivisione, compartecipazione e compagnia cantante di posizioni, ritenute superiori, di collaborazione operosa tra le forze politiche, bensì quello di una politica chiara e civile, ma fattiva ed efficace nel proporre e portare in atto le sue scelte e le sue decisioni, alla quale si opponga una politica dalle opposte o molto diverse scelte e decisioni, ma altrettanto chiara e civile nel proporle e portarle in atto. E l'una e l'altra politica, naturalmente, nell'ambito e nelle forme costituzionali prescritte e dovute.
Altro sarebbe, naturalmente, se da una qualsiasi parte fossero proprio i fondamenti costituzionali a essere adulterati o violati la costituzione stessa prevede le procedure di sue eventuali modificazioni, e non basta osservarle per considerarsi al di sopra di qualsiasi obiezione al riguardo, perché dovrebbe essere ugualmente chiaro a tutti che immodificabili e imprescrittibili sono i principii di libertà e di democrazia ai quali la Costituzione è ispirata, sicché se ne può cambiare tutto — e, francamente, non crediamo che se ne dia il caso - ma non questo quadro di principii e, con esso, le loro inevitabili e costitutive conseguenze in fatto di diritti e di doveri dei cittadini.
Vogliamo anche ripetere e confermare che in materia di riforme costituzionali il consenso e la condivisione delle modifiche rappresentano certamente, un traguardo allettante e importante, e una garanzia di generale stabilità politica e di radicamento etico-politico dell'ordinamento modificato. Ma ripetiamo pure che neanche una così facile e ben fondata indicazione può poi costituire un blocco di iniziative di riforma, purché rispettose dei già richiamati principii, che della Costituzione sono l'anima, anzi la stessa ragion d'essere storica ed etico-politica.
Una politica operosa e corretta, moderna ed efficace è, insomma, que che ci sembra da auspicare in Italia, ed è, per la verità, un auspicio di tutt'altro che recente genesi. E corretta vuol dire, naturalmente, innanzitutto civiltà di termini e di riferimenti, rispetto dei ruoli e rinunzia a porsi come indebiti interlocutori e soggetti attivi e invadenti su terreni e sotto profili che non sono i propri, moderazione nelle contrapposizioni anche quando non siano del tutto fittizie o interessate (come troppo spesso è accaduto finora, portando a imputarsi reciprocamente provocazioni dai nefasti effetti). Ma corretta noi vuol dire, peraltro, semplicemente rispondente alla lettera del dettato costituzionale. Vuol dire anche prescindere da interessi come quelli ai quali ci si riferisce quando si parla di riforme ad personam. Né soltanto a interessi siffatti, poiché, come si sa, le vie del Diavolo sono per lo meno altrettanto numerose di quelle del Signore, e soltanto i Di Pietro, sempre numerosi in ogni contesto politico e non politico, ma in Italia di più facile e di più frequente reperimento, possono presumere di essere arcangeli inviati dal Cielo a tutelare, come i figli Jeromin nel bel romanzo di Hesse, «la giustizia nel campo» (e lasciamo stare la discutibile e totale egemonia dello stesso Di Pietro nel suo partito e la sua deteriorante, inquinante e dannosa demagogia populistica, alla quale appare ormai votato).
Per la politica che auspichiamo occorrerebbero, però, forze politiche di sufficiente coesione partitica (il che non vuol dire monolitismo) e di chiarezza e vigore e originalità di idee. Non se ne vede molto in giro. D'Alema ha tuonato di recente contro la "cultura azionistica": che dire? Altri fanno altrettali e non più pregevoli riferimenti ad altro. Il presidente Napolitano ha respinto a ragione l'alternativa fra ottimismo e pessimismo, e si è detto "ragionevolmente fiducioso". A noi non pare di poter essere più "ragionevolmente scettici". E, ciò, condividendo il "naturale scongelamento" (ossia l'indipendenza dalla febbre dei pregiudizi e dal calore, quando non sono generose, delle passioni politiche), dal quale il Presidente, non senza simpatica ironia, si è detto caratterizzato.
Per fortuna, l'Italia rimane vitale, e nell'attuale crisi globale se la sta bene o male cavando, e anche meglio di altri (qualche merito va pure riconosciuto al governo e a Tremonti). E non è detto che da una reale e conclusiva uscita dalla crisi non possano nascere anche da noi impulsi e spinte che determinino un più alto tono, una più nobile tenuta, un più soddisfacente avvio, un più funzionale svolgimento della nostra vita pubblica italiana, fecondo di opere e di frutti. E su questo, sì, sentiamo di poter essere "ragionevolmente fiduciosi', poiché l'indomabile vitalità è stata sempre una delle carte maggiori, se non la maggiore, della storia italiana, nelle sue tante luci e nelle sue non poche ombre.
E, per concludere, può darsi che abbiamo parlato qui in termini troppo generali e di principio rispetto alle concrete questioni sul tappeto della politica nazionale in Italia. Ma questo era forse opportuno, se non necessario, in un momento in cui in Italia tutto viene agitato e discusso come se si trattasse di dare urgentemente tutto una nuova base alla vita nazionale. Forse un po' di calma anche da questo punto di vista porterebbe a parlare meglio anche dei problemi concreti e stringenti, che, come si sa, da noi, come altrove, sono oggi più impellenti e consistenti che mai.
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