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La difesa della cultura: gli anni Trenta di Adolfo Omodeo. Dal carteggio con Ernesto Codignola* (I parte)
di Francesco Torchiani
«Sembravamo due vecchi cavalli di diligenza che hanno comune la fatica ed il riposo. Il silenzioso proposito era quello di non lasciar cadere quell’ultima posizione della cultura italiana incontaminata dal fascismo»1, scriveva Adolfo Omodeo nel commemorare la collaborazione con Croce durante il ventennio. Documento di quel profondo sodalizio erano le quindici annate de «La Critica» redatte “a quattro mani”, i volumi laterziani di Omodeo e quelli suggeriti all’editore barese dallo storico, gli scambi epistolari fra i due2, le lunghe ore di lavoro «alla stessa grande scrivania», nella casa del senatore «sempre più deserta di frequentatori». Insomma un decennio «di tristezza uniforme», che Omodeo affrontava con un senso quasi “impiegatizio”, per usare l’espressione di Aldo Garosci3, del lavoro intellettuale e d’insegnamento, stretto com’era tra le necessità egualmente impellenti di provvedere alle crescenti difficoltà economiche della famiglia e di combattere una battaglia culturale vissuta con fervore religioso. «Gli anni passavano senza un’immagine, senza un rilievo», sommersi dalla mole enorme di lavoro necessario per «reggere l’allenamento» cui lo sottoponeva Croce con la sua sbalorditiva attività; «bisognava fare uno sforzo di memoria per stabilire in che cosa il 1930 differisse dal 1928, in che cosa il 1936 si differenziasse dal 1937»4. A rendere ancora più difficile la routine del sodalizio tra Omodeo e Croce era però il sempre più acuto senso di isolamento, la mancata riprova dell’efficacia della loro azione culturale e politica. Ricostruire il filo delle poche, profonde amicizie intrattenute da Omodeo negli anni di massimo consenso al regime, può contribuire a rendere più variegato e mosso il quadro altrimenti “plumbeo” tracciato nella testimonianza dello storico. La pubblicazione integrale del carteggio fra Omodeo e Luigi Russo, direttore de «Leonardo» sino al ’29 e per un anno e mezzo de «La Nuova Italia», cui attendono Roberto Pertici ed Antonio Resta, potrà restituire in pieno la profondità dell’intesa, umana ed intellettuale, fra i due studiosi, accomunati dal magistero di Gentile e dal progressivo avvicinamento a Croce. Il carteggio con Ernesto Codignola, da par suo, appare particolarmente interessante in quanto consente di analizzare il lato forse meno noto, ma non per questo minore, delle fatiche omodeiane nel Ventennio. Se il «lavoro febbrile in quella fortezza che non voleva capitolare» aveva ne «La Critica» e in casa Laterza le sedi privilegiate5, l’opera di difesa della metodologia e della storiografia «da ogni oscuramento, sia di materialismo storico, sia di spirito dittatoriale-reazionario»6, intrapresa dallo storico siciliano trovava una tribuna importante anche nelle attività editoriali del pedagogista fiorentino.

* * *


Non è questa la sede per ripercorrere il rapporto pluridecennale fra Codignola ed Omodeo, iniziato sin dai tempi della Scuola Normale di Pisa7. Mi limito qui a dar conto, per sommi capi, del diverso sviluppo delle loro biografie intellettuali, maturate all’interno della comune scuola idealistico-gentiliana a partire dal 1920, quando sulle pagine de «L’educazione nazionale» di Giuseppe Lombardo Radice, Omodeo prendeva le distanze dalla linea di apertura all’istruzione privata espressa da Codignola. Il pedagogista, reduce dal congresso della FNISM tenutosi a Pisa nel 1919 e dalla sonora bocciatura del suo programma di radicale riforma della scuola, elaborato sulla scorta delle proprie riflessioni e di quelle di Giovanni Gentile, si era fatto promotore di un’alleanza tra intellettuali idealisti e Partito Popolare sui temi scolastici, a partire dall’abolizione del monopolio statale sui diplomi e dall’apertura di credito alle scuole private8. Ne La scuola dei preti Omodeo9, che pure in quel momento era un gentiliano ortodosso, aveva mosso una dura critica alla proposta di Codignola, sottolineando come la scuola privata, in Italia, fosse sinonimo di scuola confessionale, superata nei contenuti e del tutto sconsigliabile per la formazione della nuova gioventù, in quanto palestra di spiriti “poco virili”10.
Ciononostante, Codignola si era speso molto11 nell’appoggiare Gentile e il cattolico Antonino Anile, in seno al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, per conferire ad Omodeo la cattedra di Storia della Chiesa nell’Università di Napoli, ottenuta “per chiara fama” nel 192312. A mettere in sintonia l’idealista più aperto al cattolicesimo, vale a dire Codignola, e il laico più intransigente, cioè Omodeo, era la comune amicizia con Eugenio Donadoni13, preziosa guida per entrambi nel mondo degli studi, e soprattutto l’interesse per la storia del cristianesimo. Mentre Codignola mostrava uno spiccato interesse per il modernismo, in netta controtendenza rispetto a Gentile, che aveva ingaggiato una polemica assai aspra contro i principali esponenti di questo moto di riforma, lo storico siciliano intratteneva invece buoni rapporti con Alfred Loisy, da lui considerato come un secondo maestro per il suo approccio alla storia delle religioni, mentre si scontrava a più riprese con don Ernesto Buonaiuti. Unendo il rigore filologico alla metodologia e alle suggestioni dell’idealismo gentiliano, Omodeo aveva dato vita a importanti lavori di esegesi biblica e di critica neotestamentaria, offrendo così un esempio di storicismo integrale e rompendo il tabù che voleva la storia del cristianesimo appannaggio dei soli religiosi. Nata dall’esigenza di studiare “il gesuitismo” post-tridentino, come ha dimostrato Roberto Pertici, la ricerca di Omodeo si era spostata, secondo un vero e proprio procedere a ritroso, verso l’analisi del concetto di “grazia”, approfondito all’interno della figura di San Paolo. L’incontro con Gentile lo aveva portato ad affondare ulteriormente nelle radici del pensiero cristiano, sino a Gesù, secondo un approccio eminentemente storico e non più teologico14. L’approdo al gentilianesimo sul piano scientifico lo portava inoltre ad un mutamento delle proprie convinzioni politiche, dal mazzinianesimo tinto di sorelismo della gioventù, al moderatismo del dopoguerra15. Dopo il delitto Matteotti, Omodeo abbandonava le incerte speranze di rinnovamento che credeva di aver scorto nel fascismo, auspicando uno sganciamento del suo maestro da Mussolini e dal PNF. Su questo punto la distanza da Codignola, principale fautore del posizionamento dell’idealismo pedagogico accanto al fascismo, anche dopo l’importante defezione di Giuseppe Lombardo Radice, era netta. Gentile, nelle lettere al suo allievo, mostrava un tono di sufficienza nei confronti delle riserve e delle obiezioni di Omodeo, i cui lavori venivano nel frattempo messi all’Indice dal Sant’Uffizio, mentre il maestro perseguiva la costruzione di una cultura “nazionale” all’interno del fascismo tramite L’Enciclopedia Italiana e l’acquisizione della fondazione Leonardo, affidando la rivista omonima a Luigi Russo.
La possibilità di una collaborazione attiva sul piano culturale fra Codignola e Omodeo maturava così solo nel 192916, quando gli accordi tra governo e Santa Sede sancivano l’estensione dell’insegnamento della religione cattolica alle scuole medie e superiori e non più solo alle elementari. Per Codignola, che più di tutti, assieme a Gentile, si era battuto per l’introduzione dell’ora di religione nelle scuole di grado inferiore come strumento di una pedagogia nazionale adatta ai bambini, questa scelta equivaleva alla sconfessione di una linea politico-culturale sostenuta per anni. A questo si aggiungeva la progressiva diffidenza verso gli ambienti del regime che più spingevano per un mutamento sostanziale della riforma della scuola voluta da Gentile, già “ritoccata” da Pietro Fedele e ora ulteriormente snaturata. Comune ad Omodeo, inoltre, era il giudizio sulla vera e propria “deriva” dell’idealismo, colpito gravemente dall’avvenuta rottura tra Croce e Gentile, e dalle posizioni della sua “scuola romana”, da Spirito ai Volpicelli, che i due intellettuali giudicavano frutto dell’irrazionalismo imperante e del clima “concordatario”. Particolarmente grave, inoltre, era sembrato agli occhi dei due studiosi la “vittoria” della neoscolastica di Padre Gemelli al VII Congresso di Filosofia, dove il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore aveva definito l’idealismo «un veleno filosofico», nonostante le proteste di Gentile17. L’atteggiamento tenuto dal filosofo di Castelvetrano nei confronti di Luigi Russo e del tono “polemico” conferito al «Leonardo», aveva stupito i suoi più antichi collaboratori, specie dopo l’estromissione del critico siciliano dalla direzione della rivista, nel delicato periodo seguito ad una grave malattia che aveva quasi condotto Russo alla morte. Presto rimessosi in salute, il critico dava vita a una nuova rivista, «La Nuova Italia», col dichiarato intento di combattere ogni traccia di irrazionalismo, fosse esso di marca idealistica o tomistica, e di materialismo, presente nella cultura italiana18. Anche Codignola non era rimasto inerme, sopprimendo «Levana» e dando vita ad una nuova rivista, «Civiltà Moderna», ispirata ai medesimi obbiettivi. E Omodeo? Lo storico affrontava sgomento il ripiegamento dell’idealismo nell’anno della Conciliazione, timoroso di ricadute negative sulla sua attività di storico della Chiesa, del resto già sanzionata ufficialmente. Da qui il tentativo di passare dalla cattedra di Storia della Chiesa a quella di Storia moderna dell’ateneo napoletano, tanto più che da un paio di anni i suoi interessi di ricerca si erano spostati su temi più vicini alla contemporaneità, come la storia del Risorgimento o l’esperienza dei soldati al fronte durante la grande guerra. Da due anni, inoltre, era iniziata proprio attorno a queste tematiche la sua collaborazione con Benedetto Croce e «La Critica».
Fallito ogni tentativo in questo senso, come quello per un trasferimento alla cattedra fiorentina di Storia antica, per ostilità degli ambienti accademici filo-fascisti e per la contrarietà di Gentile, Omodeo andava maturando il distacco, anche dal punto di vista personale, dal maestro, mentre il dissidio politico tra i due era già in corso da almeno un lustro. A rompere un sodalizio intellettuale iniziato vent’anni prima a Palermo, era l’ennesima bocciatura delle voci di storia del cristianesimo delle origini da lui redatte per l’Enciclopedia Italiana, a riprova dell’ostilità nutrita dagli ambienti ecclesiastici nei suoi confronti19. Al distacco definitivo di Omodeo dal maestro corrispondeva nello stesso torno di tempo, da parte di Codignola, un profondo ripensamento dell’idealismo, anche se non ancora del rapporto fra quest’ultimo e il fascismo, dal quale Omodeo aveva invece preso le distanze da tempo. Complice il parallelo sviluppo della vicenda umana ed intellettuale di Russo, è possibile comprendere come la stretta collaborazione tra queste tre eminenti figure della cultura italiana sia maturata in un clima di profonda disillusione verso i comuni obbiettivi di rinnovamento culturale e morale dell’Italia uscita dalla grande guerra solo dieci anni prima.
L’ulteriore lacerazione del “fronte idealista”, rispetto a quella del ’24-’25 con la “defezione” di Croce, Lombardo Radice e De Ruggero20, corrispondeva con il riposizionamento degli intellettuali un tempo vicini a Gentile su posizioni “eterodosse”, secondo una tastiera che andava dall’aperta ostilità al tacito dissenso nei confronti dell’antico maestro. Primo segnale tangibile, a livello editoriale, di questo nuovo clima, la proposta fatta da Codignola ad Omodeo e Russo per la monumentale edizione dei Discorsi parlamentari di Cavour, unica risposta possibile, attraverso le armi esopiche della cultura, alla preoccupante deformazione in chiave monarchica e clericale del Risorgimento, tesa a legittimare l’«uomo della Provvidenza» quale risolutore di una questione, quella del rapporto fra Stato e Santa Sede, male impostata oppure colpevolmente trascurata dalla classe dirigente dell’Italia liberale. Il finanziamento dell’opera, che sarebbe stata pubblicata dalla Casa editrice La Nuova Italia, trasferitasi da Venezia a Firenze, si era reso possibile grazie al contributo dell’Ente nazionale di cultura fiorentino, di cui Codignola era presidente dal 1923, assieme all’influenza di Giovanni Gentile e ai buoni legami intrattenuti con il milieu politico culturale del fascismo locale. Grazie alla direzione di Codignola, l’attività dell’Ente si sarebbe mantenuta per la successiva decade su posizioni autonome rispetto agli indirizzi culturali promossi dal regime, suscitando l’aperta ostilità del fascismo fiorentino21.

* * *


Nel ricordare i tratti salienti della personalità di Omodeo, in riferimento all’attività dispiegata da quest’ultimo negli anni ’30, Delio Cantimori poneva l’accento sul profondo attaccamento al lavoro scientifico dello storico palermitano22. Il carteggio tra Codignola ed Omodeo non solo offre un’ulteriore conferma dalla felice osservazione di Cantimori, ma permette al contempo di far luce sull’attività di Codignola nel decennio in cui matura in lui il progressivo distacco dal fascismo, fino alla definitiva rottura col regime.
Mentre procedeva il lavoro di edizione dei Discorsi parlamentari23, di cui si è messo in luce il valore di polemica anticlericale, «La Nuova Italia» e «Civiltà Moderna» ospitavano diversi contributi polemici di Omodeo contro esponenti dell’attualismo e della neoscolastica. Con i primi, l’occasione di discussione era data da una recensione di Tradizioni morali e disciplina storica24, firmata da Isacco Sciaky25, filosofo e assiduo collaboratore della «Civiltà Moderna». Lo studioso, già segnalatosi per la difesa dell’operato di Gentile all’indomani del VII Congresso di Filosofia26 rimproverava ad Omodeo il tono “moralistico” della sua argomentazione, forse derivato dalla consuetudine con gli studi di carattere religioso fin qui intrapresi dallo storico. Omodeo replicava, sotto forma di lettera aperta a Codignola27, per chiarire la sua posizione in merito alla sua concezione dello storicismo e, più in generale, del rapporto fra storia e filosofia. Lo studioso respingeva l’accusa di scrivere una storia “moralistica”, caratterizzata dalla separazione manichea, in sede storiografica, tra i “candidi agnelli” e “i rei capretti”. Rivendicava invece la piena conformità del suo modulo storiografico alla storia “morale”, vale a dire “etico-politica” crociana, la sola rimasta a ricercare «il germinarsi della forze operative» nel concreto divenire della storia, mentre il moralismo per definizione tende a perdersi «nell’astratta classificazione delle astratte azioni». Questo tipo di storia era l’unico conciliabile con il canone idealistico, cui Omodeo continuava a dichiararsi fedele28, dando prove concrete delle ricadute positive di tale metodo nel campo delle scienze storiche, dal Cristianesimo delle origini al Risorgimento. Alla replica di Sciaky sulla stessa rivista, dove si ribadiva il carattere artificiale del presunto moralismo storiografico omodeiano, in nome di una storia “senza aggettivi”, lo storico replicava un’ultima volta:
T’invio un’ultima, e per me definitiva, risposta allo Sciaky – scriveva a Codignola – Poi non risponderò più, anche se replicherà, sia perché è d’una torbidezza inverosimile, e non sa neppure lui quel che vuol dire (a discutere con lui par di fare un pugilato all’oscuro); sia perché mi pare che parli non tanto per convincimento, quanto per farsi un merito presso i gentiliani. Non voglio che poi presenti come nota la richiesta di una cattedra universitaria! Vedi un po’ come sono maligno! Ma da quando Carlini29 ha abbinato all’idealismo la chiesa sono diffidente: il nostro sionista vuole abbinarvi il tempio di Salomone! Dio ci salvi dagli spiriti religiosi.
Nell’articolo di Omodeo apparso su «Civiltà Moderna»30 non tornava l’accusa di “gentilianesimo”, ma un più generico rimprovero al proprio interlocutore sulla concezione eccessivamente “filosofica” della ricerca storica da lui dimostrata: «Egli, sia detto senza offesa, è troppo filosofo puro. Indubbiamente in Italia lo spiritualismo si è occupato molto di storia: ma ha teorizzato più che costruito». Un esempio? Alla domanda di Sciaky, se Omodeo considerasse o meno Cavour «un eroe della libertà», lo storico rispondeva di non vedere alcuna regione valida per mutare «il giudizio tradizionale, e che se mai toccherebbe a lui Sciaky darmi le prove storiche concrete d’una nuova interpretazione». Di certo non poteva essere accettata la tesi storiografica di un Cavour uomo di stato “incompleto”, perché guidato nella sua azione politica dal pragmatismo e non dall’idea dello Stato, che sola avrebbe dovuto ispirare il suo operato. «Questa è una di quelle generalità con cui i filosofi puri perdono il gusto del concreto», ribatteva Omodeo: «Il problema del liberalismo del Cavour si risolve con la ricerca storica: e chi crede di averlo risolto con la formula dell’uomo di stato si chiude le porte della storia»31.
Occorre tener presente come il 1930, sulla scorta del Congresso di Filosofia e del Concordato, sia stato un anno caratterizzato dalle discussioni interne all’idealismo gentiliano, e da quelle fra quest’ultimo, il crocianesimo e il tomismo. Eppure, il regime, per bocca dell’onorevole Paolo Orano durante la discussione del bilancio del Ministero dell’Educazione Nazionale, aveva espresso con chiarezza la sua posizione: il fascismo era estraneo a ogni «pontificato intellettuale», idealistico o meno; come se non bastasse, Orano aveva tacciato la filosofia come «fase superata dello sviluppo umano» e il filosofo come «tipo umano inferiore». «Civiltà Moderna» replicava duramente alle “tesi” di Orano con due articoli: Rottami, di Francesco Collotti32 e Paladini dell’ignoranza33, firmato da Codignola.
Nel frattempo la rivista pubblicava il saggio omodeiano su Settembrini34, «il mio lavoro che ha avuto maggiore successo di questi tempi». Anche dalle numerose attestazioni di stima ricevute contro l’articolo liquidatorio delle tesi di Giuseppe Paladino, che pure aveva studiato a fondo la vita e il pensiero dell’autore delle Ricordanze, Omodeo poteva ricevere «l’impressione che la tua rivista si vada diffondendo in una cerchia più ampia»35. Tutto questo mentre l’Enciclopedia continuava a stravolgere gli ultimi articoli da lui redatti: «Che bel modo di agire! Per fortuna presto sarà finita: e articoli nuovi non ne scriverò più»36.
Ma il culmine della tensione veniva raggiunto con la pubblicazione della stroncatura di Adolfo Omodeo ad Ottobre 1917 di Gioacchino Volpe37, pubblicata sulla «Nuova Italia» di Russo. Storico “ufficiale” del regime, tra i massimi studiosi italiani del ’90038, Volpe aveva senza dubbio dato contributi fondamentali per gli studi storici dell’età medievale; la sua produzione aveva tuttavia conosciuto negli anni della dittatura una brusca caduta di stile, riducendosi a poco più di una pubblicistica atta a rintracciare le premesse del fascismo e della politica estera mussoliniana nella storia d’Italia, quasi in un’ottica “provvidenzialistica”, tanto lontana dal rigore dei primi studi. Omodeo, che andava pubblicando ne «La Critica» di Croce stralci degli epistolari dei caduti39 del primo conflitto mondiale, aveva tacciato il volumetto di Volpe «d’un impressionismo giornalistico gabellato per istoria», mentre augurava all’autore «il raccoglimento dei suoi giorni migliori, non solo nell’approfondire e criticare anche i documenti della storia moderna, ma per superare l’antagonismo, da lui non avvertito, fra il suo modo d’intendere la storia e il mantello nazionalistico malamente sovrapposto a tale sua forma mentis»40.
Ad infastidire Omodeo, infatti, era il tono liquidatorio riservato da Volpe alla classe degli ufficiali di complemento, usciti dai ranghi della piccola borghesia, e che avevano dimostrato in pieno il loro valore, come dimostravano gli epistolari da lui studiati. Parimenti, notava Omodeo, la classe “guerriera” di cui Volpe ravvisava la mancanza nella società italiana, laddove presente, come in Germania, non aveva saputo risparmiare al proprio paese l’onta della sconfitta. Volpe, da par suo, aveva replicato in via privata a Russo41 e pubblicamente in una lettera a «La Nuova Italia». Russo non si era certo lasciato intimidire, offrendo una delle mirabili prove della sua penna nel suo Invito alla libertà di discussione: «Chi vive tra i libri e le riviste e le accademie sa oramai del cronico e petulante intervento di questo o quell’altro personaggio di autorità, del solito conte Zio della cultura che ti ammonisce o per una recensione troppo vivace o ancora per una semplice frase che potrebbe spiacere a questa o a quella grandezza universitaria o politica»42.
Alla risposta di Russo si aggiungeva una Postilla di Omodeo43, ove lo storico tornava ad imputare a Volpe lo smarrimento della «coscienza dei diritti della critica e della discussione scientifica», forse a causa dei troppi «pappagalli lusingatori» che da tempo lo attorniavano; intenzioni ribadite nella lettera di “accompagnamento” all’articolo indirizzata a Russo:
mi scuserai se questa volta ho fatto di testa mia. Ma capirai che il mio posto dovevo rivendicarlo io, senza il tuo consenso. […] La mia lettera […] è stata studiata in modo da integrar la tua. Tu dai tutti i chiarimenti sul nostro buon diritto; io dico il fatto suo a quel brav’uomo. […] Bisogna che i semidei si convincano d’essere uomini fra uomini, e che il loro prestigio devono mantenerlo con opere assidue, sotto il controllo altrui. Certo è singolare che si esiga la calma da noi che siamo gli offesi. Ma, da parte mia, non desidero altro che smettere ogni polemica e tornare ai miei lavori. Quest’ultima fase polemica la chiamo, con ricordo omerico, la battaglia per il cadavere di don Gioacchino. D’altra parte – continua – smetterla con la polemica è affar serio. Bisogna pure rispondere a don Ernesto Buonaiuti44 e a frate Cipolla45, che son diventati insolenti come sanno esserlo preti e frati. A me sarebbe caro che altri subentrasse a noi in questo lavoro di polizia. […] Ma la difesa delle condizioni prime degli studi è cosa urgente, come il rifacimento delle fondazioni a un edificio lesionato. Spesso sono io stesso meravigliato di dover provvedere a questa bisogna, quando ripenso alla vita movimentata della cultura in altri tempi. Perciò “tiremm innanz”!46

Il duro attacco a Volpe, intellettuale di primo piano del regime, non sarebbe rimasto senza conseguenze. Nella Firenze di Alessandro Pavolini le voci stonate rispetto al conformismo verso cui il regime tendeva ad indirizzare la cultura italiana, erano sempre meno tollerate. La rivista di Russo era subito entrata nel mirino del fascismo fiorentino e Codignola, nel suo ruolo istituzionale di direttore dell’Ente Nazionale di Cultura, aveva non poche difficoltà nel proteggere l’operato dell’amico.
Nel tormentato anno e mezzo di vita della rivista diretta dal critico siciliano, Omodeo e Codignola, seppure per motivi diversi, avevano assunto un ruolo decisivo nella sopravvivenza della pubblicazione; il primo, aiutato anche da Croce, come ha dimostrato anni addietro Roberto Pertici47, collaborava senza compenso con numerosi articoli e recensioni, sforzandosi di trovare collaboratori e tenere contatti con i residui esponenti della cultura non asservita48; da par suo il pedagogista offriva, per quanto possibile, una “copertura” editoriale e politica all’amico. Ne è un esempio l’atteggiamento tenuto con Giovanni Gentile nell’infuriare della querelle Volpe- Omodeo. Ancora alla fine di novembre del 1930, il filosofo aveva scritto una lunga lettera a Codignola, nella quale aveva sostenuto che «la malattia dei Russo, Omodeo, Alfieri e C. non va più curata con la longanimità e la liberale chiarezza alla quale mi sono finora attenuto, ma con i metodi di spietata intransigenza che fino ad oggi ho combattuto». Per Gentile, la polemica contro Volpe aveva «varcato i limiti della tollerabilità, svelando un livore selvaggio che rende impossibile la pacifica convivenza nel mondo degli studi». Era inaccettabile, per Gentile, che nella polemica su un libro si attaccasse personalmente l’autore, parlando della sua personale “decadenza”. «Ed è così che si vuol restaurare in Italia l’unità degli spiriti negli studi e per gli studi? No, questo dimostra che in certi settori dell’antifascismo s’intende farla finita con gli scrittori, anche se fino a ieri rispettati, stimati e considerati come maestri, che credono nel fascismo e gli danno il loro nome. Tanto per dimostrare che tutta l’Italia, quella intelligente e che conta, è dall’altra parte. Dal lato dei fascisti c’è, tutt’al più, qualche ferrovecchio e qualche rimbecillito ormai privo di sensibilità morale»49.
Un punto di vista storiografico ripreso, a distanza di settant’anni, dal più recente e autorevole biografo di Volpe, che ha ravvisato «nel gruppo di fuoco» costituito da Omodeo e Russo gli esecutori di una rappresaglia, «su mandato di Benedetto Croce»50, per il giudizio negativo di Volpe alla Storia d’Italia dal 1871 al 1915, apparso sul «Corriere della Sera»; un giudizio che sembra porre sullo stesso piano la posizione di Volpe, segretario generale dell’Accademia d’Italia, membro dell’Istituto fascista di cultura, del Consiglio superiore della pubblica istruzione e direttore dell’Istituto di Storia moderna e contemporanea, e quella di chi in quel momento si era posto contro la dittatura, privo dei mezzi per portare avanti i suoi studi all’estero, tagliato fuori dai comitati direttivi delle riviste, dai concorsi universitari, dal lucroso circolo delle pubblicazioni “di regime” e per di più sotto stretta sorveglianza da parte della polizia51.
Certo, l’impostazione “sulfurea” della rivista aumentava le possibilità di ritorsioni nel plumbeo clima politico culturale post-concordatario: in Futurismo teologizzante52, ad esempio, Omodeo prendeva di mira lo spostamento degli idealisti verso il cattolicesimo analizzando uno scritto del filosofo Roberto Pavese, «cattolico di recente acquisto, o uno di quei filocattolici di novissima moda», intriso «di una immaginifica verbosità, da predicatore di quaresimali, da iniziato di teosofia». Una polemica, quella contro i neo-convertiti, ripresa nei confronti di Giuseppe Maggiore, ordinario di Filosofia del diritto ed allievo di Gentile, che aveva invitato ad applicare il Concordato destituendo Giuseppe Saitta, ex sacerdote, il più antireligioso fra gli attualisti, dalla cattedra pisana. Maggiore faceva appello all’applicazione delle “virtù” insegnate da Machiavelli, per cui la ragion politica non doveva più subire limitazione alcuna dall’etica. A parte la denuncia della consueta deformazione del pensiero machiavellico, nel canzonatorio trafiletto Un altro operaio della vigna, lo storico invitava la Chiesa a non confidare nelle virtù del celebre giurista palermitano e, in generale, dei recenti “convertiti”:
Mi si potrà obbiettare che il mio è il consiglio del diavolo. Ma a parte il fatto che, a quanto consta, il diavolo non è del tutto digiuno di teologia, il diavolo in questo caso non ha proprio alcun motivo di invidiare: e si rallegra proprio sinceramente con Santa Madre Chiesa dell’acquisto del prof. Maggiore. “Bella immortal benefica”, con quel che ne segue53.

Non erano da meno le due noterelle Finezza politica, Finezza di cultura, apparse su «La Nuova Italia» e rivolte rispettivamente agli attacchi contro il liberalismo risorgimentale del quotidiano «L’Italiano»54 e alla confutazione di un discorso tenuto dal senatore ed ex-generale Raffaele Garofalo nell’Accademia napoletana di scienze morali, dove l’oratore, dichiarando di trarre ispirazione da Machiavelli, aveva illustrato i vantaggi che l’Italia avrebbe avuto nel 1914 nello scendere in guerra a fianco degli Imperi centrali: «Ma tutte queste», replicava sferzante Omodeo, «sono fisime di teste mediocri. Auguriamo che la finezza politica del senator Garofalo continui ad esercitarsi sul passato, ch’egli ci lasci un qualche monumento degno di stare a paro con i Discorsi sulla I Deca»55.
Spiccava inoltre il tono polemico contro la neoscolastica di padre Gemelli, giunta al culmine con l’articolo Filosofi toccati dalla grazia, dove Omodeo aveva duramente attaccato il principale esponente del movimento filosofico milanese. Lo storico denunciava in modo particolare la prolusione del francescano, tenuta in occasione dell’apertura dell’anno accademico dell’Università Cattolica. In quell’occasione Gemelli, «addetto al reparto filosofi del gregge del Signore», aveva respinto ogni possibile contaminazione fra neoscolasticismo ed idealismo, frutto di quella “malattia morale” che il francescano ravvisava nel pensiero tedesco da Kant a Hegel. «Bene per bacco! Questo si chiama parlar chiaro!», ironizzava Omodeo, che non rinunciava ad una stoccata polemica contro Gentile. Era preferibile il chiaro disegno di una restaurazione tomistica propugnato da Gemelli allo spirito conciliatorio del filosofo siciliano:
Un sufficiente cattedratico vuole che la chiesa venga ad aperto concordato con lui, e, non foss’altro, metta il suo attualismo riformato alla pari con la Summa di San Tommaso: pretesa che ricorda quella del Sanseverino principe di Salerno, che, sbandito dal Reame di Napoli, voleva entrare in formali trattative da potenza a potenza col suo sovrano Carlo V.

Ma la critica più forte, al di là del riferimento a Gentile, andava comunque al neoscolasticismo e all’inconsistenza intellettuale dei suoi esponenti, «voltati di dentro e di fuori, raschiati e disinfettati, privati di ogni loro sostanza»56. Né veniva meno la polemica con Ernesto Buonaiuti, che era stato estromesso dall’insegnamento in vista del Concordato, per le sue recensioni assai critiche alla Mistica giovannea. Per Buonaiuti era inconcepibile che Omodeo si occupasse di critica biblica? Lo storico si spiegava questa reiterata avversione con il suo approccio rigorosamente scientifico alla critica dei Vangeli, mentre il sacerdote modernista voleva ad ogni costo «ricercarvi la ricetta della vita religiosa associata, quasi si trattasse della ricetta d’un qualche liquore benedettino»57.
Nei primi mesi del 1931, invece, toccava a Russo sferrare due colpi poderosi contro il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con gli articoli Padre Gemelli, o della correttezza e, dopo la replica del francescano58, il sulfureo Padre Gemelli vel de vulgari eloquentia, entrambi pubblicati su «Civiltà Moderna»59. Il testo di quest’ultimo articolo era stato spedito da Russo al pedagogista “in anteprima”; il critico aveva autorizzato l’amico ad avvertire il rettore, con il quale intratteneva un legame epistolare da almeno un decennio. Era stata l’iniziale convergenza dell’idealismo pedagogico di Codignola a gettare le basi di un confronto fra il professore fiorentino e Gemelli, uniti dalla costatazione di una necessaria apertura dello Stato verso le scuole private, anche confessionali, e dall’introduzione dell’ora di religione nelle scuole elementari. Entrare nel merito della polemica fra Russo e Gemelli, legata anche al fallito tentativo di trasferimento di Russo da Firenze a Milano alcuni anni prima, esula dagli scopi di questo lavoro. Basti riferire che Codignola si manteneva senza sconti dalla parte di Russo, deplorando in una lettera a Gemelli la durezza della risposta del padre contenuta nell’articolo Un terzetto filosofico: Martinetti, Banfi e Russo:
Carissimo Codignola – rispondeva il francescano – Ella mi dice che la risposta al Russo è dura e offensiva, ma Ella non ha scorso la rivista «La Nuova Italia» e non ha veduto le grossolane ingiurie che per un anno intiero ha detto a me e ai miei colleghi e nelle quali gli è stato buon compagno l’Omodeo60?

Tanta vis polemica non poteva non suscitare reazioni ai limiti della minaccia, come nel caso della stampa fascista fiorentina e soprattutto de «Il Bargello» diretto da Pavolini61 : né giovavano al quieto vivere le sferzate di Omodeo contro la riproposizione, in chiave agiografica, della biografia di Solaro della Margarita ad opera di alcuni gesuiti ne L’ombra sua torna… o la polemica sull’adozione di un manuale di storia ad uso delle scuole scritto da padre Pietro Ferraris62.
Era solo questione di tempo, insomma, perché nel luglio del 1931 Russo venisse estromesso dalla direzione de «La Nuova Italia». La stampa fascista salutava con soddisfazione la soppressione della rivista, mentre Codignola lavorava affinché almeno la pubblicazione continuasse.
Fammi sapere se sei riuscito a conservare la rivista – era il commento preoccupato di Omodeo – e mandami qualche copia del fascicolo di luglio. Io ho riferito – a Russo – quanto mi hai detto. Mi pare persuaso e oramai rassegnato. S’è messo a lavorare al Manzoni. L’idea di una missione all’estero lo garba e perciò ti prego di interessartene vivamente. Se non sopravvengono mutamenti e la cosa va a te raccomando di tener duro per la rivista. Fammi conoscere al più presto il risultato. Se credi, potrei in questo primo periodo riallacciare io le relazioni coi collaboratori per procurare nuovo materiale. Attendo perciò nuove disposizioni63.

Il giorno seguente Codignola informava lo storico della possibilità di continuare la pubblicazione della rivista anche senza la direzione di Luigi Russo.
Sono riuscito a salvare rivista e nome. Il Comitato è così costituito: io, Ercole, Pellegrini, Sapegno. […] Ti ringrazio di quanto mi proponi di fare. La tua opera può essere utilissima perché io non potrei continuare se venisse meno l’aiuto dei collaboratori ordinari. Sono talmente sopraffatto dal lavoro, che questo nuovo guaio cadutomi sul groppone mi ha destato le più serie preoccupazioni per il prossimo avvenire64.

Codignola aveva dunque salvato «La Nuova Italia», ma il rischio era quello di una “vittoria di Pirro”. L’ingresso nel comitato direttivo di Carlo Pellegrini, storico della letteratura francese e segretario dell’Ente nazionale di cultura di Firenze, del nazionalista Francesco Ercole, acerrimo rivale di Omodeo, accanto a quello del tutto rispettabile del cattolico Natalino Sapegno, allora docente di letteratura a Roma, destavano nello storico palermitano non poche perplessità, affidate ad una lunga lettera65, che vale la pena riportare:
[…] In quanto alla rivista eccoti schiettamente il mio pensiero: Io posso condividere con l’opinione che il momento, ora, non sia propizio alle polemiche e che conviene sospenderle. Circa quelle passate non la penso come te, e del resto tu stesso le lasciasti passare. Era inutile la polemica anticlericale dopo una serie di errori (di cui, te lo dico francamente, tu stesso non sei immune) e soprattutto dopo il congresso di filosofia che avevano fatto torreggiare nella cultura italiana P. Agostino? Era poi inutile la polemica con Volpe […] e altri simili rottami? I morti si devono seppellire anche sul campo di battaglia, e una rivista che voglia orientare, non deve temere la franchezza. Noi non volevamo fare una rivista cimitero. Ora ci è impedito di polemizzare: pazienza; per quel che è successo è vano recriminare: in servizio di pattuglia corron le schioppettate!

Omodeo, insomma, difendeva pienamente l’operato suo e di Luigi Russo, come la scelta di dare un carattere “battagliero” a «La Nuova Italia», l’unico che avrebbe permesso di denunciare le numerose corruzioni che a loro avviso stavano minando la solidità della cultura italiana: irrazionalismo, tomismo, nazionalismo, piaggeria.
Tu dici benissimo che per rimediare a tante cose ci vuole un lavoro gigantesco di cultura. E forse a questa tesi nessuno sarebbe propenso quanto il sottoscritto, che sogna lavori di lunga lena, ricerche erudite, che ha iniziato una grossa storia del cristianesimo antico e ne sogna una del risorgimento. Ma è poi utile chiudersi in questa turris eburnea, fare i G. B. Vico? Sarà [verissimo] che lo spirito non muore e poco contano gli altri: ma questo, scusami la franchezza, è gentilianesimo generico. In concreto questi valori dello spirito dobbiamo affermarli, difenderli da ogni pervertimento, e a fianco del lavoro grande che si svolge nei libri, è necessaria una cultura militante, che scenda nelle riviste, divulga il suo pensiero, lo sottolinea, lo chiarifica. Per quest’opera io sono disceso, con profondo disagio, nella rivista, vincendo una certa durezza […] del mio temperamento. Ora una rivista non si può fare senza uno spirito, una direttiva, un’anima che può suscitare insieme simpatie e antipatie.

Questa “tensione” fra la volontà di ricerca erudita, volta al progresso della scienza, e la divulgazione, necessaria ad evitare che la storia divenisse oggetto di interpolazioni e forzature interessate, rappresentava una costante del pensiero omodeiano. Il contegno “moderato” assunto da Codignola sembrava qui non essere compreso a pieno dallo storico palermitano, quasi quest’ultimo desiderasse una presa di posizione netta da parte del pedagogista. Eppure Codignola aveva compiuto un percorso di allontanamento importante dalle originarie posizioni ispirate ad un idealismo conservatore. Decisivo, inoltre, era stato il suo interessamento per fornire agli amici spazi editoriali importanti, dalla neonata «Civiltà Moderna» ai contratti con casa editrice La Nuova Italia, dal ’26 trasferita a Firenze, sponsor l’Ente nazionale di cultura fiorentino. Il credito di cui il direttore dell’Istituto di Magistero godeva presso il fascismo locale, in netto calo dopo il ridimensionamento di Giovanni Gentile66, si era rivelato comunque sufficiente a mantenere in vita la rivista di Russo anche dopo la sua defenestrazione. La sua presenza nel comitato editoriale sembrava garantire una certa autonomia anche per il futuro, ma non bastava a spazzar via le inquietudini di Omodeo:
Venendo ora dalle premesse generali al caso concreto, il problema è questo. Voi dite che Luigi è fuori combattimento. Va bene, o meglio, male. Ma la rivista intende seguire lo stesso indirizzo culturale o no, servire o no gli stessi ideali? […] Visto che della piccola letteratura italiana non si può parlare, io proponevo di occuparmi di cultura e di problemi europei. A un certo punto spunta fuori non più come nome di testata, ma come direttore di fatto C. Pellegrini. Ora con uomini di legno, caro Codignola, non si posson fare cose serie. Occorre tenere insieme i collaboratori e gli abbonati. Finché si rappresentava un indirizzo, si poteva avere la collaborazione gratuita. Ma Pellegrini è la negazione di ogni indirizzo e di ogni programma. Se poi voleste fare la rivista emporio, dovreste pagare come paga «Leonardo» o «Pegaso»67. Se volete mantenere il corpo della rivista com’è stato, dovete rispettarne l’anima.

Omodeo doveva essere a conoscenza di quanto diversi collaboratori della rivista fiorentina avevano scritto a Russo dopo l’estromissione, solidarizzando con lui. La lunga missiva si chiudeva infine con una considerazione di carattere personale:
E valga come esempio il caso mio. Io fin ora ho disprezzato i guadagni, e son vissuto in una povertà pungente come non ti puoi immaginare: ho rinunziato a cariche e ad onori, per serbar le mie idee; non ho mai fatto questioni di ambizioni come quando si era di accordo nelle idee non trovavo difficoltà ad accettare posizioni secondarie. Ma quando vien meno il contenuto la cosa cambia. A C. Pellegrini rifiuto di piegarmi perché è nulla. Ho rifiutato di far la pedina nel gioco di Gentile, dovrei farla in quella di Pellegrini e della sua casa editrice?
Quindi concludo con la franchezza con cui si trattano gli affari e che non deve spiacere a te. Se vuoi che le forze che la rivista rappresentava rimangano [unite] bisogna lasciar Pellegrini solo sul frontespizio […] Altrimenti, credimi (le lettere dei collaboratori parlan chiaro) tutto si sfascia. Voglio sperare che non m’accuserai né d’ambizione né di prepotenza, e pondererai sui miei argomenti. P. S. S’intende che io non chiedo alcuna posizione ufficiale nella rivista: né il nome sul frontespizio o il recapito degli scritti.

Quella di Adolfo Omodeo, insomma, era una semplice denuncia del pericolo di perdere una della poche voci indipendenti nel panorama della cultura italiana. I suoi timori non erano del tutto infondati. «La Nuova Italia», come ha mostrato, fra gli altri, anche Simona Giusti, avrebbe ospitato nel decennio contributi di alto profilo, ma era chiaro che il carattere “militante” sognato da Omodeo ed effettivamente concretizzatosi nell’anno e mezzo della direzione Russo, era destinato a smarrirsi. Purtroppo non abbiamo la risposta di Codignola. A «La Nuova Italia» il pedagogista accennava solo in una lettera del novembre 1931, quando invitava lo storico a fargli avere qualche articolo per la rivista: «Ho deciso di continuarla anche per il prossimo anno, ma ho bisogno d’aiuto»68.
Il dialogo tra i due, nonostante il carattere senza sconti della lettera a Codignola sopracitata, sarebbe continuato senza strappi grazie anche all’imponente lavoro sul Cavour69. Lo storico lavorava alla prima introduzione dei volumi di Discorsi parlamentari, un lungo saggio che, riveduto e modificato, avrebbe costituito la prima parte della classica biografia omodeiana sullo statista piemontese, di cui parleremo più avanti: «Il saggio introduttivo va un po’ a rilento perché assume nella mia mente proporzioni un po’ complesse. Ma ci lavoro alacremente e fra non molto l’avrai. Sarà una cosa, a parer mio, notevole»70. Nel contempo, Omodeo lavorava a un saggio sull’interpretazione del Manzoni di Francesco Ruffini71, che nel frattempo aveva perso la sua cattedra di Diritto ecclesiastico nell’ateneo torinese per aver rifiutato il giuramento di fedeltà al regime.
L’ho mandato – il saggio – per espresso a C. Pellegrini perché lo pubblichi sul prossimo fascicolo della N. I. Spero che non faccia difficoltà, perché mi pare che quella rivista abbia bisogno d’esser tonificata energicamente, altrimenti perderà collaboratori e abbonati. Penso di pubblicarvi successivamente il saggio cavouriano, e in ottobre di dare opera per trasformarla in una rivista di cultura europea. […] Insomma, credo che la rivista non debba essere abbandonata alla deriva, e vorrei quanto prima abboccarmi con te. L’importante è che l’editore si metta in testa che una rivista viva, come quella, dev’esser condotta con una certa letizia spirituale. Altrimenti il nucleo che le si era costituito attorno si disperderà72.

La tensione, in quell’estate del 1931 restava ad ogni modo alta. A Codignola che spingeva per chiudere al più presto la tormentata vicenda, facevano eco le osservazioni di Omodeo:
L’irrequietezza nostra non è difficile da intendere. Pell[egrini] ha scritto a vari collaboratori raccomandando di non avere rapporti con Luigi, quasi fosse un appestato: con me, in una lettera, si è dato addirittura arie direttoriali. I collaboratori e gli abbonati, dalle lettere che scrivono, mostrano di non avere speranza: i nomi di Pell. e Ercole non ispirano fiducia. È insomma un organismo colpito che non si salva senza una pronta reazione. E quello che ti scrivevo non esprimeva una mia particolare veduta quanto uno stato d’animo diffuso73.

Omodeo accennava pure a presunte “manovre” da parte di Gentile per screditare Russo, concretizzatesi in trafiletti polemici e anonimi apparsi su «Il Tevere» di Telesio Interlandi, influente organo del fascismo romano. Presto, scriveva Omodeo, ne sarebbe apparso un altro a firma di Luigi Volpicelli: «L’idea di essere imbrogliati, sia pure indirettamente, da don Giovanni, e di dover manovrare nel campo imposto da lui, fa impressione», era il commento dello storico. Per descrivere l’atteggiamento del filosofo siciliano verso gli antichi scolari, invece, Russo ricorreva ad un’immagine verghiana:
È un uomo che ha perduto la testa oramai – scriveva a Guido De Ruggiero, attaccato da Gentile su «Educazione fascista» – il Mazzarò di una novella di Verga, che quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini e strillava: «Robba mia, vientene con me!»74.

* * *


Mentre vedeva la luce il primo volume curato da Omodeo per l’imponente edizione dei Discorsi, lo storico dava alle stampe anche una silloge di scritti risorgimentali75 e una nuova edizione de L’età del Risorgimento italiano76, che chiedeva venisse adottato dal Magistero di Firenze e comprato in un certo numero di copie dall’Ente nazionale di cultura. «Vedi di farlo recensire dalle tue riviste», scriveva a Codignola; «Mi aspetto contro di esso qualche boiata di don Giovanni e dei suoi bravi»77.
Proprio in quei mesi Gentile portava a termine l’acquisto della Sansoni, intavolando un’alleanza con l’editore Olschki per dare alle stampe la collana «Opuscoli filosofici, testi e documenti inediti», prima edita da Principato, e rilevando pacchetti azionari di altre case editrice fiorentine grazie alle cattive acque finanziarie in cui navigavano da diversi anni78. La costruzione di quella che Gabriele Turi ha definito con efficacia «la difficile egemonia» gentiliana sull’editoria, era al culmine. «Ho sentito che don Giovanni estende il suo trust anche a Firenze. È una piovra da romanzo salgariano! Almeno sapesse fare qualcosa di buono – si lasciava sfuggire Omodeo – Si salva perché è vietato parlare chiaramente dell’enciclopedia»79, che, nel frattempo, aveva visto la soppressione dell’intera sezione «Storia del Cristianesimo», «testimoniando, assieme al ritiro di Omodeo, un indebolimento della posizione gentiliana a vantaggio dei cattolici»80. «Hai veduto che è riuscito nel suo intento a lungo perseguito?», si rivolgeva con sarcasmo a Codignola: «Non so dire se sia più ribaldo moralmente, o politicamente più imbecille. Nessuno gli sarà grato della cosa e quelli che avvilisce col ricatto sono ben lungi dal riavvicinarsi a lui», anzi, «lo esecreranno peggio di prima»81.
Era proprio questa “disponibilità” di Gentile nei confronti degli ecclesiastici che Omodeo e Codignola rimproveravano, con modalità e toni assai differenti, al filosofo di Castelvetrano, che pure aveva conosciuto con la conciliazione, alla quale si era sempre fermamente opposto, una delle sue maggiori sconfitte82. Anche Codignola, infatti, iniziava a fare le spese del crescente ruolo del cattolicesimo nel dibattito culturale italiano, nonostante le frizioni tra regime e Azione cattolica. La voce Educazione, redatta per l’età moderna e contemporanea per l’Enciclopedia, era stata “corretta” da Padre Venturi e rispedita a Gentile, perché l’autore vi apportasse delle mende. Codignola, a giudizio del gesuita, aveva omesso di citare l’enciclica, «vero e proprio trattato, di Pio XI del dicembre 1929 e del quale tanto si è parlato nel mondo cattolico e non cattolico». Al testo redatto da Codignola, inoltre, era stata allegata una breve integrazione redatta da padre Barbera, che ricordava al lettore la strenua opposizione della Chiesa «al carattere totalitario della scuola di stato», combattendo parimenti «l’educazione laica e il monopolio» statale83.
Nelle riviste e nella loro vasta attività scientifica ed editoriale, Omodeo e Codignola cercavano di mantenere una linea avversa tanto a Gentile quanto a Padre Gemelli. L’opera sul Cavour, da questo punto di vista, era quasi un simbolo di questa linea culturale:
Il volume cavouriano nel suo complesso mi lascia soddisfatto. E soddisfatto dovresti essere tu della bellissima collezione, anche se, come mi pare, intorno ad essa si faccia la congiura del silenzio […] Anche le tue riviste mi pare vadano bene: p. e. dell’ultimo numero di «Civiltà», Croce era contentissimo. Solo noto che vi si introducono di tanto in tanto alcuni articoli scadenti, che fanno troppo stridente contrasto col resto. Sarà mia fissazione, ma le recensioni dello Sciaky e della Dentice84 nella N. I. col carrozzone dello stato etico stonavano. E non dico questo per intolleranza, per divergenza di principi, ma perché sono convinto che la teoria dello stato etico è un volgare e conscio sofisma: una specie di truffa all’americana85.

Omodeo, insomma, rimproverava un carattere ancora troppo “ibrido” a «Civiltà Moderna», che Mussolini, secondo il suo editore, avrebbe definito «la rivista italiana che più si distingueva per l’ignoranza pertinace e sistematica del fascismo»86. Al di là di questo giudizio ex post, l’alto profilo della rivista, soprattutto nei primi anni della sua attività, era sì ispirato a un fine di “conciliazione” fra le diverse anime dell’idealismo, ma con una netta preferenza verso la corrente “minoritaria” di quest’ultimo, i cui esponenti erano appunto Omodeo, Calogero, Alfieri e molti altri. Come collaboratore principale de «La Critica», Omodeo giocava di sponda promuovendo presso il pubblico di Croce i libri e gli articoli pubblicati dalle case editrici fiorentine87. «Del resto», scriveva, «intorno a me qui a Napoli si lavora per la cultura, e si ha almeno questo conforto di non fare opera inutile»88.
Ma fra tanta operosità, cominciava a insinuarsi in Omodeo anche un certo senso di frustrazione, per la posizione isolata in cui giocoforza si era trovato rilegato. Così, se nel marzo del ’32 poteva ancora affermare «finché arrivo a lavorare intensamente mi reggo. Son come una trottola. Guai se per un motivo o per l’altro mi fosse impossibile lavorare», per aggiungere «solo turba l’impossibilità di dimostrare l’efficacia del proprio lavoro»; in aprile, chiedeva a Codignola, membro della Commissione scambi intellettuali del Ministero dell’Educazione Nazionale, di intercedere a suo nome per ottenere il nulla osta ad una missione all’estero.
Potresti procurarmi una missione, sia pure temporanea in Francia o in Svizzera di lingua francese? Ho un bisogno smanioso di muovermi, di veder gente. Naturalmente vorrei andare in istituti stranieri e non in quelli dipendenti da don Giovanni, verso cui sarò sempre implacabile. Mi contenterei di un incarico che coprisse con piccolo margine le spese: potrei occuparmi di storia cristiana, di storia europea, di storia della cultura italiana. Si potrebbe far rappresentare l’Italia da tipi più rispettabili di Farinacci89.

Omodeo otteneva di partire per Parigi, dove si recava, una volta “organizzato” il lavoro a casa90, nei primi giorni di settembre fino alla fine di ottobre. In quei due mesi lo storico avrebbe lavorato duramente, come testimoniano, fra le altre, le lettere alla moglie Eva Zona, alla Biblioteca Nazionale e in numerosi archivi91. Due le direttrici di ricerca: il pensiero politico della restaurazione, per approfondire il quale Omodeo aveva bisogno dei testi originali introvabili in Italia; i documenti diplomatici necessari al grande studio cavouriano che avrebbe visto la luce una volta avviata alla conclusione l’edizione dei Discorsi Parlamentari. In quel viaggio Omodeo avrebbe incontrato, fra gli altri, Alfred Loisy, lo storico modernista al quale avrebbe dedicato diversi interventi rifusi in una monografia edita da Laterza nel ’3692, e Lionello Venturi, lo storico dell’arte che aveva perso la sua cattedra torinese per aver rifiutato il giuramento di fedeltà al regime, con il figlio Franco, allora diciottenne.
Ad accogliere Omodeo al suo rientro in patria un nuovo fronte polemico, questa volta con Ugo Spirito, già segnalatosi in quell’anno per esser tacciato di “comunismo” dopo aver illustrato il suo corporativismo integrale nel congresso filosofico di Ferrara93. Ne «L’Italia letteraria» il filosofo aveva duramente polemizzato contro il carattere liberale dello storicismo94, le cui ricadute nel campo della prassi politica non potevano che portare alla gretta filosofia della «buona amministrazione», nell’assoluto rifiuto di ogni concezione “unitaria” della storia e dello spirito; una critica aperta, insomma, a Croce e ai crociani. A questa “ingerenza” di Spirito nel campo della metodologia della ricerca storica, Omodeo rispondeva con forza ne Il quarto quadrupede dell’Apocalisse, rivendicando il carattere dello storicismo come «religione della libertà»; a far recedere lo storico dal proposito di pubblicare lo scritto polemico, memore di quanto era accaduto l’anno prima con Russo, era proprio Codignola:
non posso pubblicare nell’attuale forma il tuo trafiletto contro Spirito. Ci scapiteresti tu e ci scapiterebbe la rivista. Spirito non rappresenta nulla nella nostra cultura: ora poi che non è più attualista mi pare farnetichi anche maggiormente. Tu adoperi un quattrocentoventi per uccidere un moscerino. Per di più ritiri in ballo Volpe e Gentile, il che non può non portare ad una nuova polemica che avrebbe come conseguenza l’immediata uscita di Ercole dalla redazione ed una nuova crisi, che potrebbe anche significare la morte della «N.I.». Ora, siccome dovrò fare uccidere «Civiltà», non mi sento di mettere in forse l’esistenza dell’unica rivista che mi rimane per…Ugo Spirito! Dopo avere ben ponderato ogni cosa, ti consiglio di non farne più nulla. Se però insisti a pubblicare il trafiletto, ti prego di lasciare in pace l’attualismo, Gentile e Volpe, che proprio non c’entrano questa volta con le affermazioni di Spirito (Gentile lo ha investito piuttosto in malo modo nell’ultimo Congresso delle scienze) e limitati ad un esame se fosse possibile anche più canzonatorio, ma molto più sereno e pacato delle idee che Spirito ha espresso ne «L’Italia letteraria». A voce ti potrei dire molte altre cose per chiarirti meglio la ragione del mio rifiuto, ma le puoi facilmente immaginare95.

Le considerazioni del pedagogista dovevano aver sortito l’effetto sperato, se Omodeo di fatto rinunciava alla pubblicazione della replica, non senza un sentimento di forte frustrazione:
[…] In quanto a Ugo Spirito non so se mi verrà la voglia di ritoccare il trafiletto. Io non gli voglio concedere l’onore di discuterlo. Forse tu, per ciò che riguarda la convenienza, avrai ragione. Ma non è men vero che non si può più compiere nel campo della cultura un servizio di onesta polizia, e che gli avventurieri e i filibustieri vi spadroneggiano96.

Del resto, il clima attorno al mondo delle riviste e dell’editoria andava facendosi, in quel torno di tempo, ancor più soffocante. Nel febbraio del ’33, ad esempio, Omodeo dava alle stampe un articolo piuttosto critico sulla concezione corporativa dello stato ne «L’educazione nazionale» di Giuseppe Lombardo Radice97, che aveva inaugurato la nuova rubrica “Noterelle e schermaglie”, in cui avrebbero trovato posto anche interventi di Russo e Codignola98. La censura doveva abbattersi presto anche sull’antico collaboratore di Gentile nella riforma della scuola, con la soppressione della rivista, nata nel 1920 come seguito di «Nuovi Doveri» e la destituzione dall’insegnamento dell’anziano pedagogista, spentosi cinque anni dopo.

(prosegue)





NOTE
* Ringrazio vivamente il prof. Giuseppe Galasso per aver seguito la mia ricerca e per la generosa disponibilità ad accoglierla nella sua rivista. Un ringraziamento particolare al dott. Pietro Causarano, disponibile e paziente guida nell’Archivio Ernesto Codignola di Firenze. Grazie infine al prof. Daniele Menozzi per aver discusso con me i risultati di questa ricerca. Dedico questo lavoro ai miei maestri pavesi: Elisa Signori, Emilio Gabba e Arturo Colombo.
1 A. Omodeo, La collaborazione con Croce durante il ventennio, in «La Rassegna d’Italia» di Milano, 1 (1946), pp. 266-273, ora in Idem, Libertà e storia, Torino, Einaudi, 1960, p. 493.Top
2 B. Croce- A. Omodeo, Carteggio, a cura di M. Gigante, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1978. Tra le fonti anche A. Omodeo, Lettere. 1910-1946, Torino, Einaudi, 1962; Giovanni Gentile – Adolfo Omodeo. Carteggio, a cura di S. Giannantoni, Firenze, Sansoni, 1975; Roberto Pertici e Antonio Resta attendono all’edizione della corrispondenza Russo-Omodeo. Nella vasta bibliografia su Omodeo si veda, per un quadro generale G. De Marzi, Adolfo Omodeo: Itinerario di uno storico, Urbino, Quattro Venti, 1988, con una preziosa bibliografia degli studi; M. Mustè, Adolfo Omodeo. Storiografia e impegno politico, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici- il Mulino, 1990. Fondamentali i contributi di A. Garosci, Adolfo Omodeo. I. La storia e l’azione, in «Rivista Storica Italiana», 67 (1965), fasc. 1, pp. 146-183; Idem, Adolfo Omodeo. II. La guerra, l’antifascismo e la storia, Ivi, fasc. 3, pp. 639-685; G. Galasso, Personalità e spiritualità di Adolfo Omodeo, in Idem, Croce, Gramsci e altri storici, Milano, Il Saggiatore, 1969, pp. 169-184; D. Cantimori, Commemorazione di Adolfo Omodeo, in Idem, Studi di storia, Torino, Einaudi, 1959, pp. 51-75; Idem, Il senso della storia di Adolfo Omodeo, Ivi, pp. 76-81. W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962, pp. 517-549.Top
3 A. Garosci, Adolfo Omodeo III. Guida morale e guida politica, in «Rivista Storica Italiana», 68 (1966), fasc. 1, p. 140.Top
4 A. Omodeo, Libertà e storia, cit., p. 497.Top
5 Cfr. ora Benedetto Croce- Giovanni Laterza. Carteggio. IV. 1931-1943, 2. voll., a cura di A. Pompilio, Bari, Laterza, 2009.Top
6 Ivi, p. 497. Top
7 Per questo rinvio a R. Pertici, Preistoria di Adolfo Omodeo, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», serie III, 22 (1992), ora rifuso in Idem, Storici italiani del Novecento, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1999, pp. 63-66; 71-73.Top
8 E. Codignola, Noi e i popolari, in «La nostra scuola», maggio 1920, ora in Idem, Il problema dell’educazione nazionale in Italia, Firenze, Vallecchi, 1925, pp. 25-31. Su Codignola cfr. G. Turi, Lo Stato educatore. Politica e intellettuali nell’Italia fascista, Bari, Laterza, 2002, pp. 168-186. Turi offre una linea interpretativa diversa dal classico E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 137-169; ben documentato il profilo offerto da R. Gori, Gentilianesimo e fascismo nella biografia di Ernesto Codignola: alcune messe a punto, in «Critica Storica», 24 (1987), pp. 203-297. Si vedano anche i contribuiti raccolti in Ernesto Codignola pedagogista ed organizzatore di cultura, a cura di G. Tassinari e D. Ragazzini, Roma, Carocci, 2003, oltre a Ernesto Codignola in 50 anni di battaglie educative, in «Scuola e città», 18 (1967), numero monografico dedicato al fondatore della rivista in occasione della sua scomparsa. Top
9 A. Omodeo, La scuola dei preti, in «L’Educazione nazionale», 15 luglio 1920, pp. 241-248, ora in Idem, Libertà e storia, cit., pp. 31-36.Top
10 Ivi, p. 36. Per le posizioni di Omodeo in tema di educazione, occasione di un giovanile confronto con Giuseppe Prezzolini, cfr. R. Pertici, Preistoria di Adolfo Omodeo, cit., ove in calce sono riportate le lettere di Omodeo a Prezzolini, all’epoca della collaborazione dello storico a «La Voce».Top
11 Cfr. Ernesto Codignola ad Adolfo Omodeo, Roma, 29 giugno 1922, in Archivio Ernesto Codignola, Pratolino (FI), Carteggio (d’ora in poi AC). Top
12 Una dettagliata ricostruzione dell’iter concorsuale in M. Mustè, Adolfo Omodeo, cit., pp. 218-226.Top
13 Eugenio Donadoni (1870-1924). Storico e critico letterario bergamasco. Professore di materie letterarie in numerosi licei siciliani, fra cui quello di Palermo. Professore di lettere nei licei Berchet e Parini di Milano. Professore incaricato di letteratura italiana a Messina fino al 1921. Professore di Letteratura italiana a Pisa nel 1922, presto abbandonò l’incarico per la malattia che lo condusse alla morte. Omodeo era stato suo allievo, seppure solo per tre mesi, nel liceo di Palermo; Codignola aveva trovato nell’ammirato insegnante, trasferitosi a Milano, una guida franca e preziosa nei primi passi da lui mossi nel mondo della scuola dopo il diploma alla Scuola Normale e la laurea a Pisa . Adolfo Omodeo ad Ernesto Codignola, Napoli, 6 maggio 1929, in AC. Per il rapporto di Donadoni con Omodeo cfr. M. Mustè, Adolfo Omodeo, cit., pp. 20-41; per il rapporto con Codignola A. Santoni Rugiu, Dai primi del ‘900 alla riforma Gentile, in Ernesto Codignola in 50 anni di battaglie educative, in «Scuola e città», 18 (1967), pp. 164-169. Dopo la prematura morte di Donadoni, Codignola e Omodeo si erano prodigati per alleviare le sofferenze economiche della famiglia del compianto maestro. Cfr. Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 2 ottobre 1924, in AC.Top
14 R. Pertici, Come Adolfo Omodeo divenne storico delle origini cristiane, in «Belfagor», 52 (1997), pp. 179-190, ora in Idem, Storici italiani, cit., pp. 96-104.Top
15 Per un’approfondita analisi del percorso storiografico e politico dell’Omodeo delle origini rimando a R. Pertici, Storici italiani, cit., pp. 80-96.Top
16 Su questo e sui punti enucleati di seguito mi permetto di rimandare al mio Il ’29 di Adolfo Omodeo, in «L’Acropoli», 11 (2010), pp. 555-573. Top
17 Cfr. G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Torino, UTET, 2006, pp. 425-427. Top
18 Cfr. L. Russo, Elogio della polemica. Notarelle e schermaglie (1918-1932), Bari, Laterza, 1933, pp. 194-219. Su Russo si veda ora G. Giarrizzo, Luigi Russo (1892-1961) e la ‘vera religione’, in «Rivista Storica Italiana», 109 (1997), pp. 961-1023; G. Turi, Lo Stato educatore, cit., pp. 187-215; resta valido il classico profilo di E. Garin, La cultura italiana fra ’800 e ’900, Bari, Laterza, 1962, pp. 179-211.Top
19 Cfr. G. Turi, Il mecenate, il filosofo, il gesuita. L’Enciclopedia Italiana specchio della nazione, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 207-214. Top
20 Cfr. M. Di Lalla, Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1975, pp. 315-329; G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Torino, UTET, 2006, pp. 358-367.Top
21 Cfr. la minuziosa analisi di S. Giusti, Una casa editrice negli anni del fascismo. “La Nuova Italia” 1926-1943, Firenze, Olschki, 1983, pp. 39-78.Top
22 D. Cantimori, Studi di storia, cit., p. 70.Top
23 Adolfo Omodeo ad Ernesto Codignola, Positano, 2 luglio 1930: «[…] Ho saputo che il Cotugno, studioso di storia del Ris. ha dinnanzi le bozze di un grosso volume che si vien pubblicando a Firenze, dei colloqui fra Cavour e il Massari. Probabilmente editore di quest’opera è l’ottuagenario pugliese G. Beltrami che molti anni fa ebbe a sua disposizione le carte Massari dell’Archivio Visconti Venosta. Potresti informarti di che si tratta, e, se possibile, farmi avere una copia delle bozze di quel volume? Sto lavorando al Cavour e preparo i cappelli e le note per l’edizione, in AC; Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 1 ottobre 1930: «[…] Negli Atti Parlamentari ho racimolato qualcosa non compresa nell’edizione nazionale. Ora lavoro alle note. È un lavoro più lungo di quanto può sembrare», in AC; Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 26 novembre 1931: «[…] Per l’introduzione vado raccogliendo materiali […] Spero possa venirmi un saggio non privo di originalità», in AC. Top
24 A. Omodeo, Tradizioni morali e disciplina storica, Bari, Laterza, 1929. Top
25 Isacco Sciaky (1896-1979), studioso del sionismo, docente nei licei e successivamente nelle università di Urbino e Firenze. Autore di numerosi saggi di filosofia politica e filosofia del diritto ispirati all’attualismo gentiliano. La recensione di Sciaky al volume di Omodeo in «Civiltà Moderna», 2 (1930), pp. 175-181.Top
26 Cfr. I. Sciaky, Il VII congresso di filosofia, in «Civiltà Moderna», 1 (1929), pp. 104-111; Idem, Voci sul recente congresso filosofico, in «Civiltà Moderna», 2 (1930), pp. 394-397. Top
27 A. Omodeo, Storia moralistica e storia morale, in «Civiltà Moderna», 2 (1930), pp. 655-658, ora in Idem, Per la difesa della cultura. Una diuturna polemica, Napoli, Humus, 1944, pp. 22-28.Top
28 Ivi, p. 24.Top
29 Armando Carlini (1878-1959), allievo e successore di Gentile sulla cattedra pisana di Filosofia teoretica. Fra i più significativi esponenti di un attualismo ispirato a posizioni cattoliche di matrice agostiniana.Top
30 A. Omodeo, Storia e filosofia pura, in «Civiltà Moderna», 2 (1930), pp. 1000-1003, ora in Idem, Per la difesa della cultura, cit., pp. 28-33.Top
31 Ivi, p. 31.Top
32 Cfr. S. Giusti, Una casa editrice, cit., pp. 92-93.Top
33 E. Codignola, Padrini dell’ignoranza, in «Civiltà Moderna», 2 (1930), pp. 389-392.Top
34 A. Omodeo, Luigi Settembrini, in «Civiltà Moderna», 2 (1930), pp. 725-761, ora in Idem, Difesa del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1951, pp. 236-267. Top
35 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 1 ottobre 1930, in AC.Top
36 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 28 maggio 1930, in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 455. In quell’anno avevano visto la luce le voci Atti degli apostoli, Barbelognostici; Basilide; Bauer, Bruno; Baur Ferdinand Christian; Bousset Wilhelm, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, Vol. VI, Roma, Istituto G. Treccani, 1930, rispettivamente pp. 268-271; p. 136; pp. 326-328; p. 473; p. 417; pp. 617-618. Nello stesso anno venivano pubblicati, sotto forma di articoli, due voci “cassate” dall’Enciclopedia Italiana da Gentile su invito di Tacchi Venturi; si tratta di A. Omodeo, La lettera dell’apostolo Paolo ai Colossesi, in «Civiltà moderna», 2 (1930), pp. 992-1000; Idem; Le lettere dell’apostolo Paolo alla chiesa di Corinto, in «Civiltà moderna», 2 (1930), pp. 224-228. Top
37 A. Omodeo, recensione di G. Volpe, Ottobre 1917, in «La Nuova Italia», 1 (1930), pp. 274-277, ora in Idem, Libertà e storia, Torino, Einaudi, 1960, pp. 48-57. Top
38 Cfr. il profilo critico di G. Galasso, Storici italiani del Novecento, Bologna, il Mulino, 2008, pp. 35-42.Top
39 A. Omodeo, Momenti della vita di guerra. Dai diari e dalle lettere dei caduti, in «La Critica», 27 (1929). I. Le pagine postume del Battaglia, pp. 36-46; II. Il retaggio dei morti, pp. 277-288; III. Il cimento della vita, pp. 340-352, pp. 429-437; in «La Critica», 28 (1930), V. Crisi d’anime, pp. 101-117; VI. Spiriti militari, pp. 270-288; VII. I fratelli Garrone, pp. 439-452, ora in Idem, Momenti della vita di guerra (Dai diari e dalle lettere dei caduti), Bari, Laterza, 1934. Top
40 A. Omodeo, Libertà e storia, cit., p. 56.Top
41 Gioacchino Volpe a Luigi Russo, S. Arcangelo di Romagna, 1930: «Signor Direttore, Dopo due mesi, dopo essere stato incerto se mi conveniva rispondere a così malevola e abborracciata e partigiana recensione, come quella dell’Omodeo, penso che, dopo tutto, mi convenga farlo. Omodeo ha detto cose inaudite, quali solo un nemico che non guarda troppo pel sottile quando vuole nuocere altrui può dire. Lei ha creduto di accettarle nella sua rivista. E va bene. Ma ora bisogna che sia ben chiaro se il cialtrone e abborracciatore sono io oppure è Omodeo. La mia risposta è lunga: ma disgraziatamente, per dimostrare falsa una critica e infondata un’ingiuria ci vogliono assai più parole che non a farne. Quel volumetto non è un capolavoro (chi li fa i capolavori?), ma è una cosa seria. Solo il partito preso di Omodeo poteva scoprire quel che egli ci ha scoperto. Gradirei di vedere le bozze. Grazie della pubblicazione», in Archivio Luigi Russo, Biblioteca Giosuè Carducci, Pietrasanta (LU), fasc. Volpe, Gioacchino. Top
42 L. Russo, Invito alla libertà di discussione, in «La Nuova Italia», 1 (1930), pp. 473-474, ora in Idem, Elogio della polemica, cit., pp. 236-241. All’editoriale di Russo seguiva la replica alla recensione di Volpe, Ivi, pp. 474-478.Top
43 A. Omodeo, Postilla, in «La Nuova Italia», 1 (1930), p. 478, ora in Idem, Libertà e storia, cit., p. 60.Top
44 Omodeo si riferisce alle due recensioni negative firmate da Ernesto Buonaiuti nei confronti di uno dei suoi lavori maggiori, La mistica giovannea, Bari, Laterza, 1930, apparse in «Nuova Rivista Storica», 14 (1930), pp. 436-437; in «Ricerche religiose», 6 (1930), pp. 458-459; la replica di A. Omodeo, Un prete, in «La Nuova Italia» 1 (1930), p. 80.Top
45 Padre Agostino Gemelli. Top
46 Adolfo Omodeo a Luigi Russo, Napoli, 16 dicembre 1930, in A. Omodeo, Lettere, cit., p. 458.Top
47 R. Pertici, Benedetto Croce collaboratore segreto de “La Nuova Italia” di Luigi Russo, in «Belfagor», 36 (1980), pp. 187-206.Top
48 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 17 luglio 1931: «Caro Codignola, non so di preciso di cosa tratti l’articolo del Salvatorelli. Ad ogni modo gli scrivo subito sollecitando. Il suo indirizzo è V. S. Dalmazzo 24 Torino. Io qualche mese fa avevo scritto a diversi collaboratori, e quel che m’è piaciuto te l’ho fatto inviare da Luigi e dalla Liguria. Ma per ottenere di più avrei dovuto inviare libri da recensire e suggerire temi, impegnandomi per la pubblicazione, cosa che non credo di essere autorizzato a fare per i motivi che tu sai», in AC.Top
49 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Roma, 30 novembre 1930, in AC. Per la vicenda nel dettaglio si veda S. Giusti, Una casa editrice, cit., p. 114-115.Top
50 E. Di Rienzo, La storia e l’azione. Vita politica di Gioacchino Volpe, Firenze, Le Lettere, 2008, p. 574; Si veda Idem, Un dopoguerra storiografico, Firenze, Le Lettere, 2004, pp. 123-131.Top
51 Sull’atteggiamento di Volpe cfr. Gioacchino Volpe a Luigi Russo, Roma, s. d, ma 1930: «Signor professore, Mi tocca ancora di rettificare, dopo avere chiesto qualche chiarimento a Ugo Oietti. A Oietti, che mi aveva chiesto il volumetto per «Pegaso», scrissi, mandandolo, che non intendevo fosse dato a recensori tipo Omodeo, che pigliano fiaschi per fischi, hanno malumori da sfogare e sono nemici, ma ad un recensore serio che esaminasse a fondo quelle pagine e senza tacere manchevolezze ed errori, si facesse, in un certo senso, giudice della controversia. Poiché di fronte ad una valutazione come quella di Omodeo, uno dei due doveva andare a terra, io o lui, io come storico o lui come recensore. Che l’articolo di Omodeo fosse “iniquo”, è probabile lo abbia scritto: era ed è la mia più profonda convinzione (e anche di altri moltissimi, di cui potrei fare i nomi, persone a me estranee, politicamente lontane); che il «Pegaso» mi dovesse “compensare” è una sua arbitraria e maligna aggiunta: sua e della gente che fa pettegolezzi politico-letterari. Non ho bisogno di “compensi”. E se mai, non li avrei chiesti ad una rivista letteraria: come, del resto, a nessuno. […] Le mie “indegne querele, e piati” all’Enciclopedia sono un’altra vostra invenzione. Io non piatisco: do, se mai, della canaglia a chi merita l’epiteto di canaglia. Quindi, non ho da mutar nulla alla mia ultima lettera. Smentisco nettamente non la mia lettera ad Oietti ma il contenuto o interpretazione che voi avete creduto di dare ad essa. Smentisco i “piati” all’Enciclopedia. Confermo il giudizio mio sul libello di Omodeo, col quale lei ha voluto solidarizzare in tutto, anche più di quello che non sia doveroso per un direttore di rivista: omertà.", in Archivio Luigi Russo, Pietrasanta (LU). Volpe si riferiva alla “notarella” di L. Russo, Recensori bene informati, in «La Nuova Italia», 2 (1931), pp. 78-79, dove di polemizzava contro una recensione “riparatrice” di Nello Quilici al libro di Volpe in «Nuovi Problemi», poi in «Corriere Padano», 15 novembre 1930. Sulla rivista di Ojetti il libro dello storico abruzzese sarebbe stato elogiato in A. Panella, recensione a G. Volpe, Ottobre 1917. Dall’Isonzo al Piave, in «Pegaso», 2 (1930), pp. 495-497. In effetti la recensione di Panella riprende i tratti salienti della recensione di Omodeo e ne dà giudizi diametralmente opposti. Ad esempio: «Divulgazione dunque? Si, ma di quella buona, come può farla solo una salda tempra di storico, che negli sguardi d’insieme sa tenere il massimo equilibrio e non perde di vista il particolare in quanto abbia storicamente importanza […] La verità è che, a voler troppo sillogizzare nella storia con la ricerca della cause, si finisce col cascare nell’assurdo e nell’irrazionale», cit., p. 495. Top
52 A. Omodeo, Futurismo telogizzante, in «La Nuova Italia», 1 (1930), p. 170, ora in Idem, Per la difesa della cultura, cit., pp. 35-36.Top
53 A. Omodeo, Un altro operaio della vigna, in «La Nuova Italia», 1 (1930), p. 528, ora in Idem, Per la difesa della cultura, cit., p. 40. Alla replica dell’interessato sul giornale palermitano «La Tradizione», la risposta di A. Omodeo, Sicelides Musae, in «La Nuova Italia», 2 (1931), p. 160, Ivi, p. 41.Top
54 A. Omodeo, Finezza di cultura, in «La Nuova Italia», 1 (1930), p. 255, ora in Idem, Per la difesa della cultura, cit., p. 37. Top
55 A. Omodeo, Finezza politica, in «La Nuova Italia», 1 (1930), p. 256, Ivi, pp. 38-39.Top
56 A. Omodeo, Filosofi toccati dalla grazia, in «La Nuova Italia», 1 (1930), p. 79.Top
57 A. Omodeo, Un prete, in «La Nuova Italia», 2 (1931), p. 80, ora in Idem, Per la difesa della cultura, cit., p. 47. Top
58 A. Gemelli, Un terzetto filosofico: Martinetti, Banfi e Russo, in «Rivista di filosofia neoscolastica», 23 (1931), pp. 264-271.Top
59 L. Russo, Padre Gemelli o della correttezza, in “Civiltà Moderna”, 3 (1931), fasc. 3; Idem, Padre Gemelli vel de vulgari eloquentia, Ivi, ora in Idem, Elogio della polemica, Bari, Laterza, 1933, rispettivamente pp. 279-284; pp. 285-293.Top
60 Padre Gemelli a Ernesto Codignola, Milano, 16 ottobre 1931, in AC. Top
61 Tra i tanti articoli usciti sul foglio del fascismo fiorentino si ricordi La Nuova Italia del vecchio Croce, in «Il Bargello», 12 luglio 1931; Usque tandem Luigi Russo?, Ivi, 16 luglio 1931. Sul fascismo fiorentino nei primi anni Trenta cfr. M. Palla, Firenze nel regime fascista (1929-1934), Firenze, la Nuova Italia, 1978; per un quadro regionale cfr. R. Vivarelli, La Toscana nel regime fascista, in «Rivista Storica Italiana», 85 (1973), fasc. 3, pp. 690-697.Top
62 A. Omodeo, L’ombra sua torna..., in «La Nuova Italia», 2 (1931), p. 244; Idem, Testi scolastici, Ivi, p. 245. Top
63 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 24 luglio 1931, in AC. Top
64 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Forte dei Marmi, 25 giugno 1931, in AC. Top
65 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, s.d., estate del 1931, in AC. La lettera è parzialmente citata in S. Giusti, Una casa editrice, cit., e in R. Gori, Gentilianesimo e fascismo, cit., p. 261. Top
66 Sulle crescenti ostilità nel mondo della cultura all’operato di Gentile cfr. G. Turi, Giovanni Gentile, cit., pp. 496-525 e ora A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti, cit., passim. Top
67 La rivista diretta da Ugo Ojetti e pubblicata a Firenze dal 1929 al 1933, seguita da «Pan», edita dal 1933 al 1935.Top
68 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 10 novembre 1931, in AC. Top
69 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 18 febbraio 1931: «[…] L’importante sarebbe che potessero uscire al più presto almeno i primi due volumi. Ci terrei moltissimo. Mandami pure articoli e recensioni. Mi farai un vero regalo”, in AC; Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 10 novembre 1931, cit.: […] Attendo la prefaz. a Cavour. Se mi parrà adatta la potrò pubblicare in «Civiltà» o per la «N. I»?; Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 1 aprile 1932: […] La stampa in generale ha accolto molto bene la pubblicazione. La vendita è quasi nulla, ma era da prevedere. Ad ogni modo l’impresa sarà condotta in porto sollecitamente», in AC.Top
70 A. Omodeo, Gli inizi della politica cavouriana, in «La Nuova Italia», 2 (1931), pp. 371-396; pp. 430-442, poi edito come Introduzione a C. Benso di Cavour, Discorsi parlamentari, Nuova edizione, a cura di A. Omodeo e L. Russo. Vol. I. 1848-1850, Firenze, La Nuova Italia, 1932. Seguivano, a cura di Omodeo: II. 1850-1851, Ivi, 1931; III. 1851, Ivi, 1933; VII. 1853, Ivi, 1939; VIII. 1853, Ivi, 1939; IX. 1853-1853, Ivi, 1941; a cura di L. Russo: IV. 1851, Ivi, 1934; V. 1851-1852, Ivi, 1936; VI. 1852-1853, Ivi, 1937; a cura di Russo e Omodeo (postuma), X. 1854, Ivi, 1955. Top
71 Si tratta di A. Omodeo, La religione del Manzoni, in «La Nuova Italia», 2 (1931), pp. 337-342, che comprendeva la ristampa di Idem, recensione a F. Ruffini, La vita religiosa di Alessandro Manzoni, in «La Critica», 29 (1931), pp. 445-447. Top
72 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 19 aprile 1931, in AC. Top
73 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, 31 agosto 1931, in AC. Top
74 Luigi Russo a Guido De Ruggiero, Firenze, 26 febbraio 1931, in AR. De Ruggiero era stato attaccato da Gentile in Buffonate antifasciste, in «Educazione Fascista», 10 (1931), pp. 44-49; cfr. la lettera di solidarietà di Benedetto Croce a Guido De Ruggiero, 23 febbraio 1931, in Carteggio Croce-De Ruggiero, a cura di A. Schinaia e N. De Ruggiero, Bologna, il Mulino, 2008, p. 347. Top
75 A. Omodeo, Figure e passioni del Risorgimento italiano, Palermo, Ciuni, 1932.Top
76 A. Omodeo, L’età del Risorgimento italiano. Seconda edizione ampliata, Messina, Principato, 1932.Top
77 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 21 ottobre 1931, in AC.Top
78 G. Turi, Giovanni Gentile, cit., p. 481-182. Top
79 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 6 marzo 1932, in AC.Top
80 G. Turi, Giovanni Gentile, cit., p. 459.Top
81 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 21 ottobre 1931, cit.: «[…] Se ti capita, ti autorizzo a esprimergli crudamente, da parte mia, questo giudizio. Scusa questo sfogo: ma di tanto in tanto ne ho bisogno per riacquistare il minimo di serenità necessaria per continuare a studiare», in AC. Top
82 Cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista, Torino, Einaudi, 1968, p. 417, n. 1. Top
83 G. Turi, Giovanni Gentile, cit., pp. 461-462.Top
84 Cecilia Motzo Dentice d’Accadia, docente di Storia della filosofia allieva di Giovanni Gentile. Autrice di studi su Campanella, Firenze, Vallecchi, 1921 e di riflessioni di marca attualista sul pensiero religioso, come della fortunata traduzione della Storia della filosofia di Windelband per l’editore Sandron di Milano a partire dal 1921. Top
85 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 6 marzo 1932, cit. supra. Top
86 E. Codignola, Memoriale autobiografico, in «Scuola e città», cit., p. 329.Top
87 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 6 marzo 1932, cit.: «Come ti ho detto di alcune opere parlerò su «La Critica»: una breve recensione dell’Azeglio, e uno studio più lungo sul Lambruschini. Vedrò poi dell’Hegel, se non ne parlerà Croce. Credo che ti sia giunto tutto il materiale che ti ho spedito per il 2° volume. Per chiudere il 2° volume non mancano che una ventina di strisce. Te le avrei già mandate, ma per ora devo di grande urgenza scrivere articoli e recensioni per «La Critica». Ma fra una settimana le avrai. Poi attaccherò il 3° volume, mentre Russo metterà mano al 4°. Ho stabilito di riservarmi io le ulteriori introduzioni (una o due ancora)”, in AC. Top
88 Ivi, in AC. Top
89 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, 21 aprile 1932, in AC.Top
90 In riferimento ad una progettata collana di profili e all’attività de «La Nuova Italia» cfr. Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, [1932]: «[…] Domani in biblioteca progetterò un gruppo di quegli opuscoli di cui abbiamo parlato […] Cerca di scartare qualche collaboratore mediocre, e d’includere qualcuno un po’ brioso. Io spero di mandarti qualche notarella polemica con i clericali. Anche per la parte letteraria bisognerebbe far rientrare in scena Sapegno, Fubini, Flora, altrimenti la rivista passa dietro «La Cultura». Io ora preparerò una recensione al Lambruschini per «La Critica». Se mi fai avere qualche libro interessante da recensire, potrò accapezzare il tempo per qualche recensione per la N. I, per quanto sia soffocato dal lavoro»; In riferimento all’edizione dei Discorsi Parlamentari cfr. Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, giugno 1932: «[…] Ritengo che Russo inizierà sollecitamente i due volumi seguenti: da essi deve ricavare il necessario per ricolmare il suo deficit. Appena tornerò, verso metà settembre, si metterà all’opera. Al mio ritorno dalla Francia, lo spero, usciranno i carteggi cavouriani sulla guerra di Crimea e il congresso di Parigi, e potrò meglio costruire il 2° saggio”, in AC. Top
91 Cfr. A. Omodeo, Lettere, cit., pp. 473-497. Top
92 A. Omodeo, Alfred Loisy storico delle religioni, Bari, Laterza, 1936. Top
93 U. Spirito, Individuo e stato nella concezione corporativa, in “Atti del secondo Convegno di studi sindacali e corporativi di Ferrara”, Roma, Tipografia del Senato, 1932, estratto, p. 12; Nello stesso anno la monografia U. Spirito, I fondamenti dell’economia corporativa, Milano, Treves, 1932. Top
94 U. Spirito, Storicismo rivoluzionario e storicismo antistorico, in «Italia Letteraria», 13 novembre 1932, ora in M. Rascaglia, Adolfo Omodeo e Ugo Spirito. Una diuturna polemica, in «Giornale critico della filosofia italiana», 76 (1995), pp. 245-47, ove si riporta di seguito anche il trafiletto inedito di Omodeo. Scriveva lo storico: «Dopo aver devastato i campi della filosofia, del diritto penale e dell’economia politica, terribile come il cavallo di Attila, Ugo Spirito […] si volge contro la florida provincia della storiografia. Storici, eruditi ed archivisti tremano all’appressarsi d’un tale apocalittico flagello», Ivi, p. 248.Top
95 Ernesto Codignola a Adolfo Omodeo, Firenze, 14 novembre 1932, in AC.Top
96 Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola, Napoli, s. d., novembre 1932, in AC. Top
97 A. Omodeo, Quesiti, in «L’Educazione nazionale», 28 febbraio 1933, pp. 91-93.Top
98 E. Codignola, Revisioni idealistiche, Ivi, 31 marzo 1933, pp. 138-145.Top
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