Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno XI - n. 2 > Studi e ricerche > Pag. 53
 
 
Ariosto tra i filosofi
di Oreste Trabucco
Al centro del discorso che qui s’intende svolgere è un episodio della ricezione del nella Napoli barocca, entro i confini di una regione culturale dove la letteratura incontra la filosofia e interseca il percorso della nuova scienza seicentesca, secondo la peculiare declinazione che se ne ha nel Mezzogiorno spagnolo. Ne è protagonista Marco Aurelio Severino, il cui nome pure figura agli atti della storia letteraria1, certo, ma che è in primo luogo uomo di scienza, e precisamente di professione chirurgo, largamente noto nell’ambito degli studi di storia della filosofia e della scienza per essere uno dei massimi anatomisti del primo Seicento. Severino costruisce il primo vigoroso quadro teorico dove situare la rivoluzionaria anatomo-fisiologia di William Harvey, trapiantata su un sostrato di cultura filosofica che ha la sua matrice nella linea dipartentesi da Telesio e approdante a Campanella2.
L’interesse rivolto da Severino alla letteratura non è mera divagazione, attività laterale rispetto al suo profilo di medico e naturalista reputato. È, come sappiamo, parte costitutiva di una antropologia intellettuale, che si esprime emblematicamente nelle Considerazioni al Tasso di Galileo3. Ma ha poi un preciso radicamento dentro lo spazio culturale della Napoli seicentesca, dove erudizione e ricerca naturalistica, letteratura, filologia e filosofia s’intrecciano in vari modi4, lungo un itinerario che dalla stagione della giovanile formazione di Severino conduce sino a Vico: dai Lincei agli Investiganti, potremmo dire con la classica formula di Nicola Badaloni5 – benché oggi quell’itinerario sia da intendere in termini assai più discontinui e tortuosi6, deposta l’idea, pur feconda per indagini suscitate e risultati conseguiti, di ‘previchismo’7.


*    *    *


Agli storici della letteratura il nome di Severino è noto soprattutto per il commento che egli compie delle rime di Della Casa, commento apparso postumo giacché recuperato solo nel 1694 – Severino muore nella peste napoletana del 1656 – da quel geniale ed eclettico impresario di cultura che è il francese, naturalizzato napoletano, Antonio Bulifon8. Costui dà alle stampe in quell’anno il trittico di commenti dellacasiani di Sertorio Quattromani, di Severino, di Gregorio Caloprese, a comporre un documento della tradizione meridionale dove un classico della poesia italiana si fa terreno su cui si esercitano, nell’ordine: gli strumenti importati dalla filosofia telesiana; dalla nuova scienza seicentesca; dall’ultimo Cartesio di Les Passions de l’Âme9. E la continuità che lega i commenti di Quattromani e di Severino si offre evidente sin dal titolo di questo secondo: Rime di Monsignor Giovanni della Casa sposte per Marco Aurelio Severino secondo l’Idee d’Hermogene10. Il testo di Ermogene è assai diffuso nella cultura napoletana a cavaliere di Cinque e Seicento11; Severino fa il retore tarsense suo auctor e ne estende la portata dell’opera, fruita quale chiave ermeneutica oltre i testi letterari.
Conta qui la menzione di una lettera, tuttora inedita, indirizzata da Severino ad Harvey nel 1642, dov’è un serrato commento stilistico al De motu cordis e dove si riconosce il successo del libro anche in ragione della sua struttura retorica, che si caratterizza – e qui si badi al lessico da Ermogene mutuato – per dignitas, amplitudo, gravitas12. Che è maniera, tocca dire, assai moderna di leggere il libro di Harvey, come sappiamo dagli studi odierni di Jerome Bylebyl e di Don Bates13. Il dominio retorico è praticato da Severino in maniera non avventizia, se la consuetudine con il testo di Ermogene a lui non viene dalla sola mediazione di Quattromani, ma pure dalla dimestichezza conseguita con l’opera di Giulio Camillo14, del quale egli s’impegna ad epitomare la Topica, secondo quanto attesta un manoscritto oggi nella Biblioteca Lancisiana15.
Conforme alla propria volontà di amministrare con un nuovo corso editoriale la grande cultura napoletana cinque e seicentesca – si pensi all’edizione del 1677, frutto di pluriennale collaborazione, della Magia naturalis di Giambattista della Porta volta in italiano da Pompeo Sarnelli, dov’era recuperata in appendice quell’inedita Chirofisonomia tolta dai plutei dell’erudito Lorenzo Crasso16 –, Bulifon, venuto in possesso delle carte di Severino inabissatesi dopo la morte, prima del 1694, ne aveva già dato alla luce, nel 1690, un breve elegante libretto: La filosofia overo il perché degli scacchi. Un divertissement originante dalla militanza in accademia, la partenopea Accademia degli Oziosi del Manso17; in tale ambiente Severino esibisce negli anni la propria raffinata cultura18, e il trattatello di materia scacchistica è frutto tardivo – ma, nel proprio carteggio, l’autore data il testo primigenio ad anni giovanili – dell’impegno di un chirurgo che si fa homme de lettres, elegante esercizio su storia e regole di un gioco naturaliter concettoso e metaforuto19. Nel corpo dell’operetta è dato rinvenire un inatteso retablo di materia ariostesca, aperto dalle Lodi dell’Ariosto, cui tiene dietro un Breve trascorso e grosso abburattamento dell’Opera del Furioso20. All’insegna del comune ingenium che presiede all’elaborazione della fabula del poema cavalleresco quanto alla prassi peculiare del gioco degli scacchi, Severino si concede una lunga digressione di poetica, dove dichiara la propria concezione della letteratura. Con Severino siamo ormai ben distanti dalla querelle su Ariosto e Tasso e dagli esiti che essa importa entro la cultura letteraria partenopea21, e però lo scienziato calabrese si appella ad una precisa tradizione, quando pone la propria opzione ariostesca nel segno di Francesco Patrizi:
Per la qual dote di producitrice immaginativa, credo ben Io che l’Elogio dell’Ariosto nel suo Orlando Furioso al dottissimo Francesco Patricio sia paruto eccellente sopra tutti gli Epici Poeti Greci, et Latini22.

Proprio Patrizi che nel Parere in difesa dell’Ariosto aveva dialogato polemicamente con il Carrafa di Camillo Pellegrino senior, il teorico della locuzione artificiosa, del concetto poetico, fautore della primazia del Tasso; Pellegrino che tanto rilievo aveva occupato nella caratterizzazione del manierismo napoletano e della costituzione di una dominante linea marinista23. Severino riprende sinanche ad litteras alcuni luoghi di quella polemica, circa la definizione di «romanzo» piuttosto che di poema epico attribuita da Pellegrino al Furioso e oppugnata da Patrizi:
[…] questa si è una favola, et una Poesia di cento inventioni ordita appunto come una tela, che di varii intriga menti, et distrigamenti intessuta, trapunta, et ricamata, l’utile col diletto, la maestà con la dolcezza, la maraviglia con la bellezza singolarmente abbraccia. Favola Io dico, non come molti huomini vollero, Romansa: ma dirittamente composta, et a noi proposta, come Theatro, o Scena, in cui gli humani affari vivamente tutti si rappresentano; o come specchio, in cui gli huomini men volgari ricognoscer se stessi, correggersi, et perfetti render si possono […]24.

Qui si rivela in filigrana il Camillo Delminio oggetto di studio diuturno da parte di Severino, ma la compresenza esplicitata di Patrizi rimanda ad altra via da quella di Pellegrino, che pure adotta Giulio Camillo quale suo autore. Altra la fruizione della Topica camilliana da parte di Pellegrino, che, lungo la propria complessa diacronia, ha sempre al centro della propria elaborazione teorica l’elocutio, sia dichiaratamente sia quando in questa diluisce l’inventio. Inventio ora celebrata da Severino in nome dello ingenium, della producitrice immaginativa, sulla cui base si riecheggia il tópos dell’ut pictura poësis:
Il nome del Poeta imposto fu dagli antichi savii dal verbo poiéo che nella nostra favella val quasi sopra il termino naturale formar ciò, che non era, et non come alcuni credettero, val far solamente ciò, che a vili artefici è comune: imperocché essendo l’altre discipline nelle sole parole, cioè, negli insegnamenti, et negli spiegamenti riposte, et niuna sostanza di cose fuori di queste formando giammai; la Poetica facoltà solo a guisa d’un’altra natura per la forza della vaga fantasia molte cose produce, et crea […] quasi sia al primo Facitore delle cose somigliante […] somigliante oltre modo al Dipintore […]25

Severino instaura un complesso rapporto tra inventio e imitatio:
Io dico prima di tutto la Imitatione, et la Favola […] Egli è l’Imitatione, via per certo modo, et ben segnalato; onde dilettar meravigliosamente le menti humane si possano26.

Severino pone dunque al centro della propria idea di letteratura l’ingenium produttore di diletto e meraviglia in uno spazio fittivo che sia Teatro o Scena, in cui gli umani affari vivamente tutti si rappresentano27. E l’appropriazione della linea Camillo-Patrizi28 si compie nel quadro della sua formazione di physiologus, di filosofo naturale che ha le proprie radici nella filosofia telesiana e campanelliana. L’esquisse di teoria letteraria incastonato nel trattato scacchistico severiniano rielabora, in un denso intarsio, fonti assiduamente escusse e motivi connotativi dell’ambiente autoctono. Si pensi, quanto alle nozioni di ingenium e imitatio, al Trattato dell’ingegno dell’huomo del telesiano Antonio Persio:
Et perché lo ’ngegno nostro non pure tutto dì inventa cose nuove, ma le ’nventate raffina, et assottiglia, et perfettiona; però bisogna distinguere le ’nventate, raffinate, et perfettionate da lui; delle quali ve n’ha una parte, che non rassomiglia la natura, et un’altra che è imitatrice, et disciepola delle cose della natura, et tal volta garreggia con la natura; ma lasciando da parte quelle cose che non rappresentano la natura, et pigliando quelle che la imitano, o pure s’appareggiano a lei, dico che quelle sono dignissime d’esser ammirate, per che elleno fanno ammirare coloro che l’hanno ritrovate, et sole fanno che ’l genere humano si chiami più tosto rivale, che servidore della natura29.

E si pensi a Campanella – di cui Severino è corrispondente sin dagli anni della carcerazione napoletana30 e che costantemente invoca come venerabilis magister meus –, il Campanella dell’imitazione architettonica, e, ancora, in più ampia prospettiva, alla concezione poetica campanelliana così espressa: «Finis ergo poëtae est prodesse, sicut et omnium artium; suaviter autem et facile est eius differentia a caeteris artibus atque scientiis»31. Per Severino il connubio di imitatio e di inventio posto a fondamento dell’elaborazione letteraria ha un eminente fine gnoseologico, entro un processo partecipe dell’attività di conoscenza della architectura mundi:
[…] io nella mia Zootomia, che è a dire investigazione, et osservatione del più intimo degli animali, ho pienamente mostrato che tutte le arti sono dalla natura tolte32.

Severino richiama qui la Zootomia democritaea, la sua opera maggiore, dove si staglia con vigore la nuova immagine della natura umana ed animale della scienza seicentesca, dove si proclama, con accenti campanelliani: «Anatome codex dei», sicché «Nulla autem est via, quae ad tantam divinitatem pertingat, praeterquam Anatome; cui vere concessum est, ut opera divina et contempletur et intelligat»33. E dunque l’imitatio attinge al seno della natura, in essa si profonda, consentanea alla methodus anatomica: «Igitur Anatome duabus est graecis vocibus conflatum nomen, quarum prior aná syncategorema quoddam, idem est fere, quod re, rursus Latinis; tomé, vere sectio, quasi dicas utramque connectendo, repetita saepius et ad ultimam particularum resolutionem facta resectio»34; all’inventio spetta la strategia di ‘rispecchiamento’, sicché le ‘pitture della realtà’ risultino dilettevoli e giovevoli al contempo.
In ragione della metafora bellica costitutiva del gioco degli scacchi e del nesso instaurato tra questo e poema cavalleresco, Severino porta Ariosto sulla scacchiera, dove le mosse disegnano «i varii casi della vita sì nella pace, sì nella guerra, et in questa quali pubbliche, quali private battaglie; et nelle pubbliche, sì le marittime, sì le terrestri, le varie vicendevolezze tanto ben dimostre»35. La letteratura si fa pratica ludica esercitata in accademia, ma altrettanto pratica civile protesa sulla scena culturale e politica barocca, additando i cammini della nuova scienza e ricomponendo – che è atteggiamento diffuso degli intellettuali italiani dello Iron Century36 – in uno spazio idealizzato i contemporanei conflitti socio-politici. E ciò mediante una corrente analogica che attraversa ordine gerarchico dei pezzi sulla scacchiera, ordo rerum e ideale di civitas bene constituta et aedificata37 – non si dimentichi che Severino rielabora il testo de La filosofia overo il perché degli scacchi a cavaliere della fase finale della Guerra dei Trent’anni e della rivolta antispagnola a Napoli.
Parto d’accademia, s’è detto, La filosofia overo il perché degli scacchi di Severino. Allestita al crepuscolo della partenopea Accademia degli Oziosi – sopravvissuta solo per disiecta membra dopo la morte del princeps Giambattista Manso nel 1645 –: ciò ne spiega forse lo status di opera inedita recuperata nell’ultimo scorcio del Seicento dal Bulifon. All’altezza dei negozi preparativi della stampa, tra quanti amministrano il lascito del Manso è Giuseppe Battista, il letterato pugliese insediato a Napoli che collabora gomito a gomito con il settantenne Severino. E che però può pure scrivere al padre Aprosio nell’aprile 1653:
Sto rivedendo i Commentari del Signor Marcaurelio Severino sopra le Rime del Casa. Fatica buona, ma discordante dal mio giudizio38.

Parole che scoprono una tensione non caduca. La scelta filo-tassiana – si ricordi la classica Vita del Tasso opera del Manso39 –, il marinismo sono cifra degli Oziosi, l’accademia partenopea più organica al potere vicereale fiorita a Napoli nella prima metà del Seicento. Luogo di legittimazione per Severino, cittadino prestigioso della république des lettres, ma in patria chirurgo pur sempre, cui a Napoli s’interdice l’ascesa ai gradi più alti della gerarchia medica40.
In tale contesto andrà intesa l’elaborazione dell’inedita antiporta – non confluita nell’edizione Bulifon, ma una cui bozza si è rinvenuta in un recente studio di meritoria erudizione41, e però l’affioramento è ancora abbisognante di piena interpretazione –, concepita da Severino a presentare il proprio trattato di argomento scacchistico. Si badi: Severino ha una schietta e comprovata sensibilità per i fatti paratestuali; dall’antiporta della sua prima opera del 1632, il De recondita abscessuum natura, pregna del gusto impresistico del sodale d’accademia Giulio Cesare Capaccio42, a quella della Zootomia democritaea del 1645, che, nel Democritus sector qui effigiato, celebra la scienza di William Harvey, da lui detto, in una lettera indirizzatagli nel 1638, novus Democritus43.
L’antiporta ideata da Severino per La filosofia overo il perché degli scacchi ha per chiaro soggetto il canto XV dell’Adone, e dunque le ottave della partita a scacchi tra Mercurio, poi sostituito da Adone, e Venere44. La fonte canonica, ampiamente fruita da Severino, il cinquecentesco Scacchia ludus di Marco Girolamo Vida, è qui assunta secondo la riscrittura mariniana, che introduce alcune significative varianti diegetiche: in Vida i giocatori sono Apollo, sostenuto da Marte che bara in suo favore, e Mercurio; in Marino Mercurio, coadiuvato dalla ninfa Galania che trucca il gioco a suo vantaggio, quindi Adone, a fronte di Venere, che, come si vede nella parte bassa della scena, avvedutasi dell’intrigo della ninfa, la insegue percuotendola con la scacchiera per trasformarla infine in tartaruga. L’antiporta mira dunque ad acclimatare nel contesto dell’Accademia degli Oziosi l’operetta severiniana, attualizzando il tema umanistico mutuato dal Vida mediante la rielaborazione derivata dall’Adone. L’incisione è opera del rinomato Pietro del Po’, a mezzo il Seicento attivo a Roma ma capostipite di una famiglia d’incisori che avrà un ruolo di primo piano nell’editoria napoletana seicentesca, coinvolto in ragione della pluriennale amicizia che lega Severino a Cassiano dal Pozzo – il raffinatissimo savant e committente d’arte nella Roma barberiniana e ancor oltre45. Ebbene: nel proprio carteggio con Cassiano46 – qui non è luogo di dire del rapporto tra costui e Marino – Severino dispone in un primo tempo che al giocatore nominato Mercurio nella versione finale dell’incisione diversamente si dia il nome di Adone, per poi questo espungere e in parte recuperare la fonte umanistica in un contesto che è però per tutto il resto mariniano.
Ne consegue l’inevitabile oscillazione: il Furioso con/di fronte a L’Adone, oltre la polarità Ariosto-Tasso, ma pur entro l’egemonia della linea Tasso-Marino agente entro il contesto degli Oziosi.
L’esito dell’incontro tra scienza e letteratura nell’esperienza intellettuale di Severino conduce ad estrema maturazione un processo avviatosi nel secolo precedente, con il trapianto della nuova filosofia della natura telesiana nel dibattito letterario napoletano. È un processo complesso, men che mai lineare, segnato da aporie, come avviene, oltre che nel già ricordato Quattromani, nella declinazione compiutane da Giulio Cortese, la cui parabola interseca quella del succitato Pellegrino e al contempo se ne distingue dialetticamente47. Il programma di ‘poesia filosofica’ di Cortese, fondatore dell’Accademia degli Svegliati frequentata dal giovane Campanella, sconta la frattura tra riflessione teorica, innervata di filosofia telesiana, e prassi letteraria coeva. Una consimile tensione tra elaborazione teorica compiuta sulla base della nuova scienza seicentesca e dominante prassi letteraria di stampo marinista scopre il caso di Severino. Che consuma, su un discrimine, esperienze tanto filosofiche quanto letterarie distintive della cultura napoletana sulla parabola del ‘lungo Cinquecento’. Oltre questa cesura sarà il gran filosofo renatista – parole di Vico – lettore profondo di Descartes, Gregorio Caloprese, riunito in silloge da Bulifon con Quattromani e Severino nell’edizione summenzionata di commenti dellacasiani del 1694. Tentativo, questo, di costruire una tradizione, che è però attraversata da una profonda frattura. È la frattura originata dalla piena ricezione del pensiero moderno, in nome di Galileo e di Cartesio. Quella tradizione, somma di linee spezzate e faticosamente riannodate, giunge a Vico.


NOTE
1 Dopo le pagine pionieristiche, a tutt’oggi suggestive, di M. Rak, La fine dei grammatici. Teoria e critica della letteratura nella storia delle idee del tardo Seicento italiano, Roma, Bulzoni, 1974, pp. 83-124, cfr. S. Contarini, «Il mistero della macchina sensibile». Teorie delle passioni da Descartes a Alfieri, Pisa, Pacini, 1997, pp. 59-108.Top
2 Sulla formazione di Severino, sulla sua parabola scientifica, sui suoi rapporti intellettuali cfr. almeno E. Garin, Noterella telesiana, in «Giornale critico della filosofia italiana», 36 (1957), pp. 56-62, poi (con il titolo di Postilla telesiana) in Idem, La cultura filosofica del Rinascimento italiano. Ricerche e documenti, Firenze, Sansoni, 1961, pp. 442-450; L. Belloni, La dottrina della circolazione del sangue e la scuola Galileiana 1636-1661, in «Gesnerus», 28 (1971), pp. 7-34; C.B. Schmitt-C. Webster, Harvey and M.A. Severino: A Neglected Medical Relationship, in «Bulletin of the History of Medicine», XLV, 45 (1971), pp. 49-74; R. French, William Harvey’s Natural Philosophy, Cambridge, Cambridge University Press, 1994, pp. 240-246; O. Trabucco, Tra Napoli e l’Europa: le relazioni scientifiche di Marco Aurelio Severino (con un’appendice di lettere inedite), in «Giornale critico della filosofia italiana», LXXIV,74 (1995), pp. 309-340; Idem, Anatome codex dei. Natura e conoscenza scientifica nella Zootomia democritaea di Marco Aurelio Severino, in Sciences et religions de Copernic à Galilée, Rome, École française de Rome, 1999, pp. 385-409.Top
3 Solo lambendo una bibliografia ormai vastissima, basti qui citare la corrente di studi alimentata da Ezio Raimondi (del quale cfr. Scienza e letteratura, Torino, Einaudi, 1978): B. Basile, L’invenzione del vero. La letteratura scientifica da Galilei ad Algarotti, Roma, Salerno, 1987, e A. Battistini, Galileo e i Gesuiti. Miti letterari e retorica della scienza, Milano, Vita e Pensiero, 2000.Top
4 Per brevità, sia concesso di rinviare a A. Ottaviani-O. Trabucco, Theatrum naturae. La ricerca naturalistica tra erudizione e nuova scienza nell’Italia del primo Seicento, Napoli, La Città del Sole, 2007.Top
5 Cfr. N. Badaloni, Introduzione a G. B. Vico, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 9-78.Top
6 Cfr. E. Garin, Da Campanella a Vico, in Campanella e Vico, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1969, pp. 11-34, poi in E. Garin, Dal Rinascimento all’Illuminismo. Studi e ricerche, Firenze, Le Lettere, 19932, pp. 73-106; M. Torrini, La discussione sullo statuto delle scienze tra la fine del ’600 e l’inizio del ’700, in Galileo e Napoli, a cura di F. Lomonaco e M. Torrini, Napoli, Guida, 1987, pp. 357-383, da leggere in connessione a G. Galasso, Scienze, filosofia e tradizione galileiana in Europa e nel Mezzogiorno d’Italia, ivi, pp. IX-LVI, poi raccolto in Idem, La filosofia in soccorso de’ governi. La cultura napoletana del Settecento, Napoli, Guida, 1989, pp. 69-117.Top
7 Alla cui origine deve risaputamente porsi F. Nicolini, La giovinezza di Giambattista Vico, Bari, Laterza, 1932; ma, per copia di risultati già sortiti da Nicolini a quell’altezza, cfr. la sezione di Notizie complementari e riferimenti, non confluita nel libro laterziano e invece contenuta nella versione apparsa in «Atti dell’Accademia Pontaniana», 61 (1931), pp. 109-190 (di cui ora esiste una ristampa anastatica, per cura dell’Istituto italiano per gli Studi Storici, dell’estratto stampato nel 1932: Bologna, Il Mulino, 1992).Top
8 Sull’attività di Bulifon in Napoli N. Cortese, Antonio Bulifon editore e cronista napoletano del Seicento, che è saggio introduttivo del volume, a cura del medesimo studioso, di A. Bulifon, Giornali di Napoli dal 1547 al 1706, Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, 1932, pp. XXV-XLIII; Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi, a cura di A. Quondam e M. Rak, I, Napoli, Guida, 1978, pp. 107-213.Top
9 Di quest’edizione bulifoniana si ha una ristampa anastatica in G. Caloprese, Opere, a cura di F. Lomonaco e A. Mirto, Napoli, Giannini, 2004, volume corredato di utili studi dei due curatori. Su Quattromani G. Ferroni-A. Quondam, La “locuzione artificiosa”. Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell’età del manierismo, Roma, Bulzoni, 1973, pp. 149-164; A. Quondam, La parola nel labirinto. Società e scrittura del Manierismo a Napoli, Roma-Bari, Laterza, 1985, pp. 285-287; L. Bolzoni, Conoscenza e piacere. L’influenza di Telesio su teorie e pratiche letterarie tra Cinque e Seicento e A. Borrelli, «Scienza» e «scienza della letteratura» in Sertorio Quattromani, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, a cura di R. Sirri e M. Torrini, introduzione di G. Galasso, Napoli, Guida, 1992, pp. 203-239, 270-296; F.W. Lupi, Introduzione al volume di propria cura S. Quattromani, Scritti, Rende, Centro Editoriale Librario-Università degli Studi della Calabria, 1999, pp. VII-LXVII. Su Caloprese M. Rak, La fine dei grammatici, cit., passim; M. Torrini, Le passioni di Paolo Mattia Doria. Il problema delle passioni dell’animo nella Vita Civile, in «Giornale critico della filosofia italiana», 62 (1983), pp. 129-152, poi raccolto in Paolo Mattia Doria fra rinnovamento e tradizione, Atti del Convegno di studi, Lecce, 4-6 novembre 1982, Galatina, Congedo, 1985, pp. 433-454; E. Nuzzo, Verso la «Vita Civile», Napoli, Guida, 1984, passim; S. Contarini, «Il mistero della macchina sensibile»…, cit.; S. Serrapica, Note napoletane alle «Passioni dell’anima», in «Giornale critico della filosofia italiana», 75 (1996), pp. 476-494; E. Lojacono, Immagini di René Descartes nella cultura napoletana dal 1644 al 1755, Lecce, Conte, 2003, pp. 58-63.Top
10 Per alcune componenti intrinseche della lirica dellacasiana in relazione ai trattati di Demetrio Falereo e di Ermogene, A. Cristiani, Dalla teoria alla prassi. La gravitas nell’esperienza lirica di Giovanni Della Casa, in «Lingua e stile», 14 (1979), pp. 81-106.Top
11 Su tale diffusione G. Ferroni-A. Quondam, La “locuzione artificiosa”…, cit.; A. Quondam, La parola nel labirinto…, cit.; L. Bolzoni, Conoscenza e piacere…, cit.; F.W. Lupi, Quattromani interprete di Tasso, nel volume d’atti a cura dello stesso e di A. Daniele, Torquato Tasso quattrocento anni dopo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1997, pp. 91-113; più largamente, per la situazione italiana, le penetranti osservazioni di R. Scrivano, Linguaggio della critica nel Cinquecento, in Renaissance Studies in honor of Hans Baron, ed. by A. Molho and J.A. Tedeschi, Firenze, Sansoni, 1971, pp. 467-498, poi in Idem, La norma e lo scarto. Proposte per il Cinquecento letterario italiano, Roma, Bonacci, 1980, pp. 275-302.Top
12 Di tale importante lettera si appresta l’edizione da parte di chi scrive. Cfr. Le Idee, overo Forme della oration da Hermogene considerate, e ridotte in questa lingua per M. Giulio Camillo Delminio… nuovamente mandate in luce…, In Udine, Appresso Gio. Battista Natolini, 1593, pp. 1-3: «S’altra cosa è necessaria all’oratione, avisomi essere le Idee, overo Forme di quella […] Dico adunque le forme esser quelle, che rendono perfetta l’oratione di Demosthene, et sono sette principali, Chiarezza, Grandezza, Bellezza, Prestezza, Costume, Veritate, Gravitate».Top
13 Cfr. J.J. Bylebyl, The growth of Harvey’s De motu cordis, in «Bulletin of the History of Medicine», 47 (1973), pp. 427-470; D.G. Bates, Harvey’s account of his “discovery”, in «Medical History», 36 (1992), pp. 361-378 e Idem, Closing the Circle: how Harvey and his Contemporaries Played the Game of Truth (I-II), in «History of Science», 36 (1998), pp. 213-267; sempre preziose l’Introduzione e le Note di F. Alessio al volume di sua cura W. Harvey, Opere, Torino, Boringhieri, 1963.Top
14 Su Camillo basti qui il rinvio a L. Bolzoni, Il teatro della memoria. Studi su Giulio Camillo, Padova, Liviana, 1984.Top
15 Roma, Biblioteca Lancisiana, Fondo Severino, ms. 26, cc. 33r-41r.Top
16 Su tali vicende testuali e editoriali O. Trabucco, Criteri di edizione, premessi a G.B. della Porta, Chirofisonomia, in appendice a Idem, De ea naturalis physiognomoniae parte quae ad manuum lineas spectat libri duo, Napoli, ESI, 2003, pp. 71-74.Top
17 Su tale accademia V.I. Comparato, Società civile e società letteraria nel primo Seicento: l’Accademia degli Oziosi, in «Quaderni storici», 23 (1973), pp. 359-388; A. Quondam, La parola nel labirinto…, cit., pp. 249-266; G. de Miranda, Una quiete operosa. Forma e pratiche dell’Accademia Napoletana degli Oziosi 1611-1645, Napoli, Fridericiana Editrice Universitaria, 2000.Top
18 Su Severino accademico Ozioso O. Trabucco, Tra Napoli e l’Europa…, cit. Top
19 La bibliografia sul rapporto tra letteratura e gioco degli scacchi è varia, disseminata e difforme: per la prospettiva del discorso presente, anche se ad altri contesti riferentisi, utile rinviare a M. Ciccuto, In figura di scacchi. Spazi di storie tardogotiche, in Passare il tempo. La letteratura del gioco e dell’intrattenimento dal XII al XVI secolo, Atti del Convegno di Pienza, 10-14 settembre 1991, Roma, Salerno, 1993, pp. 91-103; M. Farina, «Neither can bost the Conquest»: metafora e morale politica degli scacchi nella poesia minore del Rinascimento, in «Intersezioni», 28 (2008), pp. 391-423.Top
20 M.A. Severino, La filosofia overo il perché degli scacchi…, In Napoli, A spese d’Antonio Bulifon, 1690, pp. 40-47 (del testo s’è avuta un’assai meritoria ristampa anastatica, corredata di un volume di studio introduttivo, per le cure di D. D’Elia: “… Essercitando in un lo stile per iscoprire il vero”, I-II, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002.Top
21 Su cui A. Quondam, La parola nel labirinto…, cit., pp. 25-62; cfr. inoltre B. Weinberg, A History of Literary Criticism in the Italian Renaissance, II, Chicago, The University of Chicago Press, 1961, pp. 954-1073; R. Scrivano, Linguaggio della critica nel Cinquecento…, cit. Top
22 M.A. Severino, La filosofia overo il perché degli scacchi…, cit., p. 40.Top
23 Su Pellegrino R. Scrivano, Linguaggio della critica nel Cinquecento…, cit.; G. Ferroni-A. Quondam, La “locuzione artificiosa”…, cit. pp. 92-125; A. Quondam, La parola nel labirinto…, cit., pp. 32-43.Top
24 M.A. Severino, La filosofia overo il perché degli scacchi…, cit., p. 44. Si legga a petto di questo luogo del Parere del Signor Francesco Patrici, in difesa dell’Ariosto, in Apologia del Sig. Torquato Tasso in difesa della sua Gierusalemme Liberata. Con alcune altre Opere, parte in accusa, parte in difesa dell’Orlando Furioso dell’Ariosto, della Gierusalemme stessa, e dell’Amadigi del Tasso Padre, In Ferrara, Appresso Giulio Cesare Cagnacini, et Fratelli, 1585, pp. n.n.: «[…] dubiti [Pellegrino] più fondatamente se l’Ariosto sia Poeta Eroico. Et affermi, ch’egli sia Romanzo, quando meglio havrà rintracciata l’origine, e la derivazione del nome Romanzo […] diciam noi, che il nome di Romanzo, sia venuto dal verbo Romanzare […] Il quale nacque tra Galli, allora quando soggiogati da Romani, tra corrotto e buono, cominciarono a parlare, e a scrivere Romano […] E perché tra loro rinacque la poesia scritta in quel Romano parlar corrotto; la poesia, di qualunque guisa ella fosse, Romanzo fu dimandata […] Il che stante, tanto sarà Romanzo, quanto fu l’Epico del secondo significato, ogni verso in generale dinotante. E così sarà Romanzo non pure l’Ariosto, ma il Tasso ancora, e ’l Petrarca, e Dante, e ogni altro Poeta, di questa lingua di qualunque materia si ragioni, o vera, o finta, o istorica, o scienziale. E non quel solo che nel Dialogo [Il Carrafa] si divisa, che Romanzo sia, e si prenda per canzone di canta in banco, d’huomini indotti, e plebei, e senza nome, o indegni di nome di Poeta».Top
25 Ivi, pp. 38-39.Top
26 Ivi, p. 74.Top
27 Per tali temi peculiari del Barocco, oltre i classici E. Raimondi, Letteratura barocca. Studi sul Seicento italiano, Firenze, Olschki, 1961 e J.A. Maravall, La cultura del Barocco, trad. it., Bologna, Il Mulino, 1985, cfr. ora A. Battistini, Il Barocco, Roma, Salerno, 2000, pp. 51-86, 131-150 particolarmente; cfr. pure i capitoli Il Tesauro o dell’«ingannevole maraviglia» e Schede: il Gran Theatro del Mondo, raccolti in M. Costanzo, Dallo Scaligero al Quadrio, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1961, pp. 69-100, 239-278; G. Jori, Per evidenza. Conoscenza e segni nell’età barocca, Venezia, Marsilio, 1998, pp. 107-138. Da una specola più segnatamente storico-filosofica M. Torrini, Il ‘topos’ della meraviglia come origine della filosofia tra Bacon e Vico, in Francis Bacon. Terminologia e fortuna nel XVII secolo, a cura di M. Fattori, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984, pp. 261-280.Top
28 Su cui L. Bolzoni, L’universo dei poemi possibili. Studi su Francesco Patrizi da Cherso, Roma, Bulzoni, 1980, pp. 102-103.Top
29 A. Persio, Trattato dell’ingegno dell’huomo, a cura di L. Artese, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1999, p. 24. Sul Persio, oltre gli studi di Artese, resta fondamentale E. Garin, Nota telesiana: Antonio Persio, in «Giornale critico della filosofia italiana», 28 (1949), pp. 414-421, poi in Idem, La cultura filosofica del Rinascimento italiano…, cit., pp. 432-441; cfr. inoltre L. Bolzoni, Conoscenza e piacere…, cit.; S. Gensini, Ingenium/ingegno fra Huarte, Persio e Vico: le basi naturali dell’inventività umana, nel volume d’atti a cura dello stesso e di A. Martone, Ingenium propria hominis natura, Napoli, Liguori, 2002, pp. 29-69.Top
30 Dei rapporti epistolari intercorsi tra Severino e Campanella sopravvivono tre lettere, due del 1624 una del 1629, tutte aventi Campanella a mittente, cfr. T. Campanella, Lettere, a cura di V. Spampanato, Bari, Laterza, 1927, pp. 204, 210, 225.Top
31 Su questi aspetti della poetica campanelliana in rapporto al discorso che qui si svolge L. Bolzoni, Conoscenza e piacere…, cit.; per il passo dei Commentaria citato cfr. T. Campanella, Opere letterarie, a cura di L. Bolzoni, Torino, UTET, 1977, p. 830. Top
32 M.A. Severino, La filosofia overo il perché degli scacchi, cit., p. 75.Top
33 Idem, Zootomia Democritaea: Idest, Anatome Generalis totius animantium Opificii…, Noribergae, Literis Endterianis, 1645, pp. 16, 232.Top
34 Ivi, p. 35.Top
35 Idem, La filosofia overo il perché degli scacchi…, cit., pp. 41-42; sulla guerra come tema pervasivo, suscettibile di amplissima trascrizione metaforica, negli scrittori italiani del Seicento G. Benzoni, I “frutti dell’armi”. Volti e risvolti della guerra nel ’600 in Italia, Ventimiglia, Philobiblon, 20042.Top
36 Per il contesto napoletano del rapporto tra intellettuali e politica V.I. Comparato, Società civile e società letteraria nel primo Seicento…, cit.; G. Galasso, Napoli spagnola dopo Masaniello. Politica cultura società, I, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 117-120; A. Musi, “Non pigra quies”. Il linguaggio politico degli Accademici Oziosi e la rivolta napoletana del 1647-48, in Il linguaggio politico delle rivoluzioni in Europa, a cura di E. Pii, Firenze, Olschki, 1995, pp. 83-104, poi in Idem, L’Italia dei Viceré. Integrazione e resistenza nel sistema imperiale spagnolo, Salerno, Avagliano, 2000, pp. 129-147.Top
37 Cfr. M.A. Severino, Zootomia Democritaea…, cit., p. 208. E si legga quanto è detto poco dopo instaurando analogia tra corporis fabrica e societas publica: «Atque nos ea, quae circa nos privatim atque etiam circa alios agenda jubentur, aperte, nisi fallor, ex constitutione corporis ediscere possumus. Quantum enim ad rationem, qua nos uti oportet ad universos proximos mortales, praeclare nos adone omnium corporis partium principum ac viliorum unitas et ad se invicem confoederatio, sive quidem in secundo rerum statu sive in adverso. In quo quidem posteriore sicuti cuique particulae laboranti protinus condolescunt aliae; sic in altero feliciore conferenti uni beneficium statim altera rependit» (p. 210). Sul tema vastissimo del rapporto tra corpo fisico e corpo politico ci si limita a rimandare, anche per la ricchezza della bibliografia citata e discussa, a A. Pastore, Corps physique et corps politique: les enjeux de l’histoire sociale de la médicine (XVIe-XVIIe siècles), in «History and Philosophy of the Life Sciences», 25 (2003), pp. 501-513, poi raccolto in versione italiana, col titolo Il corpo fisico e il corpo politico, in Idem, Le regole dei corpi. Medicina e disciplina nell’Italia moderna, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 17-35. Per l’intersezione dei campi semantici e ideologici (naturale, morale, politico) evocati dall’ordine ideale della scacchiera già nella letteratura medievale M. Ciccuto, In figura di scacchi…, cit.; per il Cinque-Seicento M. Farina, «Neither can bost the Conquest»…, cit. Top
38 Su Giuseppe Battista si rinvia alle pagine introduttive premesse da G. Rizzo all’edizione di sua cura G. Battista, Opere, Galatina, Congedo, 1991; la citazione del frammento di lettera è tratta da G. Rizzo, Lettere di Giuseppe Battista al padre Angelico Aprosio, in «Studi Secenteschi», 38 (1997), pp. 267-318 (la citazione da p. 291), da vedere anche per i rapporti tra Severino e Battista.Top
39 La si veda nella pregevole edizione allestita per le cure di B. Basile: G.B. Manso, Vita di Torquato Tasso, Roma, Salerno, 1995.Top
40 Su tale condizione O. Trabucco, Barbieri e fisici. Un documento sullo status della medicina nella Napoli barocca, in «Aprosiana. Rivista annuale di studi barocchi», 9 (2001), pp. 195-210, poi, rielaborato, in A. Ottaviani-O. Trabucco, Theatrum naturae. La ricerca naturalistica tra erudizione e nuova scienza nell’Italia del primo Seicento…, cit., pp. 123-167.Top
41 Cfr. D. D’Elia: “… Essercitando in un lo stile per iscoprire il vero”…, I, cit., pp. 183-211.Top
42 Su Capaccio Ozioso A. Quondam, La parola nel labirinto…, cit., pp. 187-225; G. de Miranda, Una quiete operosa…, cit., passim; per il suo profilo di trattatista d’imprese R. Klein, La théorie de l’expression figurée dans les traités italiens sur les «imprese», in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», 19 (1957), pp. 320-341, poi in Idem, La forma e l’intelligibile. Scritti sul Rinascimento e l’arte moderna, trad. it., Torino, Einaudi, 1975, pp. 125 sgg.; G. Savarese-A. Gareffi, La letteratura delle immagini nel Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1980, pp. 50-51, 225-230; G. Arbizzoni, «Un nodo di parole e di cose». Storia e fortuna delle imprese, Roma, Salerno, 2002, ad indicem.Top
43 La lettera è edita in appendice a O. Trabucco, Tra Napoli e l’Europa: le relazioni scientifiche di Marco Aurelio Severino…, cit., p. 338. Su tale iconografia Idem, Un commento ad Ippocrate per Cristina: la «In Hippocratis librum De veteri medicina paraphrasis» di Lucantonio Porzio, in Cristina di Svezia e la cultura delle accademie, Atti del Convegno Internazionale, Macerata-Fermo, 22-23 maggio 2003, a cura di D. Poli, Roma, Il Calamo, 2005, pp. 271-296; C. Volpi, Filosofo nel dipingere: Salvator Rosa tra Roma e Firenze (1639-1659), in Salvator Rosa tra mito e magia, Napoli, Electa, 2008, pp. 28-46.Top
44 Cfr. le ottave 120-181, in G.B. Marino, L’Adone, a cura di G. Pozzi, Milano, Adelphi, 1988, e il dottissimo commento relativo ivi, pp. 582-593.Top
45 La bibliografia su Cassiano dal Pozzo è ormai assai vasta, sicché si rimanda all’ultimo ampio contributo costituito dal catalogo della mostra I Segreti di un Collezionista. Le straordinarie raccolte di Cassiano dal Pozzo 1588-1657, a cura di F. Solinas, Roma, De Luca, 2000; per i rapporti tra Cassiano e Severino O. Trabucco, Scienza e comunicazione epistolare: il carteggio fra Marco Aurelio Severino e Cassiano dal Pozzo (con un’appendice di nuovi documenti), in «Giornale critico della filosofia italiana», 76 (1997), pp. 204-249.Top
46 Cfr. gli excerpta pubblicati in D. D’Elia: “… Essercitando in un lo stile per iscoprire il vero”…, I, cit., pp. 281-319.Top
47 Su Cortese sono fondamentali gli studi di L. Bolzoni, fra cui basti il rinvio a Conoscenza e piacere. L’influenza di Telesio su teorie e pratiche letterarie tra Cinque e Seicento…, cit.; cfr. pure G. Ferroni-A. Quondam, La “locuzione artificiosa”…, cit., pp. 178-197; M.S. Pezzica, Una galleria di intellettuali nel poema inedito di Giulio Cortese, in «La rassegna della letteratura italiana», 88 (1984), pp. 117-145; M. Slawinski, La poetica di Giulio Cortese tra Campanella e Marino, in «Bruniana e Campanelliana», 7 (2001), pp. 127-153.Top
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft