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La guerra controffensiva
di G. G.
L’autore scrive subito dopo che Bush ha dato a Saddam Hussein 48 ore per lasciare, coi figli, il suo Paese, disarmare e cambiare regime. Il comportamento dell’Iraq, specialmente dopo la guerra del 1991 giustifica preoccupazioni e reazioni, come dimostrano le stesse ammissioni irachene precedenti l’ultimatum del 17 marzo, provando che il governo aveva mentito nelle negazioni dei mesi e delle settimane precedenti.
Tuttavia il comportamento americano è ispirato dall’offesa materiale e morale che gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno arrecato allo spirito degli Stati Uniti. Agli attentati di New York sono seguite delle dichiarazioni del presidente Bush indicanti una prima formulazione di strategia che il paese intendeva attuare come risposta, l’America avrebbe combattuto fino in fondo anche contro tutti quei Paesi che avessero avuto un qualche collegamento con organizzazioni terroristiche, una guerra controffensiva senza tregua e senza quartiere. Non contestare queste dichiarazioni e sottovalutare quell’offesa è stato un errore politico di molti, ed è stato altresì sbagliato non pensare che per gli Stati Uniti l’effetto di questa crisi sarebbe stato un potente rilancio, una immediata estensione di fini e di mezzi, un’intransigente esigenza di solidarietà e appoggio.
Non si comprende, dunque, l’ondata pacifista che ha investito, non tanto la Chiesa o chi difende le grandi linee umanitarie e morali e nemmeno quella legata a evidenti ipocrisie, ma, Francia, Germania, Russia e Cina.
È meglio forse non approvare immediatamente e totalmente ciò che fanno gli Stati Uniti, aspirando a una propria individualità autonoma di condotta politica, senza poi contrapporsi frontalmente con Paesi con i quali le ragioni di solidarietà sono ineludibili.


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