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«Fusse un frate liberale». Biografi e lettori di Bruno dall’Unità a Campo de’ Fiori
di Alessandro Savorelli
Aveva colto nel segno l’ortolana a cui Raffaele Mariano aveva chiesto l’identità della statua di Campo de’ Fiori, rispondendo che si trattava di un frate liberale, additandolo quindi come un personaggio politico.
Si è fatto di Bruno certamente un uso strumentale facendolo diventare una bandiera di opposte visioni del mondo, alle celebrazioni romane del 1889 e alla letteratura prodotta a cavallo di quest’anno - senza alcun valore filologico o ermeneutico - è stata contrapposta la sobrietà e serietà degli studiosi e degli interpreti del primo periodo unitario, tesi a promuovere un’operazione di pedagogia politica che aveva messo realmente in moto distinti progetti di ricerca.
Nonostante le pretese di Domenico Berti, in realtà Bruno non fu un oggetto neutro di mera ricerca filologica e storica, ci fu però da parte di Tocco, Berti, Mariano ed altri la richiesta di una sua lettura più raffinata, una lettura liberale che pose sul tappeto un problema storiografico autentico – l’interpretazione del Rinascimento.
Dall’analisi delle principali brochures che contrappuntano la vicenda del monumento si capisce che questa lettura esisteva, una lettura centrista che conviveva e si confrontava con quella radicaleggiante ben rappresentata dai due libelli di Padre Previti e David Levi. Nonostante i caratteri della lettura liberale di Bruno la circoscrivono rispetto alle ali estreme, non costituiscono un elemento unificante di quanto si era scritto per circa un trentennio sul Nolano tra l’Unità e il rito di Campo de’ Fiori, ma neanche si scorgono linee contrapposte, come aveva individuato invece Nicola Badaloni: una sorta di linea maestra, sulla scia già ben collaudata di una genealogia illustre, che andava da Spaventa a Labriola; una spiritualistico-moderata che risaliva a Mamiani e, che, complice Berti avrebbe attratto a sé i neokantiani Tocco e Cantoni.
Barzellotti aveva indicato un punto decisivo sostenendo che non c’era ancora una monografia completa di Bruno, non si poteva considerare tale né l’opera di Spaventa, né quella di Fiorentino o di Mariano e tanto meno la Vita scritta da Berti, in cui egli ne analizza anche la dottrina, tuttavia quest’ultima appare un’interpretazione bruniana che è l’anti-Spaventa cioè la negazione degli assunti principali della tesi spaventiana, in primo luogo l’unità del pensiero bruniano. Spaventa rispose cercando di dimostrare che la posizione di Berti non era né neutra né super partes.
Negli stessi anni in cui Spaventa replica a Berti, un suo allievo, Sebastiano Maturi si incarica di una difesa d’ufficio del Bruno di Hegel e di Spaventa in un discorso tenuto al liceo di Trapani. Maturi, pur possedendo tutti gli elementi del Bruno di Spaventa, andava ad incrinare un punto importante della teoria della “circolazione” spaventiana e della sua particolare lettura di Hegel, ciò costituisce il primo sintomo di revisione delle posizioni del suo maestro. Un processo analogo si ha nel capitolo su Bruno del Telesio di Fiorentino, in cui si verifica un certo cedimento sull’aspetto meno nuovo e meno sviluppato del lavoro di Berti, quello dell’analisi dei testi.
Negli anni Settanta si parlò poco di Bruno, l’interesse verso il Nolano riprese all’inizio del decennio successivo. È del 1881 un libretto di carattere divulgativo che ebbe una certa diffusione, dovuto a Raffaele Mariano, in cui per la prima volta si affronta esplicitamente il rapporto tra il pensiero di Bruno, la religione e il cristianesimo. Mariano fu allievo di Augusto Vera, appartenente alla corrente hegeliana che si vuole denominare ortodossa, secondo lui il limite di Bruno e dei suoi moderni apologeti liberali era l’astrattezza di una riforma tutta svolta sul piano politico, filosofico e intellettuale, e non calata nel vivo della coscienza religiosa e morale del popolo, nel costume.
Il libello di Mariano ci introduce nel clima che circondò Bruno nel decennio che si concluse coll’episodio del monumento, il Nolano ritornava al centro delle discussioni sull’ethos risorgimentale, sulle contraddizioni nell’Unità e sugli aspri conflitti ideologici in atto.
Il lavoro più importante su Bruno di tutto il decennio è la conferenza di Felice Tocco – Giordano Bruno – letta al circolo filologico fiorentino nel 1886, l’argomento era la revisione dei dati sui processi, emersi dalla Biografia del Berti, e dalla ridefinizione della posizione di Bruno in tema di religione. Tocco ascrive Bruno ad una corrente «razionalistica» dell’interpretazione del dogma, che l’identifica col fautore di un «sincretismo» religioso volto alla definizione di una religione razionale, purificata dalle cristallizzazioni teologiche e dalle incrostazioni del culto. Egli commise, secondo Tocco, il duplice errore: di non credere di venir meno all’ortodossia; di confidare in una apertura verso la libertà filosofica cui i tempi non erano più maturi.
In Tocco rileviamo una lettura liberale di Bruno che per proseguire aveva bisogno di rinunciare a un caposaldo della lettura spaventiana, l’unità del pensiero bruniano e il «primato» della metafisica.
In realtà la tenuta insieme dell’argomentazione di Tocco mostrava due zone opache, la sottovalutazione dell’oggettivo spirito anticristiano di molta parte dell’opera di Bruno e l’ascrizione del “razionalismo teologico” di Bruno a una matrice neoplatonica.
Fuori dai limiti cronologici di questo intervento c’è da dire che a concludere idealmente la lettura liberale di Bruno è il saggio di Gentile nel 1907. Gentile giungerà alla conclusione – riprendendo in fondo le posizioni di Mariano – della fine del Rinascimento come una specie di suicidio innescato dalle contraddizioni del Rinascimento stesso, opposta alla visione di Labriola che ripeteva la tesi spaventiana dell’infanticidio della filosofia moderna.


Sintesi a cura della redazione
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