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Teorema
di Antonio Maccanico
L’esperienza storica dimostra che le democrazie contemporanee crescono, si sviluppano, si rafforzano se hanno un sistema politico con elevato grado di efficienza. Gli ordinamenti possono essere diversi, ma questo elemento – efficienza del sistema politico – è comune a tutti.
È chiaro che l’efficienza del sistema politico non è di per se garanzia di progresso, di avanzamento civile, di prosperità: se la linea di fondo della politica dei gruppi dirigenti del governo è errata i risultati saranno deludenti anche in un sistema che funziona. Si tratta quindi di una condizione necessaria, anche se non sufficiente.
Che cosa si intende per “elevato grado di efficienza del sistema politico?”; quali sono gli elementi costitutivi di un sistema politico democratico efficiente nel nuovo millennio?
In primo luogo una forte stabilità di governo e un procedimento di decisione politica ragionevolmente rapido sia nella ideazione che nei passaggi parlamentari, il che comporta una leadership autorevole; in secondo luogo una struttura amministrativa attuativa efficace e tempestiva; in terzo luogo un sistema giudiziario ben funzionante; infine una vera divisione dei poteri e organi di garanzia a loro tutela.
Sempre l’esperienza storica dimostra che i paesi con “sistema politico efficiente” hanno un assetto partitico sostanzialmente bipolare: cioè le forze politiche si raccolgono in due aggregazioni alternative nella contesa per il governo e per la guida politica del paese.
In alcuni paesi questa alternanza è “bipartitica”, cioè sono sulla scena due partiti che si alternano al governo; in altri sono due coalizioni di partiti che si fronteggiano. In questo secondo caso nelle due coalizioni vi sono due partiti egemoni. In comune hanno sistemi elettorali con forti elementi maggioritari che affidano la scelta della formazione politica che deve andare al governo direttamente al corpo elettorale, il che assicura stabilità di governo.
È assai raro il caso che paesi ad assetto partitico “multipolare” cioè con formazioni politiche non “polarizzate” e con sistemi elettorali proporzionali, siano “sistemi politici efficienti”.
Non lo sono perché non sono in grado di assicurare la stabilità di governo, affidata alle trattative tra i partiti, e non alla scelta degli elettori.
Un modello a se è la Germania: il sistema è proporzionale, ma vi è lo sbarramento elettorale al 5 per cento e il sistema almeno finora è polarizzato sui due partiti maggiori. Presenta problemi, ma vi si accennerà più avanti.
In alcuni casi tuttavia il proporzionalismo è reso necessario ed irrinunciabile in quanto il discrimine tra le forze politiche è o di natura etnico (Belgio), o di natura religiosa (Israele), o di forte contrapposizione ideologica, come in Italia durante la prima repubblica.
E il caso italiano è la conferma di quanto si è qui esposto: il referendum sulla legge elettorale che ha portato all’adozione di un sistema elettorale prevalentemente maggioritario e segnato la fine dei partiti “ideologici” ha inaugurato la stagione della stabilità dei governi, della alternanza e della scelta popolare della coalizione di governo.
Non si è ovviamente realizzato un sistema politico efficiente per l’assenza delle altre condizioni ricordate all’inizio, ma stabilità e alternanza sono spuntate all’orizzonte. Anche al livello locale (regioni, province, comuni) con le elezioni dirette dei capi dell’esecutivo, nonostante che le leggi elettorali proporzionali per i consigli abbiano generato una frammentazione politica che ne inceppa la governabilità, il bipolarismo si è affermato.
Persino la legge elettorale vigente, pur pessima sotto vari profili, proporzionale ma con premio di maggioranza ha salvato l’assetto bipolare delle forze politiche. Si può dire anzi che la scelta del partito democratico di andare alle elezioni escludendo alleanze eterogenee ha provocato un contraccolpo positivo anche nel centro destra, e ne è derivato un consolidamento dell’assetto bipolare e una semplificazione degli schieramenti politici: i gruppi parlamentari si sono dimezzati.
Dopo la crisi del partito democratico, con i contrasti tra i leaders, le dimissioni di Veltroni, la sconfitta in Sardegna, e l’andamento dei sondaggi in senso negativo per il partito, si parla sempre più insistentemente di fine del bipolarismo, di nuova prospettiva tripolare, di una formazione di centro ago della bilancia tra i due schieramenti, di ritorno al proporzionale come sbocco possibile a scadenza più o meno ravvicinata.
Né la trionfale celebrazione della nascita del partito del popolo della Libertà con la fusione di A.N. e di F.I. ha dissipato queste previsioni. E il recente congresso dell’U.D.C. ha annunciato la nascita del partito centrista della nazione.
Ora, è indubbio che, se le prossime elezioni amministrative europee indicheranno un arretramento del consenso al partito democratico, la prospettiva di un assetto bipolare consolidato diverrà di più difficile realizzazione.
Ma ciò non segnerà affatto né l’alba di un assetto tripolare, né il ritorno al proporzionalismo d’antan.
Significherà solo che si sarà rafforzato e reso per un lungo tasso di tempo stabile un assetto “unipolare”, fondato sulla coalizione di centro-destra guidata da Berlusconi, che si avvierà a giocare un ruolo insostituibile finché il carisma del leader reggerà. Con l’aggravante che le condizioni gravissime dell’economia, la crescita del disagio sociale e delle turbolenze che l’accompagneranno, rafforzeranno la tenuta del Governo e lo indurranno ad imboccare una linea in certo modo plebiscitaria e autocratica che già è spuntata all’orizzonte con le dichiarazioni “presidenzialiste” di Berlusconi e la proposta del voto ai soli capigruppo in Parlamento.
Del resto Cicchitto è stato molto chiaro sul nuovo partito in via di costituzione: “leaderistico e presidenziale”. Né il discorso di Fini al recente ultimo congresso di AN, contro il cosiddetto pensiero unico, cambia questa realtà. Il leader del partito del popolo della Libertà è Berlusconi e le idee guida le darà lui. E nel discorso finale Berlusconi è stato chiarissimo nella impostazione “cesaristica” del suo progetto di riforme, che rivela una sorta di insofferenza per la Costituzione “rigida”, difesa dai poteri del parlamento, dal Presidente della Repubblica, dalla Corte Costituzionale e dai referendum popolari per le modifiche non adottate con la maggioranza qualificata dei due terzi in Parlamento.
Quanto all’efficienza del sistema politico, ne rimarrebbe vivo solo il miraggio, anche se la linea leaderistica presidenziale potrà essere presentata come via maestra all’efficienza.
Certo, la tendenza autocratica, per quanto soft, potrà trovare un ostacolo nell’Unione europea.
Ma purtroppo anche l’Unione non gode ottima salute e stenta a trovare la linea giusta per uscire dalla crisi e salvarsi dalla disgregazione, e cioè non riesce a fare quel balzo in avanti nella integrazione politica che assicurerebbe una vera convergenza operativa.
La difficoltà è soprattutto nel paese più forte e più prospero dell’Unione, la Germania.
I due partiti del governo di coalizione Merkel sono in serie difficoltà per le pressioni di formazioni politiche populistiche che li assediano: il populismo di sinistra della Linke, che sottrae consensi importanti ai socialdemocratici; il populismo dei partiti di destra, a partire dai liberali, che erode i consensi della CDU. Ambedue gli schieramenti populisti sono euroscettici. Ne consegue la paralisi decisionale. È il frutto del sistema elettorale proporzionale e dello sbarramento al 5 per cento che rischia di divenire insufficiente dopo l’esperienza della grande coalizione. È sperabile che le elezioni di settembre consentano il superamento della fase “della grande coalizione” e segnino la sopravvivenza dell’assetto bipolare, ma è assai difficile prevedere gli indirizzi di politica europea che ne deriveranno.
Quale la conclusione della tesi qui esposta? Non vi sono scorciatoie: o si riapre la prospettiva di un assetto politico “bipolare”, o la democrazia italiana nel futuro prossimo imboccherà una strada sicuramente incerta, densa di rischi e pericoli e forse il declino non si arresterà, ma accelererà la sua corsa: non si può essere affatto sicuri che la irrilevanza dell’opposizione non provochi di riflesso esasperazione dei contrasti interni alla maggioranza e instabilità politica. È auspicabile che le variegate tribù politiche dell’opposizione prendano coscienza di questa realtà: a partire dal gruppo dirigente del partito democratico, e si pongano l’obbiettivo di creare una alternativa vera all’assetto creato da Berlusconi, per sfuggire alla irrilevanza in questa legislatura e prepararsi al governo nella prossima.
Sul partito democratico gravano le maggiori responsabilità perché esso è l’unico possibile perno di un polo alternativo a quello al potere. Se crolla, l’unipolarismo del partito della libertà sarà dominante per un lungo lasso di tempo, almeno finché sarà sulla scena Silvio Berlusconi. E forse anche dopo: finché in Italia vi saranno due sinistre, una riformista e un’altra radicale organizzate in due diverse formazioni politiche, un partito personale “antiberlusconiano” che va per conto suo, un centro cattolico privo di alleanze, il centro-destra qualunque sarà la sua identità sarà vincente.
In questa fase una delle tante condizioni di sicuro vantaggio della coalizione di centro-destra, che ha imboccato la strada delle fusioni e aggregazioni, è la frammentazione politica che prospera rigogliosa nello schieramento di opposizione e rende assai problematica la costruzione di un polo politico alternativo veramente unitario.
Si impone quindi non solo l’esigenza di combattere il partitismo proporzionalistico a tutti i livelli a partire da quello locale e regionale, ma anche la necessità di tentare di far confluire il pluralismo dell’opposizione, in un assetto potenzialmente maggioritario. Si tratta di evitare l’errore che fu l’unione guidata da Romano Prodi. Questa è la sfida che è dinanzi alle opposizioni, ma soprattutto al partito democratico.
E la via per favorire questo difficile processo è prevalentemente quella di lavorare sui contenuti politici e programmatici che il partito sosterrà già dalla legislatura in corso, uscendo da incertezze e nebulosità che finora hanno prevalso.
Sui problemi istituzionali occorre con fermezza ancorarsi al modello del “premierato forte”, al modello Westminster, con tutte le implicazioni anche di riforme elettorali e di procedure parlamentari che comporta. Quanto alla forma di Stato è necessario proporre una road map per la revisione e l’attuazione della riforma del titolo V, che vada oltre l’art.119, e investa tutti i problemi aperti del nuovo ordinamento compresi i problemi delle pubbliche amministrazioni, da affrontare ispirandosi ai principi meritocratici e di imparzialità sanciti dalla Costituzione, è quello della riforma del bicameralismo.
Quanto ai problemi della crisi economica occorre avere il coraggio di saldare le misure straordinarie necessarie a vere riforme strutturali di risanamento, sia nel sistema degli ammortizzatori sociali, sia nelle misure di stimolo all’economia. Vi sono proposte di flex scurite presentate in Parlamento da parlamentari del partito democratico a titolo personale: sarebbe bene che fossero proposte dal partito.
Alla vigilia delle elezioni per il parlamento europeo una attenzione particolare è da riservare alla nostra posizione in Europa, alla necessità di far avanzare il processo di integrazione, di difesa del mercato unico, di rafforzamento dell’area euro, di coordinamento delle politiche fiscali e di bilancio, come raccomanda Mario Monti, di lotta alle disuguaglianze e agli squilibri non solo per ragioni di giustizia, ma perché sono le disuguaglianze eccessive e gli squilibri la causa vera della crisi. E va favorita una nuova partnership con gli Stati Uniti di Obama.
In questo quadro anche la politica di unificazione economica del paese, il problema aperto del Mezzogiorno, deve essere considerato centrale nella politica economica dei prossimi anni.
Infine sul tema della laicità e dei problemi bioetici è bene tenere fermo un principio accettato anche dalla tradizione del cattolicesimo democratico di Sturzo, De Gasperi, Moro: la irrinunciabilità del principio di neutralità etica dello Stato.
È questo il confine che non può essere superato, se si vuole evitare il confessionalismo.
In sostanza, il partito democratico deve avere l’ambizione di costruire una capacità propositiva chiara e coerente per cercare di influire già in questa legislatura sulla politica nazionale, incidendo sull’agenda politica con continuità di iniziative.
L’uscita dalla crisi e le riforme strutturali che sono necessarie al Paese richiedono politiche di medio e lungo periodo, che saranno inevitabilmente impopolari.
Solo una coraggiosa convergenza opposizione-maggioranza le renderà realizzabili. Può sembrare un paradosso, ma non lo è: il consolidamento del bipolarismo rende più facile questa convergenza.
Convergenza oggi, per avere l’alternanza domani.
Solo così il partito democratico potrà costituire il perno di un assetto politico alternativo e contribuire a conferire un alto grado di efficienza al nostro sistema politico.
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