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ENZO PACI E L'ATTUALITA' DELLO STORICISMO
di Giovanni Carosotti
1. Introduzione

A trent’anni dalla prematura morte, il pensiero di Enzo Paci pare relegato ai margini del dibattito filosofico; le finalità perseguite dalla sua ricerca sembrano ai più di totale inattualità. I numerosi positivi ricordi sulla passione con cui affrontava gli impegni di studioso e docente, e il riconoscimento di avere lasciato un segno profondo sui suoi allievi, appaiono in molti casi un tentativo per mascherare un giudizio profondamente scettico sulla rilevanza del suo pensiero. Pochi contestano l’importanza di Paci dal punto di vista storiografico e il valore dei suoi testi, sui quali si sono formati tra i maggiori esponenti della filosofia italiana attuale. Ma quegli stessi temi ritenuti da Paci i più urgenti per il destino della disciplina filosofica, anche se oggi mantengono tutta la loro attualità, non prevedono più, nel momento in cui vengono discussi, un confronto con le sue analisi e dimostrano, verso la sostanza della sua riflessione, un atteggiamento di pressoché totale, e a nostro parere ingiustificata, indifferenza.
Di segno opposto risulta una recente quanto significativa pubblicazione concepita all’interno dell’Università statale di Milano, per iniziativa della rivista Materiali di Estetica: non un semplice omaggio, ma un tentativo di porre in relazione la riflessione di Paci con le problematiche filosofiche più rilevanti impostesi dopo la sua scomparsa. Due volumi, contenenti un ampio numero di densi sagg1, e una breve appendice, concepita come pubblicazione autonoma ma parte integrante dell’intero progetto, dovuta a Emilio Renzi2, discepolo di Paci. Una pubblicazione che, nel momento in cui intende celebrare Paci, è costretta a interrogarsi sull’eventuale inattualità del pensiero paciano, e chiede dunque in qualche modo di schierarsi e di prendere posizione sull’emarginazione che la filosofia di Paci ha subito in questi anni.
Il titolo Omaggio a Paci non è probabilmente adeguato, come pure ammettono i curatori nella presentazione3: l’intento della pubblicazione è infatti quello di mostrare quanto le riflessioni di Paci siano attuali, sia per gli specifici contenuti del suo pensiero, sia per avere anticipato, dimostrando una grande capacità interpretativa in merito allo sviluppo possibile della crisi del moderno, numerosi percorsi della riflessione più recente, di tipo non solo squisitamente filosofico, ma anche relativo alle scienze e alle arti. Il titolo della raccolta di saggi avrebbe quindi potuto essere “Attualità di Paci”, in modo che l’atto di omaggio non si risolvesse in una doverosa presa di coscienza dell’anniversario, ma si esprimesse –come in effetti avviene nei due volumi- sul valore dell’indirizzo di ricerca inaugurato dal filosofo marchigiano.
Affermare con convinzione l’attualità di Paci significa anche prendersi la responsabilità di indicare le direzioni in cui il suo contributo è stato più rilevante; compito che potrebbe risultare problematico, dal momento che gli interessi di Paci sono stati molteplici e hanno investito campi non propriamente filosofici, seppure piegati alle esigenze speculative che il filosofo riteneva più urgenti. L’attualità di Paci, da questo punto di vista, potrebbe venire intesa in modo duplice: da una parte può essere valorizzata la sua convinzione del carattere non autonomo della filosofia, che obbliga la disciplina a confrontarsi con i diversi ambiti d’esperienza umana, rispettati nella loro irriducibile specificità metodologica; questo non impedisce comunque alla filosofia di agire con rigore e di fondare in modo razionale le proprie asserzioni. Per altri versi si potrebbe isolare un campo specifico in cui il pensiero di Paci dimostra maggiori possibilità di incidere sul presente, distinguendo settorialmente le posizioni meritevoli ancora oggi di adeguata meditazione, a confronto di altre, in parte superate. Va da sé che i curatori propendono per la prima ipotesi, e ci tengono a sottolineare la compattezza del pensiero di Paci, nel quale la pluralità di applicazioni della riflessione filosofica non corrisponde a divagazioni dell’autore motivate da personali interessi, ma a una profonda convinzione teoretica in merito all’oggetto specifico del pensiero filosofico, che fa riferimento a quella dimensione trascendentale da cui si origina ogni attività di pensiero e pratica. Il ribadire l’unitarietà del pensiero di Paci deve fare i conti con il tema dell’eclettismo, concetto più volte utilizzato, ancora quando Paci era in vita, per evidenziare un limite della sua riflessione; derivato dal sospetto che il filosofo piegasse alle proprie intenzioni le eredità filosofiche del passato per destinarle a campi d’applicazione in realtà estranei alle intenzioni originarie, peccando così di scarsa attenzione filologica e consentendo al proprio pensiero una facile quanto infondata possibilità di estendersi a diversi campi di ricerca, fra loro invece assolutamente alternativi e incapaci, a una rigorosa indagine teoretica, di rivelare alcun elemento comune. Nella raccolta cui abbiamo fatto riferimento, pur rispettando l’autonomia dei singoli contributi, questa valutazione critica viene sostanzialmente rigettata; è anche vero che nei due volumi compaiono diverse affermazioni a riguardo che in alcuni casi mostrano, pur nell’atteggiamento di omaggio verso un maestro, perplessità sul percorso complessivo del pensiero paciano. Questa pluralità costituisce la ricchezza dell’opera: non solo perché pone, come è giusto, il lettore di fronte a valutazioni differenti, ma perché favorisce un coinvolgimento intellettuale che invita alla rilettura dei testi originali (le numerose citazioni lasciano trasparire il grande valore ma anche il carisma della scrittura di Paci) e delle fonti che Paci utilizzava, e a realizzare un confronto continuo con le posizioni teoretiche successive alla sua morte. Uno stimolo che è anche alla base del presente testo.
L’intento è di operare verso la filosofia di Paci quello che Paci stesso faceva nei confronti delle filosofie del passato, come giustamente nota Fulvio Papi a proposito di Ingens sylva: «pensare Vico entro i problemi della filosofia contemporanea, cioè in relazione al modo in cui avevano preso forma i temi emergenti nel suo orizzonte riflessivo»4.
Il riferimento al testo su Vico, che rimane uno dei più notevoli che Paci abbia scritto, permette di proporre una lettura ulteriore rispetto a quelle presenti nei due volumi citati: ovvero non solo recuperare la valorizzazione del metodo fenomenologico, in particolare a partire dalla delicata questione dei rapporti tra scienza e filosofia, ma riproporre la questione dello storicismo, indicando in Paci uno dai maggiori sostenitori – da una prospettiva originale, sia per le conclusioni specifiche, sia per i riferimenti autoriali - di questa tradizione filosofica. Se il contenuto più personale della filosofia di Paci inizia a delinearsi in seguito al distacco da Benedetto Croce, frequentato negli anni giovanili, è pur vero che tutta l’opera di Paci si sviluppa in un continuo confronto con lo storicismo crociano, per riformarlo secondo una nuova sensibilità. L’esigenza di Paci di misurarsi con il pensiero di Vico conferma la validità di questa ipotesi di lettura.
L’idea di sostenere, a partire da Paci, la validità dell’opzione storicista è in perfetta sintonia con buona parte degli studi su questo filosofo; è anche vero però che questa tematica viene di rado esplicitamente valorizzata, anche se, nelle valutazioni che manifestano maggiore condivisione delle tematiche paciane, essa è in qualche modo sottesa. Conviene partire da alcune questioni cruciali riportate nella recente raccolta, per valutare la legittimità di una tale interpretazione

2. Scienza e storicismo: la ricerca comune dei fondamenti

La prima immediata particolarità di Paci filosofo è quella di essere un «propugnatore di uno statuto debole della riflessione teoretica»5, una debolezza che non fa però riferimento al successivo «pensiero dell’assenza», che ha visto «la resurrezione, sull’orizzonte filosofico, di alcuni numi che Paci, non a caso, aveva escluso nel redigere la propria enciclopedia immediatamente postbellica del miglior pensiero occidentale: Nietzsche e Heidegger»6. Paci infatti, rispetto a questi autori, non ritiene si possa liquidare il problema del trascendentale, come aveva proposto Heidegger prendendo le distanze da Husserl; è la dimensione del trascendentale a valorizzare la soggettività, concepita in modo alternativo all’idealismo. La soggettività trascendentale consente di non «trasformare l’idea in proprietà»7, ed evita nel contempo l’estremismo dell’approccio ermeneutico, incapace di rendere conto del dati osservativi e di rispettare, nella valutazione teoretica, l’effettività degli oggetti d’esperienza8.
Questo rispetto per la datità costringe Paci a ricercare il confronto con le convinzioni più affermate dell’epistemologia novecentesca, e ad affrontare in modo diretto il problema della crisi della filosofia rispetto ai risultati della scienza. Paci è consapevole che l’apoditticità dei risultati di quest’ultima potrebbe creare un senso di frustrazione al filosofo, che da parte sua vede invece sempre rigenerarsi con nuova forza i problemi che cerca di risolvere; la tentazione potrebbe essere quella di ritenere che il carattere non oggettivo della verità filosofica, subordinata alla prassi storica, riveli una debolezza della disciplina. Se questa presa di coscienza è doverosa per il filosofo, pure, a parere di Paci, la filosofia non deve cedere a quel senso di inferiorità che la riduce a pura riflessione sulla metodologia di ricerca; ma deve procedere con la consapevolezza che la domanda di senso posta dalla filosofia, in particolare il problema del fondamento, è decisiva per la stessa pratica scientifica, affinché questa si riproduca nell’alveo del proprio senso, pena lo scadimento nell’alienazione della tecnica. Ed è proprio la riflessione sul problema del fondamento a evidenziare il primato della dimensione temporale, precategoriale, al cui interno si costituisce ogni significato, compreso quello della stessa pratica scientifica, la quale deve diventare finalmente consapevole del proprio derivare da una processualità storico-mondana.
Questa convinzione viene confermata a Paci dalla frequentazione degli autori più prestigiosi della scuola anglosassone (Mead, Dewey, Morris, Whitehead), le cui riflessioni lo rassicurano sul fatto che le soluzioni da lui prospettate non sono affatto in contraddizione con il modo in cui molti ricercatori interpretano il senso della propria attività. Da Morris Paci riprende la convinzione secondo cui «la verificazione avveniva non su un piano protocollare ma nell’intersoggettività sociale»9. Il filosofo marchigiano ne ha tratto due conseguenze, la prima relativa «alle libertà linguistiche del discorso filosofico che ha il proprio significato nella relazione con il destinatario», la seconda in base alla quale «la scienza è un complesso processo intersoggettivo ed è un errore stabilire la validità conoscitiva entro il quadro di esperienza sensibile di un soggetto empirico»10.
E’ chiaro che tale prospettiva sembra urtare un certo settore della ricerca filosofica contemporanea, che si pretende maggioritario senza in realtà esserlo e che in modo a volte anche sprezzante ha inteso delegittimare il tentativo della filosofia di parlare della scienza rivendicando l’autonomia della propria fondazione razionale1. Nell’indicare l’insostituibilità della filosofia nei confronti della riflessione scientifica Paci fa sostanzialmente riferimento alla lezione dell’Husserl della Krisis, dove viene teorizzata una dimensione trascendentale produttrice di senso, la Lebenswelt, da cui si la stessa scienza trae origine; l’intento di Paci, e quello da lui assegnato alla filosofia nelle sue possibili applicazioni, è proprio quello di approfondire la caratteristica del pre categoriale12.
Lo storicismo cui fa riferimento Paci è privo di quella contraddizione avvertibile invece in Heidegger, e appare, in un certo senso, più coerente; Heidegger, nel momento in cui rifiuta il trascendentale e l’epoche, descrive la condizione dell’esserci a partire dall’immediata e ineludibile “mondità”13 in cui si trova immerso, considerata come dato bruto al quale non è possibile sottrarsi e del quale non è possibile la messa tra parentesi. La ricerca del senso conduce dunque Heidegger, che è pure un continuatore dello storicismo tedesco, a tradire il carattere fondante della storicità e a subordinare, per dirla con Paci, «l’esistenza all’essere»14, per cercare un’anteriorità all’esistenza in una nuova fondazione ontologica. Invece Husserl, individuando la genesi del senso nel mondo-della-vita trascendentale, non avverte la necessità di precisare un fondamento più radicale che, seguendo sempre il ragionamento di Paci, sarebbe destinato a ricadere in una sorta di sostanzialismo metafisico. Non esiste infatti per Paci alcuna anteriorità possibile rispetto all’esistenza, che non può manifestarsi se non storicamente15.
Esistono a dire il vero prese di posizione, come quella sostenuta da Salvatore Veca16, che esprimono scetticismo sulle possibilità della fenomenologia di realizzare un così ardito programma, quello cioè di cogliere, attraverso la dimensione trascendentale e l’articolazione del metodo fenomenologico, la vitalità del pre categoriale, da cui pure la stessa scienza trarrebbe il proprio senso. Veca riconosce le qualità anti deterministiche del pensiero di Paci, in particolare

La tensione tra la filosofia come catena di risposte inevitabili a domande ineludibili e ai dilemmi che noi abbiamo in quanto abbiamo una vita finita da vivere, e la particolare intrattabilità o irresolubilità filosofica dei problemi che abbiamo o che riconosciamo come tali […] La ricerca della verità in filosofia è tanto inevitabile quanto il suo conseguimento sembra impossibile e destinato allo scacco17.


Eppure, nel cercare di affrontare il problema, Paci non ha tenuto conto, a parere di Veca, della svolta linguistica in filosofia analitica, giungendo così a «negare la tensione essenziale tra personale e impersonale»18. Il metodo fenomenologico, che privilegiava in modo esclusivo il polo della soggettività, non aveva più così un riferimento oggettuale forte, risultando un «passepartout per trovare risposte a qualsiasi domanda»19.
Ritorna in questo caso il sospetto di eclettismo, laddove la molteplicità dei campi di ricerca di Paci sarebbe in realtà possibile grazie a uno stratagemma metodologico non in grado di intendere a pieno le caratteristiche reali dell’oggetto indagato. Che tale osservazione critica sia radicale e definitiva lo si evince dal testo di una lettera di ringraziamento, riportata a conclusione dell’intervento, che l’autore immaginerebbe di inviare oggi al filosofo marchigiano. Non c’è nessun particolare riconoscimento teoretico, ma si rende omaggio solo allo spirito di ricerca appassionato con cui Paci ha incarnato il modo di fare filosofia. E’ un riconoscimento intenso e sentito al Paci docente e ricercatore, ma anche un relegare le sue riflessioni in un passato storico importante solo nel suo valore di testimonianza.
L’obiezione di Veca richiama due ordini di problemi: il primo concerne la legittimità della lettura paciana di Husserl, ovvero se il filosofo marchigiano abbia sottovalutato l’aspetto logicistico20 di Husserl per privilegiare alcuni momenti o alcuni concetti settoriali del suo pensiero, concentrandosi più sugli inediti di Lovanio che sulle opere edite21. L’altro aspetto da discutere riguarda il cruciale rapporto tra scienza e filosofia: esso non può che essere affrontato calando direttamente il pensiero di Paci nel dibattito contemporaneo, e ha quindi il pregio di valutarne al meglio l’attualità. E’ un tema ineludibile per qualsiasi proposta storicista, la quale non può sperare d’imporsi, oggi, senza risolvere il proprio rapporto con la tradizione logicista e neopositivista. Altrimenti si limiterebbe ad occupare un spazio parallelo e indipendente a quello della filosofia analitica, entrambi autoreferenziali ma destinati a svilupparsi in completa indipendenza, chiedendo una preliminare scelta di campo. Proprio quella che Paci non aveva alcuna intenzione di fare, intendendo dimostrare che la stessa ricerca scientifica non poteva essere compresa nel suo telos e nel suo ethos se non a partire dalla ragione storica, a cui pure la razionalità scientifica appartiene.

3. La complementarietà e il bisogno reciproco di scienza e filosofia

In un significativo contributo, Simona Chiodo22 chiarisce i motivi che conducono Paci a ritenere assolutamente necessario un confronto con la riflessione epistemologica; senza ascoltare le ragioni del sapere scientifico, la filosofia non potrà mai affrontare in modo opportuno il problema del fondamento. La scienza stessa, del resto, non può rivendicare alcuna autosufficienza, in quanto gli stessi epistemologi hanno proposto diverse soluzioni relative al problema del rapporto tra logica ed esperienza, a testimoniare come la tematica del fondamento, che da quella relazione deriva, rappresenta il limite proprio di ogni riflessione epistemologica. Particolare interesse suscitano in Paci gli scritti di Carnap il quale, pur influenzato dal logicismo di Wittgenstein, non evade come quest’ultimo il tema del fondamento, ma fa riferimento ad alcuni concetti, quali l’Erlebnis o il Leib, che sembrano rimandare, analogamente a Husserl, a una dimensione precategoriale da cui si costituirebbe il senso o telos della ricerca scientifica. E’ vero che Carnap non riesce a realizzare, tramite queste intuizioni, quel collegamento necessario tra logica ed esperienza, che in tutta la corrente dell’empirismo logico rimangono drasticamente separate; tuttavia nella sua ricerca compare un tentativo di epoche e il riconoscimento di una dimensione intersoggettiva fondata sul Leib, indispensabile per la produzione di significati.
Paci distingue tra le due epoche (di Carnap e di Husserl) e precisa le ragioni che lo portano a propendere per la seconda; tale precisazione risulta rilevante per la nostra lettura, proprio alla luce di quell’osservazione precedentemente ricordata di Veca, secondo la quale Paci nega la tensione tra personale e impersonale. L’epoche di Carnap stabilisce «un’esperienza senza soggetto», chiamata da Paci «integrale»23, che proprio per questo è incapace di unire logica ed esperienza e di cogliere un’autentica dimensione fondativa; Carnap in questo modo radicalizza lo stesso logicismo kantiano, dove tale relazione, attraverso lo schematismo, veniva stabilita. Carnap avverte allora la legittimità del problema husserliano, ma in lui non compare un’adeguata riflessione sull’esperienza, non compresa come relazione al soggetto preesistente alla stessa costituzione del senso.
Non è vero allora che in Paci vi sia una sottovalutazione dell’impersonale; il filosofo marchigiano si rifiuta però di considerarlo – per ragioni teoretiche fondate - un elemento indipendente originario, che prescinde dalle relazioni senza le quali, nella sfera precategoriale, non sarebbe possibile dare origine al significato. Risulta invece decisamente più efficace la nozione husserliana di Lebenswelt.
Paci tiene ad affermare non tanto la storicità della verità scientifica, rivendicazione che risulterebbe per lo meno ingenua, quanto il condizionamento della processualità storica sulle stesse motivazioni della ricerca scientifica, il che implica una necessaria correlazione tra esperienza e logica, in linea con il principio kantiano dello schematismo trascendentale. Ovviamente, per confermare la coincidenza tra trascendentalità e storicità, ovvero la dimensione storica come inevitabile genesi di ogni significato, è bene ribadire le ragioni che conducono Paci a rigettare il logicismo e, in particolare, il pensiero di Wittgenstein e delle correnti che da questo sono derivate. Per Paci – come ricorda Chiara Cappelletto24 - Wittgenstein sfugge il problema della giustificazione del discorso logico e interpreta la stessa settima proposizione del Tratctatus come dimostrazione di un’impotenza speculativa. Né Paci salva le Philosophische Untersuchungen dove – e siamo d’accordo con l’autrice del saggio, quando osserva in tale giudizio un limite dell’interpretazione di Paci - vede comunque negato il processo organico della vita, quale orizzonte al cui interno sorge la filosofia25.
L’intuizione di Paci è in ogni caso rilevante: un pensiero che si autodistrugge, limitandosi in modo drastico alla legittimazione di un’evidenza logica incapace di fondarsi e rifiutando qualsiasi riferimento all’esperienza, è in realtà dogmatico quanto l’oggettivismo metafisico. Tanto più che tale convinzione si espone fatalmente alla contraddizione di affermare una corrispondenza tra essere e linguaggio (per Paci «l’isomorfismo tra linguaggio e mondo è una sorta di criptoplatonismo»26) e nello stesso tempo ribadire l’autarchia della logica. Ancora una volta – e qui si ribadisce quanto già affermato a proposito di Carnai - è solo l’intenzionalità, propria della dimensione trascendentale, a rendere possibile, come già era accaduto in Kant, la relazione tra linguaggio e storia.

4. Nuove categorie della ragione storica?

La convinzione di Paci in merito alla derivabilità dei fondamenti logici da una comune dimensione storica, motiva la centralità occupata nel suo pensiero dal concetto di relazione, cui Paci assegna una funzione decisiva già dal periodo esistenzialista, e che si precisa attraverso il confronto serrato con Husserl; concetto destinato a spiegare la contiguità tra logica ed esperienza, tra natura e storia. Il principio della relazione permette alla riflessione filosofica di non scadere nell’irrazionalismo o nel soggettivismo volontaristico, mantenendo un necessario rigore razionale, e giustificare nel contempo una concezione teoretica non sostanzializzata. E’ un tema felicemente affrontato in un saggio di Giulio Giorello e di Stefano Moriggi27: la relazione permette di accogliere la contraddizione, evitando generalizzazioni che diano luogo a inevitabili aporie. Ovviamente, la compresenza degli opposti non risolta in una sintesi non nega comunque la costituzione di una forma la quale, però, non coincide con un eidos oggettivo. La forma specifica in cui organicamente coesistono le relazioni dialettiche nella realtà naturale rappresenta la direzione irreversibile che è la prima caratteristica temporale del divenire dell’essere.
La natura, quindi, è anch’essa storica, in conseguenza della direzione irreversibile che caratterizza il suo divenire; l’irreversibilità – altro concetto decisivo, congiunto a quello di relazione - giustifica l’intenzione di individuare il telos della ricerca scientifica a partire dall’esperienza precategoriale, evitando le aporie del logicismo.
La considerazione storica della natura rende chiara e conferma a Paci la priorità della prassi sull’essere. La realtà è sempre sviluppo di elementi in relazione e, riformulando e riarticolando il pensiero husserliano, all’origine non troviamo neppure una soggettività trascendentale intenzionalmente collegata all’esperienza, bensì un’intersoggettività trascendentale, la Paarung28, che già all’inizio nega la possibilità di una verità intesa come identità autosufficiente. Il fondamento è allora «ciò che non può trovare in sé la propria ragione e la propria soddisfazione»29.
“Relazione”, “irreversibilità”, “Paarung” si configurano come vere e proprie categorie della ragione storica; non si tratta affatto di una pura coincidenza formale, ma del risultato di una comprensione profonda del pensiero di Husserl e del travaglio storico che ha condizionato il fondatore della fenomenologia, che non è solo quello relativo al conflitto interno tra logicismo e psicologismo, ma quello storicistico che coinvolgeva la cultura tedesca nella seconda metà del XIX secolo. Uno storicismo che si pone un obiettivo simile a quello di Dilthey, ovvero determinare i principi della ragione storica, rifiutando però nel contempo la drastica separazione tra scienze della natura e scienze dello spirito, individuando una dimensione storica più integrale, pre categoriale, a fondamento quindi delle motivazioni finalistiche proprie della stessa ricerca scientifica30.
Per Paci è importante verificare quanto queste conclusioni non siano affatto estranee all’epistemologia novecentesca, almeno in quei casi in cui il ricercatore non ha temuto di andare a fondo delle proprie riflessioni. Se Carnap intuisce la dimensione pre categoriale ma è incapace di rinunciare al logicismo, è Whitehead31 a rifiutare il concetto di ente a favore di quello di “l’evento”, dove lo «statuto della soggettività assume un’ottica processuale e relazionalistica»32. E ad assegnare conseguentemente una priorità alla dimensione nella temporalità, per confermare la storicità intrinseca del mondo, con l’alternarsi delle situazioni di emergenza e di permanenza, rispetto al tempo oggettivo dell’ente statico. Ne emerge una nuova nozione di causalità, intesa come «evenienza della struttura di campo sull’evenienza processuale»33. Una visione assolutamente trasparente se si assume una prospettiva fenomenologica e intenzionale, che riprende ancora una volta lo stesso principio dello schematismo trascendentale kantiano, dove la contingenza empirica si trovava ad essere, grazie allo schema, nel cuore delle categorie.

5. Storia e tecnica

E’ solo l’intenzionalità trascendentale dunque, con il suo orientamento teleologico, a mantenere la consapevolezza delle finalità proprie della scienza, il cui oblio è la principale causa dell’alienazione contemporanea. Non è irrilevante notare come questa particolare impostazione storicistica, derivata dal rifiuto del modello heideggeriano, conduca Paci a una riflessione più articolata sulla tecnica non solo rispetto ad Heidegger, ma anche allo stesso Husserl: la tecnica non coincide necessariamente con l’alienazione. La tecnica è si una «forma corrotta dell’originario spirito scientifico, decaduto a semplice automatismo inconsapevole del proprio presupposto e della propria possibilità di senso»34 e, in quanto priva di telos, destinata a generare lo scadimento tecnico e la feticizzazione o alienazione. Dall’altra però la tecnica, proprio per la dimensione precategoriale da cui si origina la riflessione scientifica, «è un sostrato di operazioni soggettivamente condivise entro cui scorre il flusso dell’intenzionalità fungente, in cui si offre un complesso di operazioni fondanti essenziali per l’istituzione di oggetti ideali»35. La tecnica stessa, per il suo forte legame con la Lebenswelt (attraverso l’uso del corpo e del linguaggio) è nello stesso tempo «condizione d’insorgenza e prodotto terminale di un processo di elaborazione teoretica»36. La tecnica anzi, proprio per la componente di libertà che in essa l’uomo esercita, potrebbe aiutare a recuperare quella consapevolezza del telos della ricerca scientifica, presupposto per una consapevolezza etica che impedisca gli esiti distruttivi della prassi umana.

6. Croce-Husserl-Marx

La convinzione storicista identifica dunque in maniera profonda il pensiero di Paci. Da questo punto di vista, il suo legame con Croce non si è mai interrotto; il rapporto con il filosofo idealista non costituisce solo una fase preparatoria del percorso culturale di Paci, ma rimane costante negli anni. Certo, «lo storicismo di Paci non ha nulla a che vedere con una semplice sintesi storicistica e culturalistica delle prospettive della filosofia fondate sul sapere storico e su una pura e semplice coscienza critica della situazionalità dell’essere umano»37; si fonda invece sulla convinzione della «necessaria complementarietà tra esistenza e storia», comprendendo nell’esistenza ogni forma di esperienza, tra cui la stessa riflessione scientifica, e sull’«impossibilità di sacrificare totalmente l’esistenza al pensiero»38, pena la caduta in un nuovo irrigidimento metafisico. Centrale in questa visione storicistica risultano i già citati concetti di relazione e irreversibilità, forse non ancora adeguatamente approfonditi in questa loro decisiva funzione.
La riflessione di Paci appare allora come un imponente tentativo, perseguito con estrema coerenza, di fondare una nuova prospettiva storicistica estranea a ogni rischio sostanzialistico. La stessa evoluzione del suo pensiero, scolasticamente riassunta nelle tre fasi esistenzialista, relazionalista e fenomenologica, non rivela alcuna discontinuità, anche quando Paci muta i riferimenti filosofici da cui trae spunto il suo pensiero. Questi mutamenti vanno semmai spiegati come tentativi progressivi di evitare ogni forma di rigidità e manifestano un diverso grado di elaborazione di una problematica ereditata direttamente da Croce. Il superamento della fase esistenzialista, per esempio, avviene proprio attraverso un recupero esplicito dello storicismo, per evitare una metafisica dell’esistenza che, come nel caso di Heidegger, dimentica il fondamento storico dell’esistenza stessa per tornare a proporre nuovamente un’ontologia39.
In Paci non compare l’esigenza di fondare una nuova ontologia, proprio perché l’integrale storicità dell’essere esclude l’esistenza di un fondamento, così come qualsiasi visione deterministica della storia. Ancora la stessa esigenza presente in Croce: visione storicistica ma rifiuto di qualsiasi filosofia della storia. A dimostrare come il confronto con Croce sia stato continuo, vi è il costante richiamo, sia nel fondamentale saggio su Vico, sia in modo più intenso nell’ultimo periodo, quando in Paci prevalse una vena pessimistica, al concetto di vitalità crociano, in base al quale l’impulso generatore della storia manifesta anche una potenza annientante, in grado di azzerare il progresso umano. Si tratta di quella ingens sylva vichiana, richiamo all’imprevedibile e all’inquietante sia in Croce come in Paci, la cui consapevolezza conduce il filosofo marchigiano a non assolutizzare neppure le possibilità di liberazione che egli vede nell’attuarsi dell’epoche fenomenologica. L’Ingens sylva non è rappresentata solo da residui di primitivismo e di istintualità antropologica in contrasto con l’intersoggettività originaria, ma si riflette nelle più moderne forme di alienazione, soprattutto tecnologica, dove la perdita di senso conduce a situazioni autodistruttive40.
Quanto detto fin qui può aiutare a fare luce sul tentativo, proposto da Paci a partire dallo scritto Il significato dell’uomo in Marx e in Husserl41, di coniugare filosofia marxiana e fenomenologia husserliana. E’ frequente incontrare un giudizio negativo su questa fase della filosofia di Paci. Si può nella sostanza concordare con tale giudizio, ma non con l’atteggiamento liquidatorio che da quello spesso deriva. L’incontro tra fenomenologia e marxismo, interpretato secondo una chiave anti deterministica che già allora isolava in positivo Paci da altre pur grandi figure intellettuali, è di fondamentale importanza per cogliere il contenuto più qualificante del pensiero paciano e mostrarne la stringente attualità, pur con tutti i limiti di quel tentativo.
Innanzitutto esso è rilevante perché esplicita ulteriormente il carattere fondamentalmente storicista del pensiero di Paci; il coniugare Husserl e Marx vuol dire soprattutto ribadire il carattere non esclusivamente logicista del primo, mostrando la continuità della fenomenologia con lo storicismo tedesco. Dall’altra la storicità fenomenologica, confermando l’analisi marxiana dell’alienazione – è questo infatti il principale uso che ne fa Paci - libera il marxismo da presupposti sostanzialistici, e ne valorizza il ruolo attribuito alla soggettività; non a caso l’XI glossa di Marx a Feuerbach viene da Paci interpretata anche come capacità di trasformare, insieme al mondo, lo stesso soggetto42. Il rischioso parallelismo che Paci formula è quello tra l’alienazione sociale marxiana e l’obiettivazione del sapere scientifico denunciata da Husserl nella Krisi:

Come Marx rivela la realtà del lavoro vivente, così Husserl rivela la realtà del soggetto vivente e di tutte le sue operazioni. Il cattivo uso della scienza non capisce che tutte le operazioni scientifiche, come le operazioni del lavoratore di Marx, sono operazioni del soggetto concreto. Le scienze sono in crisi perché fanno diventare rapporti tra cose i rapporti sociali tra le persone43.


Vi è dunque un nesso tra l’alienazione del lavoro è la perdità di telos delle scienze, cui abbiamo accennato sopra: «Per l’umanità la presa di coscienza dell’obiettivazione è una comprensione radicale del proprio compito e del proprio telos. E’ la lotta per un’umanità autentica»44.
E’ inutile sottolineare, oggi, la precarietà di questo parallelismo; rimproverare a Paci un’ingenuità filosofica per avere tentato questo incontro non solo è ingeneroso, perché non riflette sulle condizioni contingenti che hanno spinto il filosofo verso questa ricerca, ma è teoreticamente miope, in quanto sottovaluta la grande modernità che in quel tentativo è implicita, da un’interpretazione filosofica più adeguata del marxismo, che non confonde in modo a volte interessato il nucleo teoretico originario e le successive semplificazioni; alla fondamentale implicazione tra fenomenologia e prassi, che valorizza l’intenzione trasformativa propria del progetto fenomenologico e mette in luce il profondo ethos insito del pensiero di Husserl.


6. La filosofia e le arti

Qualunque sia il giudizio sul pensiero di Paci, è indubbio che esso si fondi su un convincimento filosofico perseguito con grande rigore, incompatibile con l’eclettismo. La filosofia ha la possibilità di addentrarsi nei campi di ricerca più diversi, indagando la sfera precategoriale e isolando la genesi storica di qualsiasi esperienza; questo però non avviene a prescindere da ogni competenza. Proprio per questo la filosofia è costretta a compiere un passo indietro rispetto all’autonomia del proprio ragionare, nient’affatto indipendente nei confronti dei risultati guadagnati dalle scienze o da altri campi di riflessione e di cultura. Per cui sta alla sensibilità del singolo studioso stabilire l’opportunità di approfondire, dal punto di vista filosofico, un particolare ambito d’esperienza. Però è vero che, una volta convenuta l’idoneità di chi si espone con le sue riflessioni a trattare dell’oggetto, la filosofia dimostra una potenzialità euristica capace d’imporre punti di riflessione originali, alternativi e in nulla meno efficaci a focalizzare caratteristiche essenziali dell’opera d’arte rispetto ad altri approcci apparentemente più tecnici.
Soffermarsi sul particolare modo di Paci nel trattare la tematica estetica, e concludere con questa la presente riflessione, significa verificare ulteriormente la validità dello storicismo di Paci; è sempre infatti la giustificazione di ogni esperienza a partire dal suo fondamento storico a spingere Paci a confrontarsi con il problema estetico, valutando se tale fondamento è in grado di rilevare, dell’oggetto artistico, peculiarità che l’analisi formale non è capace di raggiungere. E’ interessante notare che, anche in questo campo, Paci riceva critiche analoghe, e sostanzialmente corrispondenti, a quelle che interessavano più in specifico la sua riforma della fenomenologia; in gioco non sono infatti i risultati teorici di Paci in ambito estetico, ma la pretesa della filosofia di vantare una autonoma competenza al di là dello specifico disciplinare. Questo spiega, dal punto di vista di Paci, la profonda continuità rivendicata tra le riflessioni epistemologiche, o più generalmente teoretiche, e l’appassionato studio sull’estetica e le arti.
Anche in questo caso l’accusa rivolta a Paci è stata quella di non centrare il problema, di proporre un punto di vista esterno che in realtà risulta subordinato, se non del tutto superfluo, per interpretare l’oggetto artistico. In particolare, è nota un’osservazione del poeta Giovanni Raboni il quale, in un intervento su «aut aut» del 1986, a proposito degli studi di Paci su Ungaretti, lamentò «una lettura tematica, dove i testi ungarettiani erano analizzati unicamente nei loro significati». «Leggere Ungaretti in quel modo – prosegue più avanti Roboni – era un po’ come leggere Mozart attraverso Da Ponte, mettendo tra parentesi la musica»45. Un impressione che può essere legittimata a una prima lettura; anche Gabriele Scaramazza, che pure non intende affatto corroborare una simile tesi ammette, a proposito dell’analisi di Paci de I Maestri cantori di Norimberga di Wagner, che «la prima impressione può ben essere che nell’opera wagneriana Paci rilevi cose che potrebbero esser dette anche leggendo il libretto, prescindendo da ogni sostanza musicale»46. Ancora una volta si avanza il sospetto che l’approccio fenomenologico di Paci gli consenta analisi che prescindono dal rispetto formale di ciò che analizza; ritorna, insomma, la figura del passepartout.
In realtà in Paci non è possibile rintracciare un’autentica teoria estetica, in quanto la sua intenzione nel momento in cui si accosta alle diverse espressioni dell’arte «né si configura come semplice filosofia dell’arte, tanto meno come analisi tecnica delle opere»; semmai è presente «la preoccupazione di mantener vivo, dentro la filosofia, il cordone ombelicale che la lega al mondo extrafilosofico in cui si origina e con cui deve di continuo confrontarsi»47. Da questo punto di vista non si tratta più di un’applicazione specialistica della filosofia all’arte, di un’espressione settoriale della sua interrogazione del mondo, ma della messa in evidenza di quel legame privilegiato tra la filosofia e le espressioni della cultura. Si tratta di una convinzione che, se adeguatamente meditata, nega all’origine qualsiasi possibilità di interpretare la produzione filosofica paciana sotto il concetto di eclettismo; risponde invece all’intenzione di realizzare «una dialettica intenzionale tra i diversi linguaggi della cultura, in grado di costruire una vera prassi interdisciplinare»48.
Su questa base, diventano possibili e legittime tutte le analisi di Paci, che ovviamente fanno riferimento agli interessi particolari del filosofo, il quale, per esempio, non si è mai dedicato alle arti figurative. Per quanto riguarda la letteratura, Paci è convinto che ogni produzione letteraria derivi anche da un insieme di conoscenze essenziali, analizzabili dalla filosofia, senza le quali parte della comprensione dell’opera verrebbe meno. E’ chiaro che l’approccio filosofico non si concentra, se non marginalmente, sulle forme artistiche, ma il contributo della filosofia diventa comunque determinante in quanto ogni evento artistico e culturale presenta una costitutiva ambivalenza e multilateralità. Questa valutazione trova conferma da una parte nella felice interpretazione dell’opera di Kafka, sostenuta anche da un critico come Anceschi, il quale diffidava della riduzione della letteratura kafkiana a spiegazione esistenzialista. E poi, soprattutto, nel lavoro di scavo della poesia di Ungaretti. L’apprezzamento del poeta per la lettura della sua opera da parte di Paci è motivata da una convinzione profonda di entrambi sull’affinità di filosofia e poesia.

Il lavoro poetico è […] simile ad una pratica fenomenologica: è una reale messa in sospensione del mondo del linguaggio, per giungere alla rivelazione o alla evidenziazione del come delle cose e del che cos’è del soggetto interrogante/vedente. […] Per Paci fare poesia è, soprattutto, un’operazione di riappropriazione/conferimento di senso e sentimento al mondo e all’esperienza del mondo49.


Primo interesse di Paci è dunque esaminare «ciò che il poeta fa mentre scrive il testo poetico»; fu questo il senso della collaborazione con Ungaretti, il quale inviava al filosofo le bozze del suo lavoro, permettendogli di valutare tutto l’insieme di esperienze che precedevano e che costituivano la realizzazione del verso. Un’attenzione costante a quella Lebenswelt in cui affiora alla coscienza per la prima volta un intreccio di rimandi non ancora distinto da significati definitivi; stato mentale che Paci cercherà di esprimere attraverso quella straordinaria esperienza di “scrittura notturna”, di cui Diario fenomenologico è la più alta testimonianza.
Uno sguardo quindi, quello della filosofia, indispensabile per l’interpretazione dell’oggetto artistico, complementare – ed evidentemente nient’affatto sostitutivo – analisi tecniche o formali. Paci infatti anche in campo estetico dimostra «un rifiuto dell’assolutismo dogmatico riguardo le interpretazioni»50, e si guarda bene dal dimostrare la legittimità, a partire dalle sue analisi, di qualsivoglia poetica rispetto a un’altra. E’ forse l’equivoco di un pur brillante saggio del musicista jazz Arrigo Cappelletti51 il quale, nel testimoniare la grande importanza che ha avuto per il suo fare artistico il pensiero di Paci, con il quale il musicista si è laureato, ne usa il pensiero per legittimare, nell’ambito della musica contemporanea, la pratica improvvisativa rispetto a quella compositiva; tra le righe si comprende una polemica diretta verso la musica colta contemporanea, a mio parere in parte fraintesa, le cui opere non sono affatto in contraddizione con le considerazioni di Paci. In questo caso, anzi, si rischia inavvertitamente di confondere il punto di vista trascendentale con una banale filosofia della storia riferita alle arti. Ovvero di non cogliere quella dimensione anteriore alla produzione dei significati, che quindi precede la concretizzazione di ogni poetica, cui fa riferimento l’interpretazione storicistica della realtà di Paci.



Note


1Omaggio a Paci I. Testimonianze II. Incontri, a cura di E. Renzi e G. Scaramuzza, Quaderni di Materiali di estetica, Milano, CUEM, 2006. ^
2E. Renzi, Caro Ricoeur, mon cher Paci. Dialogo in cinque scene, Quaderni di Materiali di estetica, Milano, CUEM, 2006.^
3 Omaggio a Paci vol. I, cit., p.V.^
4 Fulvio Papi, All’esordio di aut aut, in Omaggio a Paci, vol. I, cit., p.84.^
5 R. Barilli, Un “centralinista” di genio per la filosofia italiana, in Omaggio a Paci, vol.I , cit., p.127.^
6Ivi., pag.131. Paci, prima della guerra, aveva invece scritto un ponderoso saggio su Nietzsche, quale introduzione all’antologia Nietzsche, Sesto San Giovanni ,Garzanti, 1943, pp. 1-108. Da allora egli non trattò più del filosofo tedesco, né lo citò in maniera significativa.^
7 C.Sini, Enzo Paci: il soggetto e la vita, in Omaggio a Paci, vol. I, cit., p.66. Il carattere di apertura della ricerca filosofica, con implicito il rifiuto di qualsiasi forma di determinismo, in parte già distingueva la figura di Paci rispetto alle altre della cosiddetta “scuola di Milano”. Cfr. F.Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Milano, Guerini e associati, 1990. ^
8 Cfr. M. Macciò, D. Vallino, Intenzionalità del neonato, in Omaggio a Paci vol.II, cit., p.102.^
9 F. Papi, All’esordio di aut aut, cit. p.90.^
10 Ivi., p.91.^
11 Cfr. E. Bellone, La scienza negata. Il caso italiano, Torino, Codice edizioni, 2005; il testo vuole riproporre, in ambito italiano, le note riflessioni contenute in A.Sokal, J.Bricmont, Impostures intellectuelles, Paris, Livres de Poche, 1997; trad. it., Imposture intellettuali, Milano, Garzanti, 1999. ^
12 Cfr. anche la recensione al volume citato nella nota precedente: Armando Massarenti, Un Paese in via di sottosviluppo, in «Il Sole 24 ore», 24 aprile 2005, dove i testi di Morin, Rifkin, Adorno e Horkheimer, Deleuze, Marcuse e, soprattutto, la Crisi delle scienze europee di Husserl, vengono definiti come «il peggio della produzione estera» e dove tra l’altro si cita la nozione di “mondo della vita” quale concetto risibile. E’ forse superfluo ricordare che la traduzione di questo capolavoro husserliano venne promossa proprio da Enzo Paci, che ne curò la prefazione per il Saggiatore, nel 1961. ^
13 L’espressione, coniata da Pietro Chiodi, è la traduzione del tedesco Weltlichkeit, ed indica la caratteristica esistenziale più propria dell’esserci (Dasein), in quanto gettato nel mondo.^
14 L’esistenza «non è lo strumento dell’essere, di quell’essere necessario ed astratto di cui Heidegger parla: esige invece l’esperienza concreta dell’esistere». E. Paci, La filosofia contemporanea, Milano, Garzanti, 1957, p.226. E’ da notare la sostanziale corrispondenza con quanto sostenuto, sempre a proposito di Heidegger, da Giuseppe Galasso, sulle cui analogie con alcuni aspetti del pensiero di Paci torneremo in seguito: «L’esistere è, quindi, l’unico essere di cui si abbia realmente esperienza, l’unico essere realmente concepibile e storicamente conoscibile. Se il binomio essere-esistere viene scisso, non è l’accesso all’essere quel che si guadagna, bensì soltanto il disancoramento da ogni verità e certezza dell’uomo». G. Galasso, Nient’altro che storia, Bologna, Il Mulino, 2000, p.43.^
15 Carlo Sini, che peraltro si confronta in modo estremamente critico nei confronti di questa posizione di Paci, ricorda la volontà del filosofo di pervenire a «totale storicizzazione di ogni punto di vista filosofico e scientifico». C. Sini, La fenomenologia come esistenzialismo positivo in Enzo Paci, in Aa.Vv., Vita e verità. Interpretazioni sul pensiero di Enzo Paci, a cura di S. Zecchi, Milano, Bompiani, 1991, p.154. Anche in questo caso risulta evidente l’affinità con lo “storicismo integrale” di Galasso, che così motiva le finalità del suo studio sulla teoria della storia: «affermare non tanto la centralità quanto l’universalità della dimensione storica nella realtà dell’uomo e del mondo quale l’uomo lo conosce e col quale vive in un rapporto simbolico, perpetuo, ineludibile, di reciproca azione e reazione», in G.Galasso, Nient’altro che storia, cit., p.10. Cfr anche, per una valutazione dello “storicismo integrale” di Galasso, G.Carosotti, Nel fluire della storia: rispetto dei fatti e negazione della sostanza, in «Nuova Antologia», n.2231, Luglio-Settembre 2004, pp.255-291.^
16 S.Veca, Un elogio di Enzo Paci, in Omaggio a Paci, vol.I, cit., pp.119-123.^
17 Ivi., p.121.^
18 Ivi., p.123.^
19 Ibid.^
20 Con l’espressione “logicismo” si intende quella convinzione filosofica che ritiene i principi logici inderivabili dall’esperienza e, quindi, irriducibili a qualsiasi tentativo di individuare un loro fondamento. In questo senso si utilizza l’espressione più avanti, in queste pagine, a proposito di Wittgenstein e di Carnap. In riferimento ad Husserl, l’espressione, frequentemente usata negli studi sul filosofo, ha un significato più sfumato, per il fatto che il metodo fenomenologico si propone quale alternativa alle interpretazioni psicologista e logicista. Privilegiare la componente logicista in Husserl significa mettere in evidenza l’intenzione del filosofo di valorizzare, all’interno della relazione intenzionale, il carattere eidetico dell’atto, sintetizzabile in un modello oggettivo di significato. Questa fase sarebbe in particolare espressa nelle Logiche Untersuchungen (1900), ma in parte ancora nelle Idee (1913). Secondo alcuni interpreti, Paci avrebbe sottovalutato questa forte motivazione del pensiero husserliano, per privilegiarne invece una componente “esistenzialista”, a partire dalla Krisis (1936), proiettata sulle opere precedenti. Come si può comprendere anche dalla citazione riportata nella nota successiva, il dibattito su tale questione è tutt’ora aperto.^
21 Ci sembra utile, a questo proposito, fare riferimento a un saggio di Marcella Pogatschnig, che legittima anche dal punto di vista filologico la lettura paciana di Husserl, derivata peraltro da Marleau-Ponty: «Il primo Husserl, il filosofo accusato di platonismo e di idealismo, è strettamente connesso all’ultimo Husserl, al filosofo della Lebenswelt, tema del resto già presente nel primo volume delle Idee (1913). Ma è soprattutto “in Esperienza e giudizio (1929) che l’esistenzialismo di Husserl si rivela chiaramente”: lì appare con evidenza come la riduzione fenomenologica – la messa tra parentesi del mondo e del giudizio - ha la funzione di farci ritrovare un’esistenza viva anteriore alla teoria dell’esistenza, una dimensione antipredicativa, un mondo antecedente alle distinzioni astratte, intellettualistiche e sistematiche, tra soggetto e oggetto, tra ideale e reale, tra pensiero ed esperienza». Cfr. M.Pogatschnig, Sul cammino di Paci, in Omaggio a Paci, vol. I, cit., p.111. Si tratta di una citazione di Marleau-Ponty, Elogio della filosofia, a cura di E. Paci, Torino, Paravia, 1958, pp. VII-VIII.^
22 S. Chiodo, Paci e Whitehead: la processualità relazionale della natura e il problema della soggettività emergente, in Omaggio a Paci, vol.II, cit., pp-277-289.^
23 Ivi., p.271.^
24 C. Cappelletto, Wittgenstein versus Whitehead, in Omaggio a Paci, vol.II, cit., pp.291-301.^
25 Ivi., p.292.^
26 Ivi., p.293.^
27 G. Giorello, S. Meriggi, Enzo Paci. Il labirinto delle forme, in Omaggio a Paci, vol.II., cit., pp.181-185.^
28 Paci nel suo Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Milano, Bompiani, 1990, p.107, definisce la Paarung «dualità trascendentale». Si tratta di un concetto contenuto nella quinta delle Meditazioni cartesiane di Husserl, reinterpretato, come fa notare Cristina Zaltieri, a seguito della lettura di inediti husserliani presso l’Archivio Husserl di Lovanio. Cfr. C. Zaltieri, La scrittura notturna nel Diario fenomenologico di Enzo Paci, in Omaggio a Paci¸vol.II, cit., p.44.^
29 F. Bosio, Paci, il filosofo dell’irreversibilità temporale, in Omaggio a Paci, vol.II, cit., p.190.^
30 G. Galasso, in Nient’altro che storia, cit., introduce in modo esplicito due categorie storiche, ad indicare l’orizzonte trascendentale proprio della storicità: il «mutamento» e l’«accadimento o successo». E’ necessario però, in questo caso, sottolineare una differenza, che fa riferimento al particolare significato che in Paci assume il concetto di “precategoriale”. Come si sa, da Kant a oggi, la problematica relativa al precategoriale è stata oggetto di numerose riflessioni, che hanno condotto a dilatare l’uso del termine spesso in modo improprio. Mi sembra che le categorie storiche di Galasso, nel momento in cui vengono formulate, escludono l’orizzonte del precategoriale da ogni ulteriore riflessione teoretica, nel senso che le categorie, come sempre è accaduto da Kant in poi, nel momento in cui vengono formulate, risolvono il problema relativo alla sfera ontologica che le precede. Invece in Paci, anche quando si formula una serie di concetti che definiscono le caratteristiche originarie da cui si produce il senso della realtà, questa non annulla l’importanza del precategoriale, che continua a rimanere decisivo, sempre presente e mutante, come una corrente e un’energia sotterranea che determina ogni successiva rappresentazione. In Paci il precategoriale non scompare mai e mantiene sempre una funzione determinante. Le categorie che ne derivano non appaiono in effetti caratterizzate da una concettualità stabile: la struttura relazionale della categorie paciane non possono che affiorare alla coscienza secondo determinazioni di volta in volta modificate, dovute a quell’incessante pulsione sotterranea che è la dimensione precategoriale; dimensione non ulteriormente concettualizzabile, e che Paci ha cercato di afferrare attraverso quella particolare prassi nota come “scrittura notturna” (cfr. nota 28).^
31 Per Giorello e Meriggi l’influenza di Whitehead su Paci sarebbe addirittura superiore a quella di Husserl. Cfr. Giorello-Meriggi, cit., p.181.^
32 L. Vanzago, Paci e Whitehead: la processualità relazionale della natura e il problema della soggettività emergente, in Omaggio a Paci, vol.II, cit., p. 283.^
33 Ivi., p.287.^
34 M. Cappuccio, Tecnica e umanesimo in Enzo Paci, in Omaggio a Paci, vol.II, cit., p.197.^
35 Ivi, p.202.^
36 Ibid.^
37 F.Bosio, Enzo Paci filosofo dell’irreversibilità temporale, in Omaggio a Paci, vol.II, cit., p.188.^
38 Ibid.^
39 In questo caso sembrerebbe non esserci differenza tra Croce e Paci; è da accogliere però la precisazione di Raffaele Bruno, quando afferma che, rispetto a Croce, in Paci si avverte una maggiore esigenza di approfondire la tematica del fondamento originario (rispetto per esempio all’indipendenza esistente in Croce tra sfera pratica e sfera etica), che poi dà origine alla riscoperta della storicità quale caratteristica prima del trascendentale pre categoriale. Cfr. R. Bruno, Paci e la fenomenologia del negativo, in Omaggio a Paci, vol.II, cit., pp.26. Uno studio accurato dovrebbe essere dedicato anche al rapporto tra Paci ed Hegel, rispetto al quale, eccetto qualche significativo accenno, non si soffermano i saggi della raccolta. In realtà Paci fu profondo conoscitore di Hegel, anche se questo si tende a tralasciarlo in virtù del suo fondamentale antideterminismo; Paci anzi avanzò interessanti ipotesi interpretative sulla filosofia hegeliana, come per esempio quella sul carattere aperto del concetto di “sapere assoluto”. Cfr. A. Vigorelli, Solitudine e comunità, in Omaggio a Paci, vol.II, cit., pp.142-143.^
40 Una delle posizioni critiche più radicali verso l’integrale storicismo di Paci è quella espressa da C. Sini in La fenomenologia come esistenzialismo positivo, in Enzo Paci, cit., pp-148-159. Le argomentazioni proposte, che fanno riferimento ai contenuti più qualificanti della ricerca complessiva di Sini, sono tutte legittime e tendono a individuare nella posizione storicistica un residuo metafisico, in quanto questa nega a priori la possibilità che la stessa dimensione storica sia derivata. Contestare queste affermazioni non avrebbe senso, ponendo esse una differenza di principio che va rispettata e va anzi accolta come uno stimolo per chi ritiene di porsi in continuità con le convinzioni di Paci. Su un paio di affermazioni specifiche, però, è bene soffermarsi: quando Sini rimprovera allo storicismo integrale (quello di Paci è da lui sintetizzato nella formula «vichiano-crociano-husserliano-marxiano», ivi, p.155) di ridursi «a quella forma di autocomprensione che delimita e caratterizza la cultura occidentale, e cioè un arco di vicende geograficamente limitato e inferiore ai tremila anni», ibid., in parte evade il problema. E’ chiaro che la visione storicista non nega l’esistenza di una fase della comprensione umana in cui la significanza storica non si era ancora prodotta (del resto la stessa dimensione della Lebenswelt si situa in un tale orizzonte) ma ritiene che essa stessa non possa che fondarsi, al di là della consapevolezza umana, in un orizzonte comunque processuale. L’affermazione successiva che «lo spirito storico si nega così a un effettivo e costruttivo dialogo col mondo del mito e delle altre culture», ibid., è direi ingiusto nei confronti dia Paci, dove l’esperienza del mito è continuamente tenuta presente e indagata , in quanto esperienza prestorica, ma non per questo estranea alla processualità, in cui emerge l’esigenza di senso destinata a imporsi successivamente –e ancora la dimensione della Lebenswelt ha forti legami con l’esperienza mitica-. Altra valutazione è quella offerta da Fulvio Papi: «L’aver evocato come fondamentale per comprendere il processo storico la dimensione del mito (che a Croce era particolarmente fastidiosa, basti pensare alla sua reazione all’etnografia di De Martino), poneva a Paci il problema della relazione tra mito e poesia e la soluzione era certamente una mediazione con Croce: il mito è affabulazione espressiva, un sentire che già si rappresenta in un linguaggio organizzato, mentre l’arte ha, essa stessa, un’origine sensibile, ma si pone come finalità propria la costituzione di una forma». F. Papi, All’esordio di aut aut, cit., p.87. Per quanto riguarda la riflessione crociana sulla storia universale, cfr. G. Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Milano, Il Saggiatore, 1990, in particolare pp. 428 e seguenti; F.G. Raffaele, La storia nella filosofia dello spirito di Benedetto Croce, Chiaravalle Centrale, Grafica 2000, 1995; G. Furnari Lupara Tra arte e filosofia. La teoria della storia in Benedetto Croce, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001. Per la problematica relativa al concetto di “vitalità” in Croce cfr. F. Ciaramelli, Storia universale e filosofia della storia in Benedetto Croce, in «L’Acropoli», 7 (2006), pp.394-402, commento al recente D. Conte, Storia universale e patologia dello spirito. Saggio su Croce, Bologna ,Il Mulino, 2005.^
41 E. Paci, Il significato dell’uomo in Marx e in Husserl, in «aut aut», 1963, n.73, p.19. Si tratta del testo di una conferenza che Paci tenne, il 24 ottobre 1962, all’Accademia filosofica di Praga.^
42 «Trasformare il mondo è, prima di tutto, trasformare il soggetto e il suo operare nel mondo: è dunque l’operare intersoggettivo». E.Paci, Diario fenomenologico, Milano, Bompiani, 1973 (prima edizione Il Saggiatore, 1961), p.580.^
43 E.Paci, Il significato dell’uomo in Marx e in Husserl, cit., p.19.^
44 Ivi., p.21. Questo tentativo di Paci, comporta anche la presenza nel suo pensiero di una forte componente utopica; sicuramente inattuale, soprattutto se riferita all’ambizioso progetto di dare vita a un socialismo federativo mondiale, ma capace comunque di chiarire la funzione assegnata da Paci alla filosofia. Ciò emerge soprattutto nella partecipazione al comitato di redazione, unico tra i filosofi, alla rivista di architettura «Casabella». Paci era spinto dalla convinzione che la filosofia potesse collaborare con un’operare tecnico per esprimerne meglio le finalità e far sì che esso potesse svilupparsi secondo un ethos comunitario. Il filosofo addirittura auspica una sorta di partecipazione al progetto delle stesse manovalanze, in modo tale che il cantiere potesse rappresentare un momento significativo di superamento dell’alienazione. Cfr. D. Baroni, Un filosofo tra gli architetti, in Omaggio a Paci, vol. I, cit., pp.241 - 247. ^
45 G. Raboni, Quell’estate del 1950, in «aut-aut»,nn. 214-215, 1986, p.33.^
46 G. Scaramuzza, Paci legge Kafka, in Omaggio a Paci, vol.I, cit., p.47.^
47 C. Migliaccio, Il contributo di Enzo Paci all’estetica musicale, in Omaggio a Paci, vol.I, cit., p.227. Si tratta di una citazione di G. Scaramuzza, contenuta in Crisi come rinnovamento. Scritti sull’estetica della scuola di Milano, Milano ,Unicopli, 2000.^
48 S. Raimondi, “La parola scavata nella vita”. Enzo Paci lettore di Ungaretti, in Omaggio a Paci., vol.I, cit., p.186.^
49 Ivi., p.185.^
50 Ibid. ^
51 A. Cappelletti, Intenzionalità e improvvisazione, in Omaggio a Paci, vol. I, cit., pp.213-225.^
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