Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno X - n. 2 > Interventi > Pag. 173
 
 
L’asilo nella società e nella cultura greco-antica
di Fabrizio Mastromartino
Il contesto politico, sociale e culturale in cui, nell’età antica, l’istituto giuridico dell’asilo ha trovato più ampia diffusione è senza dubbio la polimorfa civiltà greca. D’altronde, lo stesso nome con cui ancora oggi ci si riferisce all’istituto affonda le sue radici etimologiche nella cultura greco-antica 1. Con il termine ‘asulon’ – ‘inviolabile’ – composto da a privativo e da sulon – ‘violenza’, ‘rapina’ – si indica, in senso generale, una forma di immunità o di inviolabilità (secondo che sia riferita a un individuo o a un luogo) contenuta nell’idea «negativa» (espressa dall’a privativa) dell’eccezione alla violenza e al saccheggio 2.
Nonostante la sua diffusione abbia diversamente interessato tutte le fasi in cui si usa frazionare l’evoluzione storica della civiltà greco-antica, la pratica dell’asilo non è mai stata regolamentata in un quadro normativo organico. La protezione connessa all’istituto non è infatti il prodotto dell’applicazione di un principio generale 3. Piuttosto è opportuno parlare di una costellazione di luoghi, per la maggior parte santuari, che godono del privilegio di asilo 4 in virtù della loro indiscussa sacralità, o per effetto di un atto di riconoscimento della loro inviolabilità da parte dell’autorità sovrana competente: un ampio e differenziato insieme di luoghi che definisce una pluralità di manifestazioni dell’asilo nell’età antica.


Asilo e asilia

Prima di illustrare le varie forme assunte dall’istituto nel corso della storia ellenica, occorre separare forme di privilegio non equiparabili all’asilo che insieme a questo agiscono nel sistema di protezioni operante in Grecia. Ai fini del nostro discorso, è necessario distinguere dalle forme di asilo connesse ai luoghi sacri i trattati di asulia. Questi, a differenza delle prime, non hanno natura religiosa 5. Statuiscono privilegi – la cui estensione peraltro è limitata in ordine al tempo e non secondo criteri spaziali 6 – conferiti a specifiche categorie di individui, in virtù della natura della loro professione, e a determinati territori, teatro di eventi di rilievo eccezionale: per esempio ad ambasciatori, commercianti, atleti, durante la loro permanenza in territorio straniero, e alle città in cui si tengono le olimpiadi, per l’intera durata delle competizioni 7.
I privilegi di asilia di carattere personale sono assegnati a cittadini che si trovano nel territorio di un’altra polis a garanzia della loro libertà personale e della difesa dei loro diritti privati, come corrispettivo di particolari benemerenze o sulla base di trattati stipulati tra le due città coinvolte 8. In ottemperanza agli accordi stabiliti, le poleis rinunciano ad esercitare il diritto di rappresaglia nei confronti dell’altra città contraente, favorendo l’attribuzione di un complesso di garanzie ai cittadini stranieri presenti sul loro territorio, che può essere revocata in ogni momento in caso di guerra tra le due città contraenti o nel caso in cui una delle due poleis si allei con una città in guerra con quella con la quale ha stipulato l’accordo 9.


Medioevo ellenico e Grecia arcaica: gli istituti dell’asilo e dell’ichesia

In origine il titolo di asilo è associato a tutti i santuari indistintamente 10. Possono distinguersi, tuttavia, due livelli di immunità personale, conseguenti alla diversa fonte di inviolabilità associata al luogo sacro in cui è offerta protezione. Ogni santuario, senza alcuna eccezione, gode, infatti, di ichesia 11, ossia di una forma di inviolabilità che consente a chi vi trova rifugio di beneficiare di una forma temporanea di immunità e di avere accesso al rito della supplica per la concessione definitiva della protezione. Solo alcuni luoghi sacri possono invece dirsi propriamente asili. Soltanto questi offrono indiscriminatamente un rifugio di natura permanente a tutti coloro che vi entrano 12.
Le due forme di tutela, l’ichesia e l’asilo (strettamente inteso), sono rigorosamente di fonte religiosa, essendo entrambe collegate alla sacralità associata ai santuari, luoghi in cui dimorano le divinità. Pur non essendo regolate da alcun testo di legge 13, sono entrambe generalmente rispettate dalle autorità pubbliche e dalle comunità a queste sottoposte, in virtù dell’inestricabile sovrapposizione della dimensione religiosa e della sfera politica che contraddistingue la cultura greco-antica 14. Differiscono tra loro sotto importanti aspetti, che è utile schematicamente menzionare.
L’asilo configura una forma di protezione universale (il cui è accesso è dunque indifferenziato) 15 e automatica (nel senso che l’inviolabilità associata al luogo sacro si trasmette automaticamente, senza alcuna mediazione, a tutti coloro che vi entrano). Esso ha il proprio fondamento religioso e mitologico nella peculiare concezione greca del rapporto tra l’uomo e la divinità. In base a questa, il crimine riflette un fattore di fatalità che è effetto diretto delle pronunce degli oracoli e della volontà degli dei, i quali concedono asilo agli uomini come contropartita della protezione da essi offerta in seguito alla loro cacciata dall’Olimpo 16. Nonostante il carattere universale della protezione, questa versione dell’istituto è la più soggetta ad essere violata a causa della sua natura esclusivamente religiosa, non mediata dall’elemento giuridico e pertanto in alcun modo garantita dalla legge 17. Anche per questa ragione, di essa poco è noto e molto sommarie appaiono le ricostruzioni tentate dagli studi storiografici sul tema.
Analogamente all’asilo, anche l’ichesia rimanda unicamente alla sfera delle credenze religiose e del culto degli dei. Non essendo regolamentato in forma giuridica, anche questo istituto incontra inevitabilmente una relativa inefficacia. L’inviolabilità del santuario, in questo caso, si trasmette al soggetto che vi trova rifugio consentendogli, per mezzo di un particolare rito (la supplica), di domandare protezione all’autorità sovrana sul territorio in cui sorge l’asilo. I riti cui partecipa il supplice sono parte di una complessa procedura che egli deve osservare per dimostrare di meritare il favore degli dei. Le divinità, attraverso la libera volontà del sovrano, mentre offrono asilo agli innocenti e ai criminali involontari 18, favoriscono al massimo un trattamento giudiziario più mite – o almeno il rinvio dell’esecuzione della condanna 19 – per chi viene giudicato colpevole 20.
Il supplice, come avviene nelle città di rifugio della tradizione ebraica 21, è sottoposto a una sorta di processo al fine della determinazione della sua posizione. Questa è stabilita in base a precisi criteri che rivelano il carattere non incondizionato della forma di tutela offerta 22. L’inviolabilità connessa al luogo sacro definisce infatti soltanto una forma provvisoria di protezione 23, che viene ad assumere un carattere definitivo nel caso in cui l’autorità sovrana giudichi che il supplice si trova in una posizione tale da poter beneficiare dell’asilo.
Nel periodo arcaico, questa forma di protezione è sicuramente offerta ai cittadini di altre poleis e in generale agli stranieri 24 che precedentemente ne erano esclusi. Fintantoché l’organizzazione sociale della comunità rimane imperniata saldamente sulle strutture tribali, lo straniero è infatti considerato un nemico 25. La città si pone come punto di unione delle tribù che la costituiscono, ciascuna delle quali, nella sua singolarità e autonomia, esprime una specifica struttura sociale. Della polis si è membri in funzione dell’appartenenza a uno di questi gruppi tribali e non già in virtù del vincolo territoriale, cioè per il solo fatto di risiedere entro i confini della città. In forza di questa frammentazione tribale, l’articolazione giuridica della polis registra la compresenza di una pluralità di ordinamenti, tutti vigenti, nei confronti dei quali il diritto della città agisce da veicolo di armonizzazione. La forza di questo sistema risiede nella religione e nel senso della tradizione, alle cui norme consuetudinarie è vincolato anche il re 26. Egli rappresenta la massima autorità politica della polis e riveste un’alta funzione sacerdotale in conformità a un assetto istituzionale che rispecchia la coincidenza tra la comunità civile e la comunità religiosa 27. La polis si costituisce attraverso la condivisione di una specifica concezione religiosa comune ai membri della comunità. Questa non è definita territorialmente, ma in ragione del legame personale che unisce tra loro gli individui appartenenti alla città 28, il cui tratto distintivo è la forma di vita condivisa dalla comunità, la quale, avendo alla base un principio spirituale, stabilisce una distinzione incancellabile tra i membri della polis e gli stranieri 29.
Quando questo collante, costituito dalle consuetudini etico-religiose proprie di ciascuna città, si indebolisce e si assiste a un graduale allentamento della coesione sociale fondata sulla tradizione e sui costumi tribali, si diffonde l’idea che la comunità sia investita di un dovere di ospitalità nei confronti degli stranieri in fuga dalla propria città. L’esilio è uno strumento politico di grande importanza in età arcaica e trae origine dal sistema tribale alla base della polis, in cui è utilizzato prevalentemente come pena per i reati di sangue 30. In forza della sovrapposizione dell’elemento religioso alla dimensione politica della comunità, esso consiste in una punizione terribile 31: l’esiliato non è soltanto bandito dalla propria città ma subisce anche una incontrovertibile interdizione alla vita religiosa. Di conseguenza egli è oggetto di pietà e commiserazione ed è considerato un soggetto degno di essere protetto e di ricevere ospitalità 32. In questi casi, la protezione configurata dall’ichesia è garantita dall’inviolabilità collegata ai santuari che sorgono nel territorio di altre poleis, le cui comunità, attraverso i propri sovrani o i propri delegati 33, ascoltano le richieste del supplice e ne valutano la posizione.
Generalmente le poleis assumono un atteggiamento benevolo verso gli stranieri banditi dalla propria città 34. Tale generosità, fondata sul sentimento di ospitalità che informa il trattamento riservato dalla polis agli stranieri, è altresì incoraggiata dal fatto che lo straniero, una volta esiliato, perde inevitabilmente ogni tipo di legame con la propria comunità di origine. Una volta condannato all’esilio il proprio cittadino, la polis, disinteressandosi completamente della sua sorte 35, dimostra tacitamente di accettare il trattamento a questo riservato dalle altre città, le quali, a loro volta, possono così considerarsi completamente libere di offrire o di rifiutare accoglienza all’esiliato senza temere eventuali ritorsioni da parte della sua polis di origine.
Gli esempi più noti provenienti dalla letteratura classica, tratteggiano, tuttavia, una situazione per certi versi differente 36, soprattutto in rapporto al trattamento degli stranieri di origine non greca. Spesso, infatti, la concessione della protezione, per quanto sostanzialmente espressione di un atto umanitario attraverso il quale si esprimono la pietà e la compassione dovute al rifugiato, porta con sé forti implicazioni politiche che non possono essere ignorate se non mettendo in pericolo la stessa comunità che dà accoglienza all’esiliato 37.
Il carattere politico che investe la decisione del sovrano in merito alla richiesta del rifugiato è illustrato in maniera esemplare da Eschilo ne Le supplici, in cui si narra delle cinquanta figlie di Danao fuggite con il padre dalla propria patria, l’Egitto, per sottrarsi alle nozze forzate con i cinquanta figli del sovrano. Davanti alla richiesta di protezione avanzata dagli stranieri, il re degli Argivi si trova costretto a scegliere tra due soluzioni, entrambe potenzialmente nocive per il popolo ateniese: negare l’asilo provocherebbe l’ira di Zeus e la sua vendetta sul destino della polis; d’altro lato, venire incontro alle richieste delle supplici comporterebbe inevitabilmente una guerra dalle sorti imprevedibili con il regno d’Egitto, che reclama che le Danaidi vengano riconsegnate ai loro promessi sposi: un dilemma per il quale non vi è risposta priva di conseguenze dannose per la polis 38. Se la comunità respinge la richiesta di aiuto, rifiutando la protezione agli stranieri in modo da poter mantenere buone relazioni con l’Egitto, commette una violazione delle norme consuetudinarie che costituiscono il diritto pubblico della città, e non può sottrarsi alla sanzione divina, la cui vendetta si abbatterà senza scampo sulla polis; se, al contrario, in ossequio alla tradizione etico-religiosa, la comunità concede rifugio alle supplici, ponendo in secondo piano l’esigenza di mantenere rapporti pacifici con l’Egitto, si esporrà a una guerra reale dagli esiti incerti 39.
La tragedia, che si conclude con la decisione del re – approvata dai cittadini della polis riuniti in assemblea – di prestare soccorso alle donne egizie, testimonia che il timore nei confronti degli dei appare il criterio decisivo per la soluzione del dilemma posto dall’asilo 40. La protezione configurata dall’ichesia si presenta così caratterizzata da una natura sostanzialmente religiosa pur essendo una tutela dipendente dalla volontà del sovrano 41. La libertà del sovrano, rispetto alla concessione della protezione, è infatti orientata soprattutto da considerazioni di natura spirituale piuttosto che da esigenze di opportunità politica e strategica: elementi, questi, che nella cultura greco-antica rivestono evidentemente un ruolo ancora secondario.


L’età classica: la diffusione dell’asilo

Durante l’età classica gli elementi costitutivi dell’istituto si vanno progressivamente a precisare 42. L’asilo è ormai parte integrante della cultura politica e sociale delle poleis. In quanto inviolabili, i santuari posti sotto la protezione delle divinità diventano a tutti gli effetti luoghi immuni dalla giurisdizione delle pubbliche autorità. Sottrarre da essi beni, o persone che vi abbiano trovato rifugio, è ritenuto un atto sacrilego che espone il responsabile alla vendetta del dio cui il tempio è consacrato.
In riferimento a questo contesto, però, devono essere considerati propriamente luoghi di asilo quei templi dove l’inviolabilità del rifugiato sia garantita dal sacerdote del tempio e dalla comunità nel cui territorio sorge il santuario. A tutti i luoghi sacri è infatti associata l’inviolabilità. Questa, però, configura una forma di protezione qualificabile come asilo soltanto se la tutela, per effetto della convalida dell’autorità religiosa o politica, non risulti di carattere meramente provvisorio e sia invece rispettata nel tempo dalla comunità nel suo complesso 43.
L’istituto risponde a un forte bisogno sociale della comunità. Gli ordinamenti delle poleis44, pur avendo superato la fase iniziale dell’organizzazione sociale fondata sulle strutture tribali, rimangono ancora a uno stadio relativamente primitivo. La compresenza di autonomi sistemi normativi entro un unico ordinamento è faticosamente sostituita dall’unicità della legge della città, alla cui redazione scritta consegue un livello minimo di certezza del diritto. La polis assume su di sé la repressione penale nella sua interezza ed esclusività, e la giustizia è esercitata dalla comunità nel rito pubblico del processo, nel quale ai magistrati è imposto di applicare la sola legge scritta della città.
Nonostante questi passi in avanti, nell’evoluzione degli ordinamenti delle città, l’asilo continua ad agire da strumento di contenimento dell’arbitrio dei poteri forti e di garanzia dei soggetti deboli 45, rimanendo un istituto la cui funzione principale è di mitigare il rigore della legge 46 e, soprattutto, di bilanciare le inefficienze del sistema normativo della polis, ancora fortemente caratterizzato da procedure processuali inique.
Lo sfaldamento della coesione della società tradizionale basata sull’appartenenza ai gruppi tribali comporta l’insorgenza di nuovi interessi pubblici e privati che richiedono la definizione di forme di tutela adeguate. Il carattere pluralistico dell’ordinamento della città, determinato dalla stratificazione di sistemi di norme consuetudinarie precedenti al diritto della polis, viene progressivamente soppiantato 47. Con le riforme di Solone del 594 a.C., pur limitate prevalentemente all’ambito del diritto privato, la legge scritta diventa l’unica fonte giuridica riconosciuta nella polis 48. Ma è con Clistene quasi un secolo più tardi, nel 508 a.C., che finalmente si afferma il principio della statualità del diritto, attraverso la sostituzione della struttura tribale della comunità con una rete di circoscrizioni cittadine e la regolamentazione scritta del diritto pubblico 49. La polis sviluppa un rigido legalismo, in conformità del quale l’ordinamento si risolve nella raccolta delle leggi della città. La posizione giuridica dei membri della comunità è regolata interamente dal diritto scritto della polis in modo certo ed eguale. La legge della città è rigidamente applicata dai magistrati, cui è imposto di riferirsi per il giudizio alla sola legge scritta e di non prendere in considerazione le norme consuetudinarie operanti nella tradizione, le quali perdono, in questo modo, ogni rilevanza 50.
Il sistema giuridico non è, però, organizzato in un codice unitario. È composto piuttosto da un complesso di leggi frammentarie, lacunose e imprecise, i cui difetti incrinano inevitabilmente la certezza del diritto. L’inadeguatezza dell’ordinamento si riflette infatti soprattutto sul processo penale nel corso del quale i magistrati, nei casi non esplicitamente previsti dalle leggi vigenti, sono costretti a integrare i testi normativi applicando un principio di equità 51 che funziona così da norma di chiusura della disciplina delle fonti normative52. La particolare composizione della struttura dei tribunali e le specifiche procedure osservate nel dibattimento fanno sì che in epoca classica gli esiti del processo siano percepiti come un rischio da evitare ad ogni costo, in ragione dell’inevitabile incertezza che accompagna i procedimenti. Il giudizio, infatti, non è motivato e si esaurisce nella votazione, da parte dei giurati, tra i due progetti di decisione formulati dalle parti, predisposti rispettivamente dall’accusatore e dall’imputato53. Il primo apre il processo; il secondo, successivamente, presenta un progetto di sentenza – elaborato da un retore a questo deputato, il logografo54 – con cui risponde all’accusa55. L’assenza della previsione di un controllo delle prove, la mancanza di una preparazione tecnico-giuridica dei logografi, l’irrealizzabilità di un approfondimento interpretativo delle norme applicabili, l’assenza di un controllo delle argomentazioni addotte dalle parti dovuta all’inesistenza di una scienza giuridica composta da esperti56, nonché il carattere globale, e non analitico, della valutazione operata dai giurati, restituiscono la cifra di quanto ampio potesse essere il margine di discrezionalità aperto nel procedimento e quanto questo potesse essere motivo di timore nei cittadini, soprattutto negli strati più deboli della popolazione 57.
Tenendo conto di questi elementi, si può affermare che, almeno fino all’età classica, la certezza del diritto non è affatto garantita. Non stupisce allora che, in questo contesto, si faccia frequentemente ricorso alla protezione configurata dagli asili. Così come è altrettanto inevitabile che si verifichino frequenti abusi, alla cui diffusione, per mantenere l’ordine pubblico, si cerca di rispondere limitando l’accesso ai santuari e restringendo la classe dei potenziali beneficiari della tutela 58, fino ad allora indeterminata. In Atene viene, così, negata la protezione ai criminali già condannati a morte 59, i quali possono essere estratti dal luogo di asilo senza che ciò costituisca sacrilegio. Vengono, inoltre, esclusi i soggetti responsabili di reati politici, quali il tradimento, la rivolta, la diserzione e i delitti di lesa maestà, passibili piuttosto di pena di morte, essendo considerati reati offensivi delle divinità rappresentate dal sovrano 60.
Contemporaneamente all’introduzione di queste limitazioni, si registra un forte incremento dei casi di tutela offerta agli stranieri. L’età classica, infatti, non è soltanto un periodo di aspri e frequenti conflitti tra le poleis, ma è anche un momento nel quale si fa largo uso dello strumento dell’ostracismo 61. I rifugiati politici banditi dalla propria città possono recuperare i propri diritti, benché non pienamente, oltrepassando i confini della polis e conseguendo lo status di meteci in una città straniera62. Già dal 600 a.C., con l’incremento degli scambi commerciali tra le città, si diffonde la prassi di stipulare trattati tra le poleis in base ai quali viene regolamentata la posizione degli stranieri. Si tratta di norme speciali che predispongono specifici sistemi di garanzie, concepiti originariamente per i commercianti e per alcune figure professionali – che oggi chiameremmo ambasciatori 63 – e che nel periodo classico diventano privilegi cui accedono anche coloro che fuggono dalla propria polis o che ne sono allontanati per ragioni politiche.
Oltre agli stranieri, oggetto costante di protezione sono gli schiavi, rispetto ai quali la tutela configurata dall’asilo ha la funzione di compensare la loro condizione giuridica di soggetti svantaggiati, deboli e vulnerabili. È noto che la schiavitù in Grecia fosse considerata una posizione soggettiva indispensabile per l’esercizio stesso della cittadinanza da parte dei membri politicamente attivi della polis64, e che, quindi, non soltanto fosse legittimata dalla cultura della città ma fosse ritenuta un aiuto necessario al cittadino perché questi potesse partecipare attivamente alle cariche e alle funzioni pubbliche65.
Nonostante il suo insostituibile ruolo sociale, lo schiavo non è soggetto di diritto. È piuttosto un oggetto di proprietà, al pari delle cose, cui è riconosciuta una posizione giuridica soltanto nella sfera domestica66, entro la quale è titolare di situazioni esclusivamente passive, ossia di un insieme di forme di immunità, di debole efficacia, che impongono al padrone di astenersi da comportamenti lesivi dell’oggetto di cui è proprietario. Allo schiavo, quindi, non è attribuita alcuna personalità giuridica di rilievo pubblico67. È proprio a questa assenza di garanzie per la sua vita e per la sua integrità fisica che si cerca di rispondere riservandogli alcuni santuari in cui possa trovare rifugio68.
La protezione derivante dall’asilo garantisce agli schiavi la promessa di un trattamento migliore da parte del padrone e, in alcuni casi, addirittura la risoluzione del vincolo della schiavitù69. L’istituto viene, in questo modo, a rivestire una funzione di contenimento del margine di arbitrio dei magistrati e del padrone, in conseguenza del riconoscimento della sacralità personale dello schiavo a questi trasmessa dall’inviolabilità associata al luogo sacro70: ciò che costituisce l’unico esempio di protezione soggettiva riconosciuta a individui sprovvisti, ex jure, di diritti (di rilievo pubblico).


Età ellenistica: secolarizzazione ed estinzione dell’asilo

Nei regni ellenistici, la fonte dell’inviolabilità dei santuari è rigorosamente secolare. I luoghi sacri, cui è connesso il privilegio di asilo, sono dichiarati inviolabili dal sovrano attraverso iscrizioni in onore delle divinità, collocate nei santuari a queste dedicati: veri e propri decreti di inviolabilità emessi dall’autorità politica competente sul territorio in cui sorge l’asilo, cui è attribuito il privilegio secondo la piena discrezionalità del sovrano71. Il privilegio di asilo è accordato generalmente non tanto per devozione verso la divinità, che si presume abiti il santuario, quanto per ragioni di opportunità politica ed economica. Le città – sottoposte alla giurisdizione di altre poleis – che ospitano gli asili sono infatti esentate dal prelievo fiscale72.
I decreti di inviolabilità hanno ad oggetto anche intere città. A queste, per effetto della decisione del sovrano, è riconosciuta una garanzia di immunità dalla guerra e dal saccheggio. Questa condizione di neutralità assicura prosperità e ricchezza alla città interessata dal decreto che, in virtù della propria posizione di privilegio, spesso vede anche aumentare la propria popolazione73. In questa forma, l’istituto ha la funzione di limitare gli effetti della guerra, stabilendo delle aree territoriali immuni da qualsiasi atto di violenza. Di conseguenza, con la conquista romana che impone la pace sui territori greci, la pratica dell’assegnazione dei titoli di inviolabilità alle città, venendo meno la sua ragion d’essere, decade rapidamente fino a scomparire del tutto74.
Il privilegio di asilo associato ai santuari, di origine, come si è detto, ben più remota, ha invece vita meno breve. La documentazione al riguardo si riferisce agli anni tra il 286 a.C., cui si associa la prima rilevazione di un’iscrizione di inviolabilità attribuita a un luogo sacro, e il 22 d.C, anno della revisione degli asili nei territori greci operata dal Senato di Roma.
Alla maggior parte dei luoghi sacri è associata un’inviolabilità assoluta75 che consente a tutti coloro che vi cerchino protezione di beneficiare almeno di una forma temporanea di immunità. Ne consegue che la protezione configurata dall’asilo tende ad assumere un contenuto illimitato – sebbene formalmente spesso non consista in una forma di tutela di natura universale – cui è facile accedere pur non possedendo effettivamente i requisiti per beneficiarne. L’asilo diventa presto un luogo ove chiunque può trovare rifugio incondizionatamente76. Si moltiplicano, pertanto, gli abusi la cui diffusione appare una conseguenza inevitabile della funzione stessa dell’istituto e dell’arretratezza dei sistemi giuridici dell’epoca, ancorché senza dubbio più avanzati rispetto agli ordinamenti del periodo classico 77.
L’asilo inizia ad essere soggetto a un graduale processo degenerativo. I santuari cui è attribuito il privilegio divengono fonte di disordine sociale a causa della massiccia presenza di delinquenti di ogni genere e di debitori insolventi. La situazione di generale abuso è tale che, nell’interesse degli abitanti delle aree in cui sorgono gli asili, Tiberio ordina la revisione di tutti i luoghi cui è attribuito il privilegio nonché un ben più severo controllo da parte del Senato dei titoli in base ai quali ne viene giustificata l’origine e rivendicata la sopravvivenza. Il risultato è una limitazione considerevole del numero degli asili, che viene progressivamente ridotto nel corso degli anni dell’occupazione romana 78. Nel 22 d.C., infatti, il Senato ratifica un esiguo insieme di privilegi, ma proibisce categoricamente di produrre nuovi decreti di inviolabilità territoriale nell’intera penisola ellenica 79.
Analogo percorso segue la vicenda dell’asilo nell’Egitto macedone del regno dei Tolomei. Anche qui il titolo di asilo, configurando una forma di immunità dall’intrusione delle pubbliche autorità 80, determina una certa prosperità economica per le città presso le quali si trovano i santuari, facendo della concessione del privilegio un importante strumento politico che le autorità di Roma difficilmente potevano tollerare. In seguito all’occupazione romana, infatti, anche in Egitto la diffusione dell’istituto viene dapprima contenuta e successivamente, nel 31 d.C., definitivamente soppressa 81.



NOTE
1 L’etimologia cui ci si riferisce è unanimemente condivisa nell’ambito della letteratura storico-giuridica relativa all’asilo. Cfr. i seguenti studi che ne trattano espressamente: R. Trujillo Herrera, La Union Europea y el derecho de asilo, Madrid, Dykinson, 2003, p. 40; Ph. Ségur, La crise du droit d’asile, Parigi, PUF, 1998, p. 15; D. Alland, C. Teitgen-Colly, Traité du droit de l’asile, Parigi, PUF, 2002, p. 19; L. Bolesta-Koziebrodzki, Le droit d’asile, Leiden, Sythoff, 1962, p. 14; G. Crifò, Asilo (diritti antichi), in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffrè, 1958, p. 191; F. Crépeau, Droit d’asile, Bruxelles, Editions Bruylant, 1995, p. 29; F.A. Cappelletti, Dalla legge di dio alla legge dello Stato. Per una storia del diritto di asilo, in B.M. Bigotta, F.A. Cappelletti (a cura di), Il diritto di asilo, Padova, CEDAM, 2006, p. 6; K.J. Rigsby, Asylia, Berkeley, University of California Press, 1996, p. 31.^
2 Cfr. D. Alland, C. Teitgen-Colly, Traité du droit de l’asile, cit., p. 19.^
3 Cfr. Ph. Ségur, La crise du droit d’asile, cit., p. 26.^
4 Cfr. D. Alland, C. Teitgen-Colly, Traité du droit de l’asile, cit., p. 19.^
5 Cfr. K.J. Rigsby, Asylia, cit., p. 19: «This was no religious gesture, and there was nothing sacral about the privilege or the person».^
6 Ivi, p. 12.^
7 Cfr. G. Cordini, Elementi per una teoria giuridica della cittadinanza, Padova, CEDAM, 1998, pp. 45-47 e G. Crifò, Asilo (diritti antichi), cit., pp. 191-192.^
8 Il trattato più risalente in materia è approssimativamente del V secolo a.C. Cfr. U.E. Paoli, Asilia, in Novissimo Digesto Italiano, Torino, UTET, 1958, p. 1035.^
9 Sul cosiddetto diritto di rappresaglia si legga, tra gli altri, A. Biscardi, Diritto greco antico, Milano, Giuffrè, 1982, pp. 87-88: diritto di rappresaglia è quel diritto che «un cittadino esercita sui beni e sulla persona del cittadino di una città straniera, quando non possa far valere i suoi diritti davanti agli organi della città. È uno degli istituti che sorsero allorquando […] si volle assicurare agli stranieri la difesa dei loro diritti privati».^
10 Cfr. Ph. Ségur, La crise du droit d’asile, cit., p. 26. Anche G. Crifò, Asilo (diritti antichi), cit., p. 192.^
11 In greco: ίχεσία. Cfr. K.J. Rigsby, Asylia, cit., p. 14. Anche G. Crifò, Asilo (diritti antichi), cit., p. 192, che, tuttavia, si riferisce al medesimo istituto chiamandolo ίχετεία.^
12 Al riguardo si veda ancora K.J. Rigsby, Asylia, cit., p. 14.^
13 Cfr. A. Duclaux, Ad ecclesiam confugere: naissance du droit d’asile dans les eglises, Paris, De Boccard, 1994, p. 224.^
14 Cfr. tra gli altri N.-D. Fustel de Coulanges, La città antica. Studio sul culto, il diritto, le istituzioni di Grecia e di Roma, Bari, Laterza, 1925.^
15 Cfr. L. Bolesta-Koziebrodzki, Le droit d’asile, cit., p. 32 e G. Crifò, Asilo (diritti antichi), cit., p. 193. Anche K.J. Rigsby, Asylia, cit., p. 2: «Anyone who entered a temple precinct or clasped an altar or even achieved some other physical connection with sacred space was to be immune from violence for he had put himself at the discretion of the god rather than of man».^
16 Cfr. D. Alland, C. Teitgen-Colly, Traité du droit de l’asile, cit., p. 19.^
17 Un celebre esempio è il massacro degli iloti, rifugiatisi nel santuario dedicato a Nettuno nella città di Tanaro, perpetrato dai lacedemoni in spregio alla sacralità del tempio. Cfr. Ph. Ségur, La crise du droit d’asile, cit., p. 29.^
18 Cfr. A. Duclaux, Ad ecclesiam confugere, cit., p. 224.^
19 Cfr. G. Crifò, Asilo (diritti antichi), cit., p. 192.^
20 Cfr. Ph. Ségur, La crise du droit d’asile, cit., p. 27.^
21 Le sei città di rifugio furono istituite da Giosuè nel VII secolo a.C. in seguito allo smembramento della comunità ebraica in gruppi tribali stanziati in aree territoriali distanti tra loro. Le città di rifugio vennero istituite per assicurare l’accesso alla protezione a tutti i membri del popolo ebraico, indipendentemente dal gruppo tribale di appartenenza, e per contenere la prassi della vendetta privata. L’asilo divenne così a tutti gli effetti un istituto giuridico che integrava il sistema della giustizia penale vigente nella comunità. La procedura attraverso la quale era offerta o rifiutata la protezione rifletteva le funzioni di un dibattimento processuale. Cfr. Giosuè, 20:3-6 e 9; Deuteronomio, 19:4 e 11-13; Numeri, 35:11-12 e 24.^
22 Sul punto si legga quanto scrive K.J. Rigsby, Asylia, cit., p. 10: «In practice escaping to a temple was not enough for a fugitive from the law: the god or the god’s priest could refuse him».^
23 Cfr. G. Crifò, Asilo (diritti antichi), cit., p. 193 e U.E. Paoli, Asilo (diritto greco e romano), in Novissimo Digesto Italiano, Torino, UTET, 1958, p. 1035.^
24 Cfr. R. Trujillo Herrera, La Union Europea y el derecho de asilo, cit., p. 41.^
25 Cfr. A. Biscardi, Diritto greco antico, cit., p. 86. Anche G. Cordini, Elementi per una teoria giuridica della cittadinanza, cit., pp. 43-45.^
26 Cfr. M. Galizia, La teoria della sovranità, Milano, Giuffrè, 1951, pp. 521-522.^
27 Ne è un esempio il fatto che il reato di empietà era qualificato come crimine di natura politica, alla stregua dei delitti di lesa maestà. Cfr. E. Grosso, Le vie della cittadinanza, Padova, CEDAM, 1997, pp. 59 e 61.^
28 Ivi, p. 49.^
29 Cfr. G. Crifò, Civis, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 27-28.^
30 Come pena, l’espulsione dalla comunità è sicuramente prevista nel periodo che va dal 900 a.C. alla legislazione di Dracone del 621, entro la quale è prevista quale sanzione per l’omicidio involontario. L’omicidio volontario, premeditato, è invece punito con la morte, che è anche la pena prevista per chi uccide il criminale riconosciuto colpevole e già condannato all’esilio. Cfr. E. Balogh, Political refugees in ancient Greece, Roma, “L’erma” di Bretschneider, 1972, p. 2 e A. Biscardi, op. cit., p. 288.^
31 Si legga il lamento espresso dal Coro nella Medea di Euripide: «A ritroso dei sacri fiumi muovono le fonti; e giustizia è sconvolta ed ogni cosa. […] Dalla morte io sia vinta prima, terminando la mia giornata. Altro affanno non esiste più grave che esser privo della patria»; in Id., Medea, Milano, Mondadori, 1985, §§ 410 e 435.^
32Cfr. R. Gorman, Poets, Playwrights, and the Politics of Exile and Asylum in Ancient Greece and Rome, in «Intenational Journal of Refugee Law», 6 (1994), pp. 403-404 e p. 411.^
33 Fino all’inizio del VI secolo a.C. Atene delegava speciali funzionari alla valutazione dei casi. Cfr. E. Balogh, Political refugees in ancient Greece, cit., p. 2.^
34 Ivi, p. 53: «It was a religious duty from pre-Homeric times onwards not to give up the suppliant to his pursuers and to earn his gratitude».^
35 Cfr. S.P. Sinha, Asylum and international, L’Aja, Nijhoff, 1971, p. 16.^
36 Si considerino le vicende di Edipo e delle sue figlie, Antigone ed Isméne, narrate da Sofocle nell’Edipo a Colono.^
37 Cfr. R. Gorman, Poets, Playwrights, and the Politics of Exile and Asylum in Ancient Greece and Rome, cit., p. 414.^
38 A questo riguardo, significative appaiono le parole dello stesso re di Argo, Pelasgo: «Io non posso soccorrervi senza danno»; «Una folla di mali s’avanza simile ad un fiume. Ecco, sono entrato nell’immenso mare della sventura, così duro da traversare, e senza neppure un porto ove ripararmi dai mali»; «Senza dolore nulla si risolve!»; §§ 376, 470 e 441. In Eschilo, Supplici, Milano, Mondadori, 1994.^
39 Si considerino ancora le parole di Pelasgo: «Suscitare una grande guerra o contro gli uni o contro gli altri è ormai necessità assoluta», ivi, § 439. Sul punto, R. Gorman, Poets, Playwrights, and the Politics of Exile and Asylum in Ancient Greece and Rome, cit., p. 408.^
40 Ancora il re degli argivi: «Bisogna temere l’ira di Zeus Supplice: non esiste per i mortali angoscia più spaventosa», in Eschilo,Supplici, cit., § 478.^
41 Cfr. Ph. Ségur, La crise du droit d’asile, cit., p. 27.^
42 G. Crifò, Asilo (diritti antichi), cit., p. 193.^
43 U.E. Paoli, Asilia, cit., p. 1035. In questo caso, nel tempio è assicurato il sostentamento di coloro cui è offerta protezione.^
44 Nell’analisi che segue si fa riferimento al diritto attico del periodo tra il VII ed il V secolo a.C. Questo, secondo A. Biscardi, restituisce il “comune denominatore” giuridico condiviso dalle poleis nell’età classica. Cfr. A. Biscardi, Diritto greco antico, cit., p. 9.^
45 Cfr. F.A. Cappelletti, Dalla legge di dio alla legge dello Stato, cit., p. 8.^
46 Cfr. S.P. Sinha, Asylum and international, cit., p. 9.^
47Cfr. A. Biscardi, Diritto greco antico, cit., pp. 9-10. Questo complesso di norme regolava la sfera religiosa e sacrale e i rapporti privatistici tra gli individui nel contesto familiare.^
48 Sull’opera legislativa di Solone, si vedano: Plutarco, La vita di Solone, a cura di L. Piccirilli, Milano, Mondadori, 1977; K. Raaflaub, Solone, la nuova Atene e l’emergere della politica, in S. Settis (a cura di), I greci. Storia cultura arte e società, 2, 1, Torino, Einaudi, 1996.^
49 Cfr. M. Galizia, La teoria della sovranità, cit., pp. 522-531.^
50 Cfr. M. Talamanca, Il diritto in Grecia, in M. Bretone, M. Talamanca (a cura di), Il diritto in Grecia e a Roma, Bari, Laterza, 1981, p. 49.^
51 Cfr. M. Galizia, La teoria della sovranità, cit., p. 531. Sul tema dell’equità e sui rapporti tra giustizia ed equità, si vedano le classiche pagine di Aristotele nel V Libro dell’Etica Nicomachea, I, 1137 e segg., Milano, 1993.^
52 Cfr. M. Talamanca, Il diritto in Grecia, cit., p. 49.^
53 Sul processo attico si veda A.W.R. Harrison, Il diritto ad Atene, II, La procedura, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2001.^
54 Sulla figura del logografo si veda C. Bearzot, La giustizia nella Grecia antica, Roma, Carocci, 2008, pp. 78-80.^
55 Cfr. M. Talamanca, Il diritto in Grecia, cit., pp. 26-27.^
56 Segnala il carattere empirico della giurisprudenza greca e l’assenza di un’elaborazione tecnico-giuridica del dato normativo nella cultura ellenica M. Talamanca, ivi, pp. 19-21. Sul punto anche A. Biscardi, Diritto greco antico, cit., p. 13, il quale sottolinea che il problema giuridico in Grecia si intreccia con quello morale e politico e non costituisce un ambito di conoscenza riservato a un ridotto insieme di tecnici, bensì è avvertito da tutti i cittadini. In questo contesto, afferma ancora Biscardi, la speculazione filosofica sembra essere «l’unica sede programmatica di riflessione sul dato giuridico».^
57 Cfr. M. Talamanca, Il diritto in Grecia, cit., pp. 68 e 71-72.^
58 Cfr. F.A. Cappelletti, Dalla legge di dio alla legge dello Stato, cit., p. 7.^
59 Cfr. Ibidem; Ph. Ségur, La crise du droit d’asile, cit., p. 28; G. Crifò, Asilo (diritti antichi), cit., p. 193.^
60 Cfr.S.P. Sinha, Asylum and International, cit., p. 16 e L. Bolesta-Koziebrodzki, Le droit d’asile, cit., p. 37.^
61 Per effetto dell’ostracismo, il cittadino era escluso dalla vita politica della città e dalle funzioni pubbliche per dieci anni. Introdotto per combattere il pericolo della tirannide, si rivelò uno strumento funzionale a dirimere con mezzi non violenti i conflitti tra i partiti politici, garantendo una maggiore stabilità alle istituzioni della città. Cfr. G. De Sanctis, Storia dei greci, Firenze, La Nuova Italia, 1942, pp. 548-549.^
62 Cfr. E. Balogh, Political refugees in ancient Greece, cit., p. 43. La condizione di privilegio dei meteci individua una posizione giuridica non uniforme. In ogni caso, non consente di avere accesso alla partecipazione alla vita politica della città. Cfr. A. Biscardi, Diritto greco antico, cit., pp. 86-89.^
63 Cfr. E. Balogh, Political refugees in ancient Greece, cit., pp. 447-449.^
64 In proposito, cfr. Aristotele, Politica, Torino, UTET, 2006; III, §1277, pp. 147-152.^
65 Alla magistratura, alla giuria nei tribunali e alle deliberazioni della pubblica assemblea. Cfr. A. Biscardi, Diritto greco antico, cit., p. 83 e E. Grosso, Le vie della cittadinanza, cit., p. 53.^
66 Cfr. G. Cordini, Elementi per una teoria giuridica della cittadinanza, cit., p. 34.^
67 Soltanto nella sfera del commercio lo schiavo gode di un’autonomia tale da avvicinare la sua condizione a quella del libero. Cfr. A. Biscardi, Diritto greco antico, cit., pp. 92-96.^
68 Cfr. G. Crifò, Asilo (diritti antichi), cit., p. 193; Ph. Ségur, La crise du droit d’asile, cit., p. 28; G. Cordini, Elementi per una teoria giuridica della cittadinanza, cit., p. 92. Cfr. S.P. Sinha, Asylum and international, cit., p. 7.^
69 Cfr. D. Alland, C. Teitgen-Colly, Traité du droit de l’asile, cit., p. 20.^
70 Cfr. G. Cordini, Elementi per una teoria giuridica della cittadinanza, cit., p. 92.^
71 Cfr. K.J. Rigsby, Asylia, cit., pp. 4-6 e A. Duclaux, Ad ecclesiam confugere, cit., p. 224.^
72 Cfr. A. Duclaux, Ad ecclesiam confugere, cit., p. 7 (in nota).^
73 Cfr. D. Alland, C. Teitgen-Colly, Traité du droit de l’asile, cit., p. 20.^
74 Cfr. K.J. Rigsby, Asylia, cit., pp. 4-6.^
75 Cfr. Ph. Ségur, La crise du droit d’asile, cit., p. 27.^
76 Cfr. A. Duclaux, Ad ecclesiam confugere, cit., p. 225.^
77 In epoca monarchica, la redazione scritta delle leggi comporta una sensibile evoluzione verso una più ampia certezza del diritto, venendo a limitare, in qualche misura, il rischio di prevaricazioni degli organi giurisdizionali. Anche le forme del processo segnalano importanti passi in avanti compiuti dal diritto: durante il procedimento sono presenti gli avvocati delle parti, veri e propri consulenti tecnici e non semplici retori; è steso un verbale in cui sono registrati gli atti introduttivi del processo e le arringhe; è il giudice unico ad emettere la sentenza, che deve essere sempre motivata. Cfr. M. Talamanca, Il diritto in Grecia, cit., pp. 33-66 e 29-31. Sull’evoluzione del diritto ellenistico si veda C. Bearzot, La giustizia nella Grecia antica, cit., pp. 121 e sgg.^
78 Cfr. G. Crifò, Asilo (diritti antichi), cit., pp. 193-194; Ph. Ségur, La crise du droit d’asile, cit., pp. 31-32.^
79 Cfr. K.J. Rigsby, Asylia, cit., p. 4.^
80 Ivi, p. 21.^
81 Cfr. D. Alland, C. Teitgen-Colly, Traité du droit de l’asile, cit., p. 18.^
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft