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Nietzschee il liberalismo. Una postilla
di Anna Maria Voci
«Zuletzt war er ein kleines Schimmerlicht von freiem Gedanken, die letzte Hoffnung für Deutschland». Il personaggio di cui, il 20 giugno 1888, si compiange qui la morte, in quanto avrebbe rappresentato, in fine, «un fioco barlume di libero pensiero», «l’ultima speranza per la Germania», è Federico III (1831-1888), prima, per quasi tre decenni, il Kronprinz di sentimenti liberali e notoriamente legato all’ala sinistra dei nazional-liberali, i cui esponenti furono antagonisti intransigenti di Bismarck e del suo governo, poi l’imperatore dei 99 giorni (9 marzo-15 giugno 1888) che, forse, avrebbe potuto imprimere un corso diverso alla storia tedesca. Morendo prematuramente, egli dovette invece lasciare il regno al figlio
Chi scrisse quelle parole ad un amico non fu però un convinto liberale, uno di quei vigorosi e coraggiosi rappresentanti del liberalismo di sinistra appoggiati dal Kronprinz, quali Ludwig Bamberger o Eugen Richter, ma un intellettuale che fu senz’altro piuttosto “unpolitisch”, ebbe talvolta parole di non grande apprezzamento per il liberalismo, e la cui personalità (e dunque anche la posizione verso la società e la politica), già essendo egli ancora in vita, venne definita quella di un “aristocratico radicale”1. Si tratta di Friedrich Nietzsche2.
Il giudizio citato sopra sullo sfortunato Federico III risulta a prima vista strano da un lato proprio per la sostanziale indifferenza mostrata di solito da Nietzsche verso il tema della politica in generale, e verso quella tedesca in particolare, tanto che egli stesso si definisce nella sua autobiografia del 1888 «l’ultimo tedesco antipolitico»3. Il suo pensiero è stato di recente plasticamente riassunto nell’espressione di «apolitischer Elitarismus» 4, pur se da qualche decennio a questa parte si è data la dovuta attenzione alla sua presa di posizione quasi immediata fortemente critica verso la costituzione dello Stato nazionale tedesco, del Kaiserreich.
Dall’altro lato quel giudizio risulta strano anche perché, come si è accennato, nelle poche esternazioni sul liberalismo sparse negli scritti di Nietzsche, o, meglio, su ciò che del movimento di idee liberale egli vedeva realizzato nella società, si coglie qualche forte riserva. Mi limito a ricordare quanto egli scrive nel 1888 in Götzen-Dämmerung:
[…] Le istituzioni liberali cessano di essere tali non appena si sono realizzate: dopo, non esistono elementi più nocivi alla libertà che le istituzioni liberali. Si sa che cosa esse producano: minano la volontà di potenza, livellano montagna e valle elevando questo livellamento a morale, rendono l’uomo piccino, vile e godereccio – con esse trionfa ogni volta l’animale del gregge. Liberalismo: in tedesco abbrutimento da gregge… Fino a quando si lotta per raggiungerle, quelle stesse istituzioni generano ben altri effetti; allora esse promuovono in effetti potentemente la libertà. Più precisamente, è la guerra che genera questi effetti, è la guerra per le istituzioni liberali, la guerra, che, in quanto tale, fa perdurare gli istinti illiberali. E la guerra educa alla libertà. E infatti, cosa è la libertà? Che si abbia la volontà di autoresponsabilità. Che si tenga fermo alla distanza che ci separa. Che si acquisti maggiore indifferenza verso gli affanni, le dure difficoltà, le privazioni, perfino verso la vita […]. Libertà vuol dire che gli istinti virili, compiacentisi della guerra e della vittoria, prevalgano sugli altri istinti, ad esempio su quello alla “fortuna”. L’uomo divenuto libero, e tanto più lo spirito fattosi libero, calpesta quel tipo spregevole di benessere del corpo, del quale sognano bottegai, cristiani, vacche, femmine, inglesi ed altri democratici […]5.

Da queste parole pare di dover dedurre che ciò che dava estremo fastidio a Nietzsche non era il fondamento teorico sul quale basavano le istituzioni liberali, perché, anzi, con ogni probabilità la componente di individualismo economico, e soprattutto sociale, di quel fondamento non doveva risultargli affatto invisa, ma era la mutazione subìta dal liberalismo, il quale, dopo aver trionfato su un regime illiberale, era, secondo lui, ineluttabilmente destinato a trasformarsi da alto e arduo concetto di libertà individuale, da forte e continua tensione dello spirito verso la libertà, in democraticismo, in spregevole concetto di libertà passiva, meschina, conformistica e livellatrice, in ricerca del benessere corporale della massa, della “mandria”.
Pur essendo estremamente difficile ricondurre il pensiero di Nietzsche, anche quello politico, ad un quadro di svolgimento sistematico, perché tutta la sua indole ribelle e, di conseguenza, la sua storia personale lo impediscono, recentemente Matthias Steinbach ha ricostruito l’evoluzione delle convinzioni da lui maturate in relazione ai principali avvenimenti della storia politica tedesca, e ne ha esposto le vedute intorno ad alcuni temi, quali la rivoluzione, la democrazia, il processo di democratizzazione, il parlamentarismo, i partiti, l’antisemitismo, la guerra e la pace6. Quanto al percorso delle sue idee politiche, Steinbach risale alle prime osservazioni dell’adolescente Nietzsche al tempo dell’assedio di Sebastopoli (1854-1855) durante la guerra di Crimea, e, passando per gli entusiasmi nazional-liberali e le dichiarazioni di lealtà verso la dinastia regnante in Prussia, espressi nel 1866 in occasione della guerra austro-prussiana, quindi alla sua partecipazione alla guerra franco-prussiana del 1870/71 come infermiere volontario, arriva fino al 1872, quando da convinto sostenitore del corso bismarckiano e della soluzione piccolo-tedesca della questione nazionale, egli si trasformò lentamente, ma durevolmente in critico inflessibile del prussianesimo e del Kaiserreich, la cui proclamazione egli fu, a quanto sembra, il primo ad avvertire e a denunciare per iscritto come foriera dell’estirpazione dello “spirito” tedesco, soprattutto per l’occasione allora perduta di imparare dalla cultura del nemico sconfitto. Per Steinbach si tratterebbe del passaggio di Nietzsche ad una posizione non tanto anti-liberale, quanto anti-nazionale, per la quale l’ideale da lui perseguito divenne quello del “buon europeo”, che, per influenza del suo soggiorno in Svizzera e della personalità di Jakob Burckhardt, vagheggia forme di autonomia comunale e di democrazia diretta e non rappresentativa, evidentemente ispirate a suggestioni dell’antichità, del modello greco della città-Stato7.
Come si concilia tutto ciò con l’elogio fatto da Nietzsche nel 1888, l’ultimo anno della sua produzione intellettuale, e a pochi mesi dalla sua irreversibile caduta nelle tenebre della pazzia, all’imperatore liberale Federico III, «die letzte Hoffnung» per la Germania, un elogio che poneva un sigillo a un rapporto che in parte era stato armonico (ricordo la comune riprovazione per l’antisemitismo), ma talvolta fu segnato anche da un netto disaccordo8 ? A tale proposito mi pare che nella lucida e dettagliata esposizione di Steinbach risalti singolarmente lo scarso spazio dato al liberalismo, nel senso che manca il riconoscimento che, pur nella ben nota difficoltà di ricavare dagli scritti nietzscheani un quadro chiaro di convinzioni politiche, è tuttavia proprio una certa fedeltà al suo concetto di liberalismo a costituire il filo rosso del pensiero politico di Nietzsche. A mio parere permane sostanzialmente la giustezza del giudizio dato oltre quaranta anni fa da Theodor Schieder, per il quale Nietzsche rimase al fondo sempre in qualche modo legato, se non proprio, come vuole Schieder, al Nationalliberalismus borghese, dal quale era partito da giovane 9, almeno a una certa idea di Liberalismus. In sostanza, a partire dal 1872, Nietzsche passò a mano a mano da un liberalismo inteso in senso per così dire “classico”, come movimento politico che consentisse il raggiungimento effettivo della libertà personale del cittadino, della libertà politica e, di conseguenza, di un benessere diffuso e dell’unità nazionale sotto l’egida prussiana, a un’idea astratta di liberalismo aristocratico, che, però, a ben guardare, praticamente coincide con la posizione originaria dei teorici classici del liberalismo, ad esempio Gladstone, per il quale esso
è la via per produrre e promuovere non la democrazia ma l’aristocrazia, la quale è veramente vigorosa e seria quando non è aristocrazia chiusa, ma aperta, ferma bensì a respingere il volgo, ma pronta sempre ad accogliere chi a lei s’innalza10.

Peraltro, i modi della sua realizzazione sul piano concreto delle istituzioni politiche restano in Nietzsche alquanto nebulosi. Ma, dopo quella data (il 1872), ciò che per lui soprattutto conta è la convinzione da lui via via maturata che l’individualità e la vera libertà di azione e di pensiero di un uomo potevano esistere solo al di fuori dello Stato11, e ciò proprio perché l’evoluzione della politica tedesca andò, dagli anni Settanta in poi, assumendo sempre più connotati da lui detestati: da un lato un rigido autoritarismo nello stile di governo, inevitabilmente nemico della vera cultura e soffocante lo spirito; dall’altro lato una politica sociale interventista, tesa a dirigere tutti i rapporti dall’alto, e un protezionismo economico che imbrigliava l’iniziativa individuale; e infine un militarismo opprimente, una crescente militarizzazione della politica e della mentalità sociale in Germania. Sembra che proprio contro tutto ciò sia diretta quella sua esclamazione in Morgenröthe (1880) che parrebbe quasi uscita dalla bocca di uno studioso classico del liberalismo: «Quanto meno Stato possibile!»12. Per tutto questo insieme di elementi Schieder ha parlato di un suo «rapporto agonistico» nei confronti del Cancelliere: «Nietzsches agonales Verhältnis zu Bismarck, zum Reich, zum deutschen Charakter»13.
Si tratta, come mi sembra evidente, di un’opposizione al regime, al sistema di governo imposto da Bismarck14 al Reich e al popolo tedesco, che, per Nietzsche, come per altri esponenti del ceto colto tedesco, era rappresentata simbolicamente dalla personalità del Kronprinz. A ciò si aggiunge la posizione pubblicamente assunta da quest’ultimo contro l’antisemitismo in fase di robusta diffusione in Germania nella seconda metà degli anni Settanta e negli anni Ottanta. Non a caso la frase di Nietzsche citata all’inizio di questa postilla si chiude con la constatazione che, con la dipartita dell’«ultima speranza» per la Germania, sarebbe iniziato il regime di Stöcker («Jetzt beginnt das Regiment Stöcker»15), cioè il regime del predicatore di Corte Adolf Stöcker (1835-1909), esponente di punta di un attivo gruppo politico e intellettuale di ultra-conservatori reazionari e antisemiti, tra i quali spiccava pure lo storico Heinrich von Treitschke.
Né, d’altro canto, Nietzsche difendeva questa volta un’opinione “inattuale”. Al contrario! Che quella sua sensazione di naufragio spirituale con l’uscita di scena del Kronprinz fosse diffusa in Germania nel ceto intellettuale liberale è dimostrato (e faccio solo un esempio che mi pare eloquente) da quanto scrive il 10 novembre 1887 lo storico Otto Hartwig, direttore della Biblioteca universitaria di Halle, al suo amico italiano, lo storico Pasquale Villari, quando si era da poco diffusa la notizia della malattia grave del Kronprinz, affetto da un ormai incurabile carcinoma alla laringe:
Da alcuni giorni sento tutto il peso della sventura fatale che ha colpito il nostro principe ereditario. Lei non sa quanto sia in gioco. Si può dire una buona parte della intera Kultur tedesca. E infatti il figlio è purtroppo quasi in tutto il contrario del padre, viziato e coccolato dai peggiori reazionari e pertanto completamente in loro potere e quasi estraniato dai genitori. Considerata la forza che da noi ha la Monarchia, ciò avrà conseguenze imperscrutabili16.

Non lo si può negare, Hartwig fu un buon profeta.
In conclusione, a me sembra che proprio il giudizio di Nietzsche sulla scomparsa di Federico III, pervaso dal rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere (la vittoria della libertà del pensiero, della libertà dello spirito) e non sarebbe più stato, è un elemento importante che invita anch’esso a pensare ad una effettiva e continua affezione nella riflessione di Nietzsche verso un determinato ideale di liberalismo, pur se appare indubbio che egli, nel momento supremo del trapasso dalla vita alla morte, quando si è indotti con facilità a trasfigurare la personalità e le res gestae di un uomo, abbia idealizzato, anzi sublimato la figura del defunto Imperatore. Perché è chiaro che Federico, se avesse avuto il tempo di dare dimostrazione della sua statura di sovrano regnante, che gli storici possono per forza di cose solo supporre, non provare, non avrebbe potuto corrispondere che solo in parte alle richieste di maggiore libertà e meno autoritarismo, militarismo e antisemitismo nella vita politica e sociale tedesca, sicuramente però non al desiderio ideale di un colto liberalismo, dai chiari tratti aristocratici, elitari, e anche, direi, di utopismo.
Forse, però, non vi è solo questa dimensione, per così dire, immaginaria nel rimpianto di Nietzsche. Forse con il suo elogio funebre all’imperatore Federico egli allude anche a concrete prospettive di cambiamenti politici delle quali aveva avuto notizia e che ormai erano sfumate. A questo proposito vorrei richiamare l’attenzione sulla lettera scritta da Nietzsche alla madre, da Nizza, il 20 marzo 1888.
Dal momento della comunicazione ufficiale della sua grave infermità (novembre 1887) il Kronprinz si era ritirato sulla riviera ligure, a San Remo, sperando di trovare in un clima più mite un qualche sollievo alla malattia 17. Lì rimase fino a che, il 9 marzo 1888, lo raggiunse la notizia della morte del padre, l’imperatore Guglielmo I, che, dopo alcuni giorni di agonia, si spense a Berlino in quel giorno. Il giorno dopo Federico III si mise in viaggio per tornare a Berlino, dove giunse la sera dell’11 marzo. Già per il suo stato generale di salute e l’indebolimento provocato dalla infermità il nuovo Imperatore non era di fatto in grado di assumere la direzione effettiva degli affari di governo. A ciò si aggiungeva il fatto che, per evitare che il principe rischiasse di soffocare a causa dell’ingrossamento delle parti della gola colpite dal cancro, il 9 febbraio 1888 i medici gli avevano dovuto praticare una tracheotomia. A seguito di questo intervento aveva perduto l’uso della voce. Egli poteva comunicare con gli altri solo tramite biglietti o a gesti o, muovendo le labbra, grazie all’aiuto della moglie, l’unica in grado di leggere le parole dalla sua bocca, ed è evidente che durante i 99 giorni del suo regno poté fare ben poco, e non gli fu possibile adottare alcuna iniziativa di vero rilievo politico.
Nei mesi del soggiorno italiano del principe ereditario anche Nietzsche si trovava non lontano da San Remo, a Nizza. Alla madre egli comunica, tra le altre cose, che durante quell’inverno si era trovato spesso a parlare con una vicina di tavolo all’albergo nizzardo dove alloggiava, il cui nome era Baronessa Plänckner. Costei, egli scrive, essendo di nascita una Seckendorff, era in stretto contatto con il Conte Seckendorff, che era la «mano destra» della nuova imperatrice, Vittoria. Come è noto, ella era la figlia della regina Vittoria d’Inghilterra, che nel 1858 aveva sposato il principe ereditario di Prussia, Federico. Per il paese da cui veniva e l’educazione ricevuta, Vittoria condivideva fino in fondo tutti i sentimenti liberali del marito, e, anzi, a quanto pare, lo superava. La Baronessa, continua Nietzsche, era inoltre amica del professor Ernst von Bergmann. Costui era il chirurgo di Berlino che aveva avuto in cura il Kronprinz e, sin dall’inizio (nella primavera del 1887), aveva formulato una diagnosi di carcinoma alla laringe e consigliato urgentemente la sua asportazione chirurgica, nonostante i rischi legati ad una operazione di quel genere. A tale diagnosi la coppia dei principi aveva reagito cercando, nella disperazione, il consulto di uno specialista inglese, che, invece, li aveva rassicurati circa la natura, a suo dire, benigna del tumore del principe. Nell’autunno del 1887 era diventato ormai chiaro che era stato proprio questo errore a spegnere ogni speranza (forse comunque vana o ingannevole) di guarigione del paziente. Dal dottor Bergmann, riferisce Nietzsche, la Baronessa aveva avuto molte informazioni. Per queste conoscenze della Baronessa Plänckner, nata Seckendorff, e per le confidenze a lui fatte, Nietzsche scrive alla madre il 20 marzo 1888 (quando il nuovo Imperatore era già rientrato a Berlino) di essere molto bene informato su quanto era avvenuto a San Remo durante l’inverno appena trascorso. E aggiunge: «Ho persino avuto in mano alcuni fogli di carta scritti dal Kronprinz un paio di giorni prima della sua partenza»18.
A questo punto l’assenza di altri dati costringe a fare ricorso a qualche ipotesi più o meno probabile, più o meno avvincente. Che cosa contenevano quei fogli di carta? È un vero peccato che Nietzsche non abbia aggiunto altra parola e abbia lasciato nel lettore una grande curiosità insoddisfatta. Cosa può avere scritto Federico un paio di giorni prima della partenza per Berlino (avvenuta il 10 marzo 1888), quando aveva ormai la certezza che era giunto il suo turno di assumere la responsabilità di governo? Tutto indurrebbe a immaginare che in quei giorni di marzo (diciamo il 6, il 7, l’8 o il 9, quando arrivarono le notizie prima del peggioramento dello stato di salute19, poi della morte di Guglielmo I20) la sua mente fosse interamente occupata dall’idea dell’alto compito che era chiamato a svolgere, che ad esso dovevano essere dedicati i suoi pensieri e che, non potendo egli manifestarli a voce, ne mise almeno una parte per iscritto su foglietti. Forse in quei foglietti si trovava anche qualche riflessione per qualche integrazione e aggiunta, in relazione a questioni di attualità più immediata, che l’Imperatore desiderava fare ai due testi con i quali egli intendeva iniziare il suo periodo di regno, e che erano già pronti, perché redatti tempo prima in vista appunto del suo insediamento: la Proklamation al suo popolo (An Mein Volk), e il decreto (Erlass) diretto al Cancelliere imperiale. Come che sia, una brevissima nota nel diario di Federico del 1888, il giorno 7 marzo, potrebbe alludere anche e proprio a questo: «Ho discusso con Radolinski delle principali evenienze» («Ich mit Radolinski die Haupteventualitäten besprochen»)21. È evidente che egli non può averne discusso a voce con il suo maresciallo di Corte, ma che lo scambio di idee deve essere avvenuto attraverso la stesura da parte di Federico di alcune note scritte e le risposte verbali del Radolinski.
Chi può sapere se alcuni di tutti questi foglietti dal contenuto politico (forse un paio) poi, attraverso il Conte Seckendorff, intimus della Kronprizessin, dal 9 marzo Imperatrice (costantemente al fianco del marito), non siano giunti nelle mani della Baronessa Plänckner, e, da questa, quindi mostrati a Nietzsche?
E qui finisce la parte delle speculazioni ipotetiche. Quando, il 9 marzo, gli giunse la notizia della morte del padre, la pagina corrispondente del suo diario è tutta occupata da poche riflessioni, tristi, alte, e piene di solenne e consapevole dignità, su questo evento che dava una svolta al breve resto della sua vita:
Oggi, alle 8 ½ del mattino, il mio diletto padre ha chiuso per sempre gli occhi e, alle 10½, un telegramma di Guglielmo mi annunciava che non ho più un padre! Così sono salito sul trono dei miei antenati e su quello degli imperatori tedeschi! Dio voglia aiutarmi ad adempiere ai miei obblighi secondo coscienza e per il bene sia della mia patria più stretta, che di quella più ampia22.

Il tenore dei due documenti ricordati sopra (al popolo tedesco e a Bismarck), che vennero resi pubblici il giorno dopo l’arrivo di Federico a Berlino, il 12 marzo 1888, e che, pur non esprimendo un programma politico dettagliato di “svolta”, di “nuovo corso”, di cambiamento radicale, davano tuttavia senz’altro voce alle sue convinzioni liberali di rispetto dell’ordinamento giuridico e costituzionale, di sollecitudine per il benessere del suo popolo, di richiamo alla responsabilità di ogni individuo nella società, e di tolleranza in campo religioso, può pertanto giustificare l’elogio funebre di Nietzsche verso un Imperatore «fioco barlume di libero pensiero» e «ultima speranza per la Germania», che, se il fatum gli avesse concesso più tempo, avrebbe potuto, forse, preparare la sua nazione ad un futuro diverso.




NOTE


1 Per primo dal suo amico, il critico letterario, filosofo e scrittore danese Gustav Brandes (1842-1927). Questa definizione è stata poi ripresa spesso dalla letteratura secondaria.^
2 La lettera del 20.VI.1888 è indirizzata a Heinrich Köselitz (Friedrich Nietzsche, Sämtliche Briefe. Kritische Gewsamtausgabe, hrsg. von Giorgio Colli und Mazzino Montinari, Band 8: Januar 1887-Januar 1889, Berlin, de Gruyter, 1986, pp. 338-339). Sulla figura di Federico III mi limito a rinviare alla monografia di Patricia Kollander, Frederick III. Germany’s Liberal Emperor, Westport, Conn., Greenwood Press, 1995, con ulteriore bibliografia retrospettiva, e alle note biografiche di Hans-Christoph Kraus, Friedrich III. (1831-1888), in Das Kaiserreich. Portrait einer Epoche in Biographien, hrsg. von Michael Fröhlich, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 2001, pp. 109-119.^
3 «Der letzte antipolitische Deutsche»: Ecce homo. Warum ich so weise bin, cap. 3, in Friedrich Nieztsche, Werke, hrsg. von Karl Schlechta, II, Frankfurt am Main-Berlin-Wien, Ullstein, 1972, p. 1073.^
4 Così Matthias Steinbach, «Der Staat hat heute einen unsinnig dicken Bauch». Politisches Denken und Nationalstaatskritik bei Friedrich Nietzsche, in «Historische Zeitschrift», Band 283 (2006) pp. 319-354: qui p. 322, che cita in nota. l’importante saggio di Thomas Mann, Nietzsches Philosophie im Lichte unserer Erfahrung, Berlin 1947.^
5 Mein Begriff von Freiheit, in Götzen-Dämmerung oder Wie man mit dem Hammer philosophiert, cap. 38, in F. Nietzsche, Werke, hrsg. von Karl Schlechta, II (cit. in nota 3) pp. 1014-1015. La traduzione è mia.^
6 Mi riferisco all’articolo cit. in nota. 4.^
7 M. Steinbach, Politisches Denken (cit. in nota. 4) p. 347.^
8 Questo rapporto, spesso disarmonico, è stato ricostruito da Peter Bergmann, Nietzsche, Friedrich III and the Missing Generation in German History, in «Nietzsche-Studien», 17 (1988) pp. 195-217.^
9 Theodor Schieder, Nietzsche und Bismarck, in «Historische Zeitschrift», Band 196 (1963) pp. 320-342, ripubbl. in Idem, Einsichten in die Geschichte. Essays, Frankfurt-Berlin-Wien, Propyläen, 1980, pp. 67-87: qui p. 70^.
10 Si tratta di un motto di Gladstone ricordato da Benedetto Croce, La concezione liberale come concezione della vita, in Idem La mia filosofia, a cura di G. Galasso, Milano, Adelphi, 1993, pp. 260-270: qui pp. 265-266.^
11 M. Steinbach, Politisches Denken (cit. in nota. 4) pp. 353-354.^
12 «So wenig als möglich Staat!», cit. da Steinbach, Politisches Denken (cit. in nota. 4) p. 347.^
13 T. Schieder, Nietzsche und Bismarck (cit. sopra, in nota. 9) p. 79.^
14 Sulla figura del Cancelliere e la sua politica interna mi limito a rinviare alla ben nota biografia di Lothar Gall, Bismarck. Der weisse Revolutionär, Berlin-Wien, Ullstein, 1980, Frankfurt am Main, Propyläen, 1980 (più volte ristampata: ricordo la korrigierte Ausgabe del 1993); trad. ital.: Milano, Rizzoli, 1982. Naturalmente una esauriente esposizione dell’età bismarckiana si trova anche in T. Nipperdey, Deutsche Geschichte 1866-1918, Zweiter Band: Machtstaat vor Demokratie, München, Beck, 1993, dove sembra quasi superfluo richiamare l’attenzione sulla formulazione del titolo dato dall’Autore al secondo volume della sua opera.^
15 Cfr. sopra, alla nota. 2.^
16 «Seit einigen Tagen lastet nun das Verhängniβ unseres Kronprinzen schwer auf mir. Sie wissen gar nicht, wie viel auf dem Spiele steht. Man kann sagen, ein gutes Theil der gesamten deutschen Cultur. Denn der Sohn ist leider fast in Allem das Gegentheil des Vaters, verzogen und verhätschelt von den schlimmsten Reaktionairen, und darum auch ganz in ihrer Gewalt und seinen Eltern fast entfremdet. Bei der Kraft, die bei uns die Monarchie hat, ist das von unbeschaubaren Folgen». Questa lettera fa parte della corrispondenza tra Hartwig e Villari conservata nel Fondo Villari della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è stata pubblicata nel volume: “Un anello ideale” fra Germania e Italia. Corrispondenze di Pasquale Villari con storici tedeschi, a cura di Anna Maria Voci, Roma, Archivio Guido Izzi, 2006 (Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, Biblioteca scientifica, Serie II: Fonti Vol. XCIV), pp. 229-232.^
17 Per tutte le notizie che seguono si rinvia ai numerosi lavori monografici e saggi su Federico III e Vittoria, la cui storia, così piena di accenti e colori romantici e tragici, ha attirato molta attenzione, Tra questi studi mi limito a ricordare qui, oltre alla biografia di P. Kollander, cit. sopra, in nota 2, i lavori di: Andreas Dorpalen, Emperor Frederick III and the German Liberal Movement, in «American Historical Review», 54 (1948) pp. 1-31; Werner Kopp, Der stumme Kaiser. Erinnerung an Kaiser Friedrich III. (1831-1888), in «Jahrbuch Preussischer Kulturbesitz», 18 (1981) pp. 337-354; Wiltrud-Irene Krakau, Kaiserin Friedrich. Ein Leben im Widerstreit zwischen politischen Idealen und preuβisch-deutscher Realität, in Victoria von Preuβen 1840-1901 in Berlin 2001, hrsg. von K. Müller und F. Rothe, Berlin, Verein der Berliner Künstlerinnen, 2001, pp. 94-202.^
18 F. Nietzsche, Sämtliche Briefe… Band 8 (cit. sopra, in nota. 2), pp. 271-273: qui p. 273.^
19 Cfr. le sue annotazioni sul diario (Tagebuch) del 1888, conservato a Berlino, Geheimes Staatsarchiv Preussischer Kulturbesitz (segnatura: BPH, Rep. 52 (D) N° 3), nel giorno 7 marzo, quando registra di aver ricevuto un telegramma del figlio Guglielmo nel quale gli si comunicava lo stato generale di grande debolezza del padre, Guglielmo I; Federico scrive anche che il suo maresciallo di Corte, il Conte Radolinski aveva ricevuto da Bismarck un dispaccio nel quale egli esprimeva la preoccupazione dei medici, e chiedeva, nel caso si verificasse il peggio, di avere la delega alla guida degli affari correnti per i primi giorni; Federico aveva risposto di sì, e assicurato che si sarebbe subito recato in Germania (« […] Aus Berlin erst Telegr[amm] von Wilhelm, er habe S[eine] M[ajestät] nach schlechter Nacht sehr schwach gefunden. Dann Bismarck an Radolinski. Ärzte seien besorgt, und er lieβe mich fragen, ob, wenn das Schlimmste einträte, er als Ministerpräsident Vollmacht erhalten könne, die Geschäfte für die ersten Tage weiter zu führen. Ich antwortete ja, würde aber selbst sofort nach Deutschland kommen […]». Il giorno seguente, l’8 marzo, le notizie da Berlino sullo stato di salute del padre sono sempre preoccupanti, dato che la sua debolezza aumenta visibilmente; Bismarck ha telegrafato comunicandogli di ritenere necessario che egli, Federico, si rechi subito a Berlino dato che la sua presenza è necessaria lì al momento della successione al trono; così Federico decide di partire il giorno 10 (« […] Nachrichten aus Berlin sehr beunruhigend über S[seine] M[ajestät], da Schwäche sichtig zunimmt. […] Bismarck telegr[aphiert], daβ, wenn ich reisen dürfe, er es für dringend erforderlich hält, daβ ich nach Berlin und nicht erst nach Wiesbaden ginge, weil beim Thronwechsel meine Gegenwart dringend erforderlich sei. So beschloβ ich am 10. Morgens abzureisen und über Brennerpaβ direkt nach Charlottenburg mich zu begeben […]». Ringrazio il Dr. Frank Althoff dell’Archivio Segreto di Stato Prussiano per la sua gentilezza nel mettermi a disposizione copia di questi excerpta dal diario di Federico III del 1888.^
20 Il 9 marzo gli giunse un telegramma del figlio Guglielmo con la notizia dell’avvenuto decesso del vecchio imperatore. Ciò si trova registrato nel suo diario cit. in nota precedente. Cfr. anche più avanti.^
21 Cfr. sopra, alla nota 19.^
22 «Heute schloβ mein geliebter Vater seine Augen für immer um ½ 9 Uhr Morgens, und um ½ 11 kündigte mir ein Telegr[amm] Wilhelms an, daβ ich keinen Vater mehr habe! So habe ich denn den Thron meiner Väter und den der Deutschen Kaiser bestiegen! Gott wolle mir beistehen meine Pflichten gewissenhaft, und zum Wohl meines engeren wie des weiteren Vaterlandes, zu erfüllen». La patria più stretta è naturalmente la Prussia, quella più ampia è l’Impero tedesco.^
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