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Agenda Europa: quattro questioni aperte
di Antonio Maccanico
Il doppio "no" nei referendum francese e olandese sul Trattato Costituzionale ha aperto una crisi assai profonda nel processo di integrazione europea e creato una vera emergenza. E' una crisi che non può essere risolta con compromessi di basso profilo. Per superare questa situazione il Consiglio europeo di metà giugno ha stabilito "una pausa di riflessione", in attesa della presidenza tedesca nel primo semestre del 2007.
Nel corso di quel semestre, durante il quale si celebreranno le elezioni francesi e olandesi sarà predisposto un quadro di proposte, che dovrebbero trovare attuazione nel corso del secondo semestre del 2008 sotto presidenza francese in modo che alle elezioni europee del 2009 il processo di integrazione possa riprendere.
Questa scansione temporale è certamente ragionevole, ma le concrete iniziative di ripresa del processo di integrazione devono partire da una premessa abbastanza ovvia, e cioè dalla considerazione che le motivazioni originarie dell'idea europeistica, nata dopo la catastrofe di due guerre mondiali e nel periodo della guerra fredda e dell'assetto bipolare dell'ordine mondiale non sono più sufficienti a creare una nuova, decisa spinta propulsiva al processo. Il nuovo europeismo deve essere concepito e presentato all'opinione pubblica europea come l'unica via giusta per affrontare i problemi e i turbamenti che la globalizzazione dei mercati, l'allargamento dell'Unione, il terrorismo islamico hanno fatto sorgere nelle comunità nazionali europee, con riguardo soprattutto alle ondate migratorie e alla dinamica concorrenziale dei grandi paesi asiatici, come la Cina e l'India.
In particolare in questa prospettiva credo si debba predisporre una agenda che preveda le questioni da affrontare con priorità e le varie tappe di realizzazione. Le questioni aperte sono sicuramente almeno quattro: la questione del Trattato di costituzione europea e il suo destino; i confini dell'Unione europea; la politica estera di difesa e della sicurezza dopo l'assunzione dell'impegno Unifil in medio Oriente; la questione della "Eurozona" e le possibilità di nuovi lineamenti istituzionali dell'area secondo linee di "cooperazione rafforzata".
Per quanto concerne la sorte del Trattato Costituzionale è innegabile che per l'Europa a venticinque (e presto a ventisette) sia indispensabile un ordinamento che vada oltre i trattati di Nizza e di Amsterdam. E non si può certo ignorare che 16 paesi hanno già ratificato il Trattato Costituzionale. Forse la via meno ardua potrebbe essere la elaborazione rapida di un nuovo testo che contenga le novità più importanti del vecchio testo, sulle quali la Conferenza intergovernativa di Roma fu concorde. Intendo riferirmi ad esempio alla designazione di un Presidente del Consiglio con la stabilità prevista dal Trattato; alla figura di un Ministro degli esteri della Unione, che sia nel Consiglio e nella Commissione; all'estensione delle votazioni a doppia maggioranza; alla personalità giuridica dell'Unione; ai meccanismi di democrazia diretta; all'elezione del Presidente della Commissione da parte del Parlamento europeo; alle misure per facilitare le cooperazioni rafforzate tra almeno otto stati membri.
Una sintesi del vecchio trattato di questo tipo, adottato in una nuova conferenza intergovernativa, dovrebbe essere ratificata dai parlamenti nazionali.
Quanto alla questione dei confini dell'Unione è chiaro che si tratta di un tema delicato, che non può essere lasciato a lungo nell'ambiguità, anche in relazione ai rapporti con la Russia, assai sensibile alle evoluzioni nei paesi euroasiatici e ai suoi confini. Per questi ultimi paesi, realizzata l'inclusione nell'Unione di quelli balcanici, occorre evitare il dilemma: partecipazione piena o nulla. E' bene prevedere forme particolari di partnership soprattutto sul terreno economico. Riguardo alla Turchia, un'esclusione pregiudiziale sarebbe contraria all'interesse dell'Europa come attore globale nel sistema internazionale. In particolare indebolirebbe il suo ruolo nella lotta contro il fondamentalismo islamico e nel sostegno all'Islam moderato. Il recente rapporto della Commissione su questo tema non induce a previsioni ottimistiche. Occorre tuttavia insistere tenacemente anche con una prospettiva temporale più lontana.
La decisione del Consiglio Europeo del 25 agosto scorso di partecipare con mezzi militari di terra, aerei e navali di nove paesi dell'Unione alla missione Unifil in Libano ha conferito all'Unione Europea il ruolo di guida della forza ONU impegnata in quell'area e di attore principale nel tentativo di composizione del conflitto mediorientale. E' stato un salto di qualità importante nella costruzione di una "identità" europea di sicurezza e di difesa; e che l'Italia ne sia stata protagonista, cioè il paese più determinato e lungimirante nel promuovere questa svolta è un dato di fatto molto positivo. La stretta collaborazione fra le forze armate europee che sarà necessaria in questa difficile e rischiosissima missione potrà sicuramente segnare un notevole avanzamento verso una più organica politica di sicurezza e di difesa comune, come elemento essenziale, ad un tempo, del processo di integrazione politica e dell'edificazione del secondo pilastro dell'Occidente, in alleanza con gli Stati Uniti, del nuovo ordine mondiale. Non vi sono elementi che possano giustificare previsioni ottimistiche sul successo della missione. Ma è certo che le deboli speranze di composizione del conflitto sono fondate in parte non secondaria sul ruolo che l'Unione Europea potrà e saprà svolgere in quell'area, in un momento di indebolimento della posizione americana nel mondo arabo. Un consolidamento istituzionale della politica di sicurezza e difesa comune è perciò auspicabile e realizzabile. I risultati delle recenti elezioni americane per il Congresso, fanno pensare possibile una futura maggiore disponibilità degli Stati Uniti alla elaborazione di strategie multilaterali di politica internazionale, inconcepibili senza una partecipazione unitaria dell'Europa.
Il quarto campo di azione e di iniziativa può essere l'Eurozona attraverso la integrazione della disciplina monetaria con una strategia di politica economico-sociale volta allo sviluppo.
Si tratterebbe di predisporre gli strumenti idonei a promuovere una convergenza di politiche che favoriscano lo sviluppo dell'insieme dell'area secondo le indicazioni del progetto di Lisbona. A questo riguardo i suggerimenti del primo ministro belga Verhofstadt mi sembrano preziosi: gabinetto per la politica socio economica all'interno della Commissione europea e codice di convergenze stabilite dal gabinetto secondo lo schema del patto di stabilità dell'Unione monetaria.
Il tutto finalizzato al conseguimento di un tasso si sviluppo che sconfigga la disoccupazione e i timori di insostenibilità del modello sociale europeo (che è una delle ragioni delle inquietudini popolari) e consolidi la capacità competitiva del sistema produttivo nel suo complesso nel quadro dell'economia globalizzata.
Una attenzione particolare dovrebbe essere riservata alla politica di coesione, che interessa l'Italia con il suo Mezzogiorno e la Germania e i suoi lander orientali. E forse iniziative specifiche dovrebbero riguardare i settori dell'energia, della ricerca, della politica ambientale e dell'immigrazione.
Sarebbe questo il campo di una "cooperazione rafforzata" che di per se avvierebbe un assetto "a geometria variabile", inevitabile se si vuole pervenire ad una vera soggettività politica dell'Unione. Si creerebbe un "nucleo duro", una guida strategica della nuova Europa e della sua politica di solidarietà occidentale.
Anche la realizzazione del "mercato unico europeo" riceverebbe una accelerazione e si aprirebbe concretamente per i decenni avvenire la prospettiva di un grande mercato Transatlantico (Stati Uniti-Europa) del quale già si parla in Germania e nel Regno Unito. In certo senso il consolidamento dell'Eurozona dovrebbe essere funzionale alla creazione del grande mercato transatlantico.
La realizzazione dei vari punti di questo disegno di riscossa europea sommariamente descritto dovrà necessariamente poggiare su leve politiche molto solide.
Passa in primo luogo attraverso la sconfitta nei tre paesi decisivi dell'Unione (Germania, Francia e Italia) delle destre populiste, xenofobe, protezionistiche e nazionaliste, e delle formazioni di sinistra radicale nemiche della sovranazionalità e delle modernizzazioni.
Sotto questo aspetto Germania ed Italia possono svolgere un ruolo di primaria importanza perché hanno alla guida dei rispettivi Governi leadership fortemente impegnate nel progetto europeo, sia pure sostenute da formule politiche diverse. E' augurabile che dopo le elezioni anche la Francia esprima questo indirizzo. E già nella campagna elettorale in corso si sentono accenti sul'Europa diversi da quelli della campagna referendaria.
In secondo luogo, se si vuole conseguire il traguardo di una riscossa europeistica sanzionata dalle elezioni al Parlamento europeo nel 2009, anche in questa istituzione fondamentale dell'Unione sono necessarie profonde innovazioni. Nei gruppi parlamentari del Parlamento europeo, come ha segnalato recentemente Denis Mc Shane, regnano una grande confusione nei criteri di affiliazione e notevoli contraddizioni rispetto ai problemi del futuro dell'Europa.
I gruppi sono la proiezione dei partiti nazionali e non hanno visioni coerenti interne rispetto ai problemi europei. La confusa polemica sulla collocazione nel Parlamento europeo del futuro partito democratico italiano è la spia di questo disorientamento.
Anche su questo piano le forze politiche europee dovranno fare una salto di qualità; perché non è pensabile una fase nuova per l'Unione senza l'apporto di un Parlamento veramente rappresentativo, vitale e di riconosciuta autorità da parte dell'opinione pubblica europea, raccordato con i Parlamenti nazionali e nel quale sia presente un gruppo coerentemente e rigorosamente favorevole al processo di integrazione politica dell'Europa.
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