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Recenti studi sull’ascesa e caduta della Olivetti
di Emilio Renzi
Nella seconda metà del 2008 si sono allestite mostre, pubblicati libri e tenuti convegni, su una grande vicenda industriale e intellettuale e una personalità fuori dal comune: la Olivetti di Adriano Olivetti. Molto certamente è stato originato dalle celebrazioni del centenario della Società fondata dal padre Camillo nell’ottobre 1908; ma non tutto e non interamente. Molto è dipeso (e, crediamo, continuerà a dipendere) da un vulnus ancora beante nel tessuto dell’economia e tecnologia italiane: la caduta e scomparsa della Società negli anni e per opera dei proprietari e dirigenti successivi.
“Una bella società” è il titolo/manifesto della mostra montata a Torino, che è World Design Capital dell’anno. La cura è degli architetti Manolo De Giorgi ed Enrico Morteo, contributi di Alberto Saibene e Patrizia Bonifazio oltre che di De Giorgi e Morteo stessi. La storia della Olivetti è mostrata dalle origini sin quasi alla fine. Gli anni Ottanta sono trascurati, i Novanta e quelli finali neanche accennati, anche se la Cronologia nel Catalogo è aggiornata al 2008.
Nel Catalogo pubblicato da Allemandi, Torino, un “dizionario olivettiano” costituito da una novantina di voci presenta in una maniera che vuol essere informativa e accattivante insieme le tante facce del prismatico universo olivettiano, con l’ausilio di illustrazioni non tutte note. Il saggio di Alberto Saibene Albergo Dora riporta agli anni in cui a Ivrea vissero e lavorarono personalità non facili, come Franco Fortini, Giovanni Giudici, Paolo Volponi; e i migliori tra i designers, gli architetti e i grafici di due generazioni. Una conversazione con Renzo Zorzi, per decenni responsabile delle attività culturali ed editoriali della Società, completa l’argomento.
Una più compatta mostra viene allestita anche a Ivrea, nelle storiche Officine H, a cura dell’Archivio storico Olivetti, che la affida a Pier Paride Vidari, Federico Vidari, Alberto De Macchi, Giovanni Maggia ed Eugenio Pacchioli. È augurabile che si provveda alla stampa del Catalogo.
Si continuerà ad apprezzare che per architetti e designers Adriano Olivetti resti una delle stelle polari della loro formazione, storia e riferimenti, pur nel passaggio degli anni e nel processo di globalizzazione cui le rispettive arti e professioni si sono immesse. Ecco quindi la preoccupazione nei confronti di quel “museo a cielo aperto” dell’architettura razionalistica e industriale europea che è la città di Ivrea: l’accurata ricerca di Patrizia Bonifazio ed Enrico Giacopelli, del Politecnico di Torino, intitolata Il paesaggio futuro: letture e norme per il patrimonio dell'architettura moderna di Ivrea (Allemandi, 2007).
Sono apparse anche opere di documentazione e di analisi che contribuiscono a colmare lacune e a gettare le premesse per ulteriori studi.
Giuseppe Lupo e l’editore Aragno di Torino ripubblicano gli scritti di Adriano Olivetti composti tra il 1935 e il 1943 e dedicati all’organizzazione del lavoro e all’urbanistica: due temi tipicamente suoi. La raccolta si intitola: Civitas hominum. Scritti di urbanistica e di industria.
Dedicato ai libri e alla rivista della sua Casa editrice è Adriano Olivetti e le Edizioni Comunità (1946-1960), di Beniamino de’ Liguori Canino (Roma, Quaderno della Fondazione Adriano Olivetti). Lodevolmente, è scaricabile in .PDF dal sito della Fondazione.
La contrattazione aziendale. Esperienze in Olivetti 1975-1995 di Raffaele Del Vecchio (Bruno Mondadori, 2008) è interessante anche perché lo studio delle relazioni tra azienda e sindacati riguarda gli anni di quando alla guida della Società erano succeduti Ottorino Beltrami, e poi, come proprietario, Carlo De Benedetti. E questo porta verso gli anni ultimi della Società e i tentativi di interpretarne il declino e caduta. Il titolo in Borsa fu infatti cassato il 12 marzo 2003, a novantacinque anni dalla fondazione; e l’uscita dell’Olivetti dall’industria italiana fu anche l’uscita dell’informatica italiana dall’industria e dalla ricerca mondiali (l’argomento generale e specifico era stato trattato nella nostra nota L’Italia non è più una potenza industriale? La Olivetti e altre storie, ne «L’Acropoli», IV (2003), che traeva spunto dal noto libro di Luciano Gallino).
Dalla crisi della grande impresa all’imprenditorialità diffusa: la Olivetti e l’Eporediese è un saggio di Paolo Bricco contenuto nel volume collettivo La questione settentrionale. Economia e società in trasformazione, curato da Giuseppe Berta e pubblicato nell’Universale Economica Feltrinelli. L’analisi di Bricco si affida a molte tabelle, insomma all’analisi dei bilanci e dei trend economici, e tratteggia una guida di Carlo De Benedetti man mano dominata da altri interessi, obiettivi e investimenti, al punto da concludersi con la dismissione dell’informatica. I successori ¬ Roberto Colaninno e Marco Tronchetti Provera ¬ finiscono col dismettere anche il nuovo e favorevole business della telefonia mobile, così da configurare nell’insieme «un passaggio storico segnato da un crollo industriale unico nella sua rapidità e violenza» (p. 378).
Anche la tesi del convegno Fiom/Cgil Piemonte tenuto a Ivrea a fine 2008 è così presentata: «La Olivetti è stata vittima di un vero e proprio omicidio industriale». E sia permesso scrivere che l’autore del presente saggio nel suo Comunità concreta, sopra citato, aveva scritto in termini di “olivetticidio”.
Gli istruttivi confronti con i picchi e le riprese di Pirelli e di Fiat nel saggio di Fabio Lavista, Il declino della grande impresa, contenuto nello stesso volume di Bricco, consolidano lo sconsolato giudizio sulla vicenda olivettiana. A essa mancarono la responsabilità proprietaria e la lucidità manageriale, certo in un contesto di vorticosa competizione e straordinaria concorrenza internazionali, soprattutto californiana ed estremo-orientale. Il quadro storico-concettuale di riferimento è fornito dagli studi su cui qui non possiamo soffermarci di Giuseppe Berta (Metamorfosi. L’industria italiana fra declino e trasformazione, Università Bocconi, 2004, L’Italia delle fabbriche, Bologna, il Mulino, 2006, e Nord. Dal triangolo industriale alla megalopoli padana1950-2000, Milano, Mondadori, 2008.
Quale fosse invece la ricchezza ma anche l’attualità dell’esperienza industriale e culturale olivettiana è ben rappresentata ad esempio da un volume quale Quattro anni con Olivetti. Riflessioni e interviste da una “Città dell’uomo” (2004-2007): raccolta degli atti delle giornate di studio organizzate a Imola dall’associazione “Città dell’uomo”. (Editrice La Mandragora di Imola, a cura dei promotori Antonio Castronuovo e Mauro Casadio Farolfi)
Le celebrazioni ufficiali sono state organizzate dalla Fondazione Olivetti di Roma, che a Torino ha chiamato tra gli altri Roberto Colaninno, e a Milano Carlo De Benedetti, con la motivazione che l’azienda, la sua storia, è una.
Più produttivo il Convegno organizzato dalla Fondazione ISTUD e dalla Fondazione Olivetti nell’Auditorium del «Sole 24 Ore», il 15 novembre a Milano, Da segnalare i contributi di Carlo G. Lacaita sul decollo industriale; la comunicazione di Giuseppe Rao su Mario Tchou e l’Elea 9003; la relazione su Olivetti nella grande sfida internazionale dell’informatica di Rosario Amodeo; la presentazione dei risultati dell’indagine conoscitiva condotta da ISTUD tra una rete di manager olivettiani e non olivettiani a partire dal quesito: “Olivetti: cosa resta?”.
La relazione di Amodeo consolida la chiave di lettura di un quadro internazionale molto e troppo forte per la Olivetti ma al tempo stesso sostiene la dispersione di risorse e l’erraticità degli obiettivi, già industriali infine finanziari, di De Benedetti. Sottolinea la trascuranza assoluta di un settore strategicamente decisivo nell’informatica: il software e i servizi (cui per inciso analisti e studiosi non si sono ancora dedicati).
Quanto alla ricerca ISTUD, le risposte sulla sua “memoria” privilegiano la personalità dell’imprenditore e il design dei suoi prodotti, cui seguono la “sventura finanziaria” e la “centralità della persona”. Di conseguenza è più desiderabile che attuale – dove lo scarto percentuale a favore della prima qualificazione è forte.
L’alone del nome e della storia è misurabile anche su due versanti culturalmente opposti. Nel recente Storia dei laici nell’Italia clericale e comunista (Venezia, Editore Marsilio,) Massimo Teodori dedica un intero capitolo alla rivista «Comunità»: l’inserimento è tanto più stimolante in quanto si sa che Adriano Olivetti non amava affatto il laicismo. Per contro, anche la Diocesi di Ivrea ha voluto dedicare un convegno ad Adriano Olivetti e alla Olivetti, e nella rivista della sinistra cattolica «Aggiornamenti sociali» si può leggere il documentato e fondato contributo di Giorgio Campanini intitolato Adriano Olivetti nei percorsi storici del comunitarismo. E, per finire, quello che non è un aneddoto: Raffaele Del Vecchio, l’autore del citato libro sulle relazioni aziendali all’Olivetti, racconta che quando fu assunto, una dozzina d’anni dopo la morte di Adriano, il “capo” terminò il primo colloquio invitandolo, se voleva capire le persone con cui avrebbe avuto a che fare, a leggersi i romanzi di Beppe Fenoglio1.



NOTE
1 Al mio Comunità concreta. Le opere e il pensiero di Adriano Olivetti (Napoli, Guida, 2008) il giovane e tenace studioso di archivistica olivettiana Davide Cadeddu dedica nel numero di dicembre 2008 de «L’Acropoli» un giudizio positivo generale, peraltro corretto da minuziosi rilevamenti di inesattezze e dall’accusa di «un’attenzione contro-filologica» nella pervicacia di scrivere il titolo dell’opera maggiore di Adriano Olivetti con le minuscole al posto delle maiuscole e viceversa. Lo ringrazio del generoso giudizio d’insieme. Lo ringrazio anche delle segnalazioni e soprattutto di quella dello scambio tra minuscole e maiuscole. Si sa infatti che questo tipo di segni con matita rossoblu costituisce il miglior presupposto e viatico per la seconda edizione di un libro; e di questa collaborazione (forse più redazionale che filologica) farò tesoro.^
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