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Michele Bianchi "meridionalista" e ideologo del totalitarismo
di Fausto Cozzetto
1. Bianchi e il meridionalismo fascista

I primi elementi di una politica fascista per il Mezzogiorno sono quelli formulati in una intervista rilasciata nell’agosto del 1922 da Mussolini al quotidiano «Il Mattino» di Napoli, che viene considerata come la carta statutaria fascista della questione meridionale. D’altra parte Mussolini riprende nell’intervista i temi che nell’aprile 1922 sono stati espressi in seno al consiglio nazionale del PNF, di cui allora era segretario Bianchi. Questi temi vengono poi ripresi in un discorso tenuto a Cosenza da Bianchi che ha un notevole successo nell’opinione pubblica regionale. Bianchi nel suo discorso ricorda le storiche ingiustizie perpetrate dallo Stato unitario ai danni delle regioni più periferiche come la Calabria. Tali ingiustizie richiedono perciò un immediato intervento riparatore, che deve esercitarsi attraverso una politica di trasformazioni economiche frutto del nuovo statalismo fascista. Non si tratta, infatti, più di delegare alla rappresentanza politica locale il patrocinio delle esigenze della popolazione calabrese per domandare privilegi per questa sola regione
Ma se è vero che il Bianchi rappresenta l’elemento di una certa novità che il fascismo afferma […] di voler introdurre nel panorama politico e calabrese, nella misura in cui egli [ha] potuto costruire la sua base di potere al di fuori e al di là della regione d’origine, è anche vero che egli farà uso di questo potere per influenzare più direttamente, prima in senso elettorale e poi per il suo prestigio personale di “ras”, l’area regionale in questione, facendo ampio uso dei canali più tradizionale di promozione del consenso e di acquisizione del prestigio costituiti, in primo luogo, dal patrocinio delle opere pubbliche1.

In effetti l’azione di Bianchi in Calabria, sia prima che dopo l’assunzione di cariche di governo, assume il carattere precipuo della conquista progressiva di consenso politico nella vita regionale, proponendosi come mediatore privilegiato tra esigenze locali e governo nazionale.
Particolarmente significativi sono i casi di piccoli comuni come Belsito e Malito, entrambi in provincia di Cosenza, che hanno entrambi il merito di avere dato i natali alla famiglia di Michele Bianchi. Le prime tracce di simpatie pubbliche degli amministratori di questi piccoli centri verso il primo governo Mussolini si trovano in una delibera consiliare del comune di Belsito che si rivolge al quadrumviro fascista perché interceda presso il governo per la costruzione della strada Piano Lago-tratto Sella Caprara-Grimaldi. Nell’archivio Bianchi si trova un fascicolo sulla strada sopraccitata e una cartina in dettaglio in cui ne viene illustrato il tracciato a favore della quale Bianchi interviene. Ai primi del 1928, nell’ambito della politica del governo fascista di accorpamento dei municipi, ritenuti incapaci di sopravvivenza autonoma emerge il progetto di unificare i due centri abitati. Da un documento risulta che l’iniziativa di questo progetto parte proprio da Michele Bianchi, che attraverso una telefonata ne discute con l’allora prefetto di Cosenza. Sulla base di questa pressione dell’allora sottosegretario ai lavori pubblici, il prefetto indica per iscritto le ragioni di questa fusione amministrativa individuandoli nel fatto che dal luglio 1926 i due comuni hanno già lo stesso podestà; nella condizione finanziaria dei due enti, la cui unione avrebbe comportato un risparmio di spese; infine nella distanza di 10 chilometri fra i due villaggi, a suo parere, mitigata dalle numerose mulattiere che rendono sollecito il collegamento. Nella lettera il funzionario non esplicita chiaramente le uniche ragioni possibili che si nascondono dietro a questa decisione e che si riconducono alla volontà di ossequiare la personalità dominante del circondario2.
L’interesse di Bianchi verso i centri vicini alle località sopraccitate è confermato da un gruppo di documenti riguardanti Grimaldi. La corrispondenza in questo caso è tra il prefetto Guerresi e lo stesso quadrumviro e si riferisce a un periodo databile ai primi mesi del 1925. Il prefetto si sta adoperando per risolvere i problemi che in alcuni centri della provincia deve affrontare per dissolvere l’opposizione antifascista. A Grimaldi la situazione politica è caratterizzata dalla egemonia esercitata da Giovanni Iachetta, il quale è alla guida della cooperativa “Unione e progresso”, già di orientamento di sinistra, la quale ha un grosso ruolo nella vita locale anche per il vasto parentado dello stesso dirigente che controlla, perciò, l’amministrazione comunale. Il fascio di Grimaldi nasce in alternativa a questo gruppo. Ora però Bianchi interviene personalmente stabilendo accordi proprio con Iachetta, decidendo che questi e il suo gruppo debbano essere ammessi nella sezione del fascio grimaldese. Il prefetto Guerresi si fa interprete presso Bianchi della forte ostilità che verso tale soluzione manifestano sia il commissario prefettizio, che in questa fase guida il comune, sia il segretario del fascio, a nome anche del consiglio direttivo. Il prefetto conclude però la sua lettera a Bianchi scrivendo «mai io farò cosa che non sia nel comune interesse del partito e tuo». Qualche tempo dopo insiste con una nuova lettera al quadrumviro definendo l’entrata di Iachetta nel fascio di Grimaldi «da parte tua una resa a discrezione». Poi, è lo stesso segretario del fascio, Doroteo Notti, a rivolgersi a Bianchi ricordandogli che Iachetta è l’unico candidato alla guida del comune e che la sezione fascista è a conoscenza del sostegno che Bianchi offre al capo della cooperativa locale. La lettera si conclude con l’offerta la disponibilità della sezione fascista ad accogliere a titolo personale il solo Iachetta, ma Notti dichiara, infine, che si atterrà alle decisioni dello stesso Bianchi. Sullo stesso tema, a metà giugno interviene il federale provinciale del partito Tommaso Corigliano che riferisce a Bianchi su una situazione difficile del partito a Grimaldi, Lago e Belsito. Le scelte compiute da Bianchi non possono essere disattese e le soluzioni sono quelle da lui sostenute, tanto è vero che il 17 giugno il segretario della cooperativa Unione Progresso invia un telegramma di giubilo a Bianchi in cui si afferma «Unione Progresso scoverto tristo gioco passa fascismo rendendo omaggio vostra eccellenza Giovanni Iacchetta3.
Se l’influenza di Bianchi sulla vicenda dei due centri appare passionale, per i legami personali con l’ambiente, assai diverso e complesso il rapporto che Bianchi stabilisce fin dal 1922 con Castrovillari e la Calabria settentrionale. La sezione fascista nella città del Pollino viene costituita ai primi di novembre del 1922 da un gruppo di giovani e di professionisti locali appartenenti agli ex combattenti. Tra i maggiori esponenti vi è un ex sindaco, Cipparrone, avvocato e uomo politico tra i più noti della città, che viene nominato segretario del fascio. In pochi mesi la sezione assume una posizione egemone nella vita locale e il passo decisivo viene compiuto il 2 dicembre del ’22 quando Bianchi in qualità di segretario nazionale del PNF e Achille Starace iniziano una visita ufficiale alla Calabria, accolti da squadre fasciste provenienti da tutta la provincia. La visita di Bianchi costituisce un forte elemento di spinta alla crescita dell’organizzazione fascista in Calabria. Anche a Castrovillari, attorno alla piccola sezione del fascio, si creano nuove aggregazioni politiche con importanti esponenti del ceto proprietario che entrano nei ranghi della sezione, tanto che il nuovo segretario diviene il marchese Nino Gallo. Molto significativa è la visita che Bianchi, giunto in visita a Castrovillari, compie a Luigi Saraceni, già esponente radicale e deputato fra i più noti di inizio secolo. La corrispondenza tra Saraceni e Bianchi sull’influenza che quest’ultimo può esercitare sulla vita di Castrovillari è di notevole interesse. Così ad esempio il 5 ottobre del 1923 Saraceni chiede a Bianchi un intervento sulla situazione comunale della città del Pollino «per spezzare l’intrigo giolittiano del sottoprefetto Troncheda»4. Il rapporto con il deputato Saraceni e il rafforzamento della sezione fascista consentono di mettere in crisi l’amministrazione comunale guidata da Aloja, un ex combattente. Come conseguenza della crisi, nell’aprile del 1923 il quadrunviro allora segretario generale degli Interni, dispone la nomina, come regio commissario, di un uomo di sua fiducia Francesco Acciardi. Proprio costui, una volta insediato alla guida del Comune, sottolinea, in una lettera a Bianchi, come la soluzione della questione Castrovillari costituisca un compito precipuo del quadrumviro ad esclusione delle autorità provinciali, Prefetto e federale Alessandro Melchiori5.
In effetti, alla fine dello stesso anno Bianchi inizia una nuova visita nella regione per poter assumere i primi contatti in vista della scelta dei candidati alle elezioni politiche del 1924. In questa occasione, a Castrovillari, fa visita a Francesco Paci, già deputato liberale nei decenni precedenti e considerato personalità eminente della politica provinciale. Di fatto, con questi comportamenti Bianchi assume i suoi primi impegni e orientamenti per la selezione dei membri del listone fascista. D’altra parte stabilisce rapporti personali con i maggiori esponenti della vita cittadina e proietta questi rapporti, in termine di consenso, sul ceto politico provinciale. Così, a nome a nome di Demetrio de Seta e di Edoardo Vetere entrambi di Castrovillari, un altro protagonista della vita provinciale Adolfo Berardelli così scrive a Bianchi in occasione della sua visita nella cittadina.
Una rigorosa decisione dei tuoi vecchi ma sempre giovani compagni di scuola, fra cui il mio amatissimo Livio Acciardi e mio cognato Giuseppe Caruso, mi impedisce di essere stasera vicino a te nel banchetto cordiale, intimo, calabrese. E poiché ti sono amico da venti anni, parente lontano anche e non di quelli dell’ultima ora, ma sicuramente a te affezionato, partecipo alla festa che ti faranno con grande onore, sicuro che la tua opera in questa ora giovi finalmente alla nostra regione, che da te aspetta non parole ma fatti6.

Nella cittadina del Pollino, Bianchi sollecita la formazione di una lista unica di notabili che alle elezioni del febbraio del 1924 portano ad eleggere sindaco lo stesso Paci. L’azione politica operata localmente dal quadrumviro, si concretizza nei risultati delle elezioni politiche della primavera del 1924: il successo dei candidati fascisti a Castrovillari è molto elevato, tanto che essi conquistano il 77,5% dei suffragi. L’azione di Bianchi ha dissolto localmente i partiti di democrazia liberale e le sole forze antifasciste che ottengono risultati sono i comunisti, con il 6,3% dei voti e i socialisti massimalisti con 3,3% dei voti. Il ruolo svolto da Bianchi non poteva essere più efficace nella fascistizzazione di uno dei centri più importanti della provincia cosentina7.
Il carattere eminente che ha assunto in Calabria la sua persona carica Bianchi di responsabilità per le attese deluse da parte del governo Mussolini. Così, alla fine di novembre del 1923, Alessandro Melchiori, federale della provincia di Cosenza, scrive al segretario agli Interni:
Caro Bianchi sono profondamente addolorato di doverti comunicare che la sospensione dei lavori pubblici in Calabria ha prodotto la più profonda sorpresa e il più grave sconforto nelle nostre popolazioni. Sono troppi i bisogni di urgente necessità fra noi, e in primo luogo è indispensabile che la grande opera di bonifica sia ripresa e sia totalmente compiuta. Intere zone sono abbandonate perché proprietà uniche della malaria eppure sarebbero terreni fertilissimi per le nostre coltivazioni. A questo eterno e gravissimo problema della malaria noi non possiamo fare a meno di unire subito quello stradale e ferroviario. Mentre si sta costruendo il dannoso porto di Paola ove veramente si buttano a mare dei milioni, la provincia di Cosenza non solo non può avere un porto adeguato alle sue necessità, ma non ha neppure ferrovie come avrebbe bisogno di avere. Tu stesso hai potuto constatare che la linea Cosenza-Paola non può servire per i pericoli gravi che porta con se. D’altronde tutti attendono la ferrovia silvana e i laghi silani. Lavori in grande stile, ma indispensabili come la piccola strada che mette in comunicazione il piccolo paesello con lo scalo ferroviario. Interessatene se vuoi che la Calabria si mantenga fascista. Tu sai quanto attenda questo popolo dal governo fascista dopo la turlupinatura di cinquant’anni di governo democratico. Sono certo che tu saprai ancora una volta essere benemerito della tua terra affettuosamente tuo Melchiori8.

Sulla base di appelli come questi e di altri non meno drammatici che provengono dalle restanti province della Calabria, per iniziativa del segretario agli Interni vengono operate nella regione una serie di studi che portano all’elaborazione di documenti resi pubblici sull’esigenza di programmare lavori pubblici nella regione. La testimonianza del lavoro compiuto è presente in un ampio documento dell’ingegner Di Pietro, predisposto per incarico della federazione del PNF della provincia di Cosenza e dello stesso Bianchi.


2. Progettualità politica e lavori pubblici

Il documento della federazione provinciale fascista costituisce un modello metodologico di notevole interesse per comprendere l’attività di mediatore dell’intervento pubblico statale svolto da Bianchi nel quinquennio successivo9. L’elemento più interessante dal punto di vista politico del rapporto Di Pietro è costituito dalla piena adesione alla concezione di Bianchi del meridionalismo fascista incentrato su una politica di intervento statale a sua volta fondata sui lavori pubblici. In questo senso, il fatto che fosse il partito fascista e la sua dimensione provinciale cosentina a formulare i criteri di massima e gli strumenti operativi dell’intervento pubblico nella regione, si inserisce in maniera coerente nella visione dello Stato propugnata, all’epoca, dallo stesso Bianchi. In essa, infatti, il partito svolge l’essenziale ruolo di rappresentanza generale degli interessi della società e lo Stato è tenuto a realizzarne le parti sostenibili dal punto di vista delle sue risorse finanziarie e tecniche. Di particolare interesse nel documento risulta l’idea che nel bilancio dei lavori pubblici debba esserci una voce a sé stante riguardante la Calabria considerata complessivamente come la regione più arretrata e bisognosa del paese. Di per sé non si tratta di una concezione innovativa, perché rinvia alla politica di intervento speciale che da circa un ventennio lo Stato ha avviato in diverse aree del Mezzogiorno. La novità è costituita dal rilievo, presente nel progetto Di Pietro, che tale risorsa finanziaria aggiuntiva dovrebbe diventare parte permanente del bilancio dei lavori pubblici, ma di fronte alle insufficienze tecnico-finanziarie della proposta è evidente che risolutiva dovrebbe essere la presenza politica ai vertici del ministero di un uomo come Bianchi. Altro aspetto di non scarso rilievo è la visione regionale dei problemi dell’arretratezza calabrese di cui vengono individuati con lucidità analitica tre componenti essenziali: la prima costituita dalla dimensione eccezionale a carico della nazione intera dell’opera ricostruttiva dei sismi del 1905 e del 1908 – è di notevole interesse, a questo riguardo, che un settore cospicuo della documentazione presente nel fondo Bianchi sia riservato alla ricostruzione di Reggio; la seconda componente è costituita dalla richiesta, contenuta nella relazione, a dotarsi di una visione unitaria con cui vanno affrontati i problemi della montagna e della pianura regionale. Essa presuppone interventi massicci nel rimboschimento e nell’intervento di bonifica a monte e a valle del territorio regionale; nel contempo abbisogna di una forte accelerazione dell’intervento pubblico volto alla migliore utilizzazione delle risorse idrauliche del territorio (laghi silani, centrali elettriche ecc.). La terza componente sottolinea con forza l’esigenza che l’intervento pubblico sia volto primieramente a realizzare opere di civiltà primaria per la modernizzazione civile della Calabria (si vedano i riferimenti ai collegamenti stradali tra i comuni interni e le stazioni ferroviarie a valle).
Insomma un piano di intervento che si fonda su una visione integrale delle esigenze regionali e che proprio per questo sostiene che, accanto alle risorse finanziarie, lo strumento decisivo possa essere quello tecnico amministrativo, proponendo la formazione sul piano regionale di un organismo di coordinamento degli interventi nei lavori pubblici che sfrutti, ampliandone la visione le esperienze tecnico-operative del genio civile provinciale, depurate dagli eccessi burocratici di cui quest’ultimo organismo risulta gravato, tanto da renderne inefficace l’opera di intervento, o quanto meno assai tardiva, come è stato dimostrato nelle esperienze ricostruttive successive ai terremoti che ai primi del Novecento hanno colpito la regione.
Tra la progettazione e l’avvio degli interventi statali nei lavori pubblici diminuisce il peso politico nazionale di Bianchi e solo ai primi del 1925 i temi diventati oggetto dei progetti del 1923 vengono ripresi dal governo centrale. Un primo concreto passo in questa direzione riguarda una riunione convocata dal ministro dei lavori pubblici a Roma «allo scopo di esaminare i problemi che si connettono nel programma di opere pubbliche da svolgersi nella Calabria. Nello scambio di idee che seguirà in detta riunione potrebbero portare un prezioso contributo di esperienze anche coloro che, pur non appartenendo a questa amministrazione, a causa della loto carica sono ugualmente edotti delle condizioni e dei bisogni locali»10. Alla riunione prendono perciò parte, oltre che gli esponenti centrali e periferici del ministero, anche i deputati calabresi, i prefetti delle tre province ed esperti di diversa estrazione. I risultati di questa riunione portano sul piano operativo quanto progettato negli anni precedenti ed avviano interventi di notevole rilievo. Uno dei punti più qualificanti è costituito dalla ripresa dei lavori di ricostruzione di Reggio. Essa è stata interrotta nel maggio 1923 con la crisi della giunta presieduta dal liberale Giuseppe Valentino che nel primo dopoguerra porta a compimento la ricostruzione degli edifici pubblici più importanti. Con un’interruzione di tre anni l’attività ricostruttiva riprende solo all’indomani dell’arrivo al ministero dei lavori pubblici di Bianchi quando i progetti approntati negli anni precedenti e riguardanti il programma di ricostruzione degli abitati civili viene finalmente varato. L’ente edilizio delegato alla ricostruzione di Reggio riceve dal ministero dei lavori pubblici cospicui finanziamenti. In circa un quadriennio vengono spesi nella costruzione di abitazioni popolari circa 126 milioni di lire. Per avere un’idea del significato di questa cifra occorre ricordare che lo Stato ha impegnato nella ricostruzione complessiva della città una cifra solo di un terzo superiore a quella sopraccitata, spesa nel quadriennio ministeriale di Bianchi.
Le attese non sono deluse neppure negli altri settori in cui il documento metodologico ha individuato importanti momenti di intervento per lo sviluppo della regione. Le attività di governo dell’ex quadrunviro fascista, prima come sottosegretario, poi negli ultimi mesi di vita, come ministro dei lavori pubblici, lo vedono battersi per favorire insediamenti industriali, per costruire strade ferrate, per completare il sistema delle comunicazioni interne della regione, per avviare una importante politica di bonifiche e di salvaguardia idrogeologiche del territorio11.
Molte delle opere realizzate hanno avuto una lunga gestazione, come nel caso degli impianti idroelettrici silani. I lavori iniziano nel 1921 e terminano nelle parti principali undici anni più tardi, con un’occupazione media di circa duemila operai. L’esproprio dei terreni sommersi dalle acque ha spinto alcuni grandi proprietari a destinare a pascolo terreni in precedenza lasciati ai contadini per la semina delle patate. Il fatto ha creato una seria minaccia per l’esistenza di centinaia di famiglie contadine a S. Giovanni in Fiore12.
L’utilizzazione dell’energia elettrica dei laghi silani ha costituito un fattore decisivo di localizzazione per due importanti insediamenti industriali a Crotone. Nasce così lo stabilimento della Pertusola, una società che si occupa della lavorazione della blenda e di minerali di rame e della anonima Ammonia che, utilizzando un sottoprodotto della Pertusola, produce fertilizzante.
Le realizzazioni in opere pubbliche, agli inizi degli anni Trenta, appaiono notevoli. Il programma di mille chilometri di strade, varato nel 1924, è grossomodo condotto a termine, sia pure con qualche ritardo, consentendo un’occupazione aggiuntiva, nel periodo di massima attività, di circa tredicimila operai13. Importanti anche i risultati nel settore della ricostruzione delle zone terremotate, dove, tra il 1926 e il 1931, viene spesa una quota finanziaria pari al 30% dell’intervento pubblico complessivo, e Reggio rinasce quasi totalmente14. Risultati consistenti ha anche la bonifica integrale in alcun aree della regione. Merito fondamentale dell’intervento riformatore è quello di essere concepito secondo una logica volta a dimensionare la bonifica alla realtà geografica della regione. Perciò essa deve assumere un carattere integrale, nel senso che, per bonificare i terreni di pianura, si deve necessariamente intervenire nelle regioni a monte e in collina. Nessuno effetto è previsto, invece, sulla struttura della proprietà terriera e la bonifica lascia intatto il latifondo. Complessivamente le opere pubbliche interessano circa 167 mila ettari di terreno nella Piana di Sibari, in quella di Santa Eufemia e nel Crotonese.


3. Lo statista fascista

L’avvio dell’ultima fase dell’attività politica di Bianchi, connessa all’ultimo biennio della sua vita, può essere fissato dalla sua nomina a Sottosegretario di Stato al Ministero degli Interni, alla cui carica viene chiamato da Mussolini nella sua qualità di capo del governo, ma anche di Ministro degli Interni, il 13 marzo 1928 15. Si tratta di un’importante promozione sul campo per Bianchi, che accanto agli indubbi successi mietuti nella sua regione, verso la quale ha spinto con forza gli interventi statali in opere pubbliche, ottiene ora la consacrazione a statista fascista, in qualità di vice di Mussolini.
Gli incarichi di governo lo legano ormai con forza agli ambienti ministeriali romani e da essi Bianchi assorbe le doti di duttilità necessarie per spingersi avanti verso una carriera ministeriale che promette, a questo punto, di diventare prestigiosa.
Uno scritto composto per la «Rassegna Italiana» di Tommaso Sillani, documenta il nuovo stile politico dell’ex quadrumviro. Si tratta di un articolo dal titolo La politica fascista dei lavori pubblici nel Mezzogiorno, in cui Bianchi riconosce al suo superiore gerarchico, il Ministro Giuriati, alla guida dei Lavori Pubblici dal gennaio 1925 all’aprile 192916, il merito di avere determinato le condizioni tecnico-amministrative, a livello di organizzazione dello Stato, per canalizzare importanti flussi straordinari di interventi pubblici nel Mezzogiorno:
Appena assunto al dicastero dei Lavori Pubblici [Giuriati] concepì, maturò e concretò un terzo tipo di organizzazione [dell’apparato ministeriale] con divisione di funzioni, per materie al Centro e per territorio alla periferia, limitando per il momento, e per pure esigenze di bilancio, il decentramento organico di tutte le funzioni del Ministero alle soli regioni meridionali ed insulari, le più bisognose, le più abbandonate. Sorsero così i Provveditorati alle opere pubbliche per il Mezzogiorno e le isole. I nuovi uffici, costituiti il 7 luglio 1925, nell’agosto successivo già funzionavano in pieno, ed in breve elaboravano i piani delle grandi sistemazioni del sud. Per la migliore attuazione di tali piani furono attribuiti ai provveditori funzioni che prima erano frazionate fra diverse amministrazioni centrali: così, per quanto riguarda gli acquedotti e le opere igieniche, la costruzione degli edifici scolastici, la irrigazione, le sistemazioni dei bacini montani e il rimboschimento delle zone litoranee, il bonificamento agrario connesso con le grandi trasformazioni fondiarie17.

L’uomo politico calabrese presenta poi le realizzazioni attribuite agli istituti sopra citati operando dapprima un confronto tra i pagamenti effettuati dal Ministero dei Lavori pubblici nel quadriennio prefascista 1918-1922, che risulterebbero pari a circa due miliardi e ottocento cinquantaquattro milioni di lire, e quelli effettuati nel primo quadriennio fascista 1923-1926 tali pagamenti sarebbero cresciuti fino a cinque miliardi e trecento diciassette milioni, con un aumento dell’86%18: Il confronto che gli appare di maggiore rilevanza è tuttavia quello relative alla spese straordinarie, perché esse riguardano soprattutto il Mezzogiorno, data la politica delle leggi speciali avviatasi in età giolittiana. Sempre nei due quadrienni sopraccitati, la spesa straordinaria sarebbe passata da due miliardi e quattrocentosettantatre milioni, circa, a quattro miliardi quattrocento novantacinque milioni, con un aumento dell’81%. Poi, per testimoniare come l’entrata in funzione dei Provveditorati regionali nel Mezzogiorno abbia incrementato sensibilmente l’intervento straordinario, Bianchi riferisce la cifra della spesa nel 1926, pari a un miliardo e 707 milioni. Per cui la percentuale rispetto al totale quadriennale di età fascista sarebbe del 37%, un risultato lusinghiero, che Bianchi rafforza riportando le cifre dei pagamenti straordinari del Ministero, sempre relativi al 1926, ma suddivise per tre grandi aggregati territoriali (Italia settentrionale, centrale, meridionale e insulare), ebbene nel Mezzogiorno la spesa straordinaria relativa a questo anno sarebbe stata pari a poco più del 50% del totale ma c’è da avvertire che la cifra, in questo caso, offerta dal Sottosegretario esclude le spese per «gli oneri generali e le costruzioni di strade ferrate»19.

Sulla base di tutto ciò, Bianchi conclude che
Con la creazione dei Provveditorati si è iniziata la battaglia per la redenzione del Mezzogiorno, attuando di fatto un salutare decentramento delle attività preposte alle opere pubbliche […] . I provveditorati, che in virtù della legge istitutiva hanno riunito pressoché tutte le competenze esecutive, hanno studiato nel loro complesso i problemi delle varie regioni e ne hanno graduato i bisogni: cosicché i piani regolatori delle opere riparano alle precedenti disarmonie e seguono le direttive di un’unica azione ricostruttrice20.

E’ probabile che soprattutto l’ultima e più interessante cifra, quella riguardante l’impegno di spesa statale per interventi straordinari nel Mezzogiorno, che Bianchi paragona a quella degli altri due grandi aggregati territoriali, ricavandone un forte aumento della spesa statale nel Sud rispetto al precedente esercizio finanziario 1925 ed attribuendone tutto il merito all’introduzione dei Provveditorati regionali sia almeno in parte il frutto di manipolazioni statistiche dei pagamenti straordinari per il 1926. D’altra parte proprio quest’ultimo era il primo anno di presenza di Bianchi come viceministro dei Lavori Pubblici nella compagine del governo Musssolini. Tuttavia anche le cifre fornite per l’anno precedente testimoniano in maniera più equilibrata rispetto al complesso della spesa straordinaria per il paese, che una cifra superiore al 40% dell’impegno straordinario era indirizzato verso il Mezzogiorno, né può essere tutto questo attribuito, come è nelle intenzioni di Bianchi, alla politica fascista per il Mezzogiorno, poiché le leggi in vigore e utilizzate dal governo fascista, da un ventennio prevedevano questo andamento della spesa pubblica straordinaria indirizzata verso il Mezzogiorno poiché , come si è ricordato, i terremoti catastrofici calabro-siculi del 1905 e del 1908 avevano spinto lo Stato a introdurre balzelli fiscali per la ricostruzione,i cui proventi erano perciò finalizzati.
Ciò detto, la prova di efficienza che Bianchi fornisce nella sua qualità di viceministro e i rapporti ineccepibili che egli stabilisce con i vertici politici e amministrativi del Ministero, ne favoriscono la promozione al Ministero dell’Interno. Qui la vera e propria incetta di incarichi ministeriali di cui è titolare il Duce del fascismo e che costituisce, naturalmente, un voluto segnale di distacco nettissimo e di superiorità gerarchica rispetto agli altri membri che il Duce chiama e sostituisce nella sua compagine ministeriale, lascia oggettivamente larghi spazi di autonomia politica e amministrativa all’azione ministeriale di Bianchi, che, d’altra parte, conosce bene il dicastero di cui è divenuto viceministro, avendovi svolto a lungo la funzione di Segretario generale.
Nello spazio di poco più di un anno, tra il marzo 1928 e il settembre 1929, si dispiega perciò la sua azione ministeriale come responsabile politico degli Interni. Eppure il suo primo intervento alla Camera, il 17 di marzo, a quattro giorni di distanza dalla nomina esprime uno scoperto disappunto per il modo in cui il suo trasferimento, dai Lavori Pubblici agli Interni si è verificato, in quanto la notizia gli è giunta attraverso la lettura dei giornali, come ricorda esplicitamente nel suo intervento, per cui «il mio discorso di oggi, chiamamolo pure così, riesce improvviso a voi e improvviso a me stesso […]. Il Duce alle ore 2 mi ha chiamato: “tu naturalmente quest’oggi parlerai”21.
In effetti Bianchi nel rispondere agli interventi dei deputati, tutti appartenenti al partito fascista, dopo lo scioglimento delle organizzazioni politiche antifasciste, si affida quasi esclusivamente alle linee di politica interna che Mussolini ha esposto «nel discorso dell’Ascensione» alla Camera l’anno precedente, ma su un questione Bianchi si mostra incerto ed esprime un opinione che molto presto sarà costretto a correggere. Si tratta della questione della sopravvivenza della Provincia, se sulle prime risponde a un interrogativo dell’on. Di Crollalanza , dichiarando che Mussolini «mi ha autorizzato questa mane a dire che è prossima la soluzione di questo interrogativo», poi però azzarda una convinzione personale: «Che cosa ne faremo della Provincia? Consulta. La Consulta e per la sua derivazione, e per la sua derivazione, e per il suo funzionamento, e per gli scopi per cui è stata istituita, non ha nulla a che fare col vecchio consiglio comunale. La Consulta è il logico coronamento dell’ordinamento corporativo dello Stato»22. Volutamente Bianchi confonde l’aspetto politico rappresentativo del Consiglio provinciale, a cui si riferisce con la Consulta che potrebbe sostituirlo, con il problema dell’ente autarchico provinciale che ha una dimensione assai più ampia e che il Sottosegretario agli Interni affronterà nei mesi successivi, offrendone una soluzione non priva di razionalità nella nuova costituzione materiale dello Stato fascista.
D’altra parte il governo Mussolini con decreto luogotenenziale 2 gennaio 1927 ha ampliato notevolmente il numero delle province del Regno, istituendone altre diciannove e cedendo a pressioni politiche locali, non sempre motivate, con conseguenze immaginabili sul bilancio dello Stato e su quello degli Interni, in specie. Bianchi, in un successivo intervento parlamentare, tenuto questa volta al Senato, il 30 maggio successivo, dichiara che i maggiori oneri sono stati affrontati con
21 milioni di economie [sullo stato di previsione del 1928-29], cioè di minori compensi al personale[…]. Va anche notata la diminuzione di 11 milioni, in osservanza del divieto di assunzione di nuovo personale nelle Amministrazioni dello Stato: nonostante l’aumento delle funzioni di previsione e di assistenza del Ministero dell’Interno, e la creazione di 19 nuove Province, si è potuto assolvere il duro e grave compito non solo senza aumento di personale, ma realizzando una notevole economia; e di ciò va data lode ai funzionari tutti23.

Naturalmente il problema non è affrontabile in permanenza in termini di riduzione delle spese del personale, per cui emerge tra gli studiosi del settore e in una parte del partito la proposta di una radicale soluzione della questione attraverso l’abolizione dell’amministrazione provinciale e il passaggio delle sue competenze alle prefetture. A questo progetto circa la sorte dell’ente provincia si aggiunge l’altro di rendere dipendenti dello Stato i podestà e i segretari comunali e, quindi, sostanzialmente di abolire ogni forma di sia pur debole autonomia locale, a favore di un fortissimo accentramento statale.
A questi progetti e propositi che corrispondono a forti aspettative da parte della categorie interessate, del tutto favorevoli a una soluzione che le vedrebbe immesse nella burocrazia statale, Bianchi risponde a un anno di distanza, ancora una volta alla Camera dei deputati, offrendo una soluzione, politica e giuridica, che fissa definitivamente il ruolo degli enti locali nello Stato fascista.
Quando si parlava di abolire la provincia come corporazione territoriale autonoma, distinta dallo Stato, Mussolini, alle cui supreme ispirazioni risale tutto l’ordinamento giuridico attuato dalla Rivoluzione, sentì che, attraverso il suono di una fraseologia troppo generale, si andava verso il vuoto, poiché unità non significa astratta indistinzione, ma armonica coordinazione. E la provincia rimase, in quanto voluta dalla storia, dalla tradizione, dalle esigenze stesse di sviluppo dello Stato fascista. Taluno parla, adesso di creare il podestà funzionario dello Stato. Allo stesso titolo e con la stessa ragione si potrebbe parlare di creare il Preside della provincia funzionario dello Stato; e da un punto di vista meno formale, non si vede l’enorme impaccio che deriverebbe allo Stato da un accrescimento così considerevole della burocrazia statale.[…]. Pertanto, presi gli ordini dal S.E. il Capo del Governo, dichiaro che non intendiamo istituire né il podestà funzionario dello Stato né il Preside funzionario dello Stato. Il Fascismo in questo campo aveva un compito che ha attuato: assicurare, nell’ambito della sovranità dello Stato, la coesione della società comunale e provinciale con la società nazionale. Questo è stato fatto […]24.

Certamente di minore spessore le iniziative ministeriali di cui Bianchi assume la responsabilità politica, a pochi mesi dalla nomina, come l’annuncio, a fine maggio 1928, della diminuzione di un milione nel bilancio ministeriale della spesa della lotta alla mafia, poiché «la lotta alla mafia […] ha già dato risultati di carattere permanente», dichiara alla Camera il Sottegretario agli Interni. Poi offre un rassicurante quadro della diminuzione della criminalità siciliana, tra il 1923 e il 1927, sostenendo che «nel 1923 si lamentavano 675 omicidi, che scendevano a 611 nel 1924, ed a 635 nel 1925, a 299 nel 1926 ed a 206 nel 1927», non meno confortante il quadro dei reati di rapina, di estorsioni, di ricatto, di abigeato, di danneggiamento e di incendio doloso, definite da Bianchi «forme specifiche della criminalità isolana»25. Certo si tratta di cifre che possono suscitare più di una perplessità, se si tiene conto che giornali vicini al partito fascista, nel 1922 e nel 1924, riportano cifre assai diverse e per la sola provincia di Trapani (circa 700 omicidi all’anno)26, ma se si prendono in considerazione tali cifre anche solo come ordini di grandezza, è indubbio che le azioni di controllo militare e poliziesco del territorio operate dal governo fascista abbiano avuto esiti favorevoli in termini di riduzione della criminalità.
D’altra parte la scarsa attenzione che Bianchi dedica all’azione contro la mafia siciliana, condotta per quasi quattro anni dal prefetto Mori, più che legarsi, come sostiene Deggan, uno storico inglese autore un paio di decenni fa di uno studio sul tema,, all’influenza della Marchesa De Seta, considerata una delle donne di maggior peso nella vita dell’uomo politico calabresi27, ha radici molto più lontane nell’azione che Mori aveva operato contro le squadre fasciste a Bologna, quando era prefetto di questa città e Bianchi segretario del partito e perciò costretto a prendere decisioni assai rischiose per difendere il PNF. Bianchi, d’altra parte, è seriamente convinto che i successi nella lotta contro la criminalità non siano affatto legati all’azione eroica di un prefetto, bensì alla complessiva opera di contrasto in termini di ordine pubblico, esperita in tutte le aree più a rischio da parte del governo Mussolini e del ministero degli Interni, in specie. Proprio per questo, Bianchi nel suo discorso in Senato del 30 maggio 1928, sostiene:
Nel campo della polizia giudiziaria è particolarmente sensibile il miglioramento delle provincie occidentali della Sicilia, della Sardegna e dell’Istria. I delitti contro la persona, che nel 1926 ascesero a 20.886, son discesi nel 1927 a 18.857. Le rapine da 1662 nel 1926 a 1.257 nel 1927; i furti qualificativa 52.552 nel 1926 a 50.468 nel 192728.



4. Lo Stato totalitario secondo Bianchi

Il 6 giugno, ancora una volta alla Camera, il Sottosegretario commenta così i risultati delle elezioni del 24 marzo 1929, svoltesi sulla base di una lista unica, ovviamente del PNF, predisposta dal Gran Consiglio e che agli aventi diritto al voto propone soltanto di votare con voto palese per il “si” alla lista fascista oppure votare “no”, rigettandola. All’avvio del suo importante discorso, Bianchi sostiene che «il plebiscito del 24 marzo, svoltosi senza il più piccolo turbamento dell’ordine pubblico, dimostra che la pace sociale, di cui gode l’Italia, non è fondata sulla paura, ma sulla raggiunta unità spirituale del popolo italiano»29.
E’ stato notato a questo proposito che
I risultati della consultazione costituirono un indubbio successo per il fascismo. Se, infatti, l’alta percentuale dei votanti, l’89,63%, è in sé scarsamente significativa, dato che l’astensione costituiva di per se stessa una manifestazione di opposizione e pochi furono coloro i quali ebbero il coraggio di esporsi ad una facile accusa di antifascismo, un ben diverso valore hanno il limitato numero dei “no” –135.761 contro 8.519.559 “si” – e delle schede nulle (8.092) e ancor più la distribuzione geografica di questi “no”, dalla quale risulta chiaramente come l’opposizione al regime fosse ormai circoscritta a piccoli gruppi arroccati nelle regioni politicamente più mature e dove i partiti antifascisti avevano avuto i loro punti di forza 30.

In realtà la popolazione italiana nella sua grandissima maggioranza percepisce che il valore della consultazione elettorale, o “plebiscito” come correttamente amano chiamarlo personalità fasciste come Bianchi, ha perso il carattere di strumento di legittimazione popolare del potere statale. A ciò non poco ha contribuito la propaganda fascista nel corso della “campagna elettorale”: così il vicesegretario del PNF dichiara a Milano che se anche gli italiani anziché dare al governo Mussolini 12 milioni di “si”, avesse dato 24 milioni di “no”, «Mussolini rimarrebbe a palazzo Chigi egualmente», in Calabria la propaganda fascista assume toni efficaci: discorsi, adunate, stampa di partito diffusa senza risparmio, propaganda elettorale che unisce argomentazioni convincenti ad aperte minacce. «Il fascismo –scrive il giornale della federazione cosentina del PNF – non è affatto disposto che nella provincia di Michele Bianchi […] le ostriche di un odioso passato pensino a dare sia pure menomo fastidio»31.
E’ l’ultimo successo politico del Bianchi, che nei mesi successivi stila quello che appare il suo testamento politico, costituito dal suo saggio su La rappresentanza politica nello Stato fascista, pubblicato a Losanna, in Svizzera, dopo la morte del Quadrumviro per opera del “Centro internazionale di studi sul Fascismo” e ripubblicato, nel dicembre del 1930, nel volume che il fascismo dedica a Bianchi, con una raccolta di discorsi e di articoli, e una prefazione di Mussolini.
Il centro nevralgico di questo testo – redatto certamente da Bianchi dopo il 6 giugno 1929, poiché nel saggio si fa esplicitamente riferimento al discorso parlamentare che il Sottosegretario pronuncia quel giorno alla Camera dei deputati, di freschissima nomina dopo il plebiscito del 24 marzo – è proprio nella negazione della dottrina democratica della sovranità del popolo:
è necessario di determinare la base essenziale della dottrina fascista, la quale presuppone che chi detiene la sovranità non sia il popolo ma lo Stato. Il popolo non ha una personalità autonoma, distinta da quella dello Stato e capace di poterglisi opporre. Ne deriva che il popolo non ha neppure la capacità di affidare mandati, di esercitare dei diritti, di compiere degli atti di volontà attraverso i suoi rappresentanti32.

L’alternativa nell’individuare il soggetto titolare della sovranità passa necessariamente alla Chiesa e allo Stato e Bianchi esamina queste due alternative. La Chiesa in quanto «diretta manifestazione di Dio nel mondo, deriva [da Dio] il diritto di governare l’umanità, di impartire delle norme rigide a tutta l’attività umana […]. La civiltà religiosa è una civiltà autoritaria al più alto grado; come tale è una civiltà unitaria»33. Sul piano storico, tra Medioevo ed Età Moderna, la titolarità originaria della sovranità passa allo Stato e Bianchi identifica le idee forza della civiltà moderna che ne sono, a suo parere, il fondamento: l’affermazione dei valori temporali e umani; l’ottimismo che rende l’uomo fiducioso in se stesso e nel valore delle sue creazioni storiche; il mito del progresso. «Su di esse, conclude Bianchi, poggia l’idea dell’autonomia morale dello Stato […] che possiede valore in sé e per sé». Storicamente è l’epoca della monarchia assoluta «per la quale tutti i poteri dello Stato sono degli attributi esclusivi della Corona»34. Poi Bianchi nega il carattere reazionario dello Stato fascista: «la rivoluzione fascista , contrariamente alle inesatte affermazioni di qualcuno, non rappresenta affatto una restaurazione del potere assoluto del Sovrano», e d’altra parte se ciò fosse il ruolo del fascismo e del suo capo sarebbe irrilevante nella costituzione materiale del paese, come si è costruita tra il 1925 e il 1929. Bianchi infatti sostiene che la legge del 24 dicembre 1925 che ha definito la posizione giuridica del Capo del Governo, non ne ha fatto «un vero e proprio cancelliere, responsabile soltanto dinanzi al Re. E’ evidente che il Capo del Governo fascista non può essere considerato come un funzionario che abbia come sua sola volontà quella del Sovrano»35.
La scelta che, secondo Bianchi, lo Stato fascista avrebbe compiuto è quella organicista di indubbie ascendenze hobbesiane e che avrebbe presto trovato profondi riscontri nei teorici tedeschi del nazismo. Solo che allo hobbesiano stato di natura, che attraverso il “pactum subiectionis” fa nascere lo Stato leviatano, il fascismo sostituisce la Nazione, intesa come il complesso delle generazioni passate presenti e future che costituiscono il popolo italiano, e qui Bianchi riprende i concetti che aveva formulato otto anni prima alla scuola di formazione fascista, concludendo che «lo Stato fascista […]rappresenta l’incarnazione giuridica della Nazione»36.
Come si vede, incidentalmente Bianchi è costretto ad adoperare la categoria di rappresentanza che farebbe tornare alla nazione, e al popolo attuale che lo rappresenta la titolarità della sovranità, ma in realtà la sua concezione della nazione non ha nulla a che fare con l’entità concreta e storica popolo italiano di oggi, bensì con il succedersi delle generazioni e quindi con una entità che il fascismo assume di interpretare e rappresentare non meno fideisticamente di come la Chiesa rappresenta Dio sulla Terra. Quanto all’attuale organizzazione dello Stato fascista, Bianchi scrive che
nel sistema del diritto pubblico istituito dal Fascismo, la Camera dei deputati, il Senato, il Governo del Re di cui il Duce del Fascismo è il capo responsabile, costituiscono tanti organismi di cui ciascuno ha lo scopo di contribuire alla formazione degli atti di volontà dello Stato, a seconda delle competenze particolari che la legge gli assegna […]. Anche il Gran Consiglio del fascismo è un organo che collabora in modo essenziale alle formazioni degli atti di volontà dello Stato, e di questi atti è un organismo rappresentativo37.

La sovranità è dunque nello Stato e si esercita attraverso gli organismi sopra citati, ma tra di essi vi è un organo il Capo del Governo, in cui appunto la legge del 1925 riconosce un ruolo di «primato di ordine costituzionale». Se non ché, accanto al primato del duce del Fascismo, lo Statuto albertino e la stessa legge del 1925, riconoscono che il «Capo del Governo viene nominato e revocato dalla Corona, verso la quale è responsabile della tendenza politica generale del Governo». Bianchi è costretto perciò, in questa fase decisiva, ad affrontare il delicatissimo problema del perché Mussolini non sia responsabile soltanto dinanzi al Re. Ed egli sostiene che il Capo del Governo ha nello Stato fascista una responsabilità costituzionale autonoma e questa responsabilità egli l’indirizza verso il corpo elettorale:
Quando il Capo del Governo, Duce del Fascismo e Presidente del Gran Consiglio, sottopone al corpo elettorale la lista delle persone designate per far parte della Camera dei deputati, esso domanda un voto il cui significato è soprattutto un giudizio sull’azione generale svolta dal Governo. La possibilità stessa di tale giudizio [...] lascia scorgere chiaramente la responsabilità del Capo del Governo38.

Poi però Bianchi conclude negando al corpo elettorale un potere sovrano e osservando ancora una volta che «senza dubbio[…] il corpo elettorale non ha la possibilità di provocare, rifiutando la sua adesione alla lista, una crisi di Governo»39.
Una concezione totalitaria del potere dello Stato fascista con la quale Bianchi sembra congedarsi dalla sua lunga attività di politico e di riflessione sulla politica. Il suo congedo è un atto di fede che guarda a una concezione religiosa del capo del fascismo che nei suoi discorsi degli ultimi anni in parlamento ha sempre indicato con nomi che ne individuano un ruolo metapolitico. Nel contempo, il quadrumviro riserva alla sua persona compiti di più o meno efficace interpretazione della volontà del Duce.
La concezione che Bianchi esprime del totalitarismo fascista appare singolarmente partecipe di una riflessione comune a importanti ideologi europei di questa nuova concezione di potere totalitario. Si è sottolineato, ad esempio, che anche in un teorico di ben altro rilievo come Carl Schmitt vi è una profonda compenetrazione tra Stato e popolo e la rappresentanza politica nella sua componente elettorale costituisce una “finzione”, che ha il compito di riprodurre questa identità «rendendo visibile» il popolo, la sua volontà, la sua «unità politica»40. L’identità di Bianchi tra nazione e Stato è rappresentata da Schmitt in maniera più storicamente concreta alla esigenza di unità destinata a fondare la sopravvivenza dello Stato-popolo nei confronti del nemico.




NOTE
1 M.G. Chiodo, La Calabria dall’Unità al fascismo, in Storia del Mezzogiorno, vol. XV, tomo I, Regioni e province nell’Unità d’Italia, Edizioni del Sole, Napoli, 1990, p. 263.^
2 R. Sicilia, Istituzioni, economia, società. Belsito, Cosenza, editoriale progetto 2000, 2006, pp. 91, 93-94.^
3 ACS, Carte Michele Bianchi, b. 5, lettere del prefetto Guerresi del maggio 1925 e del 24 maggio 1925; lettera di Tommaso Corigliano del 14 giugno 1925; lettera del segretario Notti del 27 maggio 1925; telegramma di Iachetta del 17 giugno 1925.^
4 Ivi, b. 5, 5 ottobre 1925, Saraceni a Bianchi; ivi, 26 settembre 1925 Saraceni a Bianchi.^
5 Ivi, 15 novembre 1923.^
6 ACS, Carte Michele Bianchi, b. 1, f. 1, Adolfo Berardelli a Michele Bianchi 23 novembre 1922.^
7 Cfr. F. Mazza, Dal contado alla nuova provincia, in AA.VV. Castrovillari storia cultura economia, a cura di F. Mazza, pp. 191-195.^
8 Ivi, b. 5, 27 novembre 1923, Melchiori a Bianchi.^
9 Ivi, b.5, f.85, cc.1-16, dicembre 1923.^
10 Ivi, b. 5, f. 94, 10 gennaio 1925.^
11 Cfr. M. Fatica, Michele Bianchi, cit., pp. 58 sgg.^
12 ACS, P.S., 1929, b. 158, f. Cosenza.^
13 G. Cingari, Storia della Calabria, cit. p. 281.^
14 Ivi, p. 282.^
15 M. Missori, Governi alte cariche…, cit. p. 153.^
16 Ivi, p. 160.^
17 M. Bianchi, La politica fascista dei lavori pubblici nel Mezzogiorno, in Idem, I discorsi…, cit., p. 388.^
18 Il confronto percentuale non è presente nello scritto di Bianchi.^
19 M. Bianchi, La politica fascista dei lavori pubblici…, cit., p. 393.^
20 Ivi, pp.393-394.^
21 M. Bianchi, Per la riforma degli enti locali, in Idem, I discorsi…, cit., p. 133.^
22 Ivi, p. 134.^
23 Ivi, p. 140.^
24 Ivi, pp. 165-166.^
25 Ivi, p. 149.^
26 Cfr. «il Giornale Fascista», 24 dicembre 1922; «Il Corriere Italiano», 5 maggio 1924. Citati in C. Deggani, La mafia durante il fascismo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1986, p. 44, 55.^
27 Ivi, pp. 235, 242-243.^
28 M. Bianchi, L’ordinamento podestarile, in Idem, I discorsi…, cit., p. 149.^
29 Idem, La politica interna del fascismo, in ivi, p. 163.^
30 R. De Felice, Mussolini il fascista. L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Torino, Einaudi, 1968, p. 438.^
31 F. Cozzetto, La Calabria dopo il fascismo, cit., pp. 357-358.^
32 M. Bianchi, La rappresentanza politica nello Stato fascista, in I discorsi…, cit., pp. 410-411.^
33 Ivi, p. 404.^
34 Ivi, pp. 404-405, 421.^
35 Ivi, pp. 421-422.^
36 Ivi, p. 423.^
37 Ivi, p. 421.^
38 Ivi, p. 423.^
39 Ibidem.^
40 C. Schmitt, Verfassunglehre, 1928, trad. it., Dottrina dello Stato, Milano, Giuffrè, 1984, p. 277, cit. in F. Mastromartino, La democrazia contesa: garanzia ed esecuzione della costituzione in Carl Schmitt e Hans Kelsen, «L’Acropoli», 8 (2007), p. 688.^
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