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Le ragioni de «L’Acropoli»
di G. G.
Questa rivista vuole riprendere e continuare quella a cui Elena Croce diede vita agli inizi degli anni '70 - perciò denominata, appunto, «Prospettive Settanta» - e che dal 1979 in poi affidò alle mie cure. Si vuole anche reagire, con ciò, all'imperante mitologia e ideologia del nuovo a tutti i costi, nato oggi e da se stesso, e valido e benefico sempre in quanto e semplicemente perché nuovo (e si tratta assai spesso di un nuovo vecchissimo e già molto, molto visto), senza problemi di origini di paternità o fraternità, e anzi con la cura di occultarle, salvo a vantarne di assolutamente indebite e irriconoscibili. Alla ispirazione di «Prospettive Settanta» si intende, quindi rimanere fedeli sia per la posizione culturale (uno storicismo coerente, ma del tutto alieno dall' addormentarsi sui suoi principii ed elementi e largamente aperto alle voci della ragione di sempre e del proprio tempo), sia per la posizione politica della rivista (una liberaldemocrazia a forte accento democratico, anche se aliena dalla civetteria di qualificarsi come democrazia sociale; un 'intima fede nei valori della tradizione europea e occidentale e una stretta connessione con gli indirizzi dei regimi e dei paesi nella cui vita e presenza e azione storica quei valori appaiono meglio rappresentati e vissuti; quando e nella misura in cui effettivamente lo sono).
Tuttavia, molti anni sono passati dalla fondazione di «Prospettive Settanta», e anche dalla interruzione delle sue pubblicazioni all'inizio degli anni '90, e sono stati anni di particolare intensità in un' epoca che da quasi un secolo, ormai è andata vivendo la sua esperienza a un ritmo sempre più febbrile. La storia cambia continuamente le carte che si giocano sul suo tavolo. A volte lo fa con un ritmo più veloce e rende il gioco più aperto e più difficile. In «Prospettive Settanta» esprimemmo, perciò, la nostra convinzione che a una tale «epoca forte» mal si addicessero l'idea e il costume di un «pensiero debole». Ben di più riteniamo di poterlo e doverlo credere alla luce degli accadimenti degli anni '90, che in ogni campo - dalla politica alle scienze e alla tecnica, intanto - hanno avuto e stanno avendo un'incidenza di appena credibile efficacia. Una grande forza del pensiero e un grande sforzo di pensiero per intendere l'epoca, per viverla nella maniera più alta, più creativa, più consapevole e più responsabile che sia possibile: questa, insomma, la grande aspirazione, l'ideale dell'impegno a cui pensiamo, anche se sappiamo di non potervi apportare che un modesto, oltre che esiguo, contributo.
Beninteso, l' epoca non e una forza oscura, una spinta fatale, un destino ineludibile, oltre che più o meno cieco, e magari cinico e baro. L'epoca e soltanto il condizionamento storico, il contesto storico, il poligono (dagli innumerevoli lati) delle forze storiche entro il cui quadro e le cui determinazioni si vive e si agisce. L’epoca - in altri termini - siamo noi, noi stessi, attori storici ai quali è negato egualmente sia di ritenersi onnipotenti (sciolti dalle «leggi», ossia dalla realtà della storia) che di sentirsi impotenti (rispetto a un presunto dio ascoso della storia, sottostante o retrostante, immanente o trascendente che sia).
Per la stessa ragione confessiamo di essere quietamente indifferenti rispetto alla mitologia del «nuovo millennio» che in questi anni riempie anche i più reconditi angolini della cronaca e della cosiddetta informazione. Varrebbe la pena di studiare la genesi non tanto del mito del millennio (una componente millenaristica e sempre presente sulla scena storica) quanto delle operazioni di promozione spettacolare di un tale «evento» e del conformismo che intorno ad esse si e sviluppato. E parliamo di operazioni anche se, per molti aspetti, si sarà trattato di semplice prassi o speculazione o adeguamento rispetto a particolari ritualità o ricorrenze: in questa caso, il passaggio al terzo millennio dell'era cristiana, adottata nel calendario civile di tutti i paesi di tradizione europea e occidentale, e anche di altra tradizione, che per il mondo cattolico coincide, per di più, con la celebrazione del giubileo. Che cosa questo debba mutare, al di la di una delle mille occasioni di riflessione che la storia e la vita sollecitano a ogni istante, per chi non viva il cambio di data in autentico spirito cristiano non è stato spiegato in nessun modo, ne può esserlo. Per altre tradizioni religiose e civili - in pratica, per la parte di gran lunga maggiore dell'umanità - non si dà nessun millennio che cambi.
Né più savio e fondato di quello del millennio è per noi, come a questo punto si sarà ben capito, il mito della svolta che sarebbe segnata dal contemporaneo mutamento di secolo, quasi che il secolo avesse una realtà in sé al di là di quella puramente contabile che, come per il millennio, conferisse ad esso il sistema cronologico adottato in un determinato ambito o periodo storico. Anche a questo mito saremo, perciò, sostanzialmente indifferenti, convinti come siamo che la corrente ininterrotta della storia consenta e inevitabilmente esiga di essere periodizzata, ma su ben altre basi e con ben altri criteri che quelli dei periodi fissi, centenari, millenari o altri che siano, del calendario.
In altre parole, a parte le riflessioni che al riguardo potremo affacciare in qualche intervento della nostra rivista, ci sembra che i problemi dell'epoca non siano affatto legati ai cambi di data e che abbiano ben più radicata, annosa e drammatica consistenza. Noi cercheremo di parlarne non in generale, non tanto come di problemi dell'epoca quanto come di problemi concreti e determinati, ossia secondo la specificità di singole questioni italiane e non italiane, culturali e politiche, economiche e sociali o di qualsiasi altro ordine, senza cancelli disciplinari o tematici, con studi e con saggi, con commenti e con documenti, sul piano dell'indagine o su quello della riflessione, con note e interventi più o meno estesi e più o meno, per così dire, a caldo o a freddo, ma sempre cercando di restare fermi e conformi al «polo della critica», dove - ammoniva uno scrittore a noi caro - conviene acclimatarsi per bene perché il clima non è dei più dolci, ma è il polo della ragione più rigorosa e, insieme, più comprensiva nel suo procedere: come, insomma, già faceva «Prospettive Settanta», ma in forma in qualche modo più agile e più legata alla cosiddetta attualità, con una periodicità più ravvicinata (bimestrale) e in fascicoli di minore ampiezza (che tenderanno, ordinariamente, a sfiorare le 100 pagine).
Perché non conservare, allora, anche il nome della vecchia rivista? Questo sarebbe stato particolarmente caro a coloro che della rivista hanno promosso e curano la ripresa, perché quel nome è legato alla memoria di Elena Croce, indubbiamente una personalità - a parte i nostri diretti rapporti con Lei - di rilievo nella storia della cultura italiana dalla fine della seconda guerra mondiale in poi. E’ prevalsa, però, nei più del gruppo, l'idea che quel nome fosse troppo legato alla particolarità cronologica in esso indicata e potesse apparire fuori tempo o, comunque, non dare l'idea preferibile di quel che la ripresa della rivista vuol essere: e, cioè, una prosecuzione di «Prospettive Settanta» nella forma diversa che si e accennata, con un ancor più stretto rapporto con l'immediatezza dell' attualità.
Da qui l'idea di riprendere il nome di una rivista illustre, di significato storico e culturale del tutto inversamente proporzionale alla sua breve durata, quale fu «L’Acropoli», la rivista che, per uno dei più colti e intraprendenti editori napoletani, Gaetano Macchiaroli, fu fondata e diretta, in una congiuntura di grandi e intense trasformazioni epocali (come suol dirsi), fra il 1945 e il 1946, e fino alla sua scomparsa, da Adolfo Omodeo, con una pregnanza di significati di cui si avverte ancora la vitalità.
Il nome di Omodeo indica appieno, anch'esso, l' orizzonte culturale e politico entro il quale la nostra rivista vuole mantenersi: l'orizzonte, cioè, della cultura che in Italia (con qualche difficoltà di comprensione per gli stranieri) siamo adusi a indicare come «laica»; l'orizzonte degli orientamenti politici di varia ma autentica ispirazione liberale e democratica e, nello stesso solco, social-democratica (Omodeo militava nel Partito d'Azione, legato alla
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