Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno IX - n. 6 > Rendiconti > Pag. 555
 
 
I “cicli vitali” della guerra
di Ermanno Vitale
Su invito di Giuseppe Galasso, in questo volumetto (Le relazioni degli stati tra diritto e politica. A proposito di Bobbio e di altro, Guida, Napoli 2008, pp. 132) Luigi Bonanate ha raccolto, nella sostanza, sei saggi in cui discute con Norberto Bobbio del grande tema – che attraversa tutte le scienze umane – della pace e della guerra tra gli Stati. Di questi saggi solo il primo, Nel labirinto, guerra e pace nel pensiero di Bobbio, è relativamente datato: fu infatti pubblicato per la prima in occasione dei 75 anni di Bobbio, nella raccolta Per una teoria generale della politica. Scritti dedicati a Norberto Bobbio, (Passigli, 1986), curata da Bonanate stesso insieme a Michelangelo Bovero. Gli altri sono tutti recenti o recentissimi, ed uno in particolare è inedito (Hobbes, la pace e Bobbio).
Ho precisato “nella sostanza” perché, a onor del vero, il libro comprende anche due testi di tenore e argomento diversi: l’inedito Ri-leggere Bobbio?, una riflessione sull’opportunità di continuare ad ascoltare la lezione bobbiana svolta in occasione della nuova edizione di Politica e cultura curata da Franco Sbarberi e un commosso ricordo del maestro, Ho conosciuto Norberto Bobbio, già pubblicato su «Teoria politica», [20 (2004), 1]. Ricordo commosso che si rinnova ora nelle parole conclusive della Premessa: «Licenzio questa raccolta con malinconia, consapevole che anche se il mio personale colloquio non finirà mai, nelle pagine che seguono è comunque raccolto ciò che potrei considerare come la chiusura dei miei conti con lui» (p. 12).
Il tema centrale di questa “chiusura dei conti” è, in tutta evidenza, la riflessione sulla guerra e sulla pace. In Bobbio, come per linee essenziali ricostruisce Bonanate, i due poli difficilmente conciliabili di tale riflessione sono, da un lato, l’ineluttabilità delle guerre interstatuali e, dall’altro, l’auspicio del pacifismo giuridico, che, seppur meno esigente di quello morale, passa comunque attraverso la porta strettissima del federalismo mondiale. Ciò che sembra tuttavia rendere questa porta strettissima l’unica soluzione praticabile è in Bobbio la tragicità dell’alternativa: come puntualizza Bonanate, la guerra va discussa, criticata e infine scongiurata perché è giunta, in forma irreversibile, «al suo parossimo nucleare autodistruttivo» (p. 7) ed ha perciò compiuto per intero il suo ciclo vitale. Detto altrimenti, una guerra che spingesse l’umanità tutta verso il baratro dell’autoannientamento non sarebbe più, nemmeno nella prospettiva del più spietato realismo, quello che è stata per secoli: uno strumento di “costituzione”di ordini internazionali (di relazioni di comando-obbedienza tra Stati di fatto diseguali) spesso relativamente duraturi, anche se mai definitivi.
Se ben comprendo, questa prospettiva bobbiana a Bonanate è sempre apparsa, da un lato, troppo influenzata dalle urgenze del rischio nucleare, dall’altro, eccessivamente astratta, carente cioè di un’adeguata analisi a livello della teoria delle relazioni internazionali. Bobbio sembra accogliere l’idea, di derivazione hobbesiana e propria di una parte rilevante della riflessione internazionalistica (Waltz, per fare il solito nome), che le relazioni tra gli stati siano come quelle degli uomini in stato di natura (domestic analogy), e che il loro carattere anarchico e profondamente conflittuale sia determinato appunto dall’assenza di quel terzo in grado di tenere tutti in soggezione che, al livello delle relazioni interindividuali, consente di risolvere per via pattizia il problema della pace e della sicurezza. Posto in questi termini, il problema internazionalitico per eccellenza si presta solo ad una sorta di aut aut secco, di prendere o lasciare: o la pace sarà sempre, hobbesianamente, una tregua tra due guerre, oppure si dovrà porre fine all’esistenza degli stati sovrani, per loro costituzione polemogeni, e costruire quel terzo finora assente, un governo federale planetario, capace di risolvere pacificamente le controversie tra i suoi membri. Questa impostazione ripropone la stessa difficoltà che tentò di superare, senza riuscirvi in forma convincente, il Kant della Pace perpetua: la possibilità della federazione mondiale presuppone che tutti gli stati siano repubblicani, ovvero, nei nostri termini, democrazie costituzionali. Kant, come tutti ricordano, riponeva la sua fiducia in un novello e poderoso stato repubblicano che facesse da esempio. Forse alla luce della nostra esperienza si potrebbe aggiungere che mai fiducia fu così mal riposta.
A questa impostazione che applica alle relazioni internazionali un modello dicotomico astratto e si scontra con la fallacia argomentativa della domestic analogy Bonanate oppone un approccio che rifiuta la teoria dell’anarchia internazionale e sottolinea la capacità costituente ed ordinatrice della guerra, o almeno di alcune guerre:
la mia idea è che la vicenda internazionale sia null’altro che una storia di successivi sistemi di ordine internazionale, creati e costruiti sulla punta della spada, ovvero dalla vittoria in guerra, una guerra affatto speciale (costituente, addirittura), vincendo la quale si entra in possesso delle chiavi dell’ordine internazionale, appunto, che restano nelle mani del vincitore fintantoché uno sfidante, una potenza emergente, non ne metterà in dubbio il buon diritto a governare il sistema internazionale (p. 10).

Naturalmente, ciò non significa minimamente che a Bonanate non stia a cuore la pace internazionale e che la sua posizione sia una semplice professione di realismo tesa a respingere come ingenuo ogni sforzo normativo e prescrittivo. La risposta consiste piuttosto in quella forma di prescrizione meno esigente – se volete, più realistica e fondata su dati empirici – che Bonanate definisce nei termini di un lento processo di democratizzazione delle relazioni internazionali. Essa si fonda sull’osservazione per cui è in atto un processo graduale, non privo di parziali regressioni, ma, almeno a giudizio di Bonanate, pressoché inesorabile che va in direzione dell’aumento dei paesi definibili, seppur con criteri caritatevoli, democratici sulla faccia della terra. Inoltre, si osserva ancora, gli stati democratici tendenzialmente non promuovono la guerra, ma, altrettanto tendenzialmente, vincono le guerre cui sono costretti a prender parte quando aggrediti da paesi non democratici, spostando così la bilancia dell’ordine internazionale in favore delle procedure, ma anche della forma mentis propria della prassi democratica. Così, si possono già osservare conglomerati di stati democratici che hanno bandito la guerra da alcune regioni del mondo, come è evidente nel caso dell’Unione europea (cfr. pp. 100-104). Si tratta, come si può ben vedere, non di proporre una meta diversa da quella bobbiana, ma di delineare un percorso che provi a superare il doppio scoglio dell’inevitabilità dell’anarchia internazionale e dell’implausibilità della federazione mondiale, mostrandone elementi di praticabilità e possibilità di sintesi già insiti nel presente, già in corso di sviluppo in un’arena delle relazioni internazionali concepita come suscettibile di un ordine diverso e migliore, ma che proprio per questo non deve essere intesa come totalmente anarchica o anomica.
Come ammette lo stesso Bonanate, pur nella diversità dei percorsi disciplinari e degli strumenti di analisi, alla fine ciò che lo distingue da Bobbio è la maggiore quantità di ottimismo – o la minore di pessimismo – con cui riesce a guardare alle labirintiche vicende delle relazioni tra stati:
non abbiamo la certezza che il filo di Arianna che stiamo recuperando non si spezzerà dietro a qualche nuova voluta del labirinto; ma il gomitolo che abbiamo avvolto non è mai stato così vicino al completamento. Il mio argomento a favore della democratizzazione della vita internazionale non è altro – lo ammetto – che una speranza (p. 107).

Una speranza laica, senza dubbio, come dimostra la conclusione del ragionamento:
per convincere anche Bobbio, vorrei chiudere con l’argomento persuasivo che Kant dedicava alla realizzabilità del suo progetto, non impossibile neppure per ‘un popolo di diavoli, purché siano dotati di intelligenza’. Mi chiedo dunque: oltre che diabolici, non riusciremo a essere intelligenti? (p. 108).

Confesso di essere sempre stato più incline al pessimismo che al moderato e per nulla ingenuo ottimismo di Bonanate. E questo forse spiega il senso di quanto sto per dire. Questa domanda retorica, che presuppone una risposta cautamente affermativa – sì, riusciremo ad essere abbastanza intelligenti per evitare nuove catastrofi – è stata formulata da Bonanate circa dieci anni fa (il saggio di cui è la conclusione venne pubblicato per la prima volta nel 1999). Mi chiedo, e gli chiedo, se oggi – diciamo convenzionalmente dopo l’11 settembre – si sentirebbe ancora di fare affidamento sull’intelligenza collettiva dell’umanità, e in particolare delle classi dirigenti dei paesi sedicenti democratici. A me sembra che il morto stia trascinando sul fondo il vivo. Sapere con precisione quali siano le potenzialità distruttive della guerra sembra non averne determinato il compimento del ciclo vitale, ma segnare piuttosto l’inizio di nuovi imprevedibili cicli, in una spirale di follia di cui Erasmo potrebbe ritessere, con rinnovata amara ironia, l’elogio.
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft