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Sulla fama postuma di Manzoni in Germania: qualche nota
di Anna Maria Voci
In Europa la ricezione delle opere di Manzoni, essendo egli ancora in vita, fu alquanto precoce. Così fu anche in Germania, il paese che, anzi, seguìto subito dopo dalla Francia, si pose all’avanguardia nell’apprezzamento già delle sue opere poetiche, ancor prima dell’uscita del romanzo. Ciò è in qualche misura sorprendente, dato che Manzoni non contava tra gli intellettuali tedeschi degli amici, come tra i francesi, e dato che egli aveva una conoscenza estremamente scarsa della lingua tedesca. Quel che conosceva degli scritti di letterati e intellettuali tedeschi era mediato da traduzioni italiane, ma soprattutto francesi1. È ben noto che la precoce segnalazione al pubblico colto tedesco delle sue opere avvenne soprattutto grazie all’iniziativa di Goethe, e su questo si è scritto molto2.
Subito dopo la pubblicazione de Il Conte di Carmagnola3, in due fascicoli del 1820 e 1821 della sua rivista Über Kunst und Alterthum il vecchio Goethe difese questa tragedia romantica dalle critiche che le erano state mosse e le cantò un inno di lode4, con grande sorpresa, ma, evidentemente, anche con grande soddisfazione di Manzoni, che, il 23 gennaio 1821, scrisse a Goethe una lettera di ringraziamento. Qualche anno dopo, nel 1823, August Arnold procurò una traduzione del dramma5.
Alla fine del 1822 Manzoni fece pervenire a Goethe, a Weimar, un esemplare di lusso, rilegato in maroquin rouge, e con una dedica tratta dall’Egmont, della sua nuova tragedia, l’Adelchi6. Altrettanto entusiasticamente Goethe la lodò in un’altra recensione, apparsa però solo nel 1827, dopo la pubblicazione, nel 1823, della traduzione francese (di Claude Fauriel) di entrambi i drammi, accompagnata dal saggio goethiano sul Carmagnola7, e dopo l’uscita della versione tedesca di Adelchi, affidata da Goethe a un noto traduttore di Dante, Karl Streckfuss8. Una nuova traduzione dell’Adelchi fu fatta subito dopo, nel 1830, da F.J.H. Schlosser9.
Sempre nel 1827 usciva a Jena, presso il libraio-editore Fromann, amico di Goethe, un volume intitolato proprio Opere poetiche di Alessandro Manzoni, curato dallo stesso Goethe e contenente, in versione originale, le due tragedie, una serie di Poesie varie, il carme In morte di Carlo Imbonati, i cinque Inni sacri e Il Cinque Maggio. Premessa ai testi italiani era una lunga introduzione dal titolo Theilnahme Goethe’s an Manzoni (Interesse di Goethe a Manzoni), in cui veniva ripubblicato il saggi di Goethe sul Carmagnola e quello nuovo su Adelchi, sopra ricordati, inoltre un commento dello stesso agli Inni sacri, e la lettera di Manzoni a Goethe del 23 gennaio 182110.
Si è osservato, probabilmente a ragione, che l’ammirazione di Goethe per la serietà morale e la sobrietà linguistica delle due tragedie manzoniane deve essere vista anche in rapporto alla polemica di Goethe con i romantici tedeschi, di contro ai quali Goethe avrebbe apprezzato molto la forma drammatica più “attenuata” dei romantici italiani, ancora legata in qualche modo ai valori di un classicismo morale, eppure distante dalle tragedie di un Alfieri, avvertite come “francesi” e “fredde”, anzi, contrapposta a queste11.
Entrambe le tragedie ottennero subito un certo successo di pubblico in Germania, come è già dimostrato dal fatto che Adelchi fu tradotto due volte a brevissima distanza di tempo. Del resto, notevole fu, in generale, la ricezione, in quel paese, nei decenni centrali della prima metà del secolo XIX, del dramma storico italiano. Sia in Italia, sia in Germania le due tragedie manzoniane furono accolte come opere destinate alla lettura di un pubblico colto, non come lavori da rappresentare in teatro. Goethe aveva consigliato di inserire Il Conte di Carmagnola nel repertorio del teatro tedesco, ma questa esortazione non ebbe seguito12.
Notissimo è poi il caso della traduzione goethiana de Il Cinque Maggio. Questa volta non fu Manzoni a inviare la sua ode a Goethe, che ne ricevette una copia nel gennaio 1822 dal duca Karl August di Weimar e, tra la metà di gennaio e il febbraio del 1822, ne approntò subito una versione tedesca, che, peraltro, contiene numerosi fraintendimenti ed errori sostanziali13. Essa comparve poi, nel 1823, di nuovo nella sua rivista Über Kunst und Altertum. Solo qualche anno dopo, nel 1828, un editore berlinese stampò il testo italiano di questa ode manzoniana accompagnato da ben cinque versioni tedesche: oltre a quella di Goethe, anteposta alle altre, il pubblico poteva leggere quella di Friedrich de la Motte-Fouqué, di Karl Heinrich Ludwig Giesebrecht, di August Ferdinand Ribbeck e, infine, la traduzione di August Zeune14. Questa ode fu tradotta parecchie altre volte in tedesco (per la precisione ventitré15), tra l’altro, nel 1889, dal poeta Paul Heyse che, rispetto a Goethe, ne diede una versione più fedele all’originale, sia nell’aderenza linguistica, sia nel ritmo e nella cadenza.
Al nome di Goethe è altresì legata la diffusione precoce anche in Germania de I Promessi Sposi. Manzoni gli mandò a Weimar la versione del romanzo del 1827 e Goethe pare l’abbia divorata in pochissimo tempo. Il 18 luglio 1827 scriveva a Eckermann: «Il romanzo di Manzoni supera tutto quanto conosciamo di questo genere […]. L’impressione, nel leggerlo, è tale che si passa dalla commozione all’ammirazione e dall’ammirazione alla commozione»16. All’iniziativa di Goethe e a quella di Ludwig Tieck, si deve il fatto che fu dato incarico contemporaneamente a due traduttori di approntarne una traduzione tedesca17. Entrambi i traduttori, Daniel Leßmann, procurato da Streckfuss, e Karl Eduard von Bülow, amico di Tieck, inviavano nel 1827 a Goethe ampie parti delle loro traduzioni e questi, il 27 ottobre 1827, scriveva a Streckfuss: «La prima parte del romanzo è adesso nelle mie mani in due versioni, quella di Leßmann e quella di Bülow. La sera mi ritrovo assieme a Riemer a collazionare questi due lavori con l’originale, e questo intrattenimento è tra i più belli e più fecondi»18. Seguendo il consiglio di Goethe, che trovava inopportuna l’inserzione nel romanzo di parti nelle quali Manzoni si era svestito dell’abito del poeta per narrare da «nudo storico»19, i due traduttori omisero semplicemente dalla versione tedesca molte delle digressioni storiche del romanzo. Queste due versioni furono rielaborate dopo il 1840, dopo l’uscita, cioè, dell’edizione definitiva del romanzo. Alle due traduzioni dell’epoca di Goethe ne sono seguite, fino ad oggi, una dozzina circa, alcune delle quali, naturalmente, ben più fedeli all’originale delle due di Leßmann e Bülow20. Goethe convinse inoltre Streckfuss, che si era sottratto al compito di tradurre il romanzo, a farne una recensione in Über Kunst und Alterthum, che apparve sempre nel 1827. Pertanto, grazie all’autorevolezza del giudizio di Goethe, che di Manzoni aveva elogiato l’arte, il «suo bel talento, veramente poetico», vivificato dal suo puro senso dell’umanità («sein schönes, wahrhaft poetisches Talent beruht auf reinem humanem Sinn und Gefühl»), ma anche la forza morale: «Manzoni hilft uns zu guten Gedanken» («Manzoni ci aiuta a concepire pensieri buoni»), intorno al 1830 le principali opere del Manzoni erano diffuse in Germania e accessibili in lingua tedesca.
Le informazioni sopra comunicate circa il numero, veramente notevole, di traduzioni tedesche dell’ode per la morte di Napoleone e del romanzo storico danno immediatamente l’idea che furono soprattutto Il Cinque Maggio e I Promessi Sposi le opere manzoniane più conosciute e divulgate in Germania.
Se, come si è detto, la diffusione della conoscenza dell’opera manzoniana durante il secondo e terzo decennio del secolo XIX è stato oggetto di approfonditi studi, meno ci si è soffermati sul tema della fama di Manzoni in Germania nei decenni seguenti alla sua morte, forse proprio perché, dopo l’entusiasmo suscitato dalla penetrazione dei suoi lavori in Germania, immediatamente dopo la loro comparsa in Italia, l’interesse per il Manzoni, soprattutto per il Manzoni poeta, si raffreddò. Theodor Elwert ha individuato le ragioni di questo raffreddamento nel fatto che i drammi di Manzoni finirono per offrire ben poche novità ad un pubblico abituato alle rappresentazioni dei lavori teatrali di Goethe e di Schiller; inoltre al pubblico tedesco risultò ben presto evidente il loro punto di debolezza, che consisteva in quella distinzione troppo pronunciata fatta dal Manzoni tra i personaggi storici e i personaggi inventati dei suoi componimenti, che andava a scapito della loro forza drammatica, come aveva già rilevato Goethe nella recensione al Carmagnola21. A ciò si aggiunse, nei decenni centrali del sec. XIX, i decenni della costruzione dello Stato nazionale e unitario tedesco sotto l’égida di una potenza protestante, la Prussia, un forte indebolimento per l’interesse alla storia medioevale, che, invece, era stato, come è noto, ben vivo nei decenni precedenti, il volgersi della richiesta del pubblico verso temi della storia moderna e, in particolare, della storia tedesca, e, last but not least, l’impronta profondamente cattolica che pervadeva le opere manzoniane, quel cattolicesimo «naif», come lo aveva definito Goethe22, dal quale quest’ultimo non si era affatto sentito disturbato, ma che, nel cambiato clima spirituale degli anni ’50, ’60, ’70, non risultava ormai più “attuale”, non era più sentito in sintonia con i sentimenti e gli interessi della maggioranza del pubblico colto tedesco.
Tant’è che negli anni ’80 del secolo XIX il già ricordato Paul Heyse, scrittore di novelle e romanzi ambientati in Italia, critico letterario, traduttore di testi letterari italiani in tedesco, mediatore culturale tra Italia e Germania, lamentava che ormai in Germania Manzoni fosse conosciuto solo, e anche ben poco, come autore de Il Cinque Maggio e de I Promessi Sposi.23 Nel 1889 Heyse pubblicò anche una nuova versione tedesca degli Inni sacri, che erano già stati tradotti una prima volta nel 1832 e, una seconda, nel 183524, aggiungendovi le traduzioni del Carme in morte di Carlo Imbonati, del componimento giovanile Urania e de Il Cinque Maggio25.
Di tutto questo insieme di motivi che segnano l’evoluzione della ricezione manzoniana in Germania è attestazione il necrologio scritto il 24 maggio 1873, due giorni dopo la scomparsa di Manzoni (avvenuta, appunto, il 22 maggio 1873, giorno dell’Ascensione), dallo storico delle letterature moderne, storico e versatile pubblicista Karl Hillebrand, nato in Germania nel 1829, ma fuggito nel 1849, vissuto prima in Francia (1849-1870), poi, fino alla morte (1884), a Firenze26. Si tratta dell’unico necrologio a Manzoni in lingua tedesca che conosco, seguito, l’anno dopo, da un lungo saggio del pubblicista Wilhelm Lang (1832-1915), che in parte ripete, amplificandoli, i principali motivi già toccati da Hillebrand, in parte si dilunga sul contenuto delle principali opere poetiche manzoniane e del romanzo, in parte allarga il discorso alla scuola romantica italiana, in parte, come si vedrà, contiene qualche novità rispetto a Hillebrand. Questo saggio di Lang apparve nell’organo della borghesia intellettuale e liberale prussiana, i Preußische Jahrbücher27, dove lo stesso Autore, tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60, aveva già pubblicato alcuni articoli a commento degli eventi rivoluzionari verificatisi in quel tempo in Italia28.
A mio giudizio il necrologio di Hillebrand si distingue soprattutto perché, pur nella sua brevità, è una valutazione fine, colta e intelligente dell’opera manzoniana, ed un’alta testimonianza, nello stile e nel contenuto, del trapasso da un’epoca storica, quella di Goethe, ad un’altra, quella di Bismarck, un tema caro a Hillebrand e da lui sviluppato anche in molti suoi altri saggi:
Ei fu29. Egli non è più. Sembrerebbe quasi che egli già da tempo non sia più, così lontano è il momento nel quale quest’uomo ineguagliabile ha poetato e pensato. Poetato e pensato, non agito. E tuttavia, chi potrebbe gloriarsi di avere operato più di Alessandro Manzoni? Quando un superstite di tale grandezza ci lascia, un ultimo testimone di un altro mondo, allora si comprende fino in fondo quale cesura abbiano segnato nella storia mondiale gli anni 1859 e 1866.
Colui che abbia avuto la fortuna di essere nato nel secolo scorso, anche se vi avesse vissuto i primi anni della propria fanciullezza, ha respirato l’aria della vecchia Europa; costui è una persona diversa da noi. E Manzoni era del 1784 [sic!]. Egli era un giovane precocemente maturo allorché il Primo Console compì la sua metamorfosi trasformandosi in un imperatore, che al mondo latino impresse la forma e la direzione nella quale esso avrebbe dovuto perseverare da allora in poi. Era una generazione di uomini bella, amabile, la generazione dell’età della Restaurazione – questa tarda estate del secolo XVIII – ed era un’età bella, serena, nonostante Lubiana e Verona, Metternich e Polignac, lo Spielberg e la persecuzione dei demagoghi. Già si ridestava ovunque il nascente sentimento nazionale e ancora il cosmopolitismo umano della generazione precedente non si era dileguato. Si ricominciava a sentire che la religione non era frivolo sacerdozio e ipocrisia, e tuttavia si preservava dal secolo dei Lumi quella tolleranza gentile, che contrasta così gradevolmente con la pratica religiosa dalla connotazione politica, un po’ fanatica e un po’ affaristica, dei nostri giorni. Uno scetticismo pratico, oraziano, diciamo piuttosto: una leggiadra ironia allietava ancora tutta la visione della vita e teneva a distanza quella ‘gravità morale’, che getta la sua fitta ombra pedante sul nostro tempo, forse solo per celare un po’ la rozzezza del nostro materialismo. Era un Egmont bello, rigoglioso, questa generazione del 1820, che amava, cantava, giocava, e tuttavia nel suo intimo era sorretta da un nobile idealismo, che ingentiliva la sua spensieratezza30.

Hillebrand definisce Manzoni un aristocratico liberale, la cui educazione era stata francese, come era consueto a quel tempo in Italia, e, aggiunge, «ancora oggi l’Italia moderna poggia sulla cultura francese. E infatti a lui e ai suoi connazionali la cultura tedesca restava un in-folio con sette sigilli, da osservare da lontano con timido tremore»31.
Naturalmente Hillebrand non può, parlando al pubblico tedesco, non toccare il tema del rapporto tra Goethe e Manzoni. E lo fa in modo conforme alla communis opinio del suo tempo. Come Heyse, e come, allora, il ceto colto tedesco, familiare con la letteratura italiana, generalmente pensava, anch’egli giudica la versione goethiana de Il Cinque Maggio «recht mittelmäßig», «alquanto mediocre», mentre quel componimento gli sembra «una delle più grandi, forse la maggiore poesia di quell’epoca [cioè dell’età romantica], ricca di grandi poesie»32. Quanto alle due tragedie manzoniane, Hillebrand conviene che esse forse siano state sopravvalutate da Goethe, ciò nonostante esprime la convinzione che i loro cori sono
tra le cose più belle che l’energia e la melodia armonica della lingua italiana abbiano partorito, tra le cose più perfette che il senso romantico della forma, il gusto, la coscienziosità abbiano prodotto, poiché – lo si ammetta – nessun tedesco o inglese può paragonarsi ad un italiano o a un francese nel rispetto verso la lingua, nella cura della sua forma.33

E ciò era affermato da un profondo conoscitore della cultura tedesca, inglese, francese e italiana.
In Hillebrand si trova inoltre affermato chiaramente, a integrazione del giudizio dato nella prima metà del secolo XIX sull’opera manzoniana, che aveva decisamente privilegiato il suo valore letterario-estetico e morale, che il merito di Manzoni non consistette soltanto nella sua “rivoluzione” della forma poetica rispetto al classicismo di un Alfieri, un Parini o un Monti, e alle rigide regole delle famose tre unità nella rappresentazione drammatica, ma nel fatto che egli fu «l’araldo del sentimento nazionale che andava via via destandosi», un patriota liberale e cattolico, che, nei cori del Carmagnola e di Adelchi, da Goethe analizzati solo nel loro valore lirico, intonò le parole di dolore sulla divisione della patria italiana risonanti in ogni petto italiano34.
Quanto al romanzo, «mi si conceda», chiede cortesemente Hillebrand al lettore «di pronunciare parole solenni. Ai miei occhi I Promessi Sposi sono il romanzo più compiuto che esiste, e già Goethe lo aveva giudicato così»35. E continua con il seguente giudizio estetico:
Questo romanzo possiede tutto il fresco incanto di una storia di Walter Scott e la fedeltà scrupolosa di A. de Vigny. Riunisce la saggezza e la visione della vita mite ed elevata di Goethe con la caratterizzazione e il rilievo di Fielding. E non è mai noioso – primo requisito di un romanzo. L’amabile ironia, la tranquilla rassegnazione alla volontà di Dio che aleggiano sul tutto sono ineffabilmente benefiche. I personaggi […] non sono abili attori, come quelli di Scott, che recitano superbamente il loro ruolo e indossano con naturalezza i loro costumi storici, ma sono gli uomini stessi, come vissero, al tempo della cupa signoria spagnola, lassù, sulle rive del Lago di Lecco e nelle anguste strade di Milano. E quali descrizioni della natura! Chi non ha sempre davanti agli occhi il Resegone, con la sua sagoma dentellata, o la verde pianura lombarda?36

Al riconoscimento, ovvio per un intellettuale nato negli anni ’20 del secolo XIX, dell’importanza nazionale e politica dell’opera letteraria manzoniana, non segue però, quanto soprattutto al romanzo, il riconoscimento della sua importanza, per così dire, linguistica-unitaria. È vero che su questo aspetto si soffermò brevemente, nel 1874, Wilhelm Lang nel suo saggio sopra ricordato37, e tuttavia non si può negare che una peculiarità della ricezione tedesca del Manzoni fu di non dare molta importanza ai suoi scritti sulla questione della lingua: questi ultimi, infatti, non vennero mai tradotti in tedesco. E anche l’attenzione della critica filologica tedesca alla lingua manzoniana è stata in generale scarsa38. All’epoca in cui scriveva Hillebrand, il saggio critico dedicato dal filologo e linguista Karl Marquard Sauer all’analisi del Manzoni come poeta lirico, poeta drammatico e romanziere dedica anche una certa attenzione alla lingua dei Promessi Sposi. Questo lavoro di Sauer uscì in prima edizione nel 1871, conobbe altre due edizioni nei due anni seguenti, ed ebbe una certa diffusione anche in Italia grazie alla traduzione che ne fece Giustino Fortunato39.
Della revisione linguistica cui Manzoni sottopose I Promessi Sposi Hillebrand, ottimo conoscitore degli ambienti intellettuali fiorentini, dei loro pregi e dei loro difetti, dà un’interpretazione molto particolare per noi Italiani, abituati ad altro giudizio su di essa. Secondo quanto egli sostiene, furono i pedanti toscani che, con le loro grida di rampogna all’Autore per essere stato troppo incline, nella prima versione del romanzo (la cosiddetta ventisettana), ai francesismi, lo costrinsero a rivederne la lingua: «I Cruscanti svennero, ma si ripresero ben presto e si avventarono contro colui che aveva osato scrivere come si parla, e non come si parlava e si scriveva nel Cinquecento e nelle Accademie fiorentine»40. Secondo Hillebrand Manzoni commise un errore a cedere su questo punto:
Molto più giusto era stato l’istinto del quarantenne, il quale aveva avvertito come la lingua toscana fosse una lingua morta, e che, invece, idee, sentimenti moderni […] non possono esprimersi in una lingua morta; che l’italiano che oggi voglia parlare solo toscano, si riduce ad un ambiente intellettuale minuscolo41.

Per Hillebrand la concessione fatta dal Manzoni ai puristi di «tradurre in toscano I Promessi Sposi» fu «incredibile», ma l’Autore riuscì ad operare la sua trasformazione della lingua del romanzo con grande finezza di sentimenti e con tatto linguistico, avvalendosi della lingua fiorentina allora attuale, e non di quella del Cinquecento42. Dell’intento politico-culturale perseguito dal Manzoni, volto alla costruzione di una lingua nazionale, cui Lang dà un certo rilievo43, non vi è invece traccia nel giudizio di Hillebrand. Proprio a questo aspetto, invece, dell’opera manzoniana è dedicato il capitolo su Manzoni del libro di Oskar Bulle (l’autore, assieme a Giuseppe Rigutini, del famoso dizionario italiano-tedesco) che ha ad oggetto l’idea dell’unità italiana nella sua evoluzione letteraria da Parini a Manzoni, uscito a venti anni di distanza dal necrologio di Hillebrand44.
Quest’ultimo, evidentemente, si era fatto un’altra idea della «risciacquatura in Arno». Che egli abbia conosciuto personalmente Manzoni, e anche qualche membro della sua famiglia, dal quale, forse, udì qualche particolare sulla vicenda della revisione linguistica del romanzo, lo si dovrebbe dedurre dai particolari che comunica nella descrizione della persona di Manzoni e della sua conversazione45. In particolare Hillebrand riferisce della viva partecipazione con la quale il vecchio poeta seguiva, ritirato nella sua villa sul Lago di Como, le vicende della sua patria, e delle frequenti visite che gli facevano i due generi, «il vivace, estroverso, aristocratico piemontese D’Azeglio», e «il colto, timorosamente riservato toscano Giorgini», i quali gli «portavano su, nella sua solitudine, l’odore delle polveri della vita pubblica, gli echi della fronda e della satira fiorentine»46.
Anche quanto al cattolicesimo manzoniano Hillebrand si limita a sfiorare appena il tema, e lo fa dal suo punto di vista di protestante liberale e kulturkämpfer, il punto di vista, cioè, in quel tempo prevalente in Germania, sottolineando che la profonda religiosità di Manzoni non lo indusse mai a diventare un «papista», un militante cattolico, perché, infatti, «la sua religiosità era come il suo patriottismo: entrambi i sentimenti erano intimi, caldi, ma niente affatto aggressivi»47. Proprio a questo aspetto, invece, della personalità manzoniana, al sentimento religioso del poeta e soprattutto al suo rapporto con Rosmini, lo storico cattolico e sacerdote Franz-Xaver Kraus, professore ordinario di storia della Chiesa a Freiburg i.B., esponente di punta del cattolicesimo liberale, dedicherà, ma sotto uno pseudonimo, dieci anni circa dopo Hillebrand, un ampio studio48.
In realtà, e chiudo tornando sul tema accennato introducendo questo necrologio di Hillebrand, quel che più premeva a questi era trasmettere ai suoi connazionali un’immagine di Manzoni come il letterato con il quale si chiudeva un’epoca,
un ameno cantore che intona il suo canto melodico malinconicamente, e non dolorosamente, in maniera commovente, ma senza sconvolgere, un canto nel quale risuonano ancora una volta tutti i sentimenti e i pensieri che hanno mosso il suo tempo, impetuosamente o sommessamente, ma dolcemente trasfigurati dall’indole poetica49.

E questo appunto perché il sommesso e preoccupato augurio di Hillebrand era che anche la nuova epoca, cominciata con gli eventi mirabili dei due anni 1859 e 1866, si rivelasse, nonostante alcuni segni negativi premonitori, tuttavia, in fine, all’altezza della precedente, soprattutto mantenendo il livello di quella «freimenschilche Bildung» che, in Germania, aveva caratterizzato il tempo di Goethe, in Italia quello di Manzoni.



NOTE
1 Cfr. A. Saitta, Manzoni e la storiografia europea, in Atti del Convegno di studi manzoniani (Roma-Firenze, 12-14 marzo 1973), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1974, pp. 133-147: p. 135.^
2 Oltre ai due volumi Goethe und Manzoni. Deutsch-italienische Kulturbeziehungen um 1800, hrsg. von Werner Ross, Tübingen, Niemeyer, 1988, e Goethe e Manzoni. Rapporti tra Italia e Germania intorno al 1800, a cura di E. Noe Girardi, Firenze, Olschki, 1992, rinvio soprattutto all’approfondito studio di H. Blank, Goethe und Manzoni. Weimar und Mailand, Heidelberg, Winter, 1988; al volume da lui curato Weimar und Mailand. Briefe und Dokumente zu einem Austausch um Goethe und Manzoni, Heidelberg, Winter, 1992; infine al suo saggio Weimar und Mailand, in Italien in Germanien. Deutsche Italien-Rezeption von 1750-1850, hrsg. von Frank-Rutger Hausmann, Tübingen, Gunter Narr Verlag, 1996, pp. 405-428.^
3 A. Manzoni, Il Conte di Carmagnola. Tragedia, Milano, Ferrario, 1820.^
4 Il Conte di Carmagnola. Tragedia di Alessandro Manzoni, in «Kunst und Alterthum», 1820, 2. Band, 3. Heft, pp. 35-65; Graf Carmagnola noch einmal, Ibidem, 1821, 3. Band, 2. Heft, pp. 60-73.^
5 A. Manzoni, Der Graf von Carmagnola. Ein Trauerspiel. Aus dem Italienischen übersetzt von August Arnold, Gotha, Ettinger, 1823.^
6 A. Manzoni, Adelchi. Tragedia. Con un discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, Milano,Ferrario, 1822.^
7 A. Manzoni, Le Comte de Carmagnola, et Adelghis, traduites de l’italien par M.C. Fauriel. Suivies d’un article de Goethe et de Morceaux sur la théorie de l’art dramatique, Paris, Bossange frères libraires, 1823.^
8 A. Manzoni, Adelgis. Trauerspiel. Ãœbersetzt von Karl Streckfuss, Berlin, Trautwein, 1827.^
9 A. Manzoni, Adelgis. Trauerspiel. Ãœbersetzt von Friedrich Johann Heinrich Schlosser, Heidelberg, Mohr, 1830.^
10 A. Manzoni, Opere poetiche. Con prefazione di Goethe, Jena, per Federico Fromann, 1827.^
11 Cfr. R. Schwaderer, Exportschlager und Mauerblümchen. Das italienische Musik- und Sprechtheater des 19. Jahrhunderts in deutscher Übersetzung, in Italienische Literatur in deutscher Sprache. Bilanz und Perspektiven, hrsg. von Bernhard König und Reinhard Klesczewski, Tübingen, Gunter Narr Verlag, 1990, pp. 85-96: pp. 86-87, che riferisce un’osservazione di Horst Rüdiger, del quale cfr. il saggio Teilnahme Goethes an Manzoni, in Idem, Goethe in Europa. Essays und Aufsätze, Berlin, de Gruyter, 1990, pp. 194-213: pp. 205 sgg.^
12 Schwaderer, cfr. nt. preced.^
13 Ciò è stato evidenziato soprattutto da V.R. Giustiniani, Geschichte, Erzählung und Humor in Manzonis ‘Promessi Sposi’, in «Romanische Forschungen», 86 (1974), pp. 1-41; Idem, Goethes Übersetzungen aus dem Italienischen, in Italien in Germanien (come nt. 2), pp. 275-299: pp. 293-296. G. Gaspari, Goethe traduttore di Manzoni, in «Atti del Premio Monselice per la traduzione letteraria e scientifica», 30 (2000), pp. 233-244, cerca di difendere questa versione de Il Cinque Maggio, ma, mi pare, con argomenti un po’ deboli.^
14 A. Manzoni, Der fünfte Mai. Ode auf Napoleons Tod. In der italienischen Urschrift nebst Uebersetzungen von Goethe, Fouque, Giesebrecht, Ribbeck, Zeune, Berlin, Maurer, 1828.^
15 Cfr. H. Blank, Manzonis Napoleon-Ode in deutschen Ãœbersetzungen, Bonn, Romanistischer Verlag, 1995.^
16 Cit. da Giustiniani, Goethes Ãœbersetzungen (come nt. 13), p. 278.^
17 A. Manzoni, Die Verlobten. Übersetzung von Daniel Leßmann, Berlin, Vereinsbuchhandlung, 1827; Idem, Die Verlobten. Übersetzung von Karl Eduard von Bülow, Leipzig, s.e., 1828.^
18 Episodio ricordato da E. Arnhold, Goethes Berliner Beziehungen, Gotha, Klotz, 1925, p. 171.^
19 Lettera del 23 luglio 1827 a Eckermann, cit. da W.T. Elwert, Alessandro Manzoni im deutschen Sprachraum, in Alessandro Manzoni 1785-1873, Merano, Istituto culturale italo-tedesco, 1986, pp. 27-40: p. 34.^
20 Sul tema delle traduzioni del romanzo rinvio al lavoro di S. Cavagnoli-Woelk, Contributi per la storia della recezione tedesca dei Promessi Sposi con particolare riguardo alla traduzione, Regensburg, Roderer, 1994.^
21 Elwert, Manzoni (come nt. 19), pp. 31-32.^
22 Cfr. Schwaderer, Exportschlager (come nt. 11), p. 87.^
23 Elwert, Manzoni (come nt. 19), p. 32.^
24 Ivi, p. 31.^
25 A. Manzoni, Dichtungen. Ãœbersetzt von Paul Heyse, Berlin, Hertz, 1889.^
26 K. Hillebrand, Alessandro Manzoni. Ein Nachruf, ripubbl. in Idem, Zeiten, Völker und Menschen. II: Wälsches und Deutsches, ²Straßburg, Trübner, 1892, pp. 55-63. Qualche richiamo a questo testo di Hillebrand si trova già in Elwert, Manzoni (come nt. 19), pp. 27 e 32.^
27 W. Lang, Alessandro Manzoni und die italienische Romantik, in «Preußische Jahrbücher», 33 (1874), pp. 1-27 e 99-120.^
28 Sulla sua collaborazione cfr. E. Portner, Die Einigung Italiens im Urteil liberaler deutscher Zeitgenossen. Studien zur inneren Geschichte des kleindeutschen Liberalismus, Bonn, Rohrscheid, 1959, ad Indicem.^
29 In italiano nel testo originale.^
30 Hillebrand, Manzoni (come nt. 26), pp. 55-56.^
31 Ivi, p. 57.^
32 Ibidem.^
33 Ivi, p. 58.^
34 Ivi, pp. 58-59.^
35 Ivi, p. 59.^
36 Ivi, pp. 59-60.^
37 Lang, Manzoni (come nt. 27), pp. 111-112.^
38 A questo proposito rinvio al saggio di T.W. Elwert, Il Manzoni e la critica tedesca, in «Paideia», 30 (1975), pp. 19-44, e alle note di R. O.J. van Nuffel, La prima tesi tedesca sul Manzoni, in Studi in onore di Giovanni Montagna per il suo 80° compleanno, a cura di D. Gardella-Edmond Hoppe-Franco Musarra-Serge Vanvolsem, Leuven, Leuven University Press, 1985, pp. 143-153.^
39 K. Marquard Sauer, Alessandro Manzoni. Eine Studie, Prag, Ehrlich, 1871; ²Ibidem, 1872; ³Milano, Hoepli, 1873; trad. ital.: Alessandro Manzoni. Saggio critico. Prima traduzione dal tedesco per Giustino Fortunato, Napoli, Detken e Rocholl, 1874.^
40 Ivi, p. 60.^
41 Ibidem.^
42 Ivi, p. 61.^
43 Lang, Manzoni (come nt. 27), pp. 109-110.^
44 O. Bulle, Die italienische Einehitsidee in ihrer litterarischen Entwicklung von Parini bis Manzoni, Berlin, Hüttig, 1893.^
45 Hillebrand, Manzoni (come nt. 26), p. 62.^
46 Ibidem.^
47 Ivi, p. 61.^
48 F. von Sarburg (pseudonimo per: Franz-Xaver Kraus), Alessandro Manzoni, in «Deutsche Rundschau», 10 (1883/84), Band 39 (1884), pp. 208-228; 386-400; rist. in Franz-Xaver Kraus, Essays, II, Berlin, Paetel 1901, pp. 41-99.^
49 Hillebrand, Manzoni (come nt. 26), p. 63.^
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