Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno IX - n. 5 > Interventi > Pag. 425
 
 
Amore, sesso, matrimonio e coppie di fatto nell'Italia moderna. Riflessioni ai margini di qualche libro recente
di Elisa Novi Chavarria
Famiglia, sesso e matrimonio è il titolo che con fedele proprietà fu dato, nel 1983, alla traduzione italiana del libro di Lawrence Stone, The Family, Sex and Marriage in England 1500-1800, apparsa a sei anni dalla sua pubblicazione a Londra. Lo parafrasiamo qui, attualizzandolo con l’inclusione di un tema ‘nuovo’ come quello delle coppie di fatto, per intitolare le brevi note che seguono, sollecitate dalla lettura di qualche recente libro a questi temi dedicato.
È indubbio che dalla pubblicazione di quel libro la storiografia di settore, anche in Italia, ha di molto ampliato lo spettro delle sue problematiche. Stone aveva centrato la sua attenzione sulla fase del mutamento e del passaggio dalla famiglia a lignaggio aperto alla famiglia patriarcale ristretta e/o, a secondo delle epoche e dei contesti, alla famiglia nucleare domestica chiusa, cogliendo tra i primi il carattere storico, e l’andamento assolutamente non lineare, che i rapporti emotivi, gli atteggiamenti verso la sessualità e la sua pratica, o nei confronti dei figli pure hanno. Quella consapevolezza dette luogo a numerose ricerche dirette a valutare il significato più profondo di quei mutamenti, e in specie quanto essi fossero determinati da un’adesione morale e religiosa alle prescrizioni ecclesiastiche su quella materia, o piuttosto da conflitti tra interessi e valori concorrenti, o dal ricorso a pratiche contraccettive con la conseguente diminuzione del numero dei figli nati per ciascuna coppia, o ancora dall’affermarsi dell’individualismo affettivo. Tali ricerche si sono volta a volta intrecciate con gli studi sul disciplinamento della coppia e della famiglia avviato dalla normativa tridentina, che nell’area dei paesi cattolici sancì il definitivo controllo della Chiesa di Roma sulla materia matrimoniale1; con quelli sui sistemi dotali e la demografia del matrimonio o sulla trattatistica e i riti nuziali o, ancora, sulle relazioni all’interno della coppia coniugale e fra le famiglie, sulla loro dimensione affettiva e/o contrattuale2. Prima di Trento il matrimonio era stato un rito di passaggio, la cui durata era determinata dalle esigenze della coppia e delle famiglie. Con la sacramentalizzazione del matrimonio e la sua sacralizzazione, ottenuta con l’introduzione della obbligatorietà della cerimonia davanti al parroco, la Chiesa si assicurò non solo il controllo della sessualità dei giovani, ma anche quello delle loro coscienze, alimentando il mito del libero consenso degli sposi e dell’amore coniugale, premessa di quella dimensione più intima e privata assunta col tempo dalla scelta matrimoniale.
Oggi – come si diceva – il discorso si è allargato. Sulla scia anche dei profondi mutamenti che la famiglia europea ha conosciuto negli ultimi quarant’anni del XX secolo, del cambiamento delle relazioni tra i sessi e le generazioni, degli incredibili tassi di denatalità della popolazione di tutto l’Occidente e dell’impennata del numero di separazioni e divorzi, gli storici hanno preso ad interrogarsi sulla effettiva solidità non solo dei matrimoni odierni, ma anche di quelli di antico regime, finendo col ridimensionare l’immagine tradizionale, consegnataci da molta storiografia, di una famiglia del passato stabile, coesa e armoniosa, unico canale dei legami sia sessuali che affettivi delle coppie. Sono apparsi così, tra i loro orizzonti e in molti studi, gli elementi di flessibilità ed elasticità che hanno per secoli caratterizzato la formazione delle coppie, le forme di trasgressione e i numerosi casi di discontinuità, rotture e ricomposizioni di matrimonio che irruppero nella vita degli individui e tra le carte degli antichi tribunali3. Parallelamente la vita delle coppie di allora, sia quelle di blasonate origini, che quelle di più umili natali, è apparsa assai più affollata di quanto non si credesse di amanti4, cavalier serventi e cicisbei, impegnati in triangoli amorosi dai confini spesso tortuosi e certo assai poco lineari5.
Più di recente un altro mito è stato poi sfatato, ed è quello che considera il celibato e il nubilato – l’esistenza, per intenderci, tra i giovani e meno giovani, di numerosi singles costituenti nuclei familiari autonomi – e delle cosiddette “coppie di fatto”, etero e omosessuali che esse siano, come fenomeni esclusivi dei nostri tempi, o comunque pochissimo diffusi nei secoli precedenti. Ebbene, non è così. Due libri recenti – e con questo entriamo nel vivo delle nostre considerazioni – contribuiscono, ognuno per il suo verso, a dissolvere quelle (apparenti) certezze.
Nella raccolta di saggi intitolata Nubili e celibi tra scelta e costrizione. Secoli XVI-XX (SIDS, Società Italiana di Demografia Storica, Forum 2006, pp. 7-318), le curatrici Margareth Lanzinger e Raffaella Sarti ci ricordano che nell’età medievale e moderna una buona parte della popolazione dell’Europa occidentale non convolava affatto a nozze, e nubili e celibi, in molti contesti, erano decisamente numerosi. I motivi erano molteplici, potevano avere a che fare con i tassi di natalità e mortalità, con le politiche ecclesiastiche e la disponibilità di risorse – l’accesso alla terra o al mestiere per gli uomini, la dote per le donne –; raramente, comunque, restare single era frutto di una libera scelta6.
Un primo aspetto della questione – sottolinea la Sarti nel suo denso contributo – è rappresentato dal fatto che il concetto stesso di nubile/celibe presenta diverse sfaccettature, non di rado dovute a conflittuali concezioni del matrimonio. Nel tardo medioevo, prima che le Chiese (anche quelle protestanti) imponessero il loro controllo sul matrimonio, sposarsi era un processo, non un evento puntuale, un percorso che prevedeva varie tappe: la trattativa tra i futuri coniugi e/o le rispettive famiglie, lo scambio del consenso, il contratto, le nozze vere e proprie, ovverosia i festeggiamenti, che potevano durare anche diversi giorni. Le tappe di tale percorso potevano anche succedersi a notevole distanza di tempo tra loro, per cui non era infrequente il caso di uomini e donne che si trovavano a vivere situazioni intermedie tra la condizione di celibe e nubile e quella di marito e moglie a tutti gli effetti. In Inghilterra, anche dopo l’Atto di Supremazia del 1534, l’introduzione di regole certe, che stabilissero in modo univoco chi era sposato e chi non, continuò ad essere particolarmente lenta7.
Bisogna considerare poi i fattori demografici. Gli studi degli anni Ottanta del Novecento sugli aspetti quantitativi del matrimonio avevano messo in luce un modello ‘europeo’ di comportamento, contraddistinto da nozze tardive, tassi relativamente bassi di nuzialità e aggregati domestici semplici. Le numerose ricerche condotte in Italia dimostrano che, tra XIV e XIX secolo, l’età del matrimonio si alzò ed effettivamente aumentò anche il numero delle persone che non si sposavano. Sennonché proprio la grande varietà di situazioni presenti in Italia – da quella dell’Italia centrale dominata dalla mezzadria, con nuclei familiari complessi e l’età adulta delle donne al matrimonio, a quella del Mezzogiorno d’Italia, dove l’età delle nozze delle ragazze era più bassa e prevaleva di gran lunga la famiglia neolocale e nucleare – si è rivelata irriducibile a qualsiasi sforzo di ricondurre il paese a un modello unico di formazione e tipologia della famiglia8. Ancora una volta sono le dinamiche storiche a dare maggiormente conto, invece, delle analogie e delle differenze tra le differenti situazioni e a determinare, oggi come allora, la gamma delle possibili scelte di vita.
Senza indulgere mai in interpretazioni meccanicistiche, che riconducano le trasformazioni della nuzialità solo ad una risposta pressoché automatica a precedenti trasformazioni economiche, il libro in questione passa in rassegna il ventaglio di tali possibili scelte attraverso l’illustrazione di una serie di casi di studio. Si va da percorsi noti, come quello della collocazione in monastero, spesso secondo logiche parentali, e matrilineari in particolare, delle fanciulle aristocratiche «non destinabili al mercato matrimoniale»9; ad altri meno noti, come la preponderante presenza di converse all’interno dei monasteri femminili, monache, o per meglio dire donne nubili a servizio delle nobili monache coriste, che attraverso la scelta religiosa si lasciavano alle spalle situazioni di instabilità e insicurezza economica, beneficiando almeno in parte di certi comforts della vita monastica – consumi alimentari, rischi sanitari, gravidanze indesiderate, etc. –10; o come il caso dei barbieri chirurghi di Torino tra metà Seicento e i primi decenni del Settecento. Tra loro, anche tra quanti ricoprirono importanti posizioni professionali e furono a capo di una bottega indipendente, troviamo numerosi casi di celibi, magari conviventi con altre donne di famiglia, madri o sorelle, che potevano supplire ai lavori di casa11.
Lungi dall’essere un rito di passaggio obbligato, il matrimonio rimase evidentemente, per tutta l’età moderna, per molti uomini e molte donne, una mera opzione. E se oggi a determinare, o a ritardare tale scelta, possono incidere fattori come la disponibilità o meno di una casa e la prospettiva di avere o non avere un lavoro stabile, allora erano altri gli elementi che influenzavano le opzioni degli individui: la morte precoce dei genitori, ad esempio, o il numero dei figli e delle figlie da sposare. Insomma – sembra vogliano concludere gli Autori del volume – abituiamoci a pensare che siano state le stagioni del baby boom dei primi anni Sessanta del Novecento, preceduto da un vero e proprio marriage boom, legato alla ripresa del dopoguerra e al “miracolo economico”, le vere eccezioni nella storia del matrimonio europeo, e non il contrario, e che quel tipo di famiglia dalla struttura coesa e relativamente stabile, sul piano affettivo e sessuale, sia solo una delle possibili alternative, e non un ‘modello’.
In un’ottica di lungo periodo, la stabilità appare, infatti, senz’altro un’eccezione. Molte sono state le capacità di adattamento della famiglia nel corso dei secoli e molti i modi di fare famiglia, ma la famiglia tradizionale non sembra affatto rappresentare un modello da contrapporre alla precarietà delle unioni di oggi12. Le differenze piuttosto sono altre. Una di esse è data dallo sviluppo dei contraccettivi e dal diverso modo di considerare e vivere le relazioni sessuali, che ha fatto sì ché il matrimonio abbia perso quella funzione di accesso alla sessualità che ha avuto, soprattutto per le donne, nel passato. Oggi nubili e celibi possono vivere e procreare – afferma la Sarti – senza che questo dia adito a scandalo e anche una donna sola può avere figli, senza incorrere in una stigmatizzazione sociale generalizzata13.
Anche questa affermazione ha, però, le sue eccezioni.
Nel libro Amori proibiti. I concubini tra Chiesa e Inquisizione, Giovanni Romeo ci restituisce, infatti, l’immagine di una Napoli tardo cinquecentesca caratterizzata da una diffusa libertà nei comportamenti sessuali e già straordinariamente affollata di conviventi, concubini e “coppie di fatto”. Si tratta – come è noto – di comportamenti che a quella data erano già divenuti oggetto degli espliciti divieti della normativa conciliare. Pure – nota Romeo – almeno fino a tutta la fine del XVI secolo, la Chiesa sembrò restia a far sentire il peso di quei divieti. O se non altro sono pochi i casi documentati che paiano andare in quella direzione. Ma vi furono. Alcuni coinvolsero addirittura esponenti di spicco delle gerarchie ecclesiastiche, implicati in una serie di reati a sfondo sessuale dai risvolti audaci, oltre che ‘piccanti’. Tra il 1593 e il 1594, furono tutti condannati dal tribunale vescovile della città, ma a pene non particolarmente gravi14.
Per quale motivo? Forse che la giustizia ecclesiastica disponesse all’epoca di armi spuntite o comunque poco affilate? O vi erano per caso problemi di interferenze con la coeva giustizia dei tribunali vicereali competenti nei casi di foro misto? Tutt’altro – sostiene l’Autore –. Per tutto il tardo Cinquecento la curia arcivescovile di Napoli preferì, fatto salve poche eccezioni, tenere le coppie di fatto al riparo da qualsiasi iniziativa giudiziaria. «Perché abbia optato per quella soluzione – egli dice – [però, aggiungiamo noi] non è chiaro»15.
Sul filo di un racconto assai vivace, non privo di efficacia narrativa, grazie anche all’uso della suspense e di un’abbondante aneddotica dai vaghi retroscena erotici, tratta dallo spoglio delle fonti giudiziarie16, si arriva così al 1613, l’anno indicato da Romeo come l’anno della “svolta”, quando cioè citazioni, denunce, scomuniche e punizioni infamanti cominciarono a piovere a raffica sul capo di concubini e coppie non sposate, diventando pratiche quotidiane del tribunale arcivescovile. Fu una crescita costante che consentì di raggiungere, alla fine dell’anno, la ragguardevole cifra di 193 procedimenti istruiti contro concubinari. L’anno dopo se ne aggiunsero altri 150. Da allora, in circa 150 anni, la Curia arcivescovile di Napoli intimò la separazione ad almeno 7000 coppie accusate di concubinato, con conseguenze di enorme rilievo anche sul fronte della delazione e, quindi, del deterioramento morale delle coscienze degli individui17.
Sono dati indubbiamente consistenti e, tuttavia, a nostro avviso, non sufficientemente chiari, né il modo attraente di raccontare, che qui si può riconoscere, riscatta dall’obbligo di formulare ricostruzioni e interpretazioni assise su solidi, ma anche persuasivi fondamenti critici. L’Autore del libro che stiamo discutendo risulta, infatti, assai meno convincente quando passa ad argomentare le ragioni dell’avvio da parte della Curia di quella che egli stesso definisce una vera e propria “caccia ai concubini”. E diciamo questo non per una qualche precipitazione polemica, anche se Romeo non è nuovo a note e noticine decisamente dure nei confronti di questo o quello studioso, a volte apertamente ostili18, e anche se qui Romeo se la prende con il mio lavoro su suor Giulia De Marco19, gratificato degli epiteti, decisamente poco lusinghieri, di «ben poco convincente, debole e privo di adeguati supporti documentari»20. Non è questo, infatti, il punto.
Riassumiamo intanto il suo nuovo libro, che ci lascia, francamente, a dir poco, perplessi. Osserviamo, in primo luogo, come nelle ultime pagine del libro Romeo stesso dichiari che se il bilancio delle attività giudiziarie tese a colpire le coppie non sposate non lascia dubbi di sorta sull’asprezza degli interventi e il loro parziale successo, più generici restano i perché di un’azione così dura e insistente da parte delle autorità ecclesiastiche e soprattutto del progressivo montare di un diffuso clima di intolleranza sociale e religiosa verso comportamenti fino ad allora piuttosto diffusi21. L’aspetto più efficace dell’impegno della Chiesa sul fronte del concubinato non si coglie – egli dice – sul piano dell’azione pastorale22. Dopo aver tacciato di pressappochismo e tradizionalismo le “troppe” generazioni di studiosi che hanno identificato lo studio della Controriforma con l’analisi delle visite pastorali o dell’impegno di parroci, confessori e predicatori23, Romeo poi, però, non esita, e in più punti24, a chiamare in causa il ruolo che confessori e predicatori ebbero nel promuovere quel diffuso clima di intolleranza, con le loro reiterate e spettacolari tirate contro la lussuria e i peccati della carne, regolando abusi e contraddizioni attraverso il controllo della morale e delle mentalità nel segreto del confessionale e dall’alto dei pulpiti. Più di questo, però, non dice e il suo studio non si apre a dissodare anche quest’altro terreno, per così dire, “intermedio” tra la storia delle istituzioni e la storia delle mentalità, tra la sfera delle norme e quella dei comportamenti.
In secondo luogo, e da un punto di vista forse, ancora più incisivo, ci sembra di poter dedurre, dai dati che egli stesso produce, che l’escalation dei procedimenti giudiziari istruiti contro concubini e coppie di fatto abbia coinciso di fatto, nei tempi e nei modi, con l’impennata dei processi aperti dal Sant’Ufficio napoletano per reati imputabili a bestemmie e pratiche magico-superstiziose. Si vedano al riguardo i dati elaborati da Mario Del Treppo sulla base dell’inventario di quel fondo archivistico, opera dello stesso Romeo. Tra il 1601 e il 1620 i reati perseguiti dall’Inquisizione napoletana per bestemmia crebbero dall’1,89% al 2,41%; quelli imputati a casi di magia passarono dal 23,23 al 45,69%, mentre contemporaneamente diminuirono i procedimenti per eresia25. Che dire allora? Una semplice coincidenza? O piuttosto – cosa che, però, Romeo non dice – bisognerebbe tornare a sottolineare come, una volta messi a tacere i “ferventi spiriti” eterodossi, vi sia stato un complessivo convergere delle politiche ecclesiastiche verso i più moderati orizzonti della repressione di reati minori, le “cose piccole” rappresentate dai comportamenti sessuali e la mentalità popolare? Il monopolio che la Chiesa impose nella caccia ai conviventi, come su altri aspetti della morale individuale e collettiva, è indubbio. Passò, però, soltanto – ci chiediamo – attraverso le maglie dell’azione repressiva e inquisitoriale della Chiesa, come appare a Romeo che ha trascorso una vita tra quelle carte? O fu frutto anche dell’azione propositiva di valori e modelli trasmessi da predicatori, direttori spirituali e missionari nel corso di un impegno pastorale plurisecolare che forgiò le coscienze cattoliche moderne26?
Ultimo, ma non da ultimo, ci sembra che l’Autore non sia immune dal rischio, tante volte paventato da Mario Sbriccoli, di dimenticare che le fonti giudiziarie costituiscono la trascrizione verbale di un atto giudiziario da decifrare secondo le sue modalità, che esse sono delle rappresentazioni (segnate dalla mentalità e dalla cultura dei loro autori materiali), non delle descrizioni neutre e che, di conseguenza, dicono molto di più sul rapporto tra i loro autori e il contesto, che non sui fatti e gli attori dei fatti che rappresentano27. Tanto più si può paventare tale rischio nel caso dei processi inquisitoriali, che – come ha sottolineato anche Prosperi – non sono una fotografia della realtà indagata, ma «il regesto di un rapporto tra forze ineguali, di un gioco di forza e d’astuzia tra chi accusa e chi è accusato»28. Romeo, a nostro avviso, non è immune dal rischio, per così dire, derivante dall’attribuire un valore “fotografico” alle fonti di cui si serve proprio, ad esempio, quando tratta il caso della De Marco. A tale riguardo, banalizzando il misticismo di quella che fu la madre spirituale di molti vescovi e uomini di Chiesa, egli si attesta, infatti, in pratica, sulla valutazione espressa dai giudici del Sant’Uffizio, che la condannarono al carcere a vita. Nell’infamante abiura che le fecero sottoscrivere, ella denunciò la promiscuità e le “eresie” sessuali di cui si sarebbe resa colpevole insieme ai suoi seguaci, che era poi l’accusa di norma individuata anche per molti altri protagonisti di vicende ereticali29. Ma dobbiamo per questo ritenere del tutto oggettiva quella sua dichiarazione? E a chi dare credito? Ai giudici del Sant’Uffizio, o (anche) ai circa suoi cinquecento “figlioli spirituali”30, che con lei ritennero di poter condividere il dono dell’unione mistica con Dio? Romeo non è immune, poi, dal rischio che abbiamo di sopra indicato neppure quando allinea tra le “suggestioni ereticali” le trasgressioni boccaccesche di qualche povero malcapitato dalle fantasie sessuali troppo ardite31.
Insomma, la maniera disinvolta e colorita con cui egli si destreggia tra una gran mole di documenti inediti si appanna poi di fronte all’assunto preliminare, che fa da impianto all’intero libro, che è quello di volere a tutti i costi valorizzare le fonti giudiziarie utilizzate, dimostrandone l’assoluta centralità nello studio sull’azione della Chiesa. Sennonché quell’assunto, elaborato, in sostanza, tutto intorno alla ipotesi di una stretta corrispondenza tra l’azione repressiva ‘forte’ dei giudici e il ruolo pastorale ‘debole’ di parroci e predicatori, propone una visione riduttiva, funzionalista e troppo rigida nella delineazione di nessi e rapporti, che in realtà furono molto più complessi. Quel che ne risulta, in definitiva, a nostro avviso, è una sottovalutazione della pressione ambientale e psicologica che al problema del “controllo delle coscienze” e delle “coppie di fatto” veniva da un contesto sociale e culturale fortemente orientato dall’azione pastorale della Chiesa verso il senso di colpevolizzazione in materia di peccato e verso la correlativa interiorizzazione. Per certi versi quella pressione ambientale, con quanto ne derivò in termini di diffusione di pratiche delatorie e di quant’altro vi si può connettere, costituì, anzi, un esito ancora più grave del modello repressivo, pure, allo stesso tempo, indubbiamente imperante.
In fondo – a noi pare – l’Italia è pur sempre il paese nel quale, negli anni Settanta del secolo appena scorso, un cantautore come Fabrizio De André poteva scrivere e cantare un brano come Bocca di rosa. La storia, cioè, come si sa, della bella e giovane prostituta costretta a lasciare il luogo, dove da poco aveva cominciato a sbarcare il lunario “vendendo l’amore”. Ma ad incalzarla non erano le pressioni di vescovi zelanti o di sommi inquisitori, ma una ragione sociale di mentalità e di comportamenti. Si sentiva, infatti, schiacciata dalle maldicenze e dall’asprezza delle vicine, mogli frustrate e oltraggiate dai suoi ‘licenziosi’ comportamenti. È proprio mal pensato ritenere riflessa in un tale modo di porre sul piano dell’immaginario poetico-musicale “popolare” del nostro tempo l’azione conformatrice di consimili mentalità e comportamenti esercitata per secoli dalla Chiesa, precisamente attraverso la sua azione pastorale e pedagogica, molto più che per la via della repressione giudiziaria ecclesiastica del concubinato e dei liberi amori?





NOTE
1 Si veda G. Zarri, Il matrimonio tridentino, in Il concilio di Trento e il moderno, a cura di P. Prodi, W. Reinhard, Bologna, il Mulino, 1996, pp. 437-483, ora in Recinti. Donne, clausura e matrimonio nella prima età moderna, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 203-250.^
2 Per uno sguardo d’insieme sulle diverse problematiche cui il tema rinvia cfr. Storia del matrimonio, a cura di M. De Giorgio, C. Klapisch–Zuber, Roma-Bari, Laterza, 1996 e, soprattutto, D. Lombardi, Matrimoni di antico regime, Bologna, il Mulino, 2001.^
3 A questo sono dedicate le miscellanee di studi raccolti e a cura di S. Seidel, D. Quaglioni, Coniugi nemici. La separazione in Italia dal XII al XVIII secolo; Matrimoni in dubbio. Unioni controverse e nozze clandestine in Italia dal XIV al XVIII secolo; Trasgressioni. Seduzione, concubinato, adulterio, bigamia (XIV-XVIII secolo); I tribunali del matrimonio (secoli XV-XVIII), pubblicate tutte da il Mulino, Bologna, rispettivamente nel 2000, 2001, 2004, 2006.^
4 Cfr. B. Craveri, Amanti e regine. Il potere delle donne, Milano, Adelphi, 2005.^
5 Per questo si veda R. Bizzocchi, Cicisbei. Morale privata e identità nazionale in Italia, Roma-Bari, Editori Laterza, 2008 e quanto chi scrive discute nel numero di luglio di questa rivista.^
6 Nubili e celibi tra scelta e costrizione (secoli XVI-XIX), a cura di M. Lanzinger, R. Sarti, SIDeS, Società Italiana di Demografia Storica, Udine, Forum, 2006.^
7 R. Sarti, Nubili e celibi tra scelta e costrizione. I percorsi di Clio (Europa occidentale, secoli XVI-XX), ivi, pp. 145-318: 152.^
8 M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, il Mulino, 1984.^
9 F. Medioli, Reti famigliari. La matrilinearità nei monasteri femminili fiorentini del Seicento: il caso di Santa Verdiana, in Nubili e celibi tra scelta e costrizione (secoli XVI-XIX), a cura di M. Lanzinger, R. Sarti, cit., pp. 11-36. Ma su questo mi si consenta di rinviare anche al mio Monache e gentildonne. Un labile confine. Poteri politici e identità religiose nei monasteri napoletani. Secoli XVI-XVII, Franco Angeli, Milano 2001 e a La città e il monastero. Comunità femminili cittadine nel Mezzogiorno moderno, Atti del Convegno di Studi (Campobasso, 11-12 novembre 2003), a cura della medesima Autrice, Esi, Napoli 2005.^
10 S. Evangelisti, Ricche e povere. Classi di religiose nelle comunità monastiche femminili tra Cinque e Seicento, in Nubili e celibi tra scelta e costrizione (secoli XVI-XIX), a cura di M. Lanzinger, R. Sarti, cit., pp. 37-48.^
11 S. Cavallo, Matrimonio e mascolinità. Uomini non sposati nel mondo artigiano del Sei e Settecento, in Nubili e celibi tra scelta e costrizione (secoli XVI-XIX), a cura di M. Lanzinger, R. Sarti, cit., pp. 93-112.^
12 In tal senso si vedano anche le considerazioni svolte da D. Lombardi nella sua Introduzione al volume Storia del matrimonio. Dal Medioevo a oggi, Bologna, il Mulino, 2008, pp. 7-20.^
13 R. Sarti, Nubili e celibi tra scelta e costrizione. I percorsi di Clio (Europa occidentale, secoli XVI-XX), in Nubili e celibi tra scelta e costrizione (secoli XVI-XIX), a cura di M. Lanzinger, R. Sarti, cit., p. 168.^
14 G. Romeo, Amori proibiti. I concubini tra Chiesa e Inquisizione. Napoli 1563-1656, Roma-Bari, Editori Laterza, 2008, p. 110.^
15 Ivi, p. 77.^
16 Se ne vedano degli esempi alle pp. 108 e sgg. del libro.^
17 Ivi, , pp. 125 ss.^
18 Memorabile – almeno per noi – quella con cui qualificò come “poco affidabile” il volume L’Archivio storico diocesano di Napoli. Guida, a cura di G. Galasso e C. Russo, Napoli 1978, che praticamente ci consegnava le chiavi di quell’archivio altrimenti inconsultabile, oltre a fornirne la prima storia attendibile. Cfr. G. Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controriforma, Firenze, Sansoni, 1990, p. 177, nt. 17.^
19 E. Novi Chavarria, Un’eretica alla corte del Conte di Lemos. Il caso di suor Giulia de Marco, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», 116 (1998), pp. 77-118, ora in Monache e gentildonne. Un labile confine. Poteri politici e identità religiose nei monasteri napoletani. Secoli XVI-XVII, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 161-201.^
20 G. Romeo, Amori proibiti, cit., p. 185, nt. 3.^
21 Ivi, p. 213.^
22 Ivi, p. 159.^
23 Ivi, p. 17.^
24 Si vedano, ad esempio, le considerazioni svolte alle pp. 55, 61, 82, 212 del libro.^
25 Cfr. M. Del Treppo, Il Sant’Ufficio dell’Inquisizione a Napoli, in «Napoli nobilissima», 5ª serie, 7 (2006), nn. 3/4, pp. 152-158: 156 e G. Romeo, Il fondo del Sant’Ufficio dell’Archivio Diocesano di Napoli. Inventario (1549-1647), volume monografico di «Campania sacra», 34 (2003) nn.1/2.^
26 Ho sviluppato queste considerazione nel saggio Controllo delle coscienze e organizzazione ecclesiastica nel contesto sociale, di prossima pubblicazione negli Atti del Convegno Identidades Mediterraneas: España e Italia en perspectiva comparativa. Siglos XVI-XVIII (Cagliari, 5-6 ottobre 2007), per i tipi di Viella.^
27 Si vedano ora i contributi raccolti in Penale Giustizia Potere. Metodi, Ricerche, Storiografie. Per ricordare Mario Sbriccoli, a cura di L. Lacchè, C. Latini, P. Marchetti, M. Maccarelli, Macerata, EUM, 2007.^
28 A. Prosperi, L’eresia del Libro Grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 266.^
29 Si ripeté, ad esempio, in molti processi per vicende legate al quietismo, su cui si vedano le considerazioni di G. Zarri nella Introduzione a I monasteri femminili come centri di cultura fra Rinascimento e Barocco, Atti del Convegno internazionale (Bologna, 8-10 dicembre 2000), a cura di G. Zarri, G. Pomata, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005, p. XXXIII.^
30 Nomi e vicende di quel cenacolo sono stati analizzati nel mio Un’eretica alla corte del Conte di Lemos, cit.^
31 G. Romeo, Amori proibiti, cit., p. 212.^
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft