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Croce “lettore” di Shaftesbury
di Franco Crispini
Anthony Ashley Cooper, terzo Conte di Shaftesbury, nato nel 1671, è una figura di rilievo della cultura inglese tra ‘600 e ‘700. La sua principale opera che raccoglie quasi tutta la produzione saggistica, - Characteristicks of Men, Manners, Opinions, Times -, è pubblicata a Londra il 1711, e, dopo la II edizione corretta, che esce a Londra nel 1714 (1715) in tre volumi, curata da T. Miclethwayte, si hanno in diversi anni del settecento tante edizioni, fino alla ristampa in due volumi, curata da J.M. Robertson, a Londra nel 1900. Al Rand si deve la pubblicazione,nel 1900, di The life, Unpulished Letters, and Philosofical regimen of Anthony, Earl of Shaftesbury, e, nel 1914, della Second Characters or the Language of Forms by the Right Honourable Anthony, Earl of Shaftesbury1.
Negli anni Venti del ‘900 , Croce, in un “Discorso” tenuto alla “Modern Humanities Research Association”, in qualità di Presidente della stessa (per l’anno 1923-24)2, notava come gli scritti dello Shaftesbury, poco conosciuti, non sempre erano «tenuti nel debito conto, e talora assai sgarbatamente giudicati, dagli stessi connazionali dell’autore» (in proposito viene citato J.M. Robertson)3; mentre, per ritrovarsi in Kant e nella filosofia classica tedesca segni del pensiero di Sfaftesbury, in Germania egli è stato «investigato e studiato assai più che nella sua patria» al punto che «intorno a lui è sorta una cospicua letteratura di monografie e dissertazioni»4. Anche in Francia, a partire da Diderot, vi fu molto interesse per il pensiero morale dell’autore inglese, ma questo è un dato che non pare interessi molto a Croce.
Questo discorso del filosofo napoletano viene ripubblicato nella «Critica» dove in appendice sono riportate alcune lettere inedite dello Shaftesbury, adoperate nel testo5. Si deve subito notare come ciò che ha attirato l’interesse del Croce verso il filosofo e la scrittore inglese, fino al punto da parlare di questi agli ascoltatori inglesi più che delle tante questioni che ha indagato nei suoi libri, sia stato il fatto che Shaftesbury in Italia, «e proprio nella mia Napoli, passò gli ultimi suoi anni, in istudi e meditazioni conformi, come egli diceva, “to the genius of the country”, e presso di noi chiuse la sua nobilissima vita». Rileva ancora il Croce, a rafforzare le ragioni di questo suo avvicinamento attraverso la ricostruzione del soggiorno napoletano dello Shaftesbury:
Ancora sulla fine del settecento i letterati napoletani, che leggevano, come quelli di ogni parte di Europa, i tre volumi delle Characteristicks, rammentavano che il filosofo lord Shaftesbury era morto in Napoli e additavano la casa dov’egli aveva abitato, il palazzo Mirelli: un palazzo che esiste tuttora, sebbene abbia perso l’antico splendore, alla riviera di Chiaia, all’angolo del vicolo che porta il nome di “Arco Mirelli”6.

E proprio qui la mattina del 15 febbraio 1712 morì Shaftesbury le cui viscere vengono «seppellite nel giardino della casa di Chiaia».
La scrupolosa e minuziosa ricostruzione crociana utilizza,otre che una conoscenza diretta della principale opera shaftesburiana, un vasto materiale costituito dalle lettere e frammenti inediti pubblicati dal Rand che permettono di illustrare al meglio il soggiorno napoletano dell’autorevole personaggio, ma vi si devono aggiungere altre lettere e scritti ancora inediti conservati nel Record Office tra gli Shaftesbury Papers consultati dal Croce in un suo recente e rapido passaggio per Londra.Come si vede, Croce volle disporre di un numero sufficiente di dati che gli permettessero di capire innanzitutto il perché sulla fine del 1711 Shaftesbury decise di venire a dimorare in Napoli, quale ambiente vi trovò e quali furono le sue frequentazioni, quali interessi intellettuali coltivò nei due anni circa in cui si trattenne nella città. Mano a mano che trova risposta a questa curiosità, soprattutto attraverso la corrispondenza con amici e conoscenti, si aprono altri interessanti scenari quali quelli della vita intellettuale ed artistica a Napoli : la incubazione del pensiero di Vico, il circolo di Giuseppe Valletta, tra i cui amici «frequentatori dello Shaftesbury», era Paolo Mattia Doria, «gran cavaliere e filosofo» come lo dice il Vico, un ambiente dove attecchisce il “virtuosismo” artistico. Non sono semplici elementi di contorno quelli richiamati con rapidi ed efficaci tocchi dal Croce, bensì restituiscono l’immagine di un ambiente prescelto dal filosofo inglese come transitoria dimora favorevole alla sua malferma salute ed anche perché in esso non mancavano punti di riferimento intellettuale cui appoggiarsi. Risulta perciò di grande interesse storiografico il contesto sul cui sfondo si riesce a cogliere l’intero progetto filosofico di Shaftesbury: i molti fili che lo riconducono alle esperienze intellettuali che si fanno a Napoli, a rappresentanti politici come il vicerè Borromeo, ma anche ad uomini «che in Napoli rappresentavano la scienza e gli studi, con Giuseppe Valletta e col suo circolo: con Valletta che ha nella sua casa una “sceltissima biblioteca”» e che «da oltre mezzo secolo dominava e dirigeva la cultura napoletana» e la rappresentava verso i dotti forestieri che lo visitavano quando capitavano a Napoli e parlavano di lui, Montfaucon, Burnert, Rogissart, Mabillon, nei loro libri eruditi e nelle loro dissertazioni. Il grande merito di Valletta fu «di aver messo Napoli in rapporto e scambio con la più progredita cultura europea, iniziando il risorgimento di essa intellettuale, civile e politico» e di avere segnatamente rivolto lo sguardo ala Inghilterra, coltivando corrispondenza e le società scientifiche inglesi7. Venuto a Napoli, Shafyesbury prese a frequentare Valletta nella cui casa si erano formati innumerevoli letterati e ricevette di tanto in tanto anche sue visite e di lui scriveva al Furly che il «famoso don Ioseppe Valletta» era tra i «pochi uomini d’arte e di scienza, dei virtuosi di questi luoghi». Nello scriverne al cugino Micklethwaith, e Croce non manca di sottolineare tutta questa vivace trama di rapporti, Shaftyesbury tiene ad avallare la fama del Valletta, la sua «cura e cultura […] di tutto ciò che può essere chiamato scienza», sollecitando la corrispondenza del Valletta e dei suoi amici con i dotti inglesi, Burnet, Collins, Newton, e chiedendo di far sì che comunichino con i suoi «amici "virtuosi" di qui». Croce segue minutamente l’epistolario shaftesburiano relativo in particolare all’anno 1712, da cui può ricavare tante annotazioni preziose per stabilire quale giudizio complessivo viene dato su di un ambiente intellettuale ed anche quali esigenze si presentano per un migliore adattamento. E come stiamo vedendo ne emerge una valutazione positiva di tutto quanto a Napoli poteva agevolare la permanenza del filosofo inglese. Viene osservato però che, sebbene nel circolo del Valletta circolasse il meglio di ciò che si scriveva in Europa, ed era anche possibile che vi si conoscesse già la prima edizione delle Characteristicks del 1711, come anche i giudizi che questa aveva ricevuti dai saggi nei giornali letterari d’Europa, tuttavia lo Shaftesbury «a Napoli non volgeva la mente né alla politica né, propriamente, alla filosofia. Per la prima [...] Napoli era al solito un luogo di oblio» ed ivi, scriveva il filosofo inglese, «la piccola conversazione che io ho, e le sole notizie che girano di affari pubblici, concernono le pompe e le cerimonie del paese o gli studi dei virtuosi. La politica non è di questa sfera […] mi sembra di essere divenuto temperato e freddo in fatto di politica»8.
Quanto alla filosofia ed agli studi severi, un forte e serio impedimento era dato dalla malferma salute e se pure in quel tempo «viveva e meditava a Napoli Giambattista Vico, e qui era nato quel Giordano Bruno, la cui concezione del mondo aveva tanta affinità con la sua»9, Shaftesbury sembrava non saperlo o non ricordarsene, era preso da altro, forse si sentiva dentro un’altra fase della sua riflessione, se non del suo resto di vita.
A questo punto, va detto però che quello compiuto dal Croce più che un approccio mosso dalla «vaghezza di risvegliare antiche memorie, e inglesi e napoletane», è una vera lettura critica che intende rivendicare agli scritti dello Shaftesbury un intrinseco valore speculativo, e vedremo da qui a poco in che esso è poi fatto consistere e quanta e quale rispondenza trovi in quello che in anni recenti verrà riconosciuto come lo specifico significato di quell’opera.
Veniamo ora ai più significativi risultati critici cui arriva la lettura del Croce che non trascura certo tutto quello che Shaftesbury porta con sé a Napoli, ossia un pensiero filosofico che sia pure a grosse linee viene fissato nelle sue ispirazioni fondamentali. A Napoli non si aggiunge niente di nuovo ad una filosofia già tutta compiuta, questo sembra voglia dire il Croce : nessun cortocircuito si produce tra essa e quel che si era pensato e si pensava, in tutti quegli anni, nel travaglio speculativo napoletano dal quale stava per venir fuori un prodotto originale quale la Scienza Nuova del Vico. Ma Croce sa capire lo stesso quel che di importante fino a quel punto aveva saputo esprimere il pensatore inglese che era riuscito a definire i contorni e le peculiarità di una figura di “uomo morale”, in cui è forse una delle elaborazioni più incisive e durature della sua filosofia. Croce va diritto a rivendicare allo scrittore inglese un ruolo vitale nel suo tempo: aver servito «da arma potente contro la religione rivelata e a fondare il nuovo umanesimo» facendo «opposizione alle soverchianti dottrine utilitarie della morale e dello Stato, e a ogni forma di utilitarismo mondano e teologico», stabilendo «saldamente l’originalità e spontaneità del sentimento morale», delineando «l’ideale dell’uomo di delicata coscienza e di alto cuore,del “virtuoso”», dando, con giusti concetti, «l’avviamento a ciò che nella filosofia classica tedesca divenne l’autonomia della morale e l’ideale della schone Seele, dell’anima bella». Ma Croce non rivendica a Shaftesbury il solo «ufficio storico» di aver contribuito alla formazione dello «idealismo etico moderno» e che qui si trasferissero i suoi concetti presentandosi «da psicologici e immediati che erano, in forma speculativa nella filosofia di Kant e degli altri che gli tennero dietro»10. Quel che non sfugge alla ricostruzione crociana è ancora altro: c’è in Shaftesbury
come in genere nella filosofia inglese del settecento, qualcosa che , a mio parere, appartiene ancora al presente o all’avvenire; qualcosa che non operò presso i grandi idealisti tedeschi, tutti dal più al meno avvinti e premuti da tradizioni scolastiche e accademiche, e che aspetta di operare ai giorni nostri: quel suo vivissimo senso che la vera filosofia debba volgersi unicamente a far conoscere noi a noi stessi e a perfezionare il nostro intelletto e il nostro giudizio e ad affinare la nostra vita interiore e morale; quella sua indifferenza e aborrimento per le insolubili questiono metafisiche che riempivano la filosofia delle scuole11.

E dunque il filosofo napoletano in questo suo resoconto delle idee di Shaftesbury non resta alla superficie ma bada a dare rilievo sia ai problemi che fanno nascere la risposta filosofica di Shaftesbury nella sua epoca e danno vita ad una etica, una dottrina dell’autonomia della morale e dell’agire virtuoso, sia una idea di filosofia che la tiene rivolta non già ad astratte ed irresolubili questioni, bensì ad un vero esercizio di formazione dell’uomo libero. Certo, Croce non compie uno scavo in profondità per far venire fuori dai saggi raccolti in Caracteristicks, - su virtù e merito, entusiasmo, senso comune, soliloquio, ed altro -, un pacato ragionare che con tutti suoi passaggi ed analisi porta verso una nitida immagine dell’esperienza morale. Non era questo l’intento crociano, non voleva essere quello di discutere i modi in cui erano stati raggiunti certi risultati speculativi, per quali lati essi avevano trovato chi li riprendesse, sviluppasse o confutasse, quale coerenza interna avessero o quale ne fosse stato il posto ed il peso nella cultura filosofica inglese tra Locke e Hume. Nulla di tutto questo, bastando, per potere inquadrare meglio lo Shaftesbury “napoletano”, un richiamo a pochi ma sufficienti elementi di una filosofia che ebbe un significativo riconoscimento in Germania a partire da Kant, e questo non era poco per Croce. Il personaggio che giungeva a Napoli, usciti già le Characteristicks(1711), aveva alle spalle tutto un percorso di impegno intellettuale il cui senso profondo, portato alla luce attraverso coordinate generali ma non per questo scarsamente indicative, serviva a spiegare l’attività, solo apparentemente aliena da intenti filosofici, cui attese Shaftesbury nel soggiorno napoletano. A Napoli il filosofo inglese non trascorse giornate vuote ed inattive perché anzi cercò «materia in cui occuparsi, quella che gli si offriva più agevole» e questa più agevolmente gli veniva offerta da un paese che coltivava l’arte, «l’arte figurativa: pitture, sculture,medaglie, incisioni». Di tutto questo prese ad occuparsi Shaftesbury al quale l’Italia, come a tutti gli altri stranieri, «si presentava allora sotto questo aspetto: come il paese dell’arte, del “virtuosismo”». Da qui Croce fa partire, ed in ciò la parte più preziosa del contributo, il momento in cui il «povero infermo» nell’aria salubre di Napoli, scrive «come la sua “Estetica”, da far seguito alla “Filosofia morale”» esposta nella prima opera, Caracteristicks, cui aggiungere una Second Characters( cioè, come a dire,«seconde parti nel dramma») or the Language of Forms in four treatises: e queste «indagini e meditazioni, con le quali vi si preparava, nacquero nella terra d’Italia, nel paese dei 'virtuosi'». Anche gli appunti sul "bello" inseriti nel Philosophical Regimen12, una specie di zibaldone, furono concepiti dallo Shaftesbury a Napoli nel 1712, secondo Croce 13. Una “distinzione” importante questa posta dall’acuto lettore ( filosofo appunto dei “distinti”), tra la fase di costruzione, con le prime Characteristicks, di una “filosofia morale” e quella, tutta riconducibile al periodo napoletano di cui appunto vengono dati i lineamenti di una riflessione filosofica per nulla sporadica e distratta, di una “estetica” che dunque non coinciderebbe, risolvendovisi,con la prima , e dunque non una “estetica vaporosa”, ma che sa trarre il proprio alimento da una “critica d’arte” che maturata proprio nella permanenza napoletana e nei momenti finali di una esistenza, qui ha trovato i suoi punti di appoggio necessari. Per arrivare ad una simile ipotesi molto originale che fa sorgere l’estetica shaftesburiana non dalle stesse fonti concettuali da cui origina l’etica, di cui il documento primario sono le “prime” Characteristicks, la lettura crociana, pur volendo accentuare la resa creativa particolare che Shaftesbury fa a contatto con pitture, sculture, medaglie, incisioni, disegni, ornati, non nega certo la «sollecitudine morale» da cui era mosso Shaftesbury, «conforme alle meditazioni da lui esposte nel Soliloquio o avviso a un Autore e forse da una intenzione pratica e politica» se quegli interessi pittorici potevano servire, come scrive in una sua lettera cui opportunamente richiama il Croce, «a un principe,specie se giovane, che deve governare un gran popolo», per cui in primo piano balza la passione del filosofo dedicato ad un lavoro etico-artistico14.
Come Croce ricorda, il filosofo inglese tra il 1686 e il 1689 aveva viaggiato in Italia dove erano famosi due pittori Carlo Maratti e Luca Giordano, e si era potuto rendere conto di quanto vi avessero importanza le arti, nel riposo (se ne sta spesso a letto) che si concede a Napoli, può conversare ed intrattenersi «intorno a virtuosi e a pitture», a divertirsi «interamente col virtuosismo», tutto preso da «anticaglie, medaglie, e sopra tutto da disegni e pitture che», così ne scrive, «ogni giorno mi si portano a vedere, sicchè la mia conoscenza di queste materie comincia ad allargarsi e le mie scoperte si fanno più fortunate. I miei propri disegni,come sapete , si aggirano tutti su ambienti morali e su ciò che si riferisce alla storia antica greca e romana, alla filosofia e alla virtù. Di queste cose i pittori moderni hanno poco gusto»15. Confinato in casa ed infermo, Shaftesbury si era affidato ad un grande e famoso maestro di pittura, «il migliore di Italia», Paolo de Matteis, senza il quale non avrebbe potuto fare alcuna «considerevole figura tra i virtuosi»; al pittore romano, successore di Luca Giordano in Napoli,uomo di varia cultura, erudito nelle favole e nelle storie, il filosofo commissiona un quadro di storia ai cui schizzi e disegni il famoso maestro lavora nella stessa camera dove sta Shaftesbury. A meglio mostrare la fecondità del rapporto intellettuale con lo Shaftesbury, Croce non tralascia di tracciare anche un breve profilo di questo singolare personaggio che è Paolo de Matteis che per conto del filosofo inglese e sotto la sua direzione dipinge il quadro richiesto. La pittura commissionata è il Giudizio di Ercole o Ercole al bivio ed è eseguita sotto la direzione dello stesso Shaftesbury: è la favola di Prodico di Ceo «per la quale il filosofo inglese» fornisce al pittore
in una speciale memoria stesa in francese, la più accurata analisi psicologica del soggetto, la determinazione del momento dominante da prescegliere, le fisionomie e gli atteggiamenti delle tre figure, Ercole, la Virtù e la Voluttà. Preceduta, quella memoria ad uso del De Matteis, da una lettera sull’arte del disegno(A letter concerning the Art, or Science of Design to Milord***) con la data di Napoli, 6 Marzo 1712, e tradotta in inglese col titolo A notion of the Historical Draught or Tabltion of the Judgement of Hercules according to Prodicus, fu divulgata sin d’alllora e unita di poi alle edizioni e traduzioni delle Caracteristicks, portando sempre a capo come fregio una piccola riproduzione del quadro del pittore napoletano16.

Questa dovizia di particolari non è la sola cosa che deve colpire delle pagine crociane, vi si vuole soprattutto rendere ancora più chiaro l’assunto di una intensa attività dello Shaftesbury che prende la strada di un nuovo approdo della filosofia morale. E’ su questo versante che si colgono i più stimolanti suggerimenti che il periodo napoletano sa dare allo studioso di Shaftesbury che è solito muoversi unicamente nelle pieghe delle meditazioni delle prime Characteristicks. Avviene invece che la filosofia sembra essere strappata alla solitaria riflessione, pur ricca di una grande esperienza culturale e politica, e portata dentro il laboratorio della composizione artistica, e messa a contatto con il lavoro della esecuzione pittorica. In una sosta per una malattia di De Matteis, il filosofo inglese sollecita persino a ricavare dal quadro in allestimento una incisione in rame e mette in scritto «istruzioni per una variante in piccolo alla quale il De Matteis già lavorava e che doveva precorrere il quadro grande». Come si vede, c’è da parte di Shaftesbury una ansiosa partecipazione proprio nella concezione stessa del quadro perchè venga eseguito «secondo i suoi concetti» e rispecchi la sua ispirazione morale. L’arte che si coltivava a Napoli attira dunque intensamente la riflessione shaftesburiana ed attizza il suo desiderio di storie, di aneddoti, di notizie, di cabale che apprende da De Matteis e da altri "virtuosi napoletani"; non manca anche di comprare pitture, disegni, un “gran quadro” di Salvator Rosa, Cupidi, e tante anticaglie. Quello che doveva essere un diletto e un passatempo divenne invece qualcosa di serio come dimostra una confessione in una lettera raccolta dal Rand, sulla quale opportunamente si sofferma il Croce : «Voi vi ricorderete Milord», scrive Shahtesbury, «che io cominciai questa ricerca col chiamare la pittura una scienza volgare; ma ora voi vedete che sono andato così oltre, e che mi sono così profondamente impegnato in essa che quasi sono preso a dimostrare che questa è ben altro che una scienza volgare e bassa». Dichiarazione importante, molto indicativa del senso che sta prendendo una attività fatta per non affaticare il proprio fisico e non aggravare la propria condizione di salute malferma, e che al Croce appare il risveglio del mai spento spirito filosofico: «Il filosofo in lui si era risvegliato, e dopo avere scritto quella lettera e la traccia del quadro di Ercole, e abbozzato una traduzione con commento della Tavola di Cebete, attendeva mettere insieme gli appunti per un più ampio saggio da intitolare: Plastics, or the original, progress and power and designatory Art»; ed appunto come si è supposto Shaftesbury avrebbe steso materiale per una opera da unire alle prime Characteristicks17. Che in queste ulteriori indagini quanto meno si allargasse il quadro che conteneva già tanti spunti di una teoria del bello e della poesia, che avesse modo di arricchire la sua concezione estetica, di chiarire ancora di più il vero concetto dell’arte, soprattutto dal lato di istanze di tipo etico che assorbono in maniera peculiare la riflessione del filosofo inglese, questo è per Croce un dato non irrilevante della esperienza napoletana. Se pure non è dato trovare in questo Shaftesbury napoletano quello che tanto sta a cuore a Croce, e cioè un «problema dialettico dello spirito e dei suoi momenti o forme, e dell’arte e della morale come momenti dialettici»18, essendo lontano per le sue inclinazioni da simili soluzioni, tuttavia il «carattereP», la «figura morale» è quel Shaftesbury cercava dietro l’«apparenza» delle forme, e «l’artista morale» era quello che faceva emergere ogni rappresentazione vera. Tanti altri i ragguagli Croce fornisce per dare alla estetica di Shaftesbury lo sfondo più idoneo costituito dai giudizi da storico e critico d’arte, dal gusto e dalla sensibilità letteraria, da rilievi di tecnica artistica, ed erano tutte cose che «meditava assiduamente in Napoli». L’accento batte tutto qui, su questo scatto finale che la filosofia di Shaftesbury compie quasi pensando di darle una nuova sistemazione concettuale ed uno sbocco in un una seconda parte della prima opera, proprio mentre i malanni fisici dell’uomo «pur con brevi tregue e respiri, lo corrodevano e lo stremavano e lo avvicinavano alla tomba»19.
A meglio cogliere il carattere di questo scritto del Croce, ci pare indispensabile non lasciarsi sfuggire almeno due aspetti: tra Germania ed Inghilterra, la prima sa valorizzare ed appropriarsi di quello che viene identificato come un «idealismo etico» dello Shaftesbury, la seconda gli resta indifferente o ostile; ciò dà la misura di una rilevanza di questo filosofo nella cultura liberale europea. Il secondo aspetto è che nel soggiorno napoletano Croce vede il compimento di un percorso filosofico che giunge a dare maturazione ad una estetica cui era mancato un più ravvicinato rapporto con le produzioni artistiche, ed anche quindi da questo punto di vista la via della critica d’arte aveva portato a ribadire il valore di altre e più complete espressioni del «sentimento morale». Quanto gli rimanessero distanti le posizioni filosofiche di Shaftesbury, sia quelle tutte definite prima dell’arrivo a Napoli, sia quelle cui diedero ampi spunti i contatti con i “virtuosi” le quali nascono da processi concettuali che nemmeno ai suoi tempi le avvicinano a quanto stava facendo già Vico, o anche Baumgarten, non costituisce però per Croce un motivo più forte per non guardare con simpatia a questo raffinata figura di difensore dell’autonomia morale dell’uomo, la quale negli ambienti culturali napoletani, tra letterati, scultori, pittori, ha modo di far fare altri passi in avanti alla sua educazione artistica e, assieme, rendere la sua estetica un po’ più indipendente dalla morale che certo le fornisce una importante sollecitazione. Croce più che a tutto il resto, sembra interessato al cammino delle idee estetiche shaftesburiane ed ecco perché concentra la sua attenzione su quel vorace guardare, conversare e scriverne che vede il filosofo applicato, come in un laboratorio, a seguire il farsi delle produzioni artistiche, a rendersi conto dell’ideazione e delle tecniche dell’opera in cantiere. Effettivamente,colpisce lo sguardo di un osservatore attento come Croce tutto quel darsi da fare dell’illustre ospite, pur in tuttaltro che felici condizioni fisiche, per avere collegamenti con intenditori d’arte, mercanti, antiquari, artisti e trovare un campo di verifica per i suoi gusti e le sue conoscenze stilistiche, per mettere a fuoco altre sue idee sull’arte, quasi una parentesi creativa d chi poteva ritenersi pago del disegno filosofico culminato in una etica del’agire virtuoso, tutto racchiuso nell Characteristicks del 1711.
Questo prezioso e pregevole documento datoci dal Croce dell’ultimo scorcio di vita dello Shaftesbury a Napoli, non porta certo il filosofo ad occupare un posto di rilievo nella storiografia critica shaftesburiana che solo molti anni dopo ebbe una consistenza particolare e si sbarazzò completamente di quell’angolazione riduttiva che mirava a vedere quante delle idee di questo autore erano trapassate in altre filosofie, parametro ritenuto necessario per stabilirne l’importanza o la scarsa rilevanza. Le considerazione del Croce non peccano certo di questa angustia di orizzonti determinando una sua preferenza per tutti quei lati che rendono più vicina quella filosofia al suo sistema con i suoi principi fondativi. Piuttosto, gli accenni che vengono fatti al nucleo speculativo della filosofia shaftesburiana sono non sufficienti per dare una idea completa di come si è venuto articolando quel pensiero sullo sfondo di tanti problemi posti dalla cultura filosofica moderna, non soltanto in Inghilterra. Se però l’approccio crociano alle idee del filosofo inglese non ne fa una specifica scheda interpretativa sulla via che traccia Shaftesbury per dare la sua risposta ai tanti interrogativi che gli pone il suo tempo, ma di questo non ne manca la consapevolezza, da esso parte una indicazione a non chiudere l’orizzonte della lettura della produzione intellettuale dello scrittore inglese a quella fase soltanto conclusasi con la composizione dei noti saggi dalla Lettera sull’entusiasmo, a Senso comune, a Ricerca sulla virtù e il merito, a Soliloquio, a I Moralisti. L’implicito suggerimento contenuto nello scritto del Croce è che si prenda nella dovuta considerazione tutto quanto è valso a dare nuovi e diversi contorni al disegno di una estetica che era rimasta indistinguibile dalla esigenza morale che Shaftesbury aveva cercato di mettere al centro di un quadro dove natura, ordine, individuo, virtù, bene, libertà, venivano a raccogliere il senso più profondo della modernità etica. Si trattava di dare alle idee concepite durante il soggiorno napoletano, sulla nozione di «Historical Draught», sulla «Tablature of the judgment of Hercules,according to Prodicus», alla «The Art or Science of Design», un peso specifico che la storiografia shaftesburiana ha sempre ritenuto non grandissimo. Certo, non si può dire che parta dal Croce il recupero delle riflessioni dell’ultima fase napoletana assorbite all’interno di un unico percorso estetico; però, da parte della critica più recente20, quello che al Croce parve un apporto non di scarso valore, fu assunto come il contributo pregevole di un critico d’arte che non si affidava soltanto ad una pura riflessione filosofica rivolta in prevalenza a tematiche etiche, di filosofia della religione e della cultura.
Dai tempi del Croce e fino a noi, restò sempre un grande e vivo interesse, con fasi alterne e con criteri di studio, ovviamente, resisi via via diversi, per la figura di questo «gentleman filosofo»21. Sullo Shaftesbury uscito dall’esperienza napoletana così efficacemente restituita dallo scritto crociano, la critica è ritornata spesso,ma dove si sono raccolti i maggiori frutti di una più allargata rilettura critica è proprio su quel terreno di analisi e riflessioni filosofiche che hanno portato Shaftesbury ad avvertire tutta la grande portata della collocazione dei fondamenti della morale tra ragione e sentimento. La recezione di Shaftesbury è avvenuta attraverso due fondamentali filoni di lettura: quella che ritrova sostanzialmente uno Shaftesbury moralista e nasce con Hucheson e Kant ed è ancora presente dentro la History of English Thought in the Eighteenh Century di Leslie Stephen22; una lettura che ha tratti di continuità in anni più recenti in America con A.O. Aldridge23, in Francia con L. Jaffro24, in Italia con i nostri studi25, ancora negli Stati uniti con S. Darwall26 e, sempre in questo ambito, una accentuazione socio-politica, L.E. Klein27. L’altro filone di lettura che ha guardato ad uno Shaftesbury estetico e teorico dell’arte, è nato in Svizzera e Germania da Herder a Cassirer, ed ora, con una centralità data ad una “filosofia della sociabilità” tra morale ed estetica che non rimangono distinti nel voluminoso studio di J.P. Larthomas28, viene portato ad una nuova elaborazione da F. Brugère29. Vogliamo evitare di soffermarci distintamente su queste griglie di lettura, se non quanto basti a riconoscere che esse hanno fatto vivere il pensiero del filosofo inglese su sfondi e risonanze di grande ampiezza, hanno sciolto idee che sembravano rarefatte e chiuse, dando loro inaspettate connessioni e collocazioni dentro i processi significativi della cultura moderna e con singolari proiezioni nel pensiero contemporaneo, come è nel caso di Jaffro30.
Ma a parte questa divisione delle aree dell’interesse critico per Shaftesbury, tra Otto e Novecento, prima e dopo Croce, la cultura italiana non ignorò il filosofo inglese e diede anche contributi non di poco rilievo, come risulta dall’approfondito excursus storiografico di Paola Zanardi. Questa studiosa cui si devono traduzioni e studi di notevole spessore31, è , si può dire, meritevole anche di tenere viva in Italia l’attenzione verso quello che è un capitolo dei più significativi della cultura moderna inglese ed europea. Da Paola Zanardi viene ai nostri studi un particolare riconoscimento quando scrive:
Negli anni Novanta, in concomitanza con la ripresa internazionale, Franco Crispini ha riaperto una nuova stagione, segnata da importanti contributi. Segnalo in proposito L’opinione del Bene.A. Shaftesbury tra ispirazioni antiche e ragione moderna (1994), seguito dal più recente L’Etica dei moderni (2001). La tesi del libro traspare già nel titolo. Shaftesbury, secondo Crispini, rinuncia a dare un fondamento “oggettivista” alla teoria etica e invita il lettore ad indagare attorno alle radici di particolari passioni: benevolenza, entusiasmo, sentimento morale. Definisce la sua etica come moderna in quanto è una morale affidata a libere forze spontanee e naturali del soggetto umano nella sua aspirazione al bene. Simili affermazioni, però, non mancano di sollevare alcune contraddizioni, di cui il Crispini è consapevole […]32.

Ed ha ragione Paola Zanardi di rilevare i tanti interrogativi che una lettura andata fino in fondo si è trovati di fronte non riuscendo spesso a dare una risposta convincentemente giustificata dai testi shaftesburiani. Dove effettivamente la Zanardi vede con molta chiarezza è su quel punto della maturazione di una griglia interpretativa che ha reso possibile confrontarsi con Shaftesbury circoscrivendo lo spazio occupato dal problema etico e da tutte le congiunture storiche e teorico-culturali che gli assegnano centralità e rilievo. In tutti questi ultimi anni quindi, la storia dell’etica in particolare, ma anche la storia del pensiero intellettuale europeo nell’età moderna, acquistano pienamente nel proprio territorio un pensatore che non ne era certamente fuori, ma rimaneva ai margini. La storia dell’estetica invece non perde nulla, specialmente se si prenderanno quelle direzioni, implicitamente ed anticipatamente indicate dal Croce, di ricavare dai problemi contenuti nelle Second Characters or the Language of Forms33 tutti gli apporti che riceve la “prima” estetica di Shaftesbury. Ma, al di là dei nuovi titoli che Shaftesbury acquisisce a Napoli per venire ad occupare nel campo dell’estetica un posto ancora più pieno, c’è un profilo del filosofo inglese quale emerge, tra l’altro, dalla Miscellanea V che non poteva non avere colpito chi come Croce era sensibile ai temi della libertà e di una etica dell’agire libero. In questa V delle Miscellaneaus Reflections, Shaftesbury, nelle riflessioni che vi svolge sulla «libertà civile, morale spirituale», nell’elogio che fa del «libero pensiero e la latitudine dell’intelligenza» approda ad uno dei momenti decisivi della sua riflessione etica. C’eravamo soffermati già su ciò che dà rilievo all’analisi di Shaftesbury: «In nessuna altra parte quanto nel mondo intellettuale è ampiamente diffuso il criterio normativo, stabilmente impresso nella natura medesima»; se questo criterio si perde di vista, ciò è soltanto «per debolezza di pensiero, povertà di giudizio, difetto nell’applicazione di quella norma naturale e originaria» e la prospettiva indesiderabile che si apre è di «una vita dissipata, incoerente, piena di perplessità, pentimento, insoddisfazione di sé», la quale sconta una «concezione angusta della felicità e del bene». C’è, ad esempio, un «complesso bene» che ci incanta e ci trasforma in «abili e accorti mesterianti» ed è «l’ "interesse", la vasta “schiera” degli interessi, non tutti contrari alla virtù, dinnanzi ai quali restiamo offuscati, diveniamo “ribaldi” che scrutano ogni evento e mutare di fortuna»; inoltre,nota Shaftesbury, come vi sono vizi che stanno al di sopra, pericolosi perché tiranneggiano la ragione dell’uomo, la libertà di pensiero, «i più rovinosi e fatali per l’intelletto» e tra questi vi sono «superstizione», «bigottismo», «entusiasmo volgare». Di questi vizi-passioni profittano «gli artificiosi manipolatori delle umane debolezze» e tentano di «ingannare e soppiantare subdolamente la nostra ragione»; con le loro massime e principi morali, costoro propongono una nozione del bene e della umana felicità che èda ogni punto di vista nettamente opposta alla libertà ed usano in senso negativo appellativi di persè onesti, come «libertini», «liberi pensatori», per quanti sostengono «larghe vedute ed un generoso uso della intelligenza». Sono essi, insiste Shaftesbury lanciato in una estrema difesa di una etica dell’agire libero «a confondere la licenza nella morale con la libertà nel pensiero e nell’azione», identificando il «libertino», il quale ha se non altro, padronanza di sé, con il suo perfetto opposto. Altro non si potrebbe dire di questi «seminatori di discredito» se non che essi mettono in cattiva luce il concetto di libertà, «tradiscono la morale e travolgono la vera filosofia, screditano la ragione, deificano passioni insane». La difesa di Shaftesbury va tutta «per il più nobile dei caratteri, quello del libero pensatore» e la sua fiducia è indirizzata tutta alla «potenza benefica della ragione»34. Da queste riflessioni della Miscellanea V35si capisce bene dove è rivolto l’impegno intellettuale del moralista: sostenere il pieno diritto e dovere del soggetto umano a realizzarsi attraverso il libero ed autonomo dispiegamento delle energie morali contenute nella sua stessa natura; si coglie anche quale figura di “uomo morale” Shaftesbury abbia tenuto presente nel disegnare,senza alcuna pretesa filosofica sistematica, la sua etica.



NOTE
1 Delle Charasteristicks (1711) solo la An Inquiry è uscita nel 1699 contro la volontà dell’Autore e senza alcuna revisione; la nuova versione è compresa, assieme a I Moralisti, nel II Tomo delle Characteristicks. Il III Tomo è dedicato alle Miscellaneous Reflections on the preceding Treatises and other critical subjects.^
2 B. Croce, Shaftesbury in Italia, in Uomini e cose della vecchia Italia, I, Bari, Laterza, 1927, pp. 274-311.^
3 A cura di J.M. Robertson, esce una edizione delle Characteristicks in due voll. nel 1900. London, G.Richards. Della opera omnia di S. abbiamo una edizione recente di cui sono finora apparsi finora 9 voll., è la Standard Edition: Complete Works, Selected Letters and Posthumous Writings, in english with parallel german translation, edited, translated and commented by G. Hemmerch, W. Benda, U. Schodelbauer, et. al., Stuttgart-BadCanstatt, Fromman-Holzboog (in corso da 1981). Di non pochi saggi delle Charcteristicks si hanno traduzioni italiane da parte di noti studiosi: da E. Garin (Saggio sulla virtù e il merito; Lettera sull’entusiasmo), di P. Casini (I Moralisti, ed anche di una antologia Saggi morali), di Paola Zanardi ( Soliloquio) nonchè di A. Taraborrelli, G. Bruni Roccia(Sensus communis). Una edizione di Scritti morali e politici, è da poco apparsa nella collana dei “Classici” UTET, curata ed introdotta da Angela Taraborrelli; vi sono compresi cinque saggi delle Characteristicks nella edizione del 1714, con in più la Miscellanea III. La Introduzione della Taraborrelli perde una occasione di fare il punto critico sugli sviluppi delle storiografia shaftesburiana fino alle fasi di svolta e di avvio di una nuova lettura. Molto accurata la Nota Bibliografica, anche se alcune voci della «Critica» risultano riduttive rispetto al carattere più complessivo, articolato e innovativo di qualcuno dei lavori dedicati al moralista inglese.^
4 Croce,Shaftesbury in Italia, cit., p. 276.^
5 «La Critica», 23 (1925), pp. 1-34.^
6 Croce, Shaftesbury in Italia, cit., p. 275.^
7 Ivi, p. 280.^
8 Ivi, p. 284.^
9 Ivi, p. 285. Qui Croce riporta l’opinione di Dikthey, L’analisi dell’uomo e l’intuizion della natura dal Rinascimento al secolo XVIII, trad. It., Venezia, 1927, 2 voll., II, pp. 86 e sgg., il quale ritiene probabile «l’efficacia diretta (non solo attraverso Spinoza) del Bruno sullo Shatesbury». Recentemente si accenna a Shaftesbury e ad un «sodalizio socratico dei panteisti e bruniani» in S. Ricci, La fortuna del pensiero di Bruno(1600-1750), Firenze, 1990, pp. 258 e 321.^
10 Ivi, p. 276.^
11 Ivi, p. 277.^
12 Nel 1900, Benjamin Rand pubblicò gli Askemata con il titolo Philosophical Regimen nel volume The Life, Unpublished Letters, and Philosophical Regimen of Anthony, Earl of Shaftesbury, B. Rand ( ed.), Bristol, Thoemmes Press. Una edizione degli Askemata è stata curate da L. Jaffro, avente come titolo Exercises, Paris, Aubier, 1993. Di L. Jaffro cfr. Shaftesbury et l’art etc., cit. più avanti alla nota 23.Di Jaffro cfr. anche Ethique de la communication et art d’ècrire-Shaftesbury et les Lumierères anglaises, Paris, PUF, 1998.^
13 Croce, Shaftesbury in Italia, cit., p. 297.^
14 Ivi, p. 300.^
15 Ivi, p. 287.^
16 Ivi, pp. 290-291.^
17 Le Second Characteristicks da noi citate nel testo assieme ai saggi che le compongono (A Letter concerning the Art etc., A Notion of the Historical […] or Tablature of the Judgment of Ercules, edito separatamente nel 1714 in versione francese per il «Journal des savants», furono edite dal Rand nel 1914. Vi si sarebbero dovuti aggiungere: An Appendix Concerning the Emblem of Cebes e Plasticks, or the original progress and power of Designatory Art.^
18 Croce Shaftesbury in Italia, cit., p. 299.^
19 Ivi, p. 310.^
20 Cfr. ad esempio, W. Lottes, The judgment of Hercules. Shaftesbury und die “ut picture poesis” Tradition, «Anglia§», 107, 1989, pp. 330-343; L. Pistilli, Lord Shaftesbury e Paolo de Matteis: Ercole al bivio tra teoria e pratica, in «Storia dell’arte», 68, 1990, pp. 95-121.^
21 F. Carabelli e P. Zanardi (a cura di), Il gentleman filosofo. Nuovi saggi su Shaftesbury, Padova, 2003. Vi sono raccolte le relazioni tenute nel Convegno del 6-7 Giugno 2002 presso l’Università di Ferrara, dedicato a Shaftesbury ed il deismo inglese. Vi è anche il nostro «L’etica di Shaftesbury: eventi naturali, apparenze, “figure morali”», pp. 193-212, che ora con qualche variazione è nel vol. F. Crispini, Idee e forme di pensiero, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, pp. 73-89.^
22 Londra, 1902, voll. 2.^
23 Shaftesbury and the Deist Manifesto, Transactions of the American Philosophical Society, vol. 41, 1951.^
24 L. Jaffro, Shaftesbury et l’art d’ècrire dans la philosophie morale, Tesi sostenuta a Parigi nel 1994.^
25 F. Crispini, L’opinione del Bene- A. Shaftesbury tra ispirazioni antiche e ragione moderna, Napoli, 1994, di cui ora vedi una nuova ed. rivisitata ed ampliata: L’Etica dei moderni-Shaftesbury e le ragioni della virtù, Roma, Donzelli, 2001.^
26 S. Darwall, The British Moralists and the internal "Ought": 1640-1740, Cambridge, 1995, pp. 176-207.^
27 L.E. Klein, Shaftesbury and the Culture of Politeness, Cambridge, 1994.^
28 J.P. Larthomas, De Shaftesbury à Kant, Paris, 1985.^
29 F. Brugère, Teorie de l’art et philosophie de la sociabilitè selon Shaftesbury, Paris, 1999.^
30 Cfr. Appendice II. Comunicazione e discussione. Etica e filosofia della cultura in Shaftesbury, in Crispini, già cit. pp. 118-127.^
31 P. Zanardi, Filosofi e repubblicani alle origini dell’Illuminismo: Shaftesbury e il suo circolo, Padova, Edizioni Sapere, 2001.^
32 P. Zanardi, La fortuna di Shaftesbury in Italia, in Il Gentleman Filosofo, cit., pp. 78-79.^
33 Su queste ovviamente Croce fa una particolare insistenza.^
34 Crispini, Idee e forme, cit., pp. 88-89.^
35 Va sottolineata l’importanza di questa Miscellanea V di cui in una raccolta di scritti morali e politici si sarebbe vista bene una sua traduzione italiana integrale.^
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