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Una nuova stagione europea: una primavera molto interessante nel 2018?
di Massimo Lo Cicero
1. Mario Draghi salta il fosso ed avvia una prospettiva di stampo liberale: la politica economica lascia il passo alla politica.

Mario Draghi ha utilizzato molti strumenti nella conduzione della presidenza della BCE: il controllo della dinamica, positiva o negativa, dei prezzi; la politica monetaria ed i suoi effetti sui comportamenti delle banche, che devono concedere credito alle imprese e sottoscrivere titoli del debito pubblico, in adeguate proporzioni.
Ha garantito la gestione della relazione tra merci, moneta e prezzi; ha supportato con la politica monetaria non convenzionale una potenziale espansione del credito da parte delle banche, riducendo i tassi e rendendo liquido il sistema bancario europeo; ha agito con una puntuale coerenza sui programmi che aveva annunciato. Ha creato l’opzione di una espansione per ribaltare una crisi sul punto limite di una pericolosa rottura: quello nel quale la deflazione diventa recessione e l’economia si avvita su se stessa. L’inflazione è una crescita generale dei prezzi e la deflazione è una caduta generale dei prezzi. Nella deflazione, come nell’inflazione, non tutti i prezzi si modificano al medesimo ritmo. Quindi si modificano i prezzi relativi delle merci: se aumentano le tariffe sui servizi, diminuiscono i prezzi degli alimentari ed aumentano le tasse; si riduce il reddito delle persone e c’è un modifica della struttura relativa dei prezzi. Dopo uno prolungata mancata inflazione, serve una spinta per rimettere in moto la relazione tra i redditi e le spese delle famiglie. Bisogna riprendere la domanda effettiva, le scorte si assottigliano, grazie alla ripresa dei consumi, e le imprese possono riprendere la produzione se le banche ne accompagnano la liquidità.
La scelta di Draghi, rispetto alla espansione della politica monetaria, attraverso i tassi ridotti e la creazione di strumenti non convenzionali, per rendere liquido il mercato bancario, è stata necessaria per supportare lo sviluppo di medio termine ma non è stata sempre sufficiente. Nella circostanza di un progressivo ritorno alla dimensione dei mercati, reali e finanziari, serve anche una “scossa” che riaccenda la fiducia nelle imprese, crei nuovi progetti di investimento, affronti una riconversione radicale della spesa pubblica: tagli alla spesa corrente, tagli alle tasse, avvio di progetti infrastrutturali, che riducano la produttività media del sistema europeo, diventando una sponda ulteriore della domanda effettiva per le imprese. A Jackson Hole, il 25 agosto 2017, Draghi ha aperto un percorso verso un sentiero stretto, ma coerente, con quello che avrebbero dovuto intraprendere i Governi dell’Unione Europea che dovevano, ed avrebbero dovuto praticare: trasformare la politica fiscale riducendo spese correnti e tasse; riqualificando la politica degli investimenti pubblici utilizzando anche la Banca Europea degli Investimenti ed i Fondi Europei, conferiti dagli Stati, per creare infrastrutture adeguate ed efficaci1.
Con questo approccio l’annuncio di riforme strutturali, la leva fiscale aggregata per rilanciare la domanda e la leva monetaria, tramite Credito e Quantitative Easing, Draghi ha frammentato tre tabù contemporaneamente. Ha indicato un allargamento delle opzioni relative alla politica monetaria ed alla politica economica in senso ampio: suggerendo una posizione fiscale aggregata a livello di eurozona. La politica fiscale dei Governi, quindi, dovrebbe collocarsi in parallelo con la politica monetaria della BCE. Draghi ha assicurato all’Unione Europea una strada per avviare la ripresa della crescita ma ha anche richiesto la possibilità di una sorta di moral suasion: scegliere politiche fiscali idonee ed incisive; ridurre gli attriti ed i limiti degli apparati pubblici degli Stati rinnovando ulteriormente le riforme del mercato del lavoro e del mercato dei capitali, oltre quelle della pubblica amministrazione. Mario Draghi rappresenta oggi, quindi, un delicato pilastro per lo sviluppo della crescita europea e spende la sua capacità di persuasione morale rispetto agli attori del sistema (politico, imprenditoriale e finanziario) per spingerli a riattivare la crescita nel vecchio continente in una prospettiva che proponga una maggiore coesione nell’insieme dell’Unione Europea e non solo un sistema di nazioni che, una per una, utilizzino gli obiettivi della propria e singola politica e gli strumenti della politica economica. In questo modo si possono indicare, ma si devono anche costruire, due livelli di strategia: quello dell’Unione e quelli dei singoli Stati nazionali. In questo modo si potrebbero mantenere i legami tra Europa e Stati Uniti altrimenti concentrando gli Stati nazionali europei, ciascuno sulle proprie strategie, si potrebbero creare fratture troppo larghe e l’Occidente inizierebbe a disperdere il proprio capitale, politico ed economico, e la coesione della sua complessa struttura delle società sulle quali si fonda. Mario Draghi, insomma, non ha speso in una prospettiva di routine questo suo anno di trasferimento, tra il 2017 ed il 2018: ha creato un nuovo carattere politico che si aggiunge e si colloca oltre la dimensione della politica economica. Draghi ha individuato la gestione di una politica economica che si avvicina progressivamente ad una più stretta identificazione politica dell’Unione Europea: una ispirazione per chiunque veda nella collaborazione internazionale l’unico modo di governare problemi che gli Stati nazionali non riescono ormai da molto tempo a risolvere da soli.
Bisogna che questo schema possa fondarsi su alcune questioni: concentrarsi sugli interventi che portano risultati tangibili e immediatamente riconoscibili; portare a termine le iniziative già in corso, perché fermarsi a metà del cammino è la scelta più pericolosa; impostare un mercato unico che possa restare a lungo libero ed equo, solo se tutti i soggetti che vi partecipano sottostanno alle stesse leggi e regole e hanno accesso a sistemi giudiziari che le applichino in maniera uniforme, non si tratta di anarchia, ma di una costruzione politica, che richiede istituzioni comuni in grado di preservare la libertà e l’equità fra i suoi membri; se e quando saranno avviati nuovi progetti comuni in Europa, dovranno obbedire agli stessi criteri che hanno reso possibile il successo degli anni alle nostre spalle ed integrare quelle soluzioni con le ipotesi innovative del prossimo futuro comune. Ed infine bisogna riconoscere gli strumenti e gli obiettivi che allargano le possibilità della politica monetaria non convenzionale: le determinanti dell’inflazione; gli effetti di propagazione della politica monetaria; l’allineamento tra le politiche; non dobbiamo pensare alla composizione delle politiche, entro i confini delle nostre giurisdizioni, ma alla composizione globale che può massimizzare gli effetti della politica monetaria; con il tempo, la nostra esperienza in materia di strumenti non convenzionali colmerà la restante lacuna di conoscenze; nel frattempo le banche centrali devono dimostrare che non vi è discontinuità quando i tassi di interesse raggiungono lo zero, le misure non convenzionali possono essere tanto efficaci quanto quelle convenzionali. La politica monetaria convenzionale agisce orientando i tassi di interesse reali del mercato monetario verso livelli inferiori al tasso reale di equilibrio e questo a sua volta stimola la domanda e l’inflazione; gli strumenti non convenzionali possono tuttavia essere ancora efficaci in tali condizioni. Stiamo andando, ormai, oltre le terre incognite che Mario Draghi aveva annunciato: siamo di fronte ad un’architettura dove esiste la possibilità di governare la crescita oltre la soglia della recessione, che l’Unione Europea ha superato. L’Italia, in particolare, ha bisogno di accelerare la crescita attraverso una maggiore produttività, una relazione tra tecnologie e capacità di aumentare la dimensione della conoscenza delle relazioni tra strutture e funzioni nelle imprese, un riordino delle istituzioni parlamentari ed una maggiore capacità di governare i processi economici e sociali. Riportare l’Italia ai medesimi traguardi dell’Unione Europea è la sfida che il paese deve accettare: per entrare davvero in un mondo globale che possa ridurre le sue incertezze ed adeguarsi ad una crescita che potrebbe essere la leva per una redistribuzione della ricchezza.
Questa potrebbe essere una prospettiva di medio e lungo periodo. Nel contesto dello scenario in essere, in questo momento, convivono tre direttrici nell’ambito dell’Unione Europea e dei suoi rapporti con il resto del mondo. Macron e Merkel vengono considerati, negli ambienti europei ed internazionali, come due paladini che possano governare le dinamiche future dell’Unione Europea.
Gli attori, politici ed imprenditoriali, dell’Unione Europea hanno davanti una strada nuova ed un nuovo orizzonte: tornare alla politica, al potere della costruzione di strategie, per gestire la politica economica, una volta che il sistema delle relazioni tra le istituzioni ed il potere possano riproporre una nuova dimensione dell’economia liberale. Se questo possa accadere sarebbe davvero conclusa la parabola del ventesimo secolo in Occidente e si potrebbe avviare una innovazione meno frantumata e più coerente ad aspirazioni capaci di ottenere coesione e cooperazione dai sistemi nazionali.



2. Dal gennaio del 2016 alla fine del 2017: verso il 2018.

Mario Draghi aveva annunciato, nella riunione precedente del Consiglio Direttivo della BCE (21 gennaio del 2016), una sorpresa positiva: dividendo in due mosse la tendenza che proponeva all’opinione pubblica internazionale. Gli Stati Uniti avrebbero ripreso una crescita, tenue, accompagnata da nuova occupazione. L’Europa avrebbe dovuto alzare i tassi di interesse, rinunciando alla politica monetaria non convenzionale della Banca Centrale Europea.
La ripresa dello sviluppo, della crescita e dell’occupazione negli Stati Uniti poteva indicare che la crescita genera inflazione ed attenua il debito; imponendo un rimbalzo dei tassi di interesse per avere sia vantaggi sul rendimento degli investimenti reali sia su quelli finanziari, ed anche per aprire una finestra sui flussi di economia reale. Una manovra simile potrebbe anche generare un ridimensionamento dell’eccesso di finanza rispetto alla capacità di creare investimenti reali, grazie alle nuove tecnologie ed alla ricerca applicata. Mario Draghi ribalta la prospettiva che, secondo alcune ipotesi, l’Europa avrebbe dovuto ormai seguire passivamente gli Stati Uniti. In prima battuta annuncia il 21 gennaio 2016 che era in atto una trasformazione della scena internazionale: “con l’inizio del nuovo anno i rischi verso il basso sono di nuovo aumentati in presenza di maggiore incertezza riguardo alle prospettive di crescita delle economie emergenti, volatilità nei mercati finanziari e delle materie prime e rischi geopolitici. In questo contesto, anche la dinamica dell’inflazione nell’area dell’euro continua a essere più debole rispetto alle attese. Sarà quindi necessario riesaminare ed eventualmente riconsiderare il nostro orientamento di politica monetaria nel corso della prossima riunione, che si terrà a inizio marzo, quando si renderanno disponibili le nuove proiezioni macroeconomiche, riguardanti anche il 2018. Nel frattempo si lavorerà al fine di assicurare che sussistano tutte le condizioni tecniche affinché l’intera gamma di opzioni sul piano delle politiche sia disponibile per essere eventualmente applicata”. E conferma il 26 gennaio, solo cinque giorni dopo, la riunione del Consiglio Direttivo della BCE2. Ma è proprio in seconda battuta, e non in una conferenza ma nella formalità delle opzioni di politica monetaria approvate dal Comitato Direttivo della BCE il 10 marzo 2016, che Draghi annuncia una irrisoria inflazione, rispetto alle attese di una crescita, che avrebbe dovuto ma che non è riuscita ad esprimersi. Il 4 febbraio, inoltre, collega l’esigenza di ridurre la incertezza, che si allarga combinando la divaricazione tra economie emergenti ed economia europea, con una singolare descrizione della piega deflattiva, la riduzione dei prezzi, che si potrebbe presentare in Europa.
Il palcoscenico – cioè un annuncio sulla esigenza di avere dati fondati per definire la struttura della politica monetaria, ed una comunicazione, non formale ma analitica e fondata sulla reputazione stessa di Mario Draghi – è pronto per la rappresentazione del prossimo 10 di marzo. Dal gennaio ad oggi Draghi aveva valutato i segnali che gli offriva la Banca Centrale. Una volta diradata, per quanto possibile, l’incertezza – che non è solo il frutto delle economie divergenti tra loro ma anche della geopolitica che allarga la sua aggressività tra le nazioni alla scala mondiale – afferma che la vera minaccia europea è una inflazione troppo flebile, e questo potrebbe davvero compromettere la crescita nel vecchio continente3.
Di conseguenza, e con una svolta radicale, Draghi ha comunicato esattamente il contrario di un rialzo dei tassi di interesse.
I tassi vanno ancora a zero ed anche sotto lo zero: le banche che lasceranno i depositi presso la banca centrale pagheranno un tasso dello 0,4% invece di ricevere un premio sul deposito.
La BCE, inoltre, apre una ulteriore ondata di liquidità: gli acquisti dei titoli dalle banche passano ad 80 miliardi di euro al mese; la BCE potrà acquistare titoli collegati allo sviluppo dell’economia reale, senza la mediazione delle banche; ulteriori trasferimenti di fondi finalizzati per quattro anni e sostenuti dalla BCE ma gestiti dalle banche europee. L’Unione Europea diventa un grande laboratorio che deve scoraggiare la deflazione e supportare la crescita reale della sua economia. Draghi espone anche due ulteriori sfide: la trasmissione e l’espansione dei fenomeni monetari, tra la banca centrale e le banche commerciali, od altre istituzioni finanziarie.
Sul primo tema la nostra sfida nasce dall’avere un mercato bancario e dei capitali ancora incompleto. In aggiunta le istituzioni, per la ripartizione del rischio sovrano tra paesi, sono meno sviluppate e questo colloca l’intero onere della gestione degli effetti sui singoli Stati. Emergono conseguenze per la trasmissione della politica monetaria. Alcuni dei principali canali di trasmissione, in particolare il canale dei prestiti bancari e quello del bilancio, sono più facilmente soggetti a turbative in caso di shock importanti. In secondo luogo, poiché il rischio privato e il rischio sovrano sono collegati a livello nazionale, la frammentazione finanziaria avviene lungo i confini nazionali. Ma questo effetto può intralciare l’efficacia della politica monetaria nelle regioni dove la sua azione di stimolo sarebbe più necessaria. La seconda sfida che abbiamo affrontato nell’area dell’euro si è presentata quando è stato necessario espandere il nostro orientamento monetario: quando siamo passati dai tassi di interesse agli acquisti di attività tramite il PAA (Programma ampliato di acquisto di attività finanziarie) come strumento principale di politica monetaria. Acquisti che, su larga scala di attività finanziarie sono intesi a ridurre il tasso privo di rischio eliminando il rischio di duration dal mercato delle obbligazioni sovrane. Nell’area dell’euro non abbiamo, però, un unico tasso privo di rischio: non vi è un unico emittente sovrano che funge da benchmark. Né esiste un mercato nazionale in grado di fungere da sostituto, non solo a causa dei vincoli di volume ma anche perché nessun titolo pubblico nell’area dell’euro è realmente privo di rischio. La descrizione di Draghi si conclude in questi termini: “Non vi è alcun dubbio che, se avessimo bisogno di adottare una politica più espansiva, il rischio di effetti collaterali non intralcerebbe il nostro cammino. Puntiamo sempre a limitare le distorsioni causate dalla nostra politica, ma ciò che viene prima di tutto è l’obiettivo di stabilità dei prezzi. Questa è l’implicazione del principio di predominanza monetaria, che è sancito nel Trattato e che conferisce credibilità alla politica monetaria. La predominanza monetaria significa che possiamo, e di fatto dovremmo, riconoscere e mettere in evidenza tutte le conseguenze, desiderate o indesiderate, delle nostre operazioni di politica monetaria. Vuol dire anche, tuttavia, che non dovremmo mai mancare di adempiere al nostro mandato solo per via di queste conseguenze. Questo equivarrebbe a ridefinire il mandato conferitoci per legge, cosa che non abbiamo facoltà di fare”4.
Se i Governi, dal 2011 ad oggi, avessero avuto la forza e la volontà di agire sulla politica fiscale, riducendo le tasse e riducendo la spesa corrente, per allargare gli investimenti delle imprese ed i consumi per le famiglie, non ci sarebbe stata questa singolare asimmetria tra una politica monetaria, robusta e convincente, ed una fiscalità portatrice di forze recessive. Se i Governi avessero adeguato le riforme del lavoro e dei mercati, verso una semplificazione ed una riduzione della invasività delle corporazioni e dei tortuosi percorsi amministrativi, la spinta della politica monetaria avrebbe certamente allargato la dimensione della crescita e non subito il peso della recessione.
Questo collegamento tra politiche di bilancio e politica monetaria, rimane comunque il canale principale della crescita. Anche se rimane ancora uno scarto tra l’impegno ed i risultati della politica monetaria della Bce e la variegata gamma di ipotesi sulle politiche fiscali, alimentata dalla differenza tra le opinioni dei Governi e dei Parlamenti europei. La dinamica del secondo semestre, nell’economia italiana del 2016, si presenta in rallentamento e si riduce ad uno scarto preoccupante se la si confronta con la media dell’Unione Europea. Ci sono tre ordini di problemi per dipanare questi processi che avanzano nel 2017: la stagione politica che ha progressivamente deteriorato il Governo in carica; un trapasso tra il 2016 ed il 2017, che si definisce in un nuovo Governo ed in una ripresa della crescita nel primo semestre del 2017; la circostanza che impone ancora una volta il meridione, nella sua economia e nella sua società, in una trappola in cui non si riesce a chiudere la forbice tra Sud e Nord e si rimane ancora troppo lontani da un processo di sviluppo che dovrebbe unificare, finalmente, il nostro paese.
La combinazione di queste tre circostanze rischia di compromettere la nostra crescita economica, che si sta aprendo nelle altre nazioni dell’Unione Europea, mentre sarebbe molto utile alimentare anche dinamiche di convergenza tra le economie continentali, che non sono certo entrate in un regime di convergenza verso l’Italia tra il 2016 ed il 2017. Infine lo stallo italiano potrebbe marginalizzare la capacità politica ed economica del nostro paese: in presenza della incertezza geopolitica generata dalla Brexit; di fronte alla vittoria di Trump alle elezioni; ed infine la possibilità che l’asse mondiale possa essere ribaltato dall’Atlantico al Pacifico. Mentre la politica di Putin ed i problemi del Mediterraneo e del Medio Oriente potrebbero far convergere tra loro la Russia e l’Europa del Nord Est.
Se questi percorsi dovessero manifestarsi l’Unione Europea potrebbe diventare un grande laboratorio per scoraggiare la deflazione ed alimentare la crescita reale della sua economia.
Nel maggio del 2016 l’opinione pubblica affermava tre diagnosi sull’economia europea, diverse tra loro ma convergenti.
La prima si presenta con un voluminoso rapporto della Commissione Europea: European Economic Forecast, Spring 2016. La seconda si trova sul terzo numero del Bollettino Economico della BCE, pubblicato il 5 maggio 2016. La terza si può considerare una interpretazione dei fenomeni finanziari, rispetto alle questioni economiche che vengono descritte dalla Commissione Europea e dalla BCE. Si tratta di un discorso pronunciato da Mario Draghi, a Frankfurt am Main il 2 maggio 2016, che spiega adeguatamente come e perché bisogna affrontare quali siano le cause dei bassi tassi di interesse e delle loro conseguenze sull’efficacia della politica monetaria. Partiamo da questa terza diagnosi.
Nell’area dell’euro si allarga una moderata ripresa, grazie all’impatto della politica monetaria non convenzionale. Si nota una tendenza favorevole alle condizioni finanziarie, un miglioramento nella redditività delle imprese, una tendenza verso gli investimenti, nonostante una certa incertezza in ragione dei rischi per le turbolenze geopolitiche ed il rallentamento del commercio mondiale nei paesi emergenti. Il basso prezzo del petrolio continua a sostenere il reddito disponibile delle famiglie ed i consumi privati. La politica monetaria, a partire dal giugno del 2014, ha migliorato nettamente le condizioni di prestito per le famiglie e le imprese. Nella prospettiva della Commissione Economica la scena si propone in questi termini: le prospettive economiche europee sono ormai entrate nel quarto anno di ripresa mentre la crescita prosegue ad un ritmo moderato, trainata dai consumi. Ma i conflitti e le contrapposizioni dell’economia mondiale potrebbe mettere a rischio la crescita dell’UE. Ritorna, insomma, la divergenza tra le nazioni – quelle che si muovono grazie agli effetti del mercato unico – ed il sistema, più lento e più frammentato, delle nazioni, divise tra Europa latina ed Europa del nord est, nell’area euro. Alcuni fattori che sostengono la crescita potrebbero diventare più forti: bassi prezzi del petrolio, condizioni favorevoli di finanziamento ed un basso tasso di cambio dell’euro.
Ci sono anche altri rischi: la crescita più lenta della Cina e di altre economie emergenti; la debolezza del commercio mondiale e l’incertezza crescente sul terreno geopolitico e sulle scelte strategiche di lungo periodo. L’Italia, nonostante la sua dimensione industriale e la robusta presenza politica nel concerto europeo, potrebbe essere ridimensionata sul terreno economico, politico e sociale dalla combinazione delle diagnosi appena descritte nei due anni alle nostre spalle5. Lo scetticismo sulla dimensione macroeconomica della crescita italiana nasce da circostanze evidenti. In primo luogo la condizione critica del sistema bancario, che non riesce a ridurre i tassi di interesse ed a collegare banche ed imprese per attivare investimenti, nonostante la politica monetaria non convenzionale di Draghi. Esiste, inoltre, una divaricazione sociale, più ancora che economica, che divide il centro nord dal sud: frammentando lo stesso Mezzogiorno in due parti ed allargando, anche in questo caso, le divergenze tra le aree territoriali piuttosto che facendo leva per convergere verso la ripresa della crescita. Infine si avverte la confusione dei processi politici, collegati alla realizzazione di efficaci e robuste riforme, ed il necessario riordino della pubblica amministrazione, per lasciare spazio ed opportunità, ad imprese e famiglie, ed allargare la dimensione degli scambi di mercato rispetto al peso incombente delle gerarchie pubbliche. Le banche, il dualismo territoriale, la pubblica amministrazione ed il governo dei processi politici sono i freni che impediscono la crescita italiana. Di questo si preoccupano anche le diagnosi formulate dalla BCE e della Commissione.
Come Draghi si preoccupa di un mondo dove i tassi di interesse restano a zero: perché senza ricondurre ad un coordinamento con la politica monetaria le riforme strutturali e la politica fiscale, i tassi di interesse a zero intralciano ulteriormente le esigenze delle banche ed impediscono un ragionevole ed efficiente incrocio tra il risparmio e l’investimento. Serve uno scatto di reni, altrimenti il nostro paese potrebbe rischiare di essere radicalmente ridimensionato. Del resto le prime stime sulla crescita erano apparse a gennaio del 2016. Una svolta indicava all’Europa di tornare ai propri mercati domestici. Dato che i mercati dei paesi emergenti, ed i Governi che li guidano, avevano ridefinito i propri progetti: esportare meno ed incrementare la crescita nei propri confini nazionali.
Mario Draghi, il 25 gennaio del 2016, indicava una duplice direzione di marcia: “La solidità economica interna può prevalere sulla debolezza mondiale” e “le prospettive dell’economia mondiale nel 2016 sono incerte. Tuttavia, la nostra sfida nell’area dell’euro consiste nel fare in modo che i venti sfavorevoli a livello mondiale non portino fuori rotta la nostra ripresa interna. A questo scopo, tutti i responsabili delle politiche (interne all’Unione Europea) devono adoperarsi per rafforzare la fiducia”. Arrivati alla primavera inoltrata del 2016 siamo stati circondati da due domande: Si muoverà l’economia italiana? Esiste un quadro di politica economica che possa prendere, nel nostro paese ed in Europa, una configurazione diversa dal passato?
Nella settimana seguente, alla fine di maggio, abbiamo avuto un salto di orgoglio, da parte del nuovo presidente della Confindustria, l’associazione, che regge le sorti di larga parte delle imprese italiane, e dal nuovo Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, che hanno collegato le attese di rinnovamento, della Confindustria, ad una tempestiva rivisitazione della strutture del suo ministero e ad una robusta partnership tra Governo e mondo imprenditoriale. Per dare un colpo di accelerazione alla crescita potenziale della nostra economia. Su un altro fronte, infine, il Ministro Padoan accelerava la possibile privatizzazione di grandi imprese pubbliche ed indicava che il ridimensionamento del debito pubblico si sarebbe realizzato anche grazie a questi effetti. Mentre la pressione fiscale, sulle imprese e sui lavoratori, avrebbe dovuto essere ridimensionata per aprire gli spazi di una crescita economica: sia per una nuova spinta agli investimenti che per un aumento della domanda nei consumi delle famiglie. Padoan, infine, intendeva valorizzare la dimensione fiscale anche rispetto al costo del lavoro: il cuneo fiscale che appesantisce i costi dell’impresa e restringe la possibilità di aumentare la liquidità da trasferire ai lavoratori. Fin qui sarebbe stata fondata la scommessa della crescita economica italiana. Ma una tornata elettorale nelle grandi metropoli, ed in molte città significative, era stata preparava prima dell’estate. In autunno, inoltre, ci saranno altre scadenze elettorali nazionali e nelle altre nazioni europee. Il Governo aveva elaborato una prima manovra di aggiustamento entro l’estate. Ma una mancata elaborazione di una nuova legge elettorale in poche settimane si è presentata, invece, in autunno.
Mario Draghi, nel 2017, ha aperto insomma una campagna di politica economica che possa andare oltre la politica economica non convenzionale e possa spingere la stessa politica, in quanto tale, a trovare soluzioni sia nel nostro paese che nell’ambito dell’Unione Europea. Affiancando, a questa circostanza, la necessità di aumentare la convergenza verso la crescita dell’Unione Europea.



3. Mario Draghi propone una nuova politica liberale in Europa

Ci sono alcune manifestazioni pubbliche di Mario Draghi che propongono, dal 2016 ad oggi, una intensificazione delle ragioni e degli strumenti che una politica liberale europea ha utilizzato all’indomani della seconda guerra mondiale ed alla nascita dei processi di convergenza delle nazioni europee.
Robert Marjolin ad esempio, è stato una figura centrale nella nascita dell’Unione economica e monetaria. Il Trattato di Roma nel 1957 proponeva una prima costruzione convergente tra gli Stati europei ma gli obiettivi della Comunità economica europea furono limitati solo alla creazione di un’unione doganale e di un mercato agricolo comune. Non si riteneva di trovare una soluzione necessaria per una integrazione monetaria. Il “Memorandum Marjolin” del 1962 propose il riconoscimento di un legame tra mercato unico e moneta unica ed venne avviata una discussione seria sull’integrazione monetaria europea6. Oggi l’integrazione monetaria nell’area dell’euro è completa e sicura. Ma secondo Mario Draghi “la politica monetaria è posta di fronte a numerose sfide che, pur non avendo cambiato il nostro mandato, hanno modificato il modo in cui lo assolviamo. Per comprendere come abbiamo affrontato queste sfide, è utile dividerle in due categorie. La prima include le sfide comuni a tutte le banche centrali delle economie avanzate, che sono connesse al contesto di bassa inflazione a livello internazionale. La seconda è rappresentata da quelle specifiche dell’area dell’euro, che sono collegate al nostro particolare contesto istituzionale”7.
Mentre Marjolin aveva un profilo politico di carattere sociale Mario Draghi, nel 2016, riceve un premio “Alcide de Gasperi”8.
“La ragione ultima di esistenza di un governo consiste nell’offrire ai propri cittadini sicurezza fisica ed economica e, in una società democratica, nel preservare le libertà e i diritti individuali insieme a un’equità sociale che rispecchi il giudizio degli stessi cittadini.
Coloro – continua Draghi – che nel secondo dopoguerra volsero lo sguardo all’esperienza dei trent’anni precedenti conclusero che quei governi emersi dal nazionalismo, dal populismo, da un linguaggio in cui il carisma si accompagnava alla menzogna, non avevano dato ai loro cittadini sicurezza, equità, libertà; avevano tradito la ragione stessa della loro esistenza. Nel tracciare le linee dei rapporti internazionali tra i futuri governi, De Gasperi e i suoi contemporanei conclusero che solo la cooperazione tra i paesi europei nell’ambito di una organizzazione comune poteva garantire la sicurezza reciproca dei loro cittadini. La democrazia all’interno di ogni paese non sarebbe stata sufficiente; l’Europa aveva anche bisogno di democrazia tra le sue nazioni. Era chiaro a molti che erigere steccati tra paesi li avrebbe resi più vulnerabili, anche per la loro contiguità geografica, meno sicuri; che ritirarsi all’interno dei propri confini avrebbe reso i governi meno efficaci nella loro azione. Dalle parole che De Gasperi pronunciò in vari discorsi in quegli anni traspare la sua visione di come doveva caratterizzarsi questo processo comunitario.
Le sfide comuni andranno affrontate con strategie sovranazionali anziché intergovernative. All’Assemblea della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) del 1954 De Gasperi afferma: dal 1919 al 1939 sono stati conclusi circa settanta trattati intergovernativi e tutti si sono ridotti a carta straccia quando si è dovuti passare alla loro attuazione, perché mancava il controllo congiunto delle risorse comuni. L’esperienza dei politici trovava riscontro nelle analisi di eminenti economisti, fra cui Ragnar Nurkse, che mettevano in luce come i trattati intergovernativi finissero per fomentare il protezionismo. L’integrazione doveva prima di tutto rispondere ai bisogni immediati dei cittadini. Sempre nelle sue parole: dobbiamo iniziare mettendo in comune soltanto lo stretto indispensabile per la realizzazione dei nostri obiettivi più immediati, e farlo mediante formule flessibili che si possano applicare in modo graduale e progressivi. L’azione comunitaria andava concentrata in ambiti in cui era chiaro che l’azione individuale dei governi non fosse sufficiente: il controllo congiunto delle materie prime della guerra, in particolare carbone e acciaio, costituì uno dei primi esempi.
In tal modo i padri del progetto europeo furono capaci di coniugare efficacia e legittimazione. Il processo era legittimato dal consenso popolare e trovava il sostegno dei governi: il progetto era diretto verso obiettivi in cui l’azione delle istituzioni europee e i benefici per i cittadini erano direttamente e visibilmente connessi; l’azione comunitaria non limitava l’autorità degli Stati membri, ma la rafforzava e trovava quindi il sostegno dei governi”9.
Quali possono essere le risposte necessarie per trovare soluzioni in Europa? Questo è il problema che avanza Draghi in questa occasione di “confrontarsi” con De Gasperi. “La domanda è semplice ma fondamentale: lavorare insieme è ancora il modo migliore per superare le nuove sfide che ci troviamo a fronteggiare? Per varie ragioni, la risposta è un sì senza condizioni. Se le sfide hanno portata continentale, agire esclusivamente sul piano nazionale non basta. Se hanno respiro mondiale, è la collaborazione trai i suoi membri che rende forte la voce europea … La massa critica di un’Europa che parla con una voce sola ha condotto a risultati ben oltre la portata dei singoli paesi. Solo la spinta esercitata dai paesi europei che hanno presentato un fronte comune ha permesso il successo della conferenza sul clima di Parigi. Solo l’esistenza dell’Unione Europea ha permesso la costruzione di questo fronte comune. In un mondo in cui la tecnologia riduce le barriere fisiche, l’Europa esercita la sua influenza anche in altri modi. La capacità dell’Europa, con il suo mercato di 500 milioni di consumatori, di imporre il riconoscimento dei diritti di proprietà a livello mondiale o il rispetto dei diritti alla riservatezza in Internet è ovviamente superiore a ciò che un qualsiasi Stato membro potrebbe sperare di ottenere da solo. La sovranità nazionale rimane per molti aspetti l’elemento fondamentale del governo di un paese. Ma per ciò che riguarda le sfide che trascendono i suoi confini, l’unico modo di preservare la sovranità nazionale, cioè di far sentire la voce dei propri cittadini nel contesto mondiale, è per noi europei condividerla nell’Unione Europea che ha funzionato da moltiplicatore della nostra forza nazionale. Quanto alle risposte che possono essere date soltanto a livello sovranazionale, dovremmo adottare lo stesso metodo che ha permesso a De Gasperi e ai suoi contemporanei di assicurare la legittimazione delle proprie azioni: concentrarsi sugli interventi che portano risultati tangibili e immediatamente riconoscibili”.
Draghi conclude in questi termini: “Tali interventi sono di due ordini.
Il primo consiste nel portare a termine le iniziative già in corso, perché fermarsi a metà del cammino è la scelta più pericolosa. Avremmo sottratto agli Stati nazionali parte dei loro poteri senza creare a livello dell’Unione la capacità di offrire ai cittadini almeno lo stesso grado di sicurezza. Un autentico mercato unico può restare a lungo libero ed equo solo se tutti i soggetti che vi partecipano sottostanno alle stesse leggi e regole e hanno accesso a sistemi giudiziari che le applichino in maniera uniforme. Il libero mercato non è anarchia; è una costruzione politica che richiede istituzioni comuni in grado di preservare la libertà e l’equità fra i suoi membri. Se tali istituzioni mancheranno o non funzioneranno adeguatamente, si finirà per ripristinare i confini allo scopo di rispondere al bisogno di sicurezza dei cittadini.
Pertanto, per salvaguardare una società aperta occorre portare fino in fondo il mercato unico. Ciò che rende oggi questa urgenza diversa dal passato è l’attenzione che dovremo porre agli aspetti redistributivi dell’integrazione, verso coloro che più ne hanno pagato il prezzo. Non credo ci saranno grandi progressi su questo fronte e più in generale sul fronte dell’apertura dei mercati e della concorrenza se l’Europa non saprà ascoltare l’appello delle vittime in società costruite sul perseguimento della ricchezza e del potere; se l’Europa, oltre che catalizzatrice dell’integrazione e arbitra delle sue regole non divenga anche moderatrice dei suoi risultati. È un ruolo che oggi spetta agli Stati nazionali, che spesso però non hanno le forze per attuarlo con pienezza. È un compito che non è ancora definito a livello europeo ma che risponde alle caratteristiche delineate da De Gasperi: completa l’azione degli Stati nazionali, legittima l’azione europea. Le recenti discussioni in materia di equità della tassazione, e quelle su un fondo europeo di assicurazione contro la disoccupazione, su fondi per la riqualificazione professionale e su altri progetti con la stessa impronta ideale vanno in questa direzione. Ma poiché l’Europa deve intervenire solo laddove i governi nazionali non sono in grado di agire individualmente, la risposta deve provenire in primo luogo dal livello nazionale. Occorrono politiche che mettano in moto la crescita, riducano la disoccupazione e aumentino le opportunità individuali, offrendo nel contempo il livello essenziale di protezione dei più deboli. In secondo luogo, se e quando avvieremo nuovi progetti comuni in Europa, questi dovranno obbedire agli stessi criteri che hanno reso possibile il successo di settant’anni fa: dovranno poggiare sul consenso che l’intervento è effettivamente necessario; dovranno essere complementari all’azione dei governi; dovranno essere visibilmente connessi ai timori immediati dei cittadini; dovranno riguardare inequivocabilmente settori di portata europea o globale.
Se si applicano questi criteri, in molti settori il coinvolgimento dell’Europa non risulta necessario. Ma lo è invece in altri ambiti di chiara importanza, in cui le iniziative europee sono non solo legittime ma anche essenziali. Tra questi oggi rientrano, in particolare, i settori dell’immigrazione, della sicurezza e della difesa …. In conclusione torno a citare Alcide De Gasperi, le cui parole conservano dal 1952 a oggi tutta la loro attualità: La cooperazione economica è certamente il risultato del compromesso tra desiderio naturale di indipendenza di ogni partecipante e aspirazioni politiche preminenti. Se la cooperazione economica europea fosse dipesa dai compromessi avanzati dalle varie amministrazioni coinvolte, saremmo incappati probabilmente in debolezze e incoerenze. È dunque l’aspirazione politica all’unità a dover prevalere. Deve guidarci anzitutto la consapevolezza fondamentale che la costruzione di un’Europa unita è essenziale per assicurarci pace, progresso e giustizia sociale”.
E veniamo al terzo uomo politico liberale, ma anche alle capacità di essere attori politici e nello stesso tempo avere chiari le strutture dell’economia e della società: dopo Marjolin e De Gasperi ecco Cavour che seppe stimare con esattezza, conscio di quanto il loro appoggio fosse necessario, sia la realizzazione dei compromessi indispensabili ma anche mantenendo nell’essenziale dei processi la guida dell’iniziativa politica. Ed ancora la necessità di una cultura non provinciale ed il fatto, necessario, che il progresso politico non fosse mai disgiunto da quello economico. Con questo spirito Draghi completa la triade di tre importanti pilastri ai quali si è appoggiato dal 2016 al 2017 nelle sue conferenze10.
“Il progresso dell’Europa era per Cavour quello dei liberali. In un senso insieme politico ed economico, per cui “il risorgimento politico non va mai disgiunto dal suo risorgimento economico. Un popolo governato da un benefico Principe che progredisce nelle vie della civiltà, deve di necessità progredire in ricchezza, in potenza materiale. Le condizioni dei due progressi sono identiche”. (Cavour, Influenza delle riforme sulle condizioni economiche dell’Italia, Risorgimento, 15 dicembre 1847). Sotto l’aspetto più direttamente politico la libertà dei cittadini e l’unità nazionale erano per i liberali della razza di Cavour indissolubili; un nesso da cui origina fra l’altro quell’iscrizione “civium libertati patriae unitati” che venne posta cinquanta anni dopo l’Unità in cima al monumento a Vittorio Emanuele II a Roma. Questo è il tema della sua idea liberale, nonostante sia, ovviamente, una condizione che Cavour utilizza nell’Ottocento. Ma continuiamo ad utilizzare anche noi il metodo che propone Draghi in questa occasione.“Nel suo programma economico, centrale fu l’impegno incessante per la riduzione delle barriere doganali (conseguita tramite una serie di trattati bilaterali) e per l’integrazione dei mercati, nella convinzione – non solo di principio ma maturata sulla base della sua approfondita esperienza di imprenditore agricolo – che la concorrenza fosse lo stimolo essenziale per elevare l’efficienza produttiva e promuovere il progresso tecnologico. Egli fu in primo luogo un uomo di azione nel senso più alto, attento ai risultati concreti, proteso verso mete ambiziose ma allo stesso tempo realizzabili. Refrattario a ogni fondamentalismo dottrinario, da liberale assegnò allo Stato il compito di contribuire in misura essenziale alla creazione delle infrastrutture di comunicazione necessarie allo sviluppo, in primo luogo di quelle ferroviarie, all’epoca alla frontiera, se non simbolo stesso, del progresso tecnico. Nella stessa vena, difese il principio di un’assistenza ai poveri a carico dello Stato, nella misura in cui questa non erodeva gli incentivi dei lavoratori ad assumere un’occupazione.
Fece suo l’obiettivo di un’Italia unita e indipendente soprattutto perché vedeva unità e indipendenza quali condizioni essenziali di progresso, di civiltà, ma anche perché solo un’Italia unita e indipendente avrebbe potuto affermare i propri valori in Europa e da questa trarre impulso di crescita. Un secolo dopo, finita la seconda guerra mondiale, quell’idea assunse una forma più compiuta e ambiziosa, evolvendo nell’obiettivo di un’unione economica e poi politica come approdo necessario della civiltà europea. La sollecitazione è stata allora ricercata nella decisione dell’Italia di partecipare al processo di integrazione, attraverso passaggi sempre più stringenti: la Comunità europea del carbone e dell’acciaio nel 1951, il mercato comune nel 1957, il mercato unico nel 1985, l’Unione economica e monetaria avviata a Maastricht nel 1992, l’adesione alla moneta unica nel 1998. In una fase di instabilità del continente europeo, Cavour trovò proprio nell’Europa, nella connessa idea di progresso verso una forma superiore di civiltà così come la intendeva la visione liberale, un’àncora della sua azione per il rinnovamento del Regno di Sardegna e per l’unità dell’Italia. Proprio perché, da vero patriota, il suo amore per l’Italia era così forte e illuminato dall’intelligenza, esso non fece mai velo al suo giudizio: l’Italia aveva bisogno dell’Europa per crescere, per progredire, per ‘star meglio’. Un Paese che ha bisogno dell’Europa per conquistare la propria indipendenza e la propria unità a cui anelava da secoli senza successo, continuerà ad averne bisogno per affrontare le sfide che si porranno nel corso della sua esistenza. Ma a Cavour fu sempre chiaro che il rapporto con l’Europa sarebbe stato fertile se il Paese avesse appreso a progredire e a crescere anche da solo. Altrimenti, la sua stessa indipendenza sarebbe stata compromessa. Allora, come oggi, il rapporto con l’Europa era fondato sulla solidarietà derivante dal mutuo beneficio e sulla responsabilità degli Stati nazionali indipendenti. In un contesto pur così diverso come quello attuale, la sua ispirazione, la sua maestria nel tenere conto con ambizioso realismo degli interessi delle forze in campo, la sua capacità di tenere unite le forze interne ed esterne al paese necessarie al conseguimento del proprio progetto, in definitiva il suo straordinario successo, sono, specialmente in questi giorni ricchi di richiami a cupi passati, una irresistibile fonte di ispirazione per chiunque, non solo in Italia, veda nella collaborazione internazionale l’unico modo di governare problemi che gli Stati nazionali non riescono ormai da molto tempo a risolvere da soli”.



4. Padoan sposta i contenuti del Def elaborato in primavera alla fine dell’anno e propone la legge di stabilità al Parlamento

Nel trapasso tra il 2016 ed 2017, come abbiamo scritto nei paragrafi precedenti, l’Italia ha avuto una doppia trasformazione. Da una parte è venuta meno la possibilità di una radicale trasformazione della Costituzione e, di conseguenza, si è avuta una trasformazione del Governo precedente che, comunque, ha continuato nei processi nei comportamenti necessari per attivare la crescita e per supportare lo sviluppo economico, in seconda battuta. Molti ministri sono rimasti nelle posizioni di Governo, in particolare per le posizioni che riguardavano l’economia. Padoan, Calenda e Del Rio sono la terna che procede adeguatamente verso gli obiettivi della crescita.
L’avvio del 2017, dopo la lunga parentesi del secondo semestre 2016, non ha consentito una rapida rincorsa. Nel secondo semestre sono emersi i primi elementi interessanti; nel terzo, e si spera anche nel quarto trimestre, sarà possibile ottenere un profilo maggiore rispetto alle attese dell’anno precedente.
Tra la crescita, che si è sta affermando nel secondo semestre del 2017, ed il sentiero stretto di una politica a medio termine che dovrebbe assestarsi, convergendo verso l’Unione Europea e riportando la propria presenza al centro dell’area euro tra Germania e Francia, è stato necessario un cambio di passo nel DEF, il Documento di Economia e Finanza che viene coordinato e diretto dal ministro Padoan.
Nella prima parte dell’anno (11 aprile 2017) è stato realizzato un DEF in aprile che introduceva un tema rilevante: la prolungata crisi recessiva, apertasi nel trapasso dal 2008 al 2013, si è avviata nel 2014 lungo un sentiero adeguatamente capace di riprendere il passo della crescita e si è andata rafforzando nel biennio successivo. Il livello del pil nel 2014 è stato rivisto al rialzo e quello del 2015, analogamente. Si tratta di un rialzo di quasi 10 miliardi nel 2014 e di oltre 9 miliardi nel secondo anno.
Nel trapasso tra aprile e la stagione estiva, sono stati necessari alcuni effetti contradditori: sul piano politico si è aperta una stagione di incertezza sulla natura dei tempi e delle modalità con cui si sarebbe andati alla creazione di un nuovo Parlamento; sul piano economico si prospettava, invece, la possibilità di avviare un profilo più alto alle grandezze economiche.
Nella contrapposizione tra l’incertezza politica, che va progressivamente impegnandosi verso la conclusione dell’attività parlamentare ed una nuova legislatura nel 2018, è stato elaborato un nuovo DEF che possa rialzare il profilo precedente del documento presentato al Parlamento il giorno 11 aprile 2017.
Lo scenario programmatico presenta cambiamenti significativi.
Il Governo intende ridurre l’aggiustamento strutturale del bilancio per il 2018 da 0,8 punti percentuali a 0,3 punti. La base di questa rinnovata ipotesi di politica economica si fonda su un miglioramento graduale, ma strutturale, della finanza pubblica, rispetto alla revisione della spesa, una maggiore efficienza operativa nelle amministrazioni pubbliche, e sul contrasto all’evasione ed all’elusione fiscale.
Questo approccio è legato da una parte al lascito della crisi a monte degli anni precedenti; alla pressione deflazionistica, che è ancora presente, ed in termini adeguati, alle nuove stime del documento; dall’altra parte è necessario mantenere la sostenibilità del debito pubblico. Il confronto tra i due documenti (il nuovo DEF è stato presentato a settembre) e si realizza attraverso il ciclo 2016/2020 dei prossimi anni. Il pil del DEF aprile quota 0,9% nel 2016 ed 1,1% nel 2017. Il PIL del DEF settembre quota 0,9% nel 2016 ed 1,5% nel 2017. Il primo DEF rimane con un pil ad 1,1% nel 2020 mentre il secondo DEF arriva ad 1,3% sempre nel 2020. Nel 2018, insomma, ci dovremmo ritrovare in crescita ma questa crescita dovrà essere tutelata da un notevole rigore nella valutazione del ricambio politico che verrà generato dal Parlamento e dal Governo.
Il confronto tra i due documenti (il nuovo DEF è stato presentato a settembre) e si realizza attraverso il ciclo 2016/2020 dei prossimi anni. Il pil del DEF aprile quota 0,9% nel 2016 ed 1,1% nel 2017. Il PIL del DEF settembre quota 0,9% nel 2016 ed 1,5% nel 2017. Il primo DEF rimane con un pil ad 1,1% nel 2020 mentre il secondo DEF arriva ad 1,3% sempre nel 2020.
Il tasso di disoccupazione nel DEF aprile ammontava nel 2016 ad 11,7% mentre nel 2020 arriverebbe al 10%. Nel secondo DEF settembre il tasso di disoccupazione rimane ancorato ad 11,7% mentre nel 2020 cala al 9,5%.
La discesa del rapporto debito/pil sarebbe, infine, lievemente minore in confronto al DEF settembre rispetto al DEF aprile nella seconda parte dell’orizzonte di programmazione (2019/2020) andando a ridursi fino al 123,9 per cento. Nel caso del DEF aprile il debito pubblico si sarebbe assestato a 125,7 per cento al 2020.
Come ha ben detto il ministro Padoan ci muoviamo su un sentiero stretto e dovremo impegnare sia le forze della produttività e delle innovazioni, che quelle dei mercati finanziari, oltre la riduzione delle spese correnti e la crescita delle spese per infrastrutture, per ottenere risultati adeguati nel 2020. Non sarà facile collegare alcuni problemi: il percorso del sentiero stretto della crescita economica; una riduzione più marcata della riduzione rispetto all’attuale debito pubblico; la nuova legge per definire il modo e la struttura per la creazione del nuovo Parlamento; la costruzione di un nuovo Governo in seguito alla tornata elettorale.
Di fronte a questa difficile soluzione che dovrebbe portare l’Italia al 2020, bisognerà progressivamente allargare la numerosità degli attori che devono far convergere tra loro gli Stati, le economie ed i mercati che sono inclusi nell’Unione Europea. Perché sarebbe utile e necessario costruire un ulteriore processo di unificazione tra il gruppo dei paesi che fanno perno sull’euro ed il gruppo dei paesi che fanno perno sul mercato ed utilizzano l’euro e, ciascuno di loro, una propria moneta. In un libro, scritto molto prima del suo incarico di Ministro, Padoan si proponeva una divaricazione precisa: agire in conflitto tra gli attori dell’euro e del mercato, divaricando l’insieme dell’Unione, oppure far convergere gli attori dell’euro e quelli del mercato per ottenere una convergenza affidabile e stabile per la ripresa della crescita e dello sviluppo economico11.
Se il complesso di questo processo potrà svilupparsi nei prossimi anni, probabilmente, l’Unione Europea potrebbe diventare il più grande mercato del sistema continentale, rispetto al resto delle economie avanzate. Mentre le economie emergenti dovranno rincorrere, più velocemente, e dunque ricomponendo processi di convergenza tra economie avanzate ed economie emergenti, i grandi mercati globali.
Quando questo scenario, di cooperazione interna alla Unione europea e di collaborazione tra un gruppo importante ed autorevole di Stati, si sostituisse al doppio consolato, della Merkel e di Macron, ci sarebbe comunque una ulteriore debole realizzazione del progetto europeo e non un vero e proprio salto in avanti.
Lo sfondo dello scenario, in chiave di cooperazione e di collaborazione, sarebbe ovviamente disegnato con un carattere politico liberal–democratico. Una sorta di primo passo verso una confederazione di Stati nei prossimi anni.



5. Macron & Merkel

l’Unione Europea si propone, dopo le elezioni in Francia ed in Germania, verso una trasformazione radicale: i due pilastri, attuali, del nesso tra Francia e Germania si vanno orientando verso una trasformazione liberale ma non trovano ancora gli strumenti e le risorse per rilanciare l’Europa. Probabilmente non si trovano ancora soluzioni perché è in corso una ondata di trasformazioni sociali ed economiche, in Europa, che non è ancora possibile comprendere e governare12.
Macron e la Merkel sono oggi i due pilastri di un sistema molto pesante. Come scriveva nel 1996 Padoan è difficile far competere due club, uno che ha come perno la nuova moneta, l’euro, l’altro che ha come perno il mercato nel quale possono circolare le merci, l’euro e le monete degli altri paesi del club, quelli che non hanno ancora assestato l’euro nella banca centrale europea. Ma ci sono stati molti anni e questo potrebbe essere il momento per aumentare la possibilità delle strategie future. Macron e la Merkel sono capaci di governare attraverso il potere politico di ognuno di essi rispetto allo Stato che viene governato. Sembrano, e forse sono e sarebbero, i due azionisti di maggioranza per governare, attraverso il Consiglio dei Capi di stato e di Governo, la Commissione Europea ed i suoi apparati.
Se si guarda alla Commissione si nota subito che il piano Junker, la necessità di un ministro delle finanza e dei bilanci degli Stati partecipanti, la querelle dei debiti nazionali segregati e la querelle, che sta un passo avanti alla prima, dell’Unione Bancaria.
Ci sono quattro questioni che potrebbero certamente collocarsi nella relazione tra la Commissione e la BCE. In questo caso emergono anche le prime opinioni di Barry Evergreen per aprire la possibilità di una trasformazione tra la BCE ed una sorta di Fondo Monetario Europeo13. Lo stesso Junker ritiene utile un Ministro delle Finanze per la Commissione Europea. In effetti le ipotesi che Eichengreen e Reichlin avanzano sui problemi della monta e delle banche sono decisamente interessanti e bisogna allargare l’attenzione a queste ipotetiche soluzioni che aumenterebbero la qualità e la capacità della BCE. Cos come Dani Rodrik cerca di allargare i temi e le opzioni possibili dei mercati del lavoro. Un Ministro delle Finanze sembra una operazione molto collegata al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo: le questioni del fisco e dei bilanci pubblici sono collegate ai singoli Stati nazionali ed ognuno di questi Stati considera diversi gli effetti che questo tipo di gestioni devono esistere ma solo per i ognuno dei singoli stati in questione.
Ma le questioni più idonee relative alla Commissione, banche e moneta, sono solo una parte dei problemi generali che andrebbero osservati. Per il fisco ed i bilanci pubblici le questioni sono davvero segmentate rispetto alle regole dei singoli stati nazionali.
Macron e la Merkel sono impegnati su questi temi quando devono accedere ai propri Governi ed alle loro articolazioni ma pro prio la doppia novità, di Macron – che ha messo all’angolo la destra francese mentre la frammentazione delle elezioni in Germania, ha messo all’angolo la SPD – potrebbe produrre nuove strategie e nuove soluzioni. Se ne sente la traccia nei quotidiani e nella comunicazione, di una nuova stagione dell’Unione Europea. Si sente questa voglia di cambiamento, di mettere fuori gioco la lunga stagione del ventesimo secolo e la recessione del 2008. Ma non si capisce come e con che strumenti si possano costruire nuove strategie, nuove gerarchie operative, nuove soluzioni per la crescita e per la conoscenza, alla scala del nostro mondo europeo e continentale. Se si riesce a scoprire un sistema che presenta notevoli innovazioni si devono anche manovrare le nuove innovazioni ed i nuovi strumenti del sistema. Mario Draghi ha scelto di portare sul piano della politica, liberale, un luogo nel quale si possa decidere cosa e come si deve realizzare una trasformazione del mondo globale che ci circonda13bis.
E, sotto un profilo politico, ha proposto una dimensione liberale nella politica dell’Unione Europea. Ora bisogna completare la costruzione della BCE e cercare una politica economica che non sia solo una politica monetaria non convenzionale. Macron e la Merkel, grazie agli sforzi di Draghi per un salto in avanti dell’economia reale e finanziaria, possono cercare di trovare le soluzioni necessarie almeno fino al 2020. Una volta entrati nel terzo decennio dell’euro ci saranno certamente nuovi ed ancora incogniti cambiamenti.















NOTE
1 Si vedano il paper di Draghi, le ricerche degli economisti ed i cinque punti de La Repubblica
https://www.bis.org/review/r170829d.htm. Mario Draghi: Sustaining openness in a dynamic global economy. Speech by Mr Mario Draghi, President of the European Central Bank, at the Federal Reserve Bank of Kansas City Economic Symposium “Fostering a Dynamic Global Recovery", Jackson Hole, Wyoming, 25 August 2017.
https://www.kansascityfed.org/publications/research/escp/symposiums/escp-2017
Fostering a Dynamic Global Economy: 24/26 agosto 2017; The Federal Reserve Bank of Kansas City hosts dozens of central bankers, policymakers, academics and economists from around the world at its annual economic policy symposium, Aug. 24-26, 2017, in Jackson Hole, Wyo.
http://www.repubblica.it/economia/2017/08/25/news/jackson_hole_5_grafici-173825737/
Economia & Finanza, in “La Repubblica”, 25 agosto 2017: Cinque grafici per capire Jackson Hole
Al summit dei banchieri centrali sono in programma gli interventi di Mario Draghi e Janet Yellen:. Dall’inflazione alla bolla speculativa: ecco le cinque parole chiave del vertice.^
2 La consueta conferenza stampa ufficiale di Mario Draghi, Presidente della BCE, e di Vítor Constâncio, Vicepresidente della BCE, si svolge a Francoforte sul Meno, il 10 marzo 2016. Con il consueto protocollo: testo ufficiale la conferenza con i giornalisti della stampa internazionale. Ma si legga anche un altro documento di complemento allo sviluppo dei processi in corso.
Come la solidità economica interna può prevalere sulla debolezza mondiale, Discorso di Mario Draghi, Presidente della BCE, al ricevimento organizzato da Deutsche Börse Group in occasione del nuovo anno, Eschborn, 25 gennaio 2016.
Il testo si può leggere, anche in lingua italiana, nel sito web della BCE at http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2016/html/sp160125_1.it.html^
3 Ecco la Dichiarazione introduttiva alla conferenza stampa, Mario Draghi, Presidente della BCE,
Vítor Constâncio, Vicepresidente della BCE, Francoforte sul Meno, 10 marzo 2016.
Il tema si propone in apertura ed in coda al discorso di Draghi.“Sulla base della consueta analisi economica e monetaria abbiamo condotto un riesame accurato dell’orientamento di politica monetaria, nel cui ambito abbiamo tenuto conto anche delle nuove proiezioni macroeconomiche formulate dai nostri esperti con un orizzonte che si estende al 2018. Il Consiglio direttivo ha quindi deciso una serie di misure, nel perseguimento del suo obiettivo di stabilità dei prezzi. Questo insieme articolato di misure, che sfrutterà le sinergie tra i diversi strumenti, è stato calibrato per conseguire un ulteriore allentamento delle condizioni di finanziamento, stimolare l’offerta di nuovi crediti e quindi rafforzare il vigore della ripresa dell’area dell’euro e accelerare il ritorno dell’inflazione su livelli inferiori ma prossimi al 2%.” E per le conclusioni commenta un contesto adeguato alla situazione “In sintesi, la verifica incrociata degli esiti dell’analisi economica con le indicazioni derivanti dall’analisi monetaria ha confermato la necessità di un ulteriore stimolo monetario per assicurare il ritorno dell’inflazione verso livelli inferiori ma prossimi al 2% senza indebito ritardo. La politica monetaria si incentra sul mantenimento della stabilità dei prezzi nel medio periodo e il suo orientamento accomodante sostiene l’attività economica. Tuttavia, per poter fruire appieno dei benefici derivanti dalle nostre misure di politica monetaria, le altre politiche devono fornire un contributo decisivo. Tenuto conto della persistenza di una disoccupazione strutturale elevata e della modesta crescita del prodotto potenziale nell’area dell’euro, la ripresa ciclica in atto dovrebbe essere sorretta da politiche strutturali efficaci. In particolare, per accrescere gli investimenti e favorire la creazione di posti di lavoro sono indispensabili interventi che aumentino la produttività e migliorino il contesto in cui operano le imprese assicurando, fra l’altro, infrastrutture pubbliche adeguate. L’attuazione tempestiva ed efficace delle riforme strutturali, in condizioni di politica monetaria accomodante, non solo indurrà una crescita economica sostenibile più elevata nell’area dell’euro, ma rafforzerà anche la capacità di tenuta dell’area agli shock mondiali. Come indicato dalla Commissione europea, l’attuazione delle raccomandazioni specifiche per paese è rimasta piuttosto limitata nel 2015; la maggior parte dei paesi dell’area dell’euro deve quindi intensificare l’impegno sul fronte delle riforme. Le politiche di bilancio dovrebbero favorire il recupero dell’economia pur restando aderenti alle regole sui conti pubblici dell’Unione europea. La piena e coerente attuazione del Patto di stabilità e crescita è fondamentale per preservare la fiducia nel quadro di riferimento per le finanze pubbliche. Allo stesso tempo tutti i paesi dovrebbero adoperarsi per conseguire una composizione delle politiche di bilancio più favorevole alla crescita”.^
4 Si veda il testo Come le banche centrali affrontano la sfida dell’inflazione bassa, Marjolin Lecture tenuta da Mario Draghi, Presidente della BCE, alla Conferenza SUERF organizzata dalla Deutsche Bundesbank, Francoforte, 4 febbraio 2016.^
5 Nel DEF 2016, il documento di Economia e Finanza presentato in Parlamento dal ministro Padoan, si sviluppava anche un ragionamento in tre tempi per definire e tracciare la strada della crescita. Nel trapasso tra il 2015 ed il 2016 eravamo usciti da tassi negativi della crescita ma eravamo rimasti ad un tasso di crescita del 2015 intorno allo 0,8%. Nel DEF viene anche indicata una previsione tendenziale, che accompagna la spinta per la crescita: 1,2% nel 2016 e nel 2017.
A questa previsione si affianca anche un ulteriore scenario programmatico: alimentato da una politica economica e fiscale, collegata al mercato del lavoro, che indica comunque un tasso di crescita di 1,2% nel 2016 ma punta, nel 2017, ad un valore di 1,4% nel 2017 e di 1,5% nel 2018. Con una riduzione cautelare ad 1,4% nel 2019. La necessità di ricondurre il DEF 2017 presentato in primavera, in una difficile trasformazione rispetto agli effetti della legge di Bilancio, è una ulteriore difficoltà per traghettare verso la convergenze l’insieme degli Stati europei che si trovano nell’area euro e di cercare ulteriori strumenti per quegli Stati che non si trovano nellarea euro ma ne utilizzano la moneta mentre, parallelamente, si muovono in una dimensione di convergenza che collega gli Stati che assumono come pivot il mercato unico dell’Unione Europea.^
6 Nel 1958 Marjolin venne nominato membro della prima Commissione europea, presieduta da Walter Hallstein. Marjolin fu Commissario agli affari economici e monetari e venne riconfermato per un secondo mandato nel 1962. Nel novembre 1962 si candidò alle elezioni parlamentari ma non venne eletto e continuò a svolgere l’incarico di Commissario europeo fino alla scadenza del mandato nel 1967. Nel 1962 Marjolin elaborò, insieme a Robert Triffin, un piano d’azione per rafforzare l’integrazione europea, riformando il Trattato di Roma e mettendo in moto la possibilità di realizzare un’unione economica e monetaria europea. La sua uscita dalla carica di Commissario venne ostacolata dal partito gollista francese.
SUERF is the abbreviation of the Association’s original name “Société Universitaire Européenne de Recherches Financières", under which the Association was originally registered.
The Association: The European Money and Finance Forum was established on 25 November 1963 in Louveciennes, France, by a group of academics and bankers from France, the United Kingdom, the Netherlands and Belgium. SUERF is a network association of practitioners in the financial sector, central bankers and regulators, as well as academics. The focus of the Association is on the analysis, discussion and understanding of financial markets and institutions, the monetary economy, the conduct of regulation, supervision and monetary policy, and related issues. SUERF’s events provide a unique European network for the analysis and discussion of these and related issues.SUERF has evolved as a unique forum for the exchange of information, research results and ideas. Its membership embraces central banks and supervisors from most European countries, including the European Central Bank and the Bank for International Settlements, financial institutions, academic Institutions and their representatives. There is a clear advantage in facilitating dialogue between the different constituencies so that each gains from the perspectives of the others. Members are drawn from all over Europe and beyond.^
7 Si veda ancora Come le banche centrali affrontano la sfida dell’inflazione bassa; Marjolin Lecture tenuta da Mario Draghi, Presidente della BCE, alla Conferenza SUERF organizzata dalla Deutsche Bundesbank, Francoforte, 4 febbraio 2016^
8 Si veda Riscoprire lo spirito di De Gasperi: lavorare insieme per un’Unione efficace e inclusiva, Discorso di Mario Draghi, Presidente della BCE, in occasione del conferimento del premio Alcide de Gasperi, Trento, 13 settembre 2016.^
9 Ancora si tratta di Riscoprire lo spirito di De Gasperi: lavorare insieme per un’Unione efficace e inclusiva, Discorso di Mario Draghi, Presidente della BCE, in occasione del conferimento del premio Alcide de Gasperi, Trento, 13 settembre 2016.^
10 Si veda Premio Cavour 2016: Commemorazione; Discorso di Mario Draghi, Presidente della BCE, in occasione del conferimento del Premio Cavour 2016, Santena, 23 gennaio 2017.^
11 Si veda P.C. Padoan, Dal mercato interno alla crisi dello SME, Diversità ed integrazione in Europa, NIS Roma, 1996. Nel volume di Pier Carlo Padoan, in relazione alla metafora da lui proposta di un club monetario rispetto ad un club commerciale per definire le due facce dell’Europa possibile, l’autore descrive, in prima battuta, “che il processo di integrazione tra Nord, Sud ed Est dell’Europa è possibile nella misura in cui si stabilisce un rapporto tra giochi paralleli e giochi sovrapposti. In particolare si è argomentato che l’allargamento del club ad Est, di cui avrebbe beneficiato sopratutto il Nord, avrebbe ottenuto il consenso del Sud, mantenendo così la coesione all’interno della UE, nella misura in cui il Nord avesse accettato una gestione meno restrittiva delle relazioni economiche e monetarie» (p. 171).
Ma Padoan affianca, già dal 1996, una sorta di contraddizione che potrebbe ridimensionare le ambizioni europee: «Per puro spirito accademico potremmo considerare, allora, un’altra ipotesi di integrazione, che corrisponderebbe.... alla soluzione cooperativa nel gioco tra Nord ed Est, ma non anche a quella cooperativa nei giochi tra Nord e Sud. In questo caso l’unione monetaria si formerebbe solo con alcuni paesi escludendone altri – come la Grecia, il Portogallo e la stessa Italia – che non avessero raggiunto un profilo macroeconomico compatibile con l’accesso alla moneta unica … la parte settentrionale della Comunità, infatti sarebbe caratterizzata da un “nucleo forte” rappresentato da paesi omogenei sia sul piano della specializzazione commerciale che da quello del comportamento macroeconomico e ciò non potrebbe non condizionare i tempi ed i modi di ulteriori aperture verso i paesi dell’est europeo. I benefici della maggiore integrazione di questi paesi, che deriverebbero alla Germania e ai paesi europei con essa maggiormente integrati, costituirebbero una pressione difficilmente resistibile verso la coesione di maggiori aperture, anche se ciò dovesse rappresentare un accrescimento dei costi di aggiustamento per i paesi del Sud” (p. 172). Le vicende alle quali abbiamo assistito nella storia dell’euro sono passate attraverso queste possibilità ma molte questioni restano ancora aperte.^
12 Si veda Angelo Bolaffi e Pierluigi Ciocca, Germania/Europa, due punti si vista sulle opportunità ed i rischi dell’egemonia tedesca, Saggine, Donzelli Editore, 2017. Ma si veda anche Emmanuel Macron, Europa, en Marche! in “Il Foglio Quotidiano”, 30 settembre e Domenica 1 ottobre.^
13 Si veda BARRY EICHENGREEN, Il Sentiero Stretto dell’Euro, in “Project Syndicate”, 11 settembre 2017. https://www.project-syndicate.org/commentary/euro-narrow-pathfrance-germany-cooperation-by-barry-eichengreen-2017-09/italian. Si veda anche DANI RODRIK, La prima mossa di Macron sul lavoro, in “Project Syndicate”, 7 settembre 2017, https:// www.project-syndicate.org/commentary/macron-labor-reform-france-growth-by-danirodrik-2017-09/italian.
Si veda Lucrezia Reichlin, Mal comune, nessun gaudio, in “Corriere della Sera”, 14 novembre 2017 http://www.corriere.it/editoriali/14_novembre_18/mal-comune-nessun-gaudio-7600733e-6eec-11e4-a038-d659db30b64c.shtml. Ed anche Lucrezia Reichlin, Il voto della Germania e l’Italia, gli sconti che Berlino non farà,in “Corriere della Sera”, 27 settembre 2017 http://www.corriere.it/opinioni/17_settembre_26/voto-germania-l-italia-sconti-che-berlinonon-fara-651bbe26-a223-11e7-b0fb-3ce1a382cc56.shtml^
13bis Mario Draghi propone una sorta di paradigma aggiornato, rispetto al QE, nel mese di novembre. Si veda Monetary policy and the outlook for the economy, Speech by Mario Draghi, President of the ECB, at the Frankfurt European Banking Congress “Europe into a New Era – How to Seize the Opportunities”, Frankfurt am Main, 17 November 2017. Secondo Mario Draghi “La ripresa economica prosegue, ma gli sviluppi dell'inflazione rimangono ancora troppo bassi. Quindi, mentre siamo fiduciosi nella ripresa, abbiamo ancora bisogno di un approccio paziente e persistente alla nostra politica monetaria per garantire che sia raggiunta la stabilità dei prezzi a medio termine”. Ma aggiunge anche una indicazione relativa all’economia reale, ferma restando la questione della politica monetaria non convenzionale che deve ridimensionarsi nel 2018 riducendo progressivamente la liquidità fino ad ora utilizzata mensilmente. Secondo Draghi, intoducendo un profilo relativo all’economia reale dell’Unione Europea si deve valutare che “ due indicatori sono importanti per misurare la durata dell'inflazione. Il primo è la prospettiva di crescita, poiché questo ci aiuta a valutare se l'inflazione continuerà a salire come ci aspettiamo. Il secondo è l'inflazione sottostante. Questo ci consente di valutare se l'inflazione si stabilizzerà attorno al nostro obiettivo una volta che gli effetti di fattori volatili, come le oscillazioni del prezzo del petrolio e dei prodotti alimentari, si siano attenuati. Le prospettive di crescita stanno chiaramente migliorando, per tutti i motivi che ho menzionato. Ma il trend di inflazione sottostante rimane moderato. Secondo una vasta gamma di misure, l'inflazione sottostante è aumentata moderatamente dall'inizio di quest'anno, ma manca ancora un chiaro slancio verso l'alto. Un problema chiave qui è la crescita dei salari. Dalla prima metà di metà 2016, la crescita delle retribuzioni per dipendente è aumentata, recuperando circa la metà del divario rispetto alla media storica. Ma le tendenze generali rimangono moderate e non sono generiche. Per questo sono state avanzate diverse spiegazioni.
Uno è che gli effetti della bassa inflazione del passato continuano a pesare sulla crescita dei salari. Una seconda spiegazione è che il rapporto tra crescita dei salari e misure tradizionali di allentamento si è indebolito nel periodo post-crisi. Ci sono molte ragioni per cui questo indebolimento potrebbe essersi verificato. L'allentamento potrebbe essere maggiore di quanto pensassimo a causa dell'innalzamento dell'offerta di lavoro dell'errata misurazione della cosiddetta "sottoccupazione" nelle misure tradizionali di allentamento. Oppure il rapporto tra crescita lenta e crescita salariale potrebbe essere cambiato, dovuto, ad esempio, a uno spostamento dei sindacati verso la sicurezza del posto di lavoro anziché i salari in vista di una maggiore incertezza economica. Con il continuo sostegno della politica monetaria che eviterà qualsiasi inasprimento delle condizioni finanziarie, questi fattori dovrebbero lentamente svanire. Con aspettative di inflazione ben ancorate, gli effetti della bassa inflazione del passato nella formazione dei salari non dovrebbero essere persistenti. E mentre il mercato del lavoro si stringe e l'incertezza diminuisce, la relazione tra la crescita lenta e la crescita dei salari dovrebbe cominciare a riaffermarsi. Ma dobbiamo rimanere pazienti. Una terza spiegazione è che i cambiamenti strutturali dovuti alla globalizzazione e alla digitalizzazione hanno reso più difficile per le banche centrali stimolare l'inflazione interna. Ma non vediamo molte prove che suggeriscano che l'ecommerce stia deprimendo l'inflazione nell'area dell'euro oggi - almeno nella misura in cui possiamo misurarlo. Lo stesso vale per un lento mercato globale. In fact, as the global economy recovers, the foreign output gap is moving in the same direction as the euro area output gap. In breve, non siamo ancora a un punto in cui il recupero dell'inflazione possa essere autosufficiente senza la nostra politica accomodante. Un motore chiave della ripresa rimangono le condizioni di finanziamento molto favorevoli per le imprese e le famiglie, che a loro volta sono fortemente condizionate dalle nostre misure politiche. Rimane necessario, insomma, un ampio grado di stimolo monetario per far sì che le pressioni inflazionistiche sottostanti aumentino e sostengano l'inflazione complessiva nel medio periodo. Ciò si riflette nelle decisioni di politica monetaria che abbiamo preso il mese scorso. Questi mirano a segnalare la nostra crescente fiducia nell'economia della zona euro, pur riconoscendo che dobbiamo essere pazienti e persistenti affinché l'inflazione torni in modo sostenibile al nostro obiettivo”.^
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