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Il Rinvio
di G. G.
Il rinvio della discussione sulla legge elettorale al prossimo settembre fa ritenere ora probabile, più che mai prima, che il Parlamento giunga alla sua scadenza costituzionale nella prossima primavera, completando quindi la durata quinquennale della legislatura. Si allontanano, perciò, in proporzione, i timori di elezioni anticipate, con tutto ciò che una corsa elettorale improvvisata fatalmente comporta di deteriore nei modi di affrontarla.
Dovrebbe, dunque, essere – per uno svolgimento auspicabilmente non diciamo più normale, ma soltanto più positivo della vita politica italiana – una buona notizia. Beninteso, niente e nessuno possono garantire che in tal modo la questione della durata della legislatura, con tutto ciò che essa comporta, sia definitivamente chiusa. È, invece, prudente, e, insieme, necessario, non escludere del tutto che qualche improvvisa complicazione – casuale o accortamente provocata – possa disdire prima o agli inizi dell’autunno la rassicurazione fornita dal rinvio della discussione sulla legge elettorale. Il rinvio della discussione sulla legge elettorale non è nato, infatti, da una concorde volontà delle forze politiche su tale rinvio. È nato, molto più semplicemente (e, se vogliamo dirlo, più meschinamente), dalla impossibilità in cui partiti e gruppi politici si sono ritrovati, e hanno dovuto rendersi conto e prendere atto, di giungere a una qualche soluzione che avesse tante adesioni in Parlamento da poter far passare un testo, concordato o meno, di proprio gradimento.
Detto in altri termini, più semplici e realistici, il rinvio non è nato da un reale accordo unanime sull’opportunità di riesaminare la questione in autunno. È nato dalla sconfitta di tutti nello sforzo di far valere le proprie tesi o preferenze o interessi. È presumibile che il dover rassegnarsi per ora al rinvio non escluda che a settembre uno dei cosiddetti “colpi di coda”, che il gioco politico contempla quanto le strategie e le tattiche militari, cambi talmente le carte in tavola da rendere possibile allora ciò che oggi non lo è stato. Né si può del tutto escludere che già prima, e proprio in piena estate, scoppi qualche “bomba” (politica, si intende) che abbia lo stesso effetto. Ed è per ciò che abbiamo premesso che la prudenza in questa materia è un obbligo logico ancor prima che politico.
Nonostante tutto, e fino a prova contraria, la buona notizia continua, comunque, a essere tale. E non lo è soltanto in linea generale, in quanto una buona notizia è sempre l’assicurazione della continuità dell’azione di governo quando un paese è di fronte a difficoltà come quelle dell’Italia di oggi; e ancor più lo è quando un paese in tali difficoltà denuncia, con numerosi e affidabili fondamenti statistici, di stare sulla buona strada di una ripresa economica più pronunciata, sia pure di poco, rispetto alle previsioni che si facevano al riguardo e che apparivano troppo ottimistiche. Il governo Gentiloni sta mantenendo una linea di basso profilo nel suo stile di governo, che sembra gradita a gran parte, se non proprio alla maggioranza, dell’opinione pubblica. Certamente la maggioranza del paese apprezza almeno la buona volontà di un governo che fa quello che può, e che si trova a fronteggiare difficoltà che non sono soltanto di ordine economico. Ben più: si tratta di difficoltà che non sempre sono prevedibili nei loro andamenti. Si pensi, ad esempio, al repentino aggravarsi del problema dei migranti, che lo rende sempre meno sostenibile, e sul quale non si è riusciti finora a riscuotere una solidarietà europea congruente sia con la gravità del problema, sia con l’oggettivo e pieno coinvolgimento che, volente o nolente, ne deriva all’Europa: all’Europa tutta, anche quella che si presume più forte e più virtuosa.
Oltre che su questo piano generale, quella del rinvio della discussione sulla legge elettorale dovrebbe essere una buona notizia anche da altri punti di vista, e innanzitutto dal punto di vista politico.
Tutti vedono e sono in grado di giudicare lo stato di deterioramento del sistema politico nazionale. Non c’è praticamente nessun settore di questo sistema che possa vantare una buona compattezza sul piano politico-organizzativo o una reale e sufficiente chiarezza di idee sul piano programmatico. Ed è anche per questa ragione che si fa sempre più acuta nel paese la percezione della carenza di una forte, persuasiva e coinvolgente proposta politica, tale da vincere la sfiducia, la disaffezione e lo scoraggiamento, di cui l’astensione dalle urne è un indizio tanto vistoso quanto indiscutibile.
I successi riportati nella recente tornata elettorale soprattutto dalla destra, con l’imprevisto ritorno di Berlusconi a un ruolo politico di rilievo, non hanno per nulla evitato che, all’indomani dei ballottaggi, tra lui, la Meloni e Salvini si aprisse una discussione sulla direzione del polo di destra, che conferma l’impressione di una sostanziale e limitativa incoerenza del settore; e ciò senza contare che all’interno delle sue tre forze politiche si avvertono tensioni e contrasti non minori. In ogni caso, su ogni intesa fra Berlusconi e la Lega Nord e altri grava e graverà sempre l’incognita dei reali obiettivi di ciascuna delle componenti del centrodestra, nonché dei loro gruppi interni. Per quel poco che se ne sa o che se ne può supporre, questi obiettivi discordano tra loro non poco, tanto da alimentare il sospetto, spesso e molto sbandierato anche da Salvini, che Berlusconi miri, in realtà, soltanto a un’intesa da “grande coalizione” con Renzi.
Quanto al centro-sinistra, il complessivo insuccesso elettorale non ha impedito che al Partito democratico andasse il maggior numero dei comuni in cui si è votato. E, tuttavia, l’impressione di una effettiva crisi interna di questo partito e le lacerazioni tra le varie componenti del settore di centrosinistra si sono di molto accresciute e appaiono oggi alquanto più gravi che alla vigilia della tornata elettorale. Anche qui una nube non facilmente penetrabile si stende sui reali obiettivi di uomini, gruppi e partiti o movimenti. L’opposizione a Renzi che si dovrebbe coalizzare intorno a Pisapia non ha dimostrato, con la sua manifestazione nazionale del 1° luglio una reale capacità di colpire l’opinione nazionale. A sua volta, Renzi si trova oggi di fronte a difficoltà interne che sembrano accentuarsi. La tensione con Franceschini, che si aggiunge al dichiarato dissenso di Orlando e ad altri elementi, non è per nulla un buon segnale per il segretario del Partito democratico. D’altra parte, è da credere che, se Renzi insiste nel suo tirare diritto, abbia qualche ragione di farlo. Noi non crediamo affatto, peraltro, e anche qui fino a prova contraria, che egli miri a un’intesa con Berlusconi che gli dia una sicura maggioranza in Parlamento e lo sgravi della maggior parte del peso dell’opposizione interna: come si dice avanzando un sospetto speculare a quello sopra accennato che gira nella destra su Berlusconi.
Per quanto riguarda i 5 Stelle, essi hanno accusato l’insuccesso elettorale molto di più di quanto non sembri e di quanto non dicano (e, magari, non confessino a se stessi). Si ha un bel dire che le amministrative sono una cosa e le elezioni al Parlamento ne sono un’altra. Questo è vero solo fino a un certo punto; e se anche i 5 Stelle si riprendessero in qualche imprevedibile modo molto presto, resta il fatto che le recenti elezioni amministrative hanno rotto sicuramente la loro marcia trionfale e tutta in discesa e facilità verso, come essi dicono, il governo del paese. E, una volta rotti, certi incanti molto difficilmente si riformano tali e quali a prima della rottura. Né oggi i 5 Stelle appaiono così concordi e unanimi come fino a qualche tempo fa, e la sensazione di contrasti e lotte interne non è liquidabile facilmente come frutto solo di incomprensione delle cose o di semplice gossip. Il loro rilievo elettorale rimane, beninteso, cospicuo, essi rappresentano una forza in grado di determinare condizioni politiche alternative, che, per ciò che si è riusciti a capire di loro e dei loro obiettivi di sistema e politici, non sono molto rassicuranti dal punto di vista dell’interesse nazionale e della sicurezza democratica.
Considerato tutto ciò, che le elezioni non siano più da temere a brevissima scadenza è un bene. Vi dovrebbe essere il tempo di una almeno parziale ricomposizione del quadro politico, che non potrebbe che giovare al paese. Anche pochi mesi di una forte, ma aperta e leale dialettica democratica innanzitutto tra forze, gruppi e uomini interni ai vari partiti e settori dello schieramento politico nazionale dovrebbero poter bastare a una riformulazione valida e chiara del loro quadro di insieme, che dia ai cittadini italiani la possibilità di orientamenti politici e programmatici ben più chiari e affidabili di quelli dei quali oggi si dispone.
Una tale ricomposizione del quadro nazionale – ci sia lecito dirlo, e sia detto tutt’altro che marginalmente – ha nel Mezzogiorno un teatro di particolare importanza. Nel Mezzogiorno, tra l’altro, il Partito democratico ha retto bene in Campania e altrove, dimostrando che le sue potenzialità elettorali non sono ancora consumate. Al contrario, è proprio qui che i 5 Stelle hanno, forse, raccolto risultati più nettamente inferiori alle attese, considerato anche che sono meridionali alcuni dei personaggi più continuamente alla ribalta del partito. Inoltre, è stata qui molto forte la fioritura di cosiddette “liste civiche”. E sempre nel Mezzogiorno si sono pure avute le prime prove di pretese “nuove” forze politiche (come quella del sindaco De Magistris in provincia di Napoli) che possono giovare solo a una maggiore frammentazione del quadro politico.
Il Mezzogiorno può tanto più giocare al meglio le sue carte – non lo si deve mai dimenticare – quanto più è coerente e integrato col quadro nazionale; ed è perciò un suo preciso interesse favorire l’organicità e la coerenza del quadro nazionale. Lo diciamo perfino (ed è tutto dire) a prescindere dalle preferenze per questo o quel settore di tale quadro, benché sia evidente che non tutti i settori diano al Mezzogiorno le stesse speranze di migliori prospettive. E perciò auguriamo anche che in autunno la legge elettorale dia la possibilità di chiarire e accelerare al massimo e al meglio un quadro sufficientemente migliore di quello attuale. Impresa che davvero non è poi tanto difficile quanto si può temere se l’intelligenza politica (non diciamo il dovere, la responsabilità, il senso civico o altro di morale e di bello) troverà il modo di prevalere su atteggiamenti e comportamenti che sono tutto fuorché intelligenti.
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