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La costituzionalizzazione dei princìpi economici
di Claudio Consalvo Corduas
Premessa

Il processo di costituzionalizzazione dei princìpi economici, cioè la trasposizione in norme costituzionali di particolari princìpi economici, in Europa ha fatto un balzo in avanti negli ultimi tempi. Da quando l’euro è diventato la moneta comune, la stabilità monetaria è diventata per conseguenza un problema comune che ha assunto grande rilievo allorché ha inciso anche sulle leggi fondamentali degli Stati membri.
Questo processo ha aumentato l’interesse dei giuristi per le questioni connesse alle teorie economiche. Anche in questo campo essi tendono a dividersi tra “sostanzialisti” e “normativisti”. I primi, pragmatici, privilegiano la sostanza economica e sociale della norma giuridica; mentre i secondi, formalisti, enfatizzano l’autonomia del diritto dalle originarie motivazioni economiche della norma1.
In effetti, al giurista non dovrebbe interessare la validità o meno di una data teoria economica allorché i suoi princìpi sono stati trasfusi in una legge e quindi ne diventano il presupposto. In tal caso, devono interessare gli effetti che questi princìpi economici “costituzionalizzati” comportano sul piano pratico in rapporto all’interpretazione delle norme giuridiche ad essi collegate ed alla coerenza di queste norme con i princìpi fondamentali della stessa Carta costituzionale. A questo scopo è essenziale conoscere gli obiettivi che si pone la teoria economica così “costituzionalizzata”. Infatti, la comprensione della ratio economica diviene essenziale per il giurista al fine di individuare la ratio della legge e di giudicare la coerenza tra la norma e le sue applicazioni ed implicazioni.
Ripercorrere le tappe salienti di questo processo, che interessa le Costituzioni degli Stati dell’Europa unita ed in particolare la nostra, può rivelarsi interessante per favorire la comprensione del fenomeno e la formazione di un giudizio aggiornato sul suo valore.


Fasi del processo

Si possono individuare tre fasi del processo di assunzione nelle Carte costituzionali dei paesi europei di princìpi economici che incidono sulla sovranità finanziaria e sui rapporti sociali.
La prima fase può farsi risalire alle Costituzioni cosiddette “borghesi”, dalla fine del Settecento ai primi del Novecento. Queste Costituzioni intendevano contrastare l’arbitrio dei governi e quindi garantire la certezza del diritto nel rapporto fra Stato e cittadino. Si sottraeva il secondo all’arbitrio del primo. Si scardinavano così le prerogative del dispotismo politico e dello Stato assoluto anche nella sfera economica dei cittadini2. Government without a Constitution, is power without a right, così scriveva Thomas Paine nel 17943, all’alba delle Costituzioni moderne.
La seconda fase, che interessa la prima metà del Novecento, ha visto introdurre nelle Carte costituzionali dei paesi europei democratici oltre che il conquistato principio del contrasto del dispotismo politico, anche quello del contrasto del dispotismo economico dell’uomo sull’uomo. Un esempio in tal senso è rappresentato dalla innovativa Costituzione di Weimar dell’11 agosto 19194. Esempio all’avanguardia rispetto all’epoca. In questa prima parte del secolo XX, nell’Europa democratica, il nuovo orientamento politico di governo dell’economia ha inteso contemperare, almeno nelle intenzioni, la direzione politica del processo economico con l’economia di mercato.
Con il secondo dopoguerra i regimi parlamentari dell’Europa occidentale hanno ampliato i princìpi costituzionali anteguerra. Sotto questo profilo è emblematica la finalità fissata dall’articolo 3, comma 2, della nostra Costituzione in vigore dal 1948 che tende a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano “di fatto” la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. Lo scopo del governo pubblico dell’economia diviene quindi quello di coniugare le esigenze dello sviluppo economico con quelle della giustizia sociale e della piena tutela della persona umana.
In questo quadro, la nostra Costituzione dedica ai rapporti economici gli articoli 35-47, nella parte prima relativa ai diritti e doveri dei cittadini. La loro formulazione risente del clima dell’immediato secondo dopoguerra. Vengono bilanciati su un piano di parità da un lato i caratteri dirigistici connaturati alla funzione sociale della proprietà ed all’intervento pubblico5, che derivano in parte dall’eredità keynesiana e poi da quella fascista6, e dall’altro lato i caratteri liberisti sulla libertà dell’iniziativa economica privata7, ormai priva però dell’originario crisma di primato, che derivano dall’eredità dell’Italia prefascista. Questo duplice orientamento
prosegue e si conferma nella nostra Costituzione con un rinnovato richiamo alla funzione sociale ed accessibilità “a tutti” della proprietà8 e con la riserva dell’iniziativa economica pubblica9.
Come si vede i princìpi economici hanno avuto ospitalità nella nostra Costituzione solo con asserzioni di principio. L’espressione organica dell’intervento pubblico in Italia, dopo la costituzione nel 1933 dell’IRI10, la si è ottenuta nel 1956 con l’istituzione del Ministero delle partecipazioni statali, tramite legge ordinaria11. Nell’àmbito di un quadro legislativo favorevole ad una politica espansiva del settore pubblico, l’art. 3 della legge istitutiva di questo Ministero prevedeva che gli enti in esso inquadrati dovessero operare «secondo criteri di economicità», tendere cioè al pareggio se non al surplus di bilancio. Obiettivo poi ampiamente mancato per l’intrusione di oneri impropri (localizzazioni inadatte, assunzioni eccessive, salvataggi ulteriori, ecc.) imposti alla gestione dal potere politico e dalla sudditanza partitica di questi enti sia per le nomine del management, sia per le esigenze di finanziamento, anche tramite i c.d. “fondi di dotazione”. Come naturale conseguenza di questa e di altre cause, negli anni ’70 l’indebitamento del settore pubblico italiano si espanse molto oltre i limiti della sua fisiologica sostenibilità12.
La terza fase, più recente, ha inciso prima sui rapporti internazionali e poi su quelli interni, a seguito degli impegni assunti via via in sede comunitaria. Come effetto si è assistito all’introduzione nelle legislazioni e poi nelle Costituzioni degli Stati membri di princìpi economici di contenimento della spesa pubblica, al punto di far configurare la formazione di una Costituzione economica europea13. Il processo è iniziato con il Trattato del 25 marzo 1957 che ha istituito la Comunità economica europea ed introdotto il principio dell’equilibrio della bilancia globale dei pagamenti e della stabilità dei prezzi14. Questa tendenza si è affermata in modo più articolato e penetrante con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, che intendeva arginare gli eccessivi deficit di bilancio15. La tendenza è proseguita con la Risoluzione del Consiglio europeo relativa al Patto di Stabilità del 17 giugno 1997, che ha insistito sulla necessità di un bilancio pubblico in pareggio o positivo16. Più di recente, il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha modificato fra l’altro il Trattato sul funzionamento della UE, in particolare per ciò che qui interessa, confermando il principio del contrasto dei disavanzi pubblici eccessivi degli Stati17 e del pareggio di bilancio dell’Unione18. La tendenza è proseguita ancora con il Patto Euro Plus del 24 e 25 marzo 2011, concluso tra i Governi nazionali della zona euro, sulla possibile costituzionalizzazione del pareggio di bilancio19. Poi con la direttiva 2011/85/UE dell’8 novembre 2011, sul contrasto dei disavanzi pubblici eccessivi degli Stati membri20. Infine, il Trattato sulla Stabilità, sul Coordinamento e sulla Governance nell'Unione economica e monetaria, il c.d. Fiscal Compact, del 2 marzo 201221 ha sancito sia il principio che i bilanci pubblici degli Stati aderenti devono essere in pareggio o in attivo22, sia la necessità di inserire tale principio possibilmente nella normativa costituzionale degli stessi Stati23.
Tutti questi provvedimenti all’inizio tracciano linee guida, poi indicano comportamenti sempre più specifici e stringenti sui margini di manovra consentiti alla politica finanziaria in particolare dei paesi della zona euro. Politica da intendere, nelle intenzioni, come possibile azione di governo efficiente e sana, da realizzarsi anche tramite una forte riforma delle legislazioni nazionali. Riforma poi messa in atto ed assurta a garanzia delle “buone pratiche”.


Presupposti della riforma

Il coerente ampliarsi degli obblighi comunitari, come abbiamo visto, prende le mosse dal Trattato di Maastricht nel 1992. Con esso la nozione del saldo di bilancio tende ad entrare nella normativa costituzionale degli Stati dell’eurozona, unitamente a molte altre variabili macroeconomiche quali il tasso del debito pubblico rapportato al PIL e il tasso di aumento dei prezzi al consumo24. Si vanno introducendo, così, limiti sempre più stringenti alle “cattive pratiche” attuate nell’esercizio della sovranità finanziaria degli Stati membri.
Questo vento di riforma della gestione della finanza pubblica europea, accompagnato dall’unione monetaria, ha inteso svolgere nel tempo anche una funzione “moralizzatrice” delle finanze pubbliche nazionali. Vengono colpiti i loro quattro storici tumori e nervi scoperti: la gestione incontrollata della spesa pubblica, l’inflazione competitiva, l’incremento del debito pubblico e la irresponsabilità intergenerazionale.
Con la bocciatura del “Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa”, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, per effetto del veto referendario franco-olandese del 2005, queste limitazioni delle “cattive pratiche” non acquistarono dignità costituzionale europea25. Pertanto, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009 si ottemperò all’esigenza di stabilire tra tutti gli Stati membri della UE dei princìpi forti in materia economica che li vincolassero adeguatamente e rendessero omogenea la gestione della finanza pubblica. Pertanto, il modificato Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ha previsto «un tasso medio d'inflazione che, osservato per un periodo di un anno anteriormente all'esame, non supera di oltre 1,5 punti percentuali quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi»26. Inoltre, per sostenere queste scelte da molti veniva invocata anche l’equità intergenerazionale27.
Con i successivi accordi tra gli Stati aderenti all’euro, si rafforzarono questi parametri. Le motivazioni sono di tutta evidenza. Nessuno Stato dell’area euro intendeva condividere l’indebitamento degli altri Stati e quindi l’effetto inflattivo indotto. I paesi più virtuosi hanno imposto i loro parametri. Inflazione, tassi d’interesse e prezzi al consumo venivano imbrigliati.
La permanenza nell’area euro era quindi subordinata al rispetto di questi requisiti, da soddisfarsi in modo permanente, anche con interventi di riforma delle legislazioni nazionali. La moneta unica lega ad un comune destino i Paesi partecipanti. Una gestione finanziaria squilibrata da parte di un singolo Stato si ripercuote negativamente su tutti gli altri28 che, pertanto, non intendono sobbarcarsi di svantaggi a favore di altri Stati meno “virtuosi”.
Le comunicazioni del nostro Parlamento così descrivono la successione degli ultimi tre citati accordi assunti in sede UE in materia di bilanci pubblici29.
Con il Patto Euro Plus, accordo non giuridicamente vincolante adottato dai Capi di Stato o di Governo dell’area euro nel marzo del 2011, gli Stati dell’area euro e alcuni altri Stati membri dell’UE hanno assunto l’ulteriore obbligo di recepire nelle rispettive Costituzioni o nelle legislazioni nazionali le regole del Patto di stabilità e crescita.
In seguito, la direttiva 2011/85/UE, concernente i requisiti per i quadri di bilancio nazionali ed entrata in vigore nel novembre 2011, ha fissato regole minime perché sia garantita l'osservanza da parte degli Stati membri dell'obbligo, derivante dal Trattato, di evitare disavanzi pubblici eccessivi.
Infine, il Trattato sulla Stabilità, il Coordinamento e la Governance nella Unione economica e monetaria, il cosiddetto Fiscal Compact, concordato il 2 marzo 2012 al di fuori della cornice giuridica dei Trattati, ha impegnato le Parti contraenti, ad applicarne e ad introdurne le regole – entro un anno dall’entrata in vigore del Trattato stesso, con norme vincolanti e a carattere permanente, preferibilmente di tipo costituzionale, o di altro tipo purché ne garantiscano l’osservanza nella procedura di bilancio nazionale – in aggiunta e senza pregiudizio per gli obblighi derivanti dal diritto dell’UE.
Nelle more alcuni Stati firmatari avevano già provveduto alla conseguente riforma delle rispettive legislazioni.


Funzione della riforma

Con il Fiscal Compact il bilancio degli Stati firmatari dovrà essere in pareggio o in attivo. Tale regola si considera rispettata se il disavanzo strutturale dello Stato è pari all’obiettivo a medio termine specifico per Paese, con un deficit strutturale che non ecceda lo 0,5% del PIL30.
Si avvia quindi nel tempo un processo di smantellamento delle condizioni di discrezionalità se non di arbitrio della classe politica di governare il bilancio dello Stato membro per esigenze contingenti. Questo processo virtuoso si configura come un processo di edificazione di uno Stato di diritto comunitario economico. Il governo pubblico dell’economia nazionale non può più prescindere da un processo di autoregolamentazione del potere politico nel campo della spesa pubblica. Vengono definiti così i limiti di sostenibilità e di ammissibilità dell’intervento pubblico. In pratica, con questo regime legale economico si sovverte l’originario concetto di costituzionalizzazione dei princìpi economici come processo unidirezionale, regolante i rapporti tra potere politico come potere di governo e coloro che sono soggetti a tale potere31. Il potere di governo finisce per condividere in parte gli stessi vincoli sulla parità di bilancio e di intervento di coloro che gli sono sottoposti. Nelle sue scelte strategiche è, quindi, soggetto oltre che al controllo parlamentare e sociale e della Commissione UE, anche possibilmente a quello giudiziario.
L’intervento pubblico viene così confinato in spazi compatibili con le proprie risorse. Questo processo di riforma tenderebbe a moralizzare l’intervento pubblico, depurandolo da inefficienze e corruzione. Ovviamente l’obiettivo potrà essere raggiunto a condizione che le Istituzioni siano dotate di adeguati mezzi di controllo e sostenute da una coerente volontà politica di governo.


Le opzioni praticate

Sul fronte europeo, le preoccupazioni circa il possibile mancato rispetto delle regole di bilancio dopo Maastricht hanno portato a diversi interventi in sede UE.
La citata direttiva 2011/85/EU, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri, ha previsto che «Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 31 dicembre 2013»32. Questa direttiva ha anche previsto che le regole di bilancio «dovrebbero basarsi su un’analisi affidabile e indipendente, eseguita da organismi indipendenti od organismi dotati di autonomia funzionale rispetto alle autorità di bilancio degli Stati membri»33.
Né la citata direttiva, né il Patto Euro Plus, né il Fiscal Compact hanno precisato la forma che inderogabilmente doveva assumere la normativa nazionale di recezione delle regole di bilancio, lasciando la scelta ai singoli Stati34. Pertanto, nessuno di questi atti ha “imposto” agli Stati membri di recepire tali disposizioni esclusivamente tramite una riforma costituzionale. Vale, quindi, la pena di esporre in successione di tempo l’essenza delle soluzioni adottate in proposito dagli Stati più rappresentativi dell’eurozona: Francia, Germania, Spagna e Italia.
La Francia, dopo la firma nel 2007 del Trattato di Lisbona ed ancor prima della sua entrata in vigore nel dicembre 2009, con la legge costituzionale n. 2008-724 del 23 luglio 2008 ha integrato la propria Costituzione del 1958, introducendo con il penultimo comma dell’art. 34 l’obiettivo dell’«equilibrio dei conti delle pubbliche amministrazioni» negli orientamenti pluriennali della finanza pubblica, definiti con leggi programmatiche35. La Francia ha poi ratificato nell’ottobre 201236 l’accordo sul Fiscal Compact del marzo 2012. Precedentemente, sulle problematiche poste dal Fiscal Compact il Presidente della Repubblica francese François Hollande aveva adìto il Conseil constitutionnel, ai sensi dell’art. 54 della Costituzione. In proposito, il Conseil non rilevò elementi di contrasto tra il dettato costituzionale, con particolare riferimento alla novella del cit. art. 34, ed i nuovi impegni derivanti dal detto accordo e quindi statuì che l’autorizzazione alla sua ratifica non doveva essere preceduta da una revisione della Carta costituzionale37. In ragione di ciò, l’Assemblea nazionale ed il Senato francesi autorizzarono la ratifica del Fiscal Compact con ciò escludendo il ricorso al referendum popolare38.
Analogamente la Germania ha proceduto alla riforma costituzionale con la legge 29 luglio 2009, I 2248. Con il c.d. Schuldenbremse (“freno di bilancio”) si sono regolati in modo analitico gli aspetti più propriamente attinenti al controllo del debito pubblico. Pertanto, l’art. 109 del Grundgesetz, la Costituzione tedesca, ha statuito che «I bilanci della Federazione e dei Länder devono in linea di principio raggiungere il pareggio»39. È stata questa la risposta parlamentare tedesca alla sentenza del 30 giugno 2009 del Tribunale costituzionale federale40 che ha affermato la compatibilità della ratifica del Trattato di Lisbona con la Costituzione tedesca.
Solo successivamente la Spagna ha approvato con legge costituzionale del 27 settembre 2011 una revisione della disciplina di bilancio sul modello tedesco. È stata prevista quindi la stabilità di bilancio modificando il comma 1 dell’art. 135 della Costituzione spagnola41. Inoltre, il comma 2, parimenti modificato, prevede che sia lo Stato che le Comunità Autonome non potranno incorrere in un deficit strutturale che superi i margini stabiliti dall’UE. Nel contempo, è stato garantito alle minoranze parlamentari l’accesso alla Corte costituzionale spagnola per violazione del limite del pareggio42.
Mentre questi Stati membri si sono adeguati celermente alle indicazioni del Trattato di Lisbona in materia di bilanci pubblici, l’Italia ha atteso l’accordo sul Fiscal Compact del 2 marzo 2012, con le sue stringenti indicazioni per adeguare la propria legislazione sull’equilibrio nei bilanci pubblici.


La soluzione italiana

In Italia, la crisi economica, la spesa pubblica fuori controllo, il deficit degli enti locali, la ricerca di un affidamento internazionale suggerirono di optare per il principio del massimo vincolo. La riforma della Costituzione fu varata con legge costituzionale n. 1 del 20 aprile 201243.
La scelta dell’Italia di introdurre una modifica costituzionale molto articolata fu una scelta politica del Governo Monti all’epoca “di salute pubblica”, in carica dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013. Venne rispettata in tal modo la richiesta della UE di stabilire il principio del pareggio di bilancio con una legge fortemente vincolante: una legge quadro o una costituzionale. Questa riforma costituzionale (20 aprile 2012) si discostò alquanto dall’analoga proposta in limine (8 settembre 2011) del precedente IV Governo Berlusconi44, in carica dall’8 maggio 2008 al 16 novembre 2011.
La indicata legge costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012, rubricata “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”, sostituisce l’art. 81 Cost. nella sezione sulla formazione delle leggi, e con gli artt. 1 e 5 rinvia ad una legge “rinforzata” di attuazione45. Ne viene fuori un sistema “misto” di recezione, fatto di norme costituzionali (art. 81 Cost.) e di norme di attuazione (L. 243/2012), di rango superiore a quelle ordinarie, quasi norme “sub-costituzionali”, modificabili solo con procedura ad hoc, cioè con legge approvata a maggioranza assoluta dal Parlamento46.
La riforma introdotta dalla cit. legge costituzionale 1/2012 fra l’altro sostituisce l’art. 8147, e modifica sia l’art. 97, co. 1, sia l’art. 117, co. 2 lett. “e”, nonché co. 3, sia l’art. 119 della stessa Costituzione. Stabilisce il principio dell’equilibrio, non del pareggio, dei diversi esercizi del bilancio, cioè della “tendenziale” parità, quindi parità storica, dei bilanci sia dello Stato che degli Enti territoriali e delle Pubbliche amministrazioni. In particolare, la modifica dell’art. 117 Cost. ha riportato nella competenza esclusiva dello Stato la materia della “armonizzazione dei bilanci pubblici”, sottraendola alla competenza concorrente delle Regioni che nei loro bilanci si sono dovute adeguare, a partire dal 2014, alle previsioni dell’art. 81 Cost. e della successiva legge “rinforzata” e delle norme conseguenti.
La legge costituzionale venne approvata a larghissima maggioranza, in seconda votazione superiore ai due terzi delle Camere, il che escluse la possibilità del ricorso al referendum, ai sensi dell’art. 138 Cost., co. 3. Fu evitata così una possibile radicalizzazione della conflittualità sociale e politica.
Prima della sua sostituzione, l’art. 81, con il suo 4° comma, aveva fondamentalmente l’obiettivo di porre solo un limite all’iniziativa parlamentare di spesa quando stabiliva <>48. Principio comunque mantenuto con il 3° comma del vigente e riformulato art. 81. Con la cit. legge “rinforzata” del 24 dicembre 2012, n. 243, si è data poi piena attuazione al principio del pareggio, o meglio al più duttile concetto di “equilibrio” di bilancio come introdotto dall’art. 81, primo e sesto comma, della nostra Costituzione.
Con la costituzionalizzazione di stringenti princìpi economici e con il permanere della crisi economica si inverte il quadro ordinario: non è l’economia che stimola una generica dinamica normativa, ma è il quadro giuridico che ha la finalità di stimolare il rilancio dell’economia.
Gli articoli 41 e 43 della Costituzione, come abbiamo visto, consentono al potere pubblico di intervenire nel campo dell’iniziativa economica, in generale e su un piano di parità con i privati.
L’art. 81 Cost. it., viceversa, vincola giuridicamente il potere pubblico. Assegna limiti materiali al suo intervento. La capacità dello Stato di intervenire nell’economia viene, infatti, condizionata dalle risorse disponibili e dai limiti imposti alla sua capacità di indebitarsi. La finalità sarebbe quella di ottenere la massima efficienza della spesa pubblica, riducendo sprechi, inefficienze, corruzione49 e via dicendo. Viene indirettamente affidato all’iniziativa privata un intervento di supplenza, ove possibile e secondo gli strumenti offerti dalla normativa in vigore.
Questi gli elementi sostanziali della riforma del 2012. Alcune perplessità emergono per la scelta di modificare la nostra Costituzione onde attuare la riforma in discorso.
La costituzionalizzazione del principio economico dell’equilibrio di bilancio ha comportato due effetti. Da un lato, si è introdotto nella gestione della cosa pubblica uno stretto collegamento tra elementi differenti con coefficienti di elasticità molto diversi. I princìpi economici, per loro natura, sono molto più volatili di quelli costituzionali. Dall’altro lato, in generale, i procedimenti di modifica delle costituzioni sono molto più complessi delle leggi quadro, o programmatiche, o “rinforzate” in materia economica.
In particolare, la normativa costituzionale italiana ha un carattere di rigidità più forte di quella di altri paesi dell’UE. Come è noto, ai sensi dell’art. 138 Cost., le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Ai sensi del cit. art. 138 Cost., co. 3, non si fa luogo a referendum se le leggi costituzionali sono state approvate «nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti».
Vale la pena di precisare che con il recente tentativo di riforma del bicameralismo paritario, in G.U. del 15 aprile 2016 n. 88, viene solo espunta la competenza del Senato dall’art. 81 Cost., di cui ci stiamo occupando. L’art. 138 Cost. non risulta modificato da detta riforma. Questa legge di riforma costituzionale non è entrata in vigore perché non promulgabile50 fino al risultato positivo del referendum confermativo indetto per il 4 dicembre 201651. Pertanto, le questioni affrontate nel presente scritto sono e saranno indipendenti dal risultato di detto referendum.
La Francia, per esempio, ha un sistema di integrazione più rapido ed elastico. La Costituzione francese del 195852 con il suo art. 54 consente che il Conseil constitutionel, «incaricato dal Presidente della Repubblica, dal Primo ministro, dal Presidente di una delle due assemblee, da sessanta deputati o sessanta senatori», può anche dichiarare che un impegno internazionale non è contrario alla Costituzione e quindi non richiede una preventiva revisione costituzionale53. Ne abbiamo visto l’efficace applicazione nel caso della ratifica del Fiscal Compact da parte del Parlamento francese.
Dall’altro lato, la riforma costituzionale italiana del 2012 − che ha comportato la sostituzione dell’art. 81 della Costituzione − implica che nell’interpretazione del testo costituzionale e dei provvedimenti conseguenti deve concorrere anche l’analisi della teoria economica che la ha ispirata, della sua genesi e della sua applicazione, ma ciò indipendentemente da qualsiasi considerazione sulla validità della stessa teoria.
Nei limiti che qui interessano, il principio della “parità” o “equilibrio” di bilancio è infatti un principio economico non da tutti accettato. L’incremento dell’indebitamento ha rappresentato un fattore di sviluppo. Il limite da assegnare a questo incremento è questione che ha tenuto banco a lungo nei dibattiti in sede UE. Alla fine, la disciplina europea sul bilancio dagli Stati membri è stata incentrata su due princìpi fissati prima dall’art. 104 C, paragrafo 2, del Trattato di Maastricht e dall’art. 1 dell’annesso Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi e poi dall’art. 126, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento della UE e all’allegato Protocollo n. 12. Sono vietati deficit eccessivi rispetto ai valori di riferimento previsti: il 3% del PIL per il disavanzo annuale ed il 60% per il debito accumulato.
Come abbiamo visto, la possibilità di introdurre tali limiti tramite una Costituzione europea è stata vanificata dalla bocciatura franco-olandese del 2005. Il relativo coordinamento è avvenuto quindi tramite interventi, seppur limitatamente omogenei, sul piano costituzionale o di normative “rinforzate” dei singoli Stati dell’eurozona.
In tal modo si è cercato di ottenere, al più alto livello normativo nazionale, la coordinazione degli interventi pubblici e delle regole di base del vivere economico comune nella UE. Lo sforzo di coordinazione istituzionale è volto quindi essenzialmente a rispettare i princìpi che legano gli europei sul piano economico.
In effetti, dalle teorie keynesiane sul ruolo anticiclico dell’intervento pubblico e del deficit spending, si è passati con gli anni ’80 al monetarismo e liberismo della scuola di Chicago. Successivamente le più recenti ed influenti scuole di pensiero insistono sul ruolo virtuoso dell’intervento pubblico essenzialmente come regolatore di una strategia rivolta alla crescita del capitale umano. Inoltre, per innescare crescita e sviluppo economico, correnti di pensiero tedesche e anglosassoni hanno attribuito una transitoria superiorità alla gestione privata su quella pubblica (da esaltare soprattutto in Italia tramite privatizzazioni, projectfinancing, fiscalità di vantaggio, deducibilità fiscale, ecobonus, sismabonus, ecc.). Tuttavia, il permanere della crisi economica finora non ha avvalorato alcuna delle teorie attualmente prevalenti.
Non è un caso se alcune teorie prevalgono su altre. L’inefficienza delle pratiche di volta in volta private e pubbliche, fa prevalere la teoria economica contrapposta. Lo sviluppo economico favorisce lo Stato assistenziale. Il peso di tale politica e la concomitante crisi economica spingono poi per le privatizzazioni e l’equilibrio di bilancio.
A fronte dell’evoluzione spesso pendolare e del sovrapporsi delle teorie macroeconomiche si contrappone la stabilità costituzionale. Costituzionalizzare i princìpi base di teorie in voga espone al rischio – certo – di fissare in norme, con forte inerzia conservatrice, ragionamenti economici presto superati dagli ultimi sviluppi scientifici nello specifico campo. La scienza economica per sua natura è evolutiva e condizionata dal mercato, inteso come complesso di esigenze civili ed economiche. Il legislatore costituzionale rischia così di cristallizzare nella legge fondamentale teorie economiche che sono soprattutto evolutive.
Emerge quindi un conflitto tra spirito e pratica. Lo spirito della legge fondamentale deve ispirare le norme applicative, cioè la pratica legislativa. Allo stato attuale, potrebbe configurarsi ampio spazio per rilevare l’illegittimità o l’incostituzionalità di provvedimenti che approvano bilanci pubblici, assunti da alcuni come non conformi al dettato costituzionale o alla legge “rinforzata” di esecuzione. Il giudice costituzionale o quello ordinario o amministrativo o contabile o europeo potrebbero essere chiamati a verificare e giudicare la conformità dei princìpi economici fissati nella vigente normativa con la pratica effettiva.
Alla fine, il giurista potrebbe rivelarsi il giudice finale della condotta economico-finanziaria del Governo, degli Enti territoriali o della Pubblica Amministrazione.
Questo è l’insolubile paradosso della costituzionalizzazione, strictosensu, di specifici princìpi economici. Al fine di limitare direttamente la discrezionalità finanziaria e le scelte economiche del potere politico ed indirettamente di stimolare l’iniziativa privata sostitutiva, tramite una norma costituzionale, si può finire per aumentare il potere interpretativo del giudice su questioni che, in questo caso, possono essergli del tutto estranee.
È ipotizzabile che una legge finanziaria o un bilancio, assunti dalla Commissione UE come non conformi ai Trattati UE e quindi al dettato costituzionale dello Stato membro o alle leggi applicative rinforzate, possa trovare invece legittimazione in una sentenza della Corte costituzionale o della Giustizia ordinaria o amministrativa o contabile dello Stato membro. Ovvero della Corte di Giustizia dell’Unione europea, per esempio sul contestato bilancio programmatico italiano del 2017 e sulle possibili procedure d’infrazione.
In questo modo, la discrezionalità finanziaria del Governo e del Parlamento passerebbe dalla politica anche europea al giudice nazionale o a quello europeo.
Forma e sostanza potrebbero conciliarsi se il giudice nazionale o europeo fosse sensibile non all’accezione contabile del “pareggio” in senso stretto, richiamato dalla normativa UE e dalla rubrica della legge cost. 1/201254, ma al concetto politicamente più duttile dell’“equilibrio”, come richiamato dall’art. 81 Cost. it. e dall’art. 34 della Cost. fr. Non dimentichiamo, infatti, che le norme vengono interpretate anche alla luce dei princìpi generali del diritto. Solidarietà, diritti sociali come istruzione, sanità, emergenze varie e via dicendo, potrebbero avere la meglio, nell’ottica del giudice, sui princìpi della parità contabile del bilancio55 e sul teorico ampliamento degli spazi d’intervento dell’iniziativa privata, fini ultimi degli attuali Trattati UE.
Esiste effettivamente un giudice nazionale competente ad essere investito incidentalmente della incostituzionalità delle leggi che si assume non osservino il dettato dell’art. 81 Cost. e quindi competente a rimettere la questione innanzi al giudice delle leggi? Ovvero competente a giudicare e sanzionare se un bilancio pubblico non è conforme alla legge “rinforzata” 243/2012? In effetti, l’art. 127 della Cost. it. consente allo Stato di vigilare sui bilanci degli enti territoriali. Non è possibile l’inverso56.
Nei confronti dello Stato italiano, l’art. 81 potrebbe rappresentare una petizione politica di principio, priva di un vincolo giuridico effettivo: una dichiarazione di intenti e nulla più. L’unica vestale dell’art. 81 Cost. it. resta solo la Commissione UE, con i suoi poteri di vigilanza e di sanzione.
Di recente, la Corte dei Conti ha giudicato alcuni interventi di adeguamento della legge “rinforzata” 243/2012 sull’equilibrio di bilancio degli Enti territoriali come mirati, in più occasioni, «a svuotare di contenuto la stessa legge rinforzata, con l'introduzione di nuovi e diffusi rinvii alla legge ordinaria dello Stato, senza prevederne, peraltro, particolari limiti di disciplina»57. Secondo la Corte dei Conti si finirebbe così per «disegnare un modello di governance della finanza pubblica che ricalca, nella sostanza, i meccanismi tipici delle manovre annuali e che sembra non del tutto coerente con il percorso di realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, in termini di equilibrio strutturale tra entrate e spese e sostenibilità del debito, prefigurati dalla novella dell’art. 81 Cost.»58.
Ciò conferma la conflittualità permanente tra i princìpi economici analitici accolti nella Costituzione ed i numerosi tentativi anche sul piano legislativo nazionale di aggirarne le applicazioni. Il giudice potrebbe divenire l’arbitro finale di querelles economiche, se dichiarato competente a giudicarle.
Nell’Italia oberata da contenziosi giudiziari è stato finora assente quello sull’applicazione delle teorie economiche.
Questa situazione potrebbe cambiare nel tempo a seguito della costituzionalizzazione della Golden Rule o law of reciprocity, la “regola d’oro” del Trattato di Maastricht che limita l’aumento del deficit pubblico nell’interesse comune. Eventuali contestazioni sono valide sul piano loro specifico: quello economico. Diventano incongrue se diventassero oggetto di contenzioso giudiziario: tra Stati membri, tra Stato e cittadini imprenditori circa i danni conseguenti agli effetti di politiche finanziarie difformi dalla indicata e finora vigente “regola d’oro” e dalla connessa tutela della concorrenza. Allo stato attuale, in linea teorica non sarebbe da escludere l’emergere di un contenzioso sull’interpretazione da assegnare al principio della “regola d’oro” e sul nesso di causalità tra pretesi danni ed effetti perversi della sua disapplicazione. Di conseguenza, al sistema giudiziario si assegnerebbe l’ultima parola sulla determinazione della politica economica59.
Le Costituzioni dovrebbero essere pensate per durare. Se l’obiettivo finale è una crescita economica non drogata dall’inflazione, ci sono buoni motivi per volere la riduzione del debito pubblico, specie in casi come quello italiano. Tuttavia, come molti pensano, non vi sono altrettanti buoni motivi per imporre questo tipo di pareggio di bilancio per i prossimi decenni, come invece ci si aspetterebbe da una norma costituzionale60.


Conclusioni

Come valutazione finale, va evidenziato che diversi concetti macroeconomici già prima della riforma del 2012 hanno assunto dignità indirettamente costituzionale in quanto rappresentano alcuni princìpi fondanti dell’Unione europea e quindi stabili nel tempo. Mi riferisco fra l’altro alla tutela della concorrenza61 che per le teorie economiche gioca un ruolo centrale nell’equilibrio generale dello sviluppo economico.
Questo ed altri concetti, tutelati ma non regolati dalla nostra Carta costituzionale, vincolano stabilmente il mondo dell’economia ormai come “variabili indipendenti”.
Va certamente bene regolare l’equilibrio di bilancio tramite leggi quadro o programmatiche o rinforzate che vincolino la discrezionalità finanziaria dei Governi e degli Enti territoriali; meno bene a mio avviso tramite norme costituzionali. La scelta della via costituzionale fu essenzialmente una scelta politica, non giuridica. Fu presa in Italia sulla falsariga di analoghe soluzioni assunte da altri Stati dell’eurozona, in assenza di una Costituzione europea. All’epoca della incontrollabilità della spesa pubblica e delle pressioni sociali fu essenziale inviare un messaggio politico forte agli investitori internazionali, alle amministrazioni pubbliche, alle categorie produttive ed in generale agli italiani: occorre modificare comportamenti, individuare nuovi meccanismi ed aree d’intervento e ridimensionare stili di vita. Gli studi preliminari svolti dal Parlamento nel novembre 2011 dimostrano un’attenta riflessione sulle analoghe scelte di riforma costituzionale operate da altri Stati membri62.
Sotto questo aspetto, va ad onore della classe politica italiana aver approvato la riforma costituzionale del 2012 con larghissima maggioranza, superiore ai due terzi richiesti dall’art. 138 Cost. il che ha consentito di evitare il referendum. Ha permesso all’Italia di iniziare un difficile ma necessario percorso in salita verso l’efficienza della spesa pubblica, senza innescare conflittualità sociali. L’elemento caratterizzante è rappresentato dall’autoregolamentazione imposta alla politica di qualsiasi governo del nostro paese. Diviene essenziale rapportare i programmi alle possibilità effettive, secondo una governance vincolata all’equilibrio strutturale tra entrate e spese. Al fine di non esaurire anche le risorse a disposizione dei successivi governi e delle prossime generazioni.
Sotto l’aspetto giuridico, nonostante il viatico offerto dalle analoghe soluzioni adottate da diversi Parlamenti degli Stati dell’eurozona, nel caso dell’art. 81 Cost. it. e delle dettagliate disposizioni di cui alla legge “rinforzata” di attuazione, resta una contraddizione o, come detto da alcuni, un doppio paradosso caratterizzato da asincronia: da un lato sotto il profilo dell’opinabilità e caducità delle teorie economiche costituzionalizzate; e dall’altro lato sotto il profilo della certezza del diritto e quindi della auspicabile stabilità nell’interpretazione delle leggi nel tempo.
Sotto il primo profilo, la detta costituzionalizzazione fissa, infatti, stabilmente dei princìpi dedotti da teorie economiche che per loro natura sono evolutive e dinamiche. Al principio dell’equilibrio del bilancio si potrebbe contrappone, per esempio, quello della sostenibilità del debito, cioè della stabilità tendenziale degli interessi sul debito stesso. Per cui non può escludersi che in un prossimo futuro le esigenze prevalenti dello sviluppo economico imporranno un cambiamento di rotta in sede UE. In tale caso, la rigida formulazione dell’art. 81 richiederebbe una nuova modifica costituzionale.
Sotto il secondo profilo, la traduzione in termini giuridici e costituzionali dei princìpi economici li espone ad interpretazioni incomplete, pur facendoli assurgere a princìpi atemporali se non proprio universali, in quanto inseriti nel caso della Costituzione italiana nella sezione sulla formazione delle leggi. All’opposto, eventuali pendolari adattamenti della Costituzione a nuovi e diversi princìpi economici fissati dalla UE, renderebbero la stessa meno stabile, almeno su questi aspetti, e ciò ne ridurrebbe il prestigio morale e quindi la “credibilità”. Sotto questo profilo il regime costituzionale spagnolo sulla stabilità dei bilanci pubblici presenta superiori margini di adattabilità a nuove indicazioni della UE63.
La prima incongruenza o paradosso consiste, quindi, nel cristallizzare princìpi economici in una sfera che non gli appartiene. Il legislatore costituzionale italiano per fini politici e contingenti, nonché con interpretazione restrittiva delle disposizioni della UE, ha costituzionalizzato ragionamenti derivati da teorie economiche in voga, legate a precise e contingenti interpretazioni del reale. Teorie che rischiano di essere superate dall’evoluzione scientifica nel campo economico, o dalle concrete esigenze dello sviluppo economico, o da nuovi orientamenti in sede UE. Testimonianza di ciò si ritrova sia nel permanente contrasto tra economisti neokeynesiani e neomonetaristi, sia nei continui appelli del Governo italiano alla UE per sottrarre ai vincoli imposti alla spesa pubblica, fra l’altro, alcuni investimenti nel campo delle infrastrutture pubbliche64, o gli oneri per governare l’accoglienza dei migranti ed altri ancora di volta in volta necessari all’equilibrio socio-economico del paese. Ciò al fine di superare consensualmente il vincolo imposto dall’art. 81 cit. e dalla concomitante normativa UE.
La seconda incongruenza o paradosso riguarda i princìpi generali relativi alla formazione delle leggi che dovrebbero ispirare la Carta costituzionale, rappresentativa dello “Spirito delle leggi”, caro a Montesquieu, che mal si concilia con princìpi economici, appartenenti ad una sfera più contingente se non proprio alla pratica del quotidiano.
Va quindi considerato che l’evoluzione dinamica della realtà e delle teorie economiche richiederebbe un’altrettanta dinamicità del diritto codificato che le concerne. La rigidità della nostra Costituzione si pone di traverso rispetto a questa dinamicità. Tale situazione avrebbe dovuto suggerire al legislatore italiano di limitarsi a regolare l’equilibrio di bilancio con provvedimenti legislativi sì forti – quali leggi quadro, programmatiche o rinforzate – ma più semplici da adeguare in caso di nuovi orientamenti in àmbito UE. Non va dimenticato che il diritto dell'Unione europea e quindi le disposizioni contenute nei diversi Trattati europei, una volta in vigore, entrano a far parte del sistema giuridico di ciascuno Stato membro e rappresentano norme direttamente vincolanti innanzi tutto per Governo, Enti territoriali e Pubblica Amministrazione in generale. Per cui, sempre sotto il profilo giuridico, vigerebbe in ogni caso il combinato disposto della legge “rinforzata” e dei Trattati UE, senza dover scomodare princìpi costituzionali. Ogni loro modifica sarebbe più agevole perché dipendente solo da future ratifiche o modifiche di Trattati in sede UE.
Inoltre, va considerato che l’impatto di norme economiche specifiche, inserite nella Costituzione, risulta di più ampia portata rispetto al loro ristretto ambito d’intervento, proprio per la sede in cui queste sono poste. Tali norme assurgono così a princìpi generali e atemporali, contrariamente alla loro natura contingente.
Tanto sotto il profilo meramente giuridico. Se, però, ampliamo la prospettiva ed effettuiamo una valutazione sul piano politico della costituzionalizzazione dei principi economici di cui ci stiamo occupando, dall’analisi dell’evoluzione dei Trattati, dal 1957 e più ancora dal 1992 fino ai giorni nostri, emerge un forte, costante e coerente impegno europeista di tanti ambienti sociali.
Questo impegno evolutivo, pur oscillando tra conquiste e perdite, tra entusiasmi e frustrazioni, confortato e interrotto da consultazioni referendarie passate e recenti, non si è mai arrestato. Il lavorio è sempre ripreso per riannodare quelle fila interrotte nella costruzione di una più coesa UE.
Il merito, o demerito secondo alcuni, di questo lavorio non può essere attribuito ai tecnocrati di Bruxelles, ma come abbiamo visto deriva dall’impegno corale di opinione pubblica, di Parlamenti, di politici, di giudici costituzionali, di giuristi, delle diverse Cancellerie e Ministeri competenti, di Capi di Stato o di Governo di tutti gli Stati membri, impegnati a portare avanti questo disegno ideale e pratico. Non “gnomi”, ma un “gigante collettivo” rappresentato da tanta parte di popolazione e di persone abituate a superare le difficoltà ed impegnata nella politica dei “piccoli passi”, dal 1957 ad oggi, di avvicinamento al risultato finale di una completa unione politica dell’Europa.
La bocciatura di una comune Costituzione europea nel 2005 e la Brexit nel 2016 e la presente deriva irrazionalista o quella conservatrice dell’“appartenenza” possono sospendere ma non interrompere questo processo. È ripreso con Lisbona in modo forse frammentario ed in parte disomogeneo, tuttavia lo spirito di ripresa risponde ad un impegno politico collettivo65.
Gli interventi assunti in questo campo negli Stati membri fanno ritenere fondata l’ipotesi che per superare le attuali disomogeneità e contraddizioni, in sede nazionale ed europea, sarebbe necessario rilanciare l’idea di una agile Costituzione europea che regoli uniformemente l’UE sotto l’aspetto costituzionale. Il passo ulteriore sarebbe logicamente rappresentato dalla costituzione di uno Stato europeo federale, a geometria variabile, che gestisca con equilibrio la finanza pubblica dell’area euro e renda sostenibile l’intervento pubblico, tenendo conto anche delle esigenze delle prossime generazioni di non essere caricate da un insostenibile debito contratto da quelle precedenti, soprattutto se destinato a soddisfare esigenze prevalentemente contingenti.














NOTE
1 Cfr. F. Martucci, Constitution économique, quelques fragments de doctrine française, in “La Constitution économique”, a cura di F. Martucci e C. Mongouachon, Atti del colloquio organizzato dal Centre de Recherches sur le Droit Public de l’Université Nanterre di Parigi, ed. MD, 2015, pp. 27-53.^
2 G. Manna, Il diritto costituzionale d'Europa, ossia raccolta delle principali costituzioni politiche d'Europa dal 1791 fino ai nostri giorni comparate ed illustrate, Napoli, Porcelli, 1848. J. Luther (a cura di), Documenti costituzionali di Italia e Malta 1787-1850, nella collana “Constitutions of the World from the late 18th Century to the Middle of the 19th Century”, De Gruyter, 2010.^
3 T. Paine, The Rights of Man. For the use and benefit of all mankind, D. I. Eaton, 1795, p. 85.^
4 Con gli artt. 7 e 22 della sua Costituzione, la Repubblica di Weimar intendeva tra l’altro tutelare le fasce più deboli della popolazione ed il suo diritto ad esprimersi tramite il suffragio universale esteso ad «uomini e donne che abbiano raggiunto il 20° anno di età». È interessante notare che questa Costituzione conteneva anche un riferimento al controllo dell’indebitamento statale. L’art. 87 prevedeva che «L’acquisto di mezzi finanziari con prestiti è consentito solo per far fronte ad esigenze straordinarie e di regola solo per spese relative a scopi produttivi. Provvedimenti del genere, come pure la assunzione di garanzie a carico del Reich possono avere luogo solo con autorizzazione di una legge del Reich». Non è da escludere che questa previsione derivi dalle considerazioni che la crisi postbellica poteva superarsi solo con una attenta gestione della spesa pubblica e che le grandi rivoluzioni del 1789 e 1917 erano state precedute anche da gravi deficit finanziari degli Stati coinvolti.^
5 Princìpi trasfusi nell’art. 41, co. 2 e 3, della Cost. it. secondo cui l’iniziativa economica privata «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale (omissis). La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».^
6 Cfr. F. Galgano, Rapporti economici, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, art. 41-44, Zanichelli, 1982, pag. 13 e sgg. Sulla questione mi sia consentito di richiamare anche il mio libro Sostenibilità ambientale e qualità dello sviluppo, Edizioni Nuova Cultura - Sapienza Università di Roma, 2013, pp. 93 e sgg.^
7 Principio trasfuso nell’art. 41, co. 1, Cost. it., secondo cui «L’iniziativa economica privata è libera».^
8 Cfr. art. 42, co. 2, Cost. it.: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».^
9 Cfr. art. 43 Cost. it.: «A fini di utilità generale la legge può riservare (omissis) allo Stato (omissis) determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale».^
10 Cfr. regio decreto legge n. 5 del 23 gennaio 1933, convertito in legge n. 512 del 3 maggio 1933.^
11 Legge n. 1589 del 22 dicembre 1956.^
12 Ricordiamo che negli anni ’70 l’inflazione italiana viaggiava intorno al 14% medio annuo (fonte: ISTAT).^
13 Per costituzione economica può intendersi quel complesso di norme, costituzionali o meno, che regolano i “rapporti economici”. Si presenta quindi al confine tra la disciplina giuridica e quella economica. Cfr. L.-J. Costantinesco, La Constitution économique de la CEE, in «Revue Trimestrielle de Droit européen», 1977, pp. 244-281, che per primo usò in Francia questo termine; nonché O. Debarge, T. Georgopoulos, O. Rabaey (a cura di), La Constitution économique de l’Union européenne, Bruylant, 2008.^
14 Principio fissato dall'articolo 104 del Trattato CEE, secondo cui «Ogni Stato membro attua la politica economica necessaria a garantire l’equilibrio della sua bilancia globale dei pagamenti e a mantenere la fiducia nella propria moneta, pur avendo cura di garantire un alto livello di occupazione e la stabilità del livello dei prezzi».^
15 Principio fissato dal paragrafo 25, art. 104 C, n. 1, secondo cui «Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi».^
16 Principio fissato dal paragrafo 1 della Risoluzione, relativo agli Stati membri, secondo cui «Gli Stati membri: 1. si impegnano a rispettare l'obiettivo, indicato nei loro programmi di stabilità o di convergenza, di un saldo di bilancio a medio termine prossimo al pareggio o positivo […]».^
17 Principio fissato dall’art. 126, par. 1, secondo cui «Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi».^
18 Principio fissato dall’art. 310, par. 1, co. 3, secondo cui «Nel bilancio (dell’Unione), entrate e spese devono risultare in pareggio».^
19 Principio fissato dal punto “c.” dell’Allegato I, rubricato «Rafforzare la sostenibilità delle finanze pubbliche”, 2° § “Regole di bilancio nazionali - Gli Stati membri partecipanti si impegnano a recepire nella legislazione nazionale le regole di bilancio dell'UE fissate nel patto di stabilità e crescita. Gli Stati membri manterranno la facoltà di scegliere lo specifico strumento giuridico nazionale cui ricorrere ma faranno sì che abbia una natura vincolante e sostenibile sufficientemente forte (ad esempio costituzione o normativa quadro)».^
20 Principio fissato dall’art. 1, secondo cui «La presente direttiva stabilisce regole dettagliate riguardanti le caratteristiche dei quadri di bilancio degli Stati membri. Tali regole sono necessarie perché sia garantita l’osservanza da parte degli Stati membri dell’obbligo, derivante dal TFUE, di evitare disavanzi pubblici eccessivi».^
21 Il Fiscal Compact è entrato in vigore il 1° gennaio 2013 avendo ottenuta la ratifica da parte di almeno dodici Paesi dell’Eurozona. L’Italia ha ratificato il Fiscal Compact con la legge n. 114 del 23 luglio 2012.^
22 Principio fissato dall’art. 3, par. 1, lett. “a”, secondo cui «la posizione di bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente è in pareggio o in avanzo».^
23 Il Fiscal Compact così recita all’art. 3, par. 2, «Le regole enunciate al paragrafo 1 producono effetti nel diritto nazionale delle parti contraenti al più tardi un anno dopo l'entrata in vigore del presente trattato tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale – o il cui rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto il processo nazionale di bilancio».^
24 Cfr. B. Du Marais, Préface, in La Constitution économique, cit., pag. 7.^
25 Nel Trattato che adottava una Costituzione per l'Europa l’art.I-53, rubricato “Principi finanziari e di bilancio”, relativi alle finanze dell'Unione, par. 2, prevedeva che «Nel bilancio, entrate e spese devono risultare in pareggio>>. Principio che ricorre anche nell’art. III-404, par. 10. Per quanto concerne gli Stati membri, l’art. III-184, par.1, prevedeva che <^
26 Criterio fissato dall’art. 140, par. 1, primo trattino, del TFUE e dall’art. 1 dell’allegato Protocollo n. 13 sui criteri di convergenza.^
27 In uno dei disegni di legge costituzionale italiani, di origine parlamentare, d’iniziativa dei senatori Nicola Rossi ed altri (AS 2871), il primo articolo inseriva nell’art. 23 della Costituzione il seguente comma: «La Repubblica garantisce il principio di equità fra le generazioni nelle materie economico-finanziarie». Tale disegno di legge è poi risultato assorbito con l’approvazione del disegno di legge costituzionale n. 3047. Cfr. G. Pisauro, La regola costituzionale del pareggio di bilancio e la politica fiscale nella Grande Recessione: fondamenti economici teorici e pratici, Atti del Seminario “La nuova governance fiscale europea. Fiscal Pact, cornice europea e modifiche costituzionali in Italia: problemi aperti e prospettive”, LUISS Guido Carli, 9 novembre 2012, pp. 10-12.^
28 Cfr. G.L. Tosato, I vincoli europei sulle politiche di bilancio, Il Filangieri - Quaderno 2011, pag. 81.^
29 Camera deputati: http://leg16.camera.it/465?area=8&tema=496&Il+pareggio+di+ bilancio+in+Costituzione.^
30 Cfr. art. 3, par. 1, lett. “b”, del Fiscal Compact.^
31 G. Tarello, in Storia della cultura giuridica moderna. Assolutismo e codificazione del diritto, Bologna, Il Mulino, 1976, I, pp. 22 e sgg., intende «per ‘costituzionalizzazione’ quel processo storico-culturale per cui, una volta che esso si è tutto dispiegato e realizzato, viene a configurarsi come un rapporto giuridico la relazione intercorrente tra il detentore (o i detentori) del potere politico e coloro che sono soggetti a tale potere».^
32 Direttiva 2011/85/EU, art. 15, par. 1.^
33 Direttiva 2011/85/EU, 16° considerando.^
34 Cfr. G.L. Tosato, La riforma costituzionale del 2012 alla luce della normativa dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno, Seminario su “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Roma, Palazzo della Consulta, 22 novembre 2013, pag. 2.^
35 Il vigente art. 34 della Costituzione francese prevede nel penultimo comma che «Les orientations pluriannuelles des finances publiques sont définies par des lois de programmation. Elles s'inscrivent dans l'objectif d'équilibre des comptes des administrations publiques».^
36 Con la legge n° 2012-1171 del 22 ottobre 2012, rubricata “autorisant la ratification du traité sur la stabilité, la coordination et la gouvernance au sein de l'Union économique et monétaire”. https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do;jsessionid= 3AA114C6CF34D2C255CD6116975CC0EF.tpdila19v_2?cidTexte=JORFTEXT000026526229&categorieLien=id.^
37 Sentenza del Conseil constitutionnel, n. 2012-6531 del 9 agosto 2012. ^
38 Rispettivamente l’Assemblea il 9 ed il Senato l’11 ottobre 2012 con la legge n° 2012-1171, poi promulgata il 22 ottobre 2012 dal Capo dello Stato. Cfr. R. Casella, Il Consiglio costituzionale francese e il trattato sul Fiscal compact, 26 ottobre 2012, p. 1. http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0371_casella.pdf. Cfr. C. Decaro, La limitazione costituzionale del debito in prospettiva comparata: Francia e Spagna, in Il Filangieri - Quaderno 2011, pag. 282.^
39 L’art. 109 della Legge fondamentale (Costituzione) tedesca), il Grundgesetz, rubricato “Bilancio economico della Federazione e dei Länder”, come modificato dalla legge 29 luglio 2009, I 2248, ai commi 1, 2 e 3 prevede:
«1. La Federazione e i Länder sono autonomi e reciprocamente indipendenti in materia di bilancio.
2. La Federazione e i Länder soddisfano in solido le obbligazioni della Repubblica Federale di Germania risultanti da atti giuridici della Comunità Europea ai sensi dell’articolo 104 del Trattato istitutivo della Comunità Europea al fine di rispettare la disciplina di bilancio e in tale ambito tengono conto delle esigenze dell’equilibrio economico generale.
3. I bilanci della Federazione e dei Länder devono in linea di principio raggiungere il pareggio senza considerare i crediti come ‘entrate’. La Federazione e i Länder possono prevedere regole che tengano conto, simmetricamente in periodi di crescita e di recessione, degli effetti di un’anomala evoluzione congiunturale, nonché (prevedere) un regime eccezionale per le catastrofi naturali o altre straordinarie situazioni di emergenza che sfuggano al controllo dello Stato e compromettano in modo rilevante la finanza statale. Per il regime eccezionale deve essere previsto un corrispondente piano di ammortamento. Ulteriori previsioni sono fissate per il bilancio federale dall’articolo 115 con la precisazione che il primo periodo s’intende soddisfatto qualora le entrate derivanti da crediti non superino lo 0,35% del prodotto interno lordo. Ulteriori previsioni per il bilancio dei Länder sono fissate dai Länder stessi nell’ambito delle loro competenze costituzionali con la previsione che il primo periodo s’intende soddisfatto soltanto qualora non sia ammessa alcuna entrata derivante da crediti».
Cfr. Grundgesetz (versione aggiornata alla legge tedesca di revisione dell’11 luglio 2012), traduzione rivista e curata da Federico Pedrini, http://www.costituzionefinanziaria.it/wp content/uploads/2013/05/GRUNDGESETZ-Le-Finanze.pdf. Cfr. anche Decaro, cit., pp. 274 e 275; nonché C. Marchese, Vincoli di bilancio, finanza pubblica e diritti sociali. Prospettive comparate: Germania, Spagna, Portogallo e Grecia, Corte costituzionale, Servizio studi, febbraio 2016, pp. 11-14.^
40 Sentenza del Bundesverfassungsgericht - BVerfG, 2 BvE 2/08 del 30 giugno 2009. La traduzione in italiano di questa interessante sentenza è stata svolta su incarico dell’Ufficio studi della Corte costituzionale dal cit. Prof. J. Luther, Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte collettive POLIS, Università del Piemonte orientale.^
41 “Artículo 135. (DeudaPública). 1. TodaslasAdministracionesPúblicasadecuaránsusactuaciones al principio de estabilidadpresupuestaria. 2. El Estado y las Comunidades Autónomas no podrán incurrir en un deficit estructural que supere los márgenes establecidos, en su caso, por la Unión Europea para sus Estados Miembros.” Cfr. Decaro, cit., pp. 272 e 280. Nonché cfr. http://www.boe.es/boe/dias/2011/09/27/pdfs/BOE-A-2011-15210.pdf.^
42 Cfr. Marchese, cit., pagg. 15-18.^
43 Come curiosa notazione, va rilevato che la legge costituzionale 1/2012, pur legata all’esecuzione del Fiscal Compact, ne precede la ratifica che venne effettuata dall’Italia con legge n. 114 del 23 luglio 2012.^
44 L’8 settembre 2011 il Consiglio dei Ministri del IV Governo Berlusconi varò un disegno di legge costituzionale che fu presentato il 15 settembre 2011 alla Camera dei Deputati con il n. 4620 sull'introduzione nell’art. 81 Cost. del mero principio che “Il bilancio dello Stato rispetta l’equilibrio delle entrate e delle spese”. http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/La_revisione_costituzionale_artt_41_81.pdf.^
45 La legge n. 243 del 24 dicembre 2012. Cfr. R. Dickmann, Brevi considerazioni sulla natura rinforzata della legge 24 dicembre 2012 n. 243, di attuazione del principio costituzionale del pareggio dei bilanci pubblici, in Federalismi.it, n. 6/2013, 20 marzo 2013.^
46 Vedi art. 81 Cost. it., co. 6, che così statuisce «Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale». Per conseguenza l’art. 1, co. 2, L. 24 dicembre 2012, n. 243, stabilisce che: «La presente legge può essere abrogata, modificata o derogata solo in modo espresso da una legge successiva approvata ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione ». Cfr. Tosato, La riforma costituzionale, cit., p. 3.^
47 Il vigente art. 81 della Cost. it., ai commi 1 e 2, così statuisce: «Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali». Cfr. la Relazione dei deputati Donato Bruno e Giancarlo Giorgetti del 10 novembre 2011 e, in particolare, l’allegato Parere della XIV Commissione Permanente della Camera: http://leg16.camera.it/126?tab=2&leg=16&idDocumento=4607&sede= &tipo=, nonché la sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 10 aprile 2014 nell’ambito dell’attuazione del nuovo assetto costituzionale derivante dalla legge cost. 1/2012, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale in parte qua di due disposizioni della legge n. 243/12: l’art. 10, comma 5, e l’art. 12, comma 3. Cfr. Tosato, La riforma costituzionale, cit., p. 3.^
48 Cfr. V. Onida, Le leggi di spesa nella Costituzione, Milano, Giuffré, 1969, pp. 158 e 832 e ss.^
49 Lo Stato italiano con il decreto legge n. 90 del 24 giugno 2014, convertito in legge n. 114 dell’11 agosto 2014, ha soppresso l’AVCP e trasferite le competenze in materia di vigilanza dei contratti pubblici all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). Cfr. C.C. Corduas e F. D’Ambrosio, Il nuovo codice degli appalti alla prova dei fatti, in «L’Acropoli», n. 5/settembre 2016, 5(2016) pp. 430 e ss.^
50 Ai sensi dell’art. 138 Cost., co. 2.^
51 Sul testo della legge costituzionale sottoposta a referendum, in G.U. del 15 aprile 2016, n. 88, vedi http://media.wix.com/ugd/14a30c_9dd527489fa24d648ca3b33c6913e1db.pdf; http://www.altalex.com/documents/news/2016/04/13/riforma-costituzionale-il-testo.^
52 Dopo i numerosi aggiornamenti tramite leggi costituzionali di cui l’ultima è stata la cit. n. 2008-724 del 23 luglio 2008, ^
53 “Article 54. Si le Conseil constitutionnel, saisi par le Président de la République, par le Premier ministre, par le président de l’une ou l’autre assemblée ou par soixante députés ou soixante sénateurs, a déclaré qu’un engagement international comporte une clause contraire à la Constitution, l’autorisation de ratifier ou d’approuver l’engagement international en cause ne peut intervenir qu’après la révision de la Constitution.” Cfr. A. Corduas, La prise en compte des diversités culturelles par les constitutions, nel “Seminario internazionale di diritto “Los aspectos culturales del Estado constitucional”, Universidad Nacional Mayor de San Marcos di Lima (Perù), 4 settembre 2014, p. 79.^
54 Occorre ricordare che “rubrica legis non est lex”, cioè il contenuto della legge prevale sulla sua rubrica.^
55 Cfr. Camera dei Deputati, Servizio Studi, Dossier n. 551/3, XVI leg., 4 novembre 2011, Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale - A.C. 4620 e abb. - Testo a fronte tra i disegni di legge di riforma costituzionale italiana e francese e le riforme costituzionali tedesca e spagnola: http://leg16.camera.it/126?tab=6&leg=16&idDocumento= 4620&sede =&tipo=^
56 Cfr. C. Fasone, La giustiziabilità della clausola sul pareggio di bilancio in Spagna. Quali indicazioni per il caso italiano?, in “La ‘manutenzione’ della giustizia costituzionale. Il giudizio sulle leggi in Italia, Spagna e Francia”, Atti del Seminario presso la LUISS di Roma del 18 novembre 2011, Giappichelli, 2012, pp. 241 e sgg. Detta relazione, comunque, tiene conto della riforma costituzionale dell’art. 81 Cost. del 20 aprile 2012. Con l’autrice si può rilevare che l’organo deputato al controllo sugli atti del Governo, cioè la Corte dei Conti, può agire come giudice a quo in via incidentale in sede di controllo preventivo sugli atti del Governo e quindi sul pareggio o l’equilibrio di bilancio di cui all’art. 81 come riformato. Tuttavia, non può sollevare questioni di legittimità costituzionale in sede di controllo successivo, il c.d. controllo di gestione, in quanto in tale veste non svolge il ruolo di “giudice” degli atti del Governo. Questa interdizione, accanto alla obiettiva difficoltà di sollevare una questione di legittimità costituzionale in sede di violazione dell’obbligo del duttile concetto di “equilibrio” di bilancio, ex art. 81 Cost., rende altamente teorica una funzione giurisdizionale di controllo sull’eventuale omessa parità o equilibrio di bilancio. Questo duttile concetto tenderebbe a rivestire un carattere più “storico” che immediato. Va inoltre rilevato che in Italia le minoranze parlamentari non hanno la facoltà di adire in via diretta la Corte cost. Inoltre, in base all’art. 117, co. 2, lett. “e”, ed all’art. 127 Cost. lo Stato italiano ha la facoltà di promuovere questioni di legittimità costituzionale contro leggi regionali, inclusa la violazione dell’art. 81, mentre non è possibile il contrario. La questione della giustiziabilità dell’art. 81, pertanto potrebbe risultare del tutto teorica. Questa zona d’ombra andrebbe risolta con opportuna modifica costituzionale.^
57 Corte dei Conti, Sezioni riunite in sede di controllo, Indagine conoscitiva in materia di contenuto della nuova legge del bilancio dello Stato e di equilibrio di bilancio delle Regioni e degli Enti locali, di cui alla legge n. 243 del 2012, (A.C. n. 3828 e A.S. n. 2344), Commissioni bilancio riunite del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati – Maggio 2016, pag. 34. Cfr. anche il Parere sulla proposta di legge (A.C. n. 3828) del 12 maggio 2016 dell’on. Francesco Boccia ed altri: "Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, concernenti il contenuto della legge di bilancio, in attuazione dell'articolo 15 della legge 24 dicembre 2012, n. 243.”^
58 Ibid., Corte dei Conti, pag. 36.^
59 Cfr. G. Pisauro, La regola costituzionale del pareggio di bilancio: fondamenti economici, Convegno di Studi amministrativi (Varenna, settembre 2012), p. 2. Sulle interferenze giudiziarie cfr. punto 3 della lettera del 28 luglio 2011 di alcuni premi Nobel al Presidente Obama: http://www.cbpp.org/press/press-releases/press-release-nobel-laureates-and-leadingeconomists-oppose-constitutional?fa=view&id=3543.^
60 Cfr. Idem, La regola in Atti del Seminario LUISS, cit., pagg. 15-16.^
61 Vedi art. 117, co. 2, lett. “e”, Cost. it. sulle competenze esclusive dello Stato.^
62 Cfr. indagine del Servizio Studi della Camera n. 551/3 del 4 novembre 2011: http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/AC0691C.htm.^
63 Cfr. art. 135, par. 3, co. 3, Cost. sp.^
64 Da ultimo la ricostruzione di scuole ed edifici pubblici e storico-artistici, con i relativi interventi di prevenzione, nelle aree interessate dai recenti terremoti in Centro Italia del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre 2016. In particolare a Norcia la Basilica di San Benedetto, che ricordiamo essere il Patrono d’Europa.^
65 Il recente confronto tra Governo italiano e Commissione UE sull’aumento del deficit strutturale nel bilancio programmatico del 2017 resta confinato nella relazione fisiologica e democratica tra Istituzioni nazionali ed europee.^
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