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Una biografia di Karl Hillebrand
di Anna Maria Voci
Le biografie delle personalità considerate di minore rilievo storico non sono molto frequenti. La fama di “minore” è di per sé un viatico di scarsa efficacia nel richiamare l’attenzione degli studiosi. Il che, naturalmente, non solo è discutibile in via di principio, ma spesso non corrisponde affatto o corrisponde scarsamente all’interesse storico che quelle personalità e le loro vicende oggettivamente presentano nell’ambito dei contesti sociali e culturali in cui le ritroviamo.
Anna Maria Voci, col suo libro suKarl Hillebrand (Karl Hillebrand EindeutscherWeltbürger, Roma, Istituto Italiano di Studi Germanici, 2015), si è cimentata nella ricostruzione della vita e dell’evoluzione del pensiero di una di tali personalità, un intellettuale tedesco dell’Ottocento, che visse tra Germania, Francia e Italia; fu storico, critico letterario, saggista acclamato e ritenuto tra i migliori dei suoi giorni; consapevole e attivo mediatore culturale e politico tra i paesi europei tra i quali si mosse. Oggi egli è quasi dimenticato. Certo, la categoria dello scrittore “saggista” non è oggi così in auge, come ai tempi di Hillebrand. Anzi, a vero dire, non ricorre più che occasionalmente (e su questo vi sarebbe da riflettere). Ciò non giustifica, peraltro, che gli studi su di lui siano diventati molto rari (gli ultimi di qualche rilievo non sono recentissimi). Molto felice è stata perciò la Voci nello sceglierlo come tema di uno studio in cui persuasivamente ne dimostra il rilievo e la singolarità tra gli intellettuali europei del suo tempo.
Hillebrand visse tra il 1829 ed il 1884. Nacque in Germania, ma la abbandonò dopo di aver partecipato ai moti del 1848-49. Trasferitosi in Francia, vi rimase fino al 1870. La guerra tra il paese di adozione e il suo paese natale, la terra dei suoi avi, lo costrinse a volgere le spalle anche alla Francia. Si trasferì allora in Italia, a Firenze, dove visse fino alla morte.
Pagò, quindi, i suoi entusiasmi rivoluzionari con l’esilio e il soggiorno ventennale in Francia. Qui già quasi subito si compì il passaggio definitivo di Hillebrand dalle convinzioni democratiche a quelle liberali moderate. Aderì, infatti, al programma sia del partito orleanista in Francia, sia di quello nazionale, unitario e liberale in Germania. Dal 1862 sostenne, comunque, l’indirizzo impresso alla politica di Berlino da Bismarck in vista di un nuovo assetto della Germania a egemonia prussiana.
Il suo soggiorno in Francia lo aveva portato, intanto, a una profonda, mai disdetta assimilazione della cultura del paese, senza, tuttavia, che con ciò venisse meno in lui il patrimonio che portava con sé dalla patria tedesca e che era suo anche per tradizione soprattutto grazie al suo ambiente familiare (classicismo umanistico, cosmopolitismo dell’età dei Lumi, storicismo herderiano, individualismo romantico). A tutti questi fermenti intellettuali si aggiunse più in là il pessimismo schopenhaueriano.
In Francia studiò a fondo anche la cultura, la letteratura e la storia italiana e britannica. Egli aveva preso la cittadinanza francese, e aveva ottenuto la cattedra di letterature straniere comparate a Douai. Ugualmente si fece strada nella società parigina, nella cerchia dei principali intellettuali francesi e nei salotti da essi frequentati, facendosi un nome anche nella pubblicistica francese grazie a un’assidua collaborazione ai principali giornali parigini. Nello stesso tempo dedicò molte energie alla diffusione della conoscenza della cultura tedesca nella sua seconda patria. Quando poi, a partire dal 1866, i rapporti francesi col mondo germanico tesero al peggio, si sforzò di delineare ipotesi di mediazione politica tra i due paesi. Sforzi resi vani, ben presto, dalla guerra del 1870-71, che indubbiamente fu per lui un trauma, e addirittura una vera e propria, indubbia cesura anche nella sua vita interiore. La sua visione del mondo rimase sostanzialmente liberale, ma si accentuò l’adesione ad alcuni valori tendenzialmente conservatori legati alla forza della tradizione storica, cui egli attribuiva grande, molto valore.
Ciò lo indusse, dopo il 1870, a rivalutare i meriti storici della monarchia francese, ma soprattutto del regime di Napoleone III. La Voci acutamente rileva, al riguardo, che il giudizio da lui dato nei primi anni ‘70 sul Secondo Impero precorre per alcuni versi la rivalutazione storiografica che per il governo di Napoleone III si ebbe solo dopo la metà del secolo XX; ed è il caso di notare che questo è solo uno degli aspetti tanto interessanti quanto finora del tutto sottovalutati o ignorati del pensiero diHillebrand messi in luce dalla Voci.
Trasferitosi in Italia egli vi fu accolto con simpatia, sicché poté stringere subito amicizie e relazioni non occasionali e caduche nell’ambiente degli intellettuali e degli uomini politici, della “classe dirigente” italiana che si muoveva ancora tra Firenze e Roma, e si trovava alle prese con tutti i problemi del giovane Stato italiano. Nel 1874 Quintino Sella ne parlava, non a caso, come diceva di lui essere “persona notissima”. Rifiutate diverse offerte di cattedre in Italia e in Germania, decise di vivere della sua penna, del reddito dai suoi saggi, dai suoi libri, dalla sua collaborazione come corrispondente da Roma e da Firenze per uno dei maggiori giornali tedeschi, la Allgemeine Zeitung. In Italia, a Firenze, riuscì, grazie alla sua profonda e vasta cultura, ai suoi modi signorili, alla sua padronanza delle principali lingue europee, a diventare una figura di rilievo nell’ambiente intellettuale della città toscana, così segnato, allora, da tratti di genuino e colto cosmopolitismo.
Frutto di questo lungo e felice soggiorno italiano furono, fra l’altro, le sue corrispondenze politiche da Roma degli anni ‘70, che per la prima volta sono state analizzate a fondo dalla Voci in questo libro. Da esse emerge un quadro veramente acuto e perspicace non solo della vita politica e parlamentare italiana del tempo, ma anche degli Italiani; e l’esame approfondito, che la Voci conduce con finezza e intelligenza, delle acute analisi di questo straordinario conoscitore delle culture europee, e sensibile osservatore del suo tempo, ne dimostra la perdurante attualità.
Altrettanto chiaramente si può vedere nelle pagine della Voci come durante i quattordici anni trascorsi in Italia Hillebrand abbia volto i suoi sforzi a procurare un forte sviluppo delle relazioni culturali e politiche tra i due paesi europei a lui più cari, quali, come ormai erano, la Germania e l’Italia. Egli si impegnò, quindi, in un assidua opera di diffusione della conoscenza della cultura tedesca in Italia e italiana in Germania, indicando e sottolineando sempre i vantaggi che, a suo parere, sarebbero venuti all’Italia da un avvicinamento politico alla “nuova Germania”.
Nel valutare i caratteri di questa “nuova Germania”, nell’esprimere le sue speranze di una sua evoluzione sana, liberale, e al tempo stesso attenta ai valori conservatori derivanti ad essa dalla sua tradizione storica, nel fare sicuro affidamento sulla sua capacità di fondere la grande eredità culturale del passato con le acquisizioni politiche del presente, ossia con la formazione di un forte e ben amministrato Stato nazionale tedesco unitario, egli non si sarebbe rivelato molto lungimirante. Il suo, pur profondo, senso della storia lo indusse a una diagnosi sostanzialmente errata. In effetti, l’amor di patria offuscò, almeno in parte, quella capacità di giudizio chiaro e acuto che caratterizza le sue osservazioni sulla vita politica francese e italiana del tempo. E, infatti, come la Voci lucidamente mette in rilievo, Hillebrand, per quanto impregnato potesse essere di un autentico spirito cosmopolitico, rimase pur sempre un uomo del secolo XIX.
Egli – se ne può concludere – fu una figura del tutto singolare, se non addirittura unica, tra gli intellettuali del suo tempo ai quali si può riconoscere una qualità di mediatori culturali tra i diversi paesi e culture europee. La forma del “saggio”. che fu tipica della sua attività di scrittore e che gli valse il già ricordato riconoscimento dei suoi contemporanei, lo aiutò molto a svolgere un tale ruolo. Non per nulla, egli stesso pensava al saggio come alla «forma letteraria più propria del [suo] tempo». Su questa base egli non solo si sforzò sempre di attingere un punto di vista comparativo, europeo, cosmopolita, ma anche di mostrare la notevole capacità di osservare, comprendere e giudicare la cultura, la politica, la società dei paesi in cui visse non dal di fuori, cioè con lo spirito e l’occhio di uno straniero che viva in Francia o in Italia, ma dall’interno, come se egli stesso fosse un francese o un italiano. Ed è appena il caso di notare quanto, e non solo del secolo XIX, sia poco frequente trovare figure di simile conformazione personale e culturale nel panorama intellettuale europeo.
La Voci ha, inoltre, messo in rilievo il profilo di Hillebrand come storico, finora sfuggito agli studiosi. Egli era convinto che «la storiografia non è scienza, ma arte»: opinione largamente diffusa prima e dopo di allora. I suoi interessi politici e culturali lo portarono, tuttavia, spesso, come appare dalle pagine della Voci, a interessi e lavori a cui si può senz’altro attribuire (senza esagerare!) un certo valore storiografico.
L’avercene restituito un profilo così dettagliato e criticamente avvertito, sulla base di un’ampia documentazione edita e inedita (non solo italiana e tedesca) è, dunque, un più che apprezzabile servigio che la Voci ha reso agli studi. Sarà difficile, dopo questa sua monografia, continuare a ignorare o a trascurare una personalità certamente significativa, sia pure nei limiti, della sua singolare figura di intellettuale italo-franco-germanico, nella storia della cultura (e anche del sentire politico) nell’Europa del suo tempo.
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