Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno XVIII - n. 1 > Rendiconti > Pag. 65
 
 
Giudea in rivolta
di Massimo Gori
Terre certamente difficili da tenere insieme quelle della narrazione contenuta nel bel libro di Maurizio Ghiretti (Giudea in rivolta. Dalla morte di Erode alla caduta dell’ultimo ‘Stato’ ebraico indipendente 4 a.e.v. – 70 e.v., Salomone Belforte & C., Livorno 2016) oggi come duemila anni fa: sono le terre dell’Asia anteriore, quelle che si affacciano sul Mediterraneo, mare di molti scambi, non sempre pacifici; sono le terre della Palestina o meglio della Giudea, della Samaria, della Idumea, della Galilea e della Perea, i luoghi della identità giudaica e in seguito cristiana.
Se poi alcuni di questi luoghi vengono ricordati con i nomi odierni, (Gaulanitide=Alture del Golan, Valle del Giordano=Giordania, Gerusalemme), il pregio storiografico dell’opera non annulla il senso drammatico dell’attualità, finanche della cronaca che riguarda tutti noi, osservatori, turisti pellegrini o, tanto più, abitatori di quei luoghi.
È una storia complessa, ma ricostruibile: l’autore ha avuto il coraggio di procedere a una sintesi, tenendo sotto controllo una sterminata bibliografia fatta di fonti antiche, di studi recenti e contemporanei in folla, e inoltre non ha accettato le vulgate semplificatorie o, al contrario, le descrizioni iperfilologiche del singolo avvenimento, insomma, la storia come documentazione ma anche come narrazione interpretata.
Il periodo preso in considerazione (I secolo dopo Cristo) è ricchissimo di avvenimenti, inevitabilmente ‘romani’: l’impero è ormai costituito, si tratta di governarlo secondo categorie politico-razionali, che contrastano con le identità dei popoli che hanno imparato a riconoscere i decreti che vengono da Roma; parrebbe un passaggio abbastanza lineare dalla macro politica alla politica locale, si tratterebbe in fondo di integrare e assimilare… col piccolo problema che l’integrazione è difficile, molto difficile, e l’assimilazione impossibile, come per esempio nelle terre abitate dai discendenti delle tribù di Israele.
Queste terre in particolare sono state interessate da una duplice globalizzazione (il termine è voluto): la prima è quella di Alessandro Magno, risale a tre secoli prima e ha dato vita a quel fenomeno che per convenzione chiamiamo Ellenismo, la seconda è quella romana, intervenuta con Pompeo dal 63 a.C., proseguita con Cesare e Antonio e definitivamente affermatasi con quello straordinario ‘sindaco’ dell’impero che risponde al nome di Ottaviano Augusto; l’Ellenismo ha diffuso il senso di una cultura comune (soprattutto fra le classi dirigenti) nella porzione orientale dell’impero romano (dove si afferma un bilinguismo grecizzante), l’amministrazione politico-militare romana ha imposto un sistema di governo non tirannico ma realisticamente dispotico, dove il realismo è rappresentato dalla capacità di rispettare usi e costumi locali.
Il termine a quo è la fine di Erode il Grande, colui che fra età cesariana e augustea era riuscito nell’intento di organizzare un Regno cliente di Roma, sufficientemente pacificato; la sua morte (4 a.C.) è un guaio politico, perché costringerà Roma a continui aggiustamenti politico-amministrativi, non escludendo repressioni militari.
Infatti le regioni che costituivano il Regno, fra le quali la Giudea, vennero più volte associate alla provincia più importante dell’area, cioè alla Siria, dove in seguito alle vittorie conseguite sui Seleucidi eMitridate, i romani avevano stabilmente collocato un esercito di quattro legioni, agli ordini di un governatore di rango proconsolare; il motivo di tale scelta è presto spiegato: la vicinanza dei confini partici e armeni, una preoccupazione di primo livello per la politica romana.
Alcuni nomi dei legati giustificano tale apprensione: Quintilio Varo (sì, proprio quello di Teutoburgo), Sulpicio Quirinio (autore del censimento, fonte di tribolazioni per la popolazione ebraica), Lucio Vitellio (padre del futuro imperatore) controllore del prefetto di Giudea Ponzio Pilato e infine Domizio Corbulone, il più esperto generale di cui disponeva l’età neroniana; Roma quindi sorvegliava con molto scrupolo e a scopi pacifici tutte quelle terre in perenne fermento fra Siria, Decapoli e Nabatea.
Oltre a fenomeni di insorgenza sociale, che spesso diventavano problemi di ordine pubblico, la società era divisiva: le classi dirigenti condividevano privilegi non sempre giustificabili grazie all’appoggio fornito ai funzionari romani i quali imponevano una fiscalità pesante ai danni del popolo medio e minuto; la casta sacerdotale era nei fatti simile a Giano bifronte, nel senso che si faceva paladina formale della tradizione religiosa, mentre era consapevole del prevalere dei valori ellenistici nella educazione e nella formazione della upperclass.
Tutto ciò alimentava una crescente e sfibrante inquietudine in molti strati della società, dove si registravano comportamenti aggressivi, ai limiti della guerra civile, accanto ad atteggiamenti mistico-ascetici, non meno pericolosi per la coesione sociale: il profetismo provvidenzialistico era il Leitmotiv di tutti gli schieramenti maggiori e minoritari della società ebraica che, come accadrà per esempio nel Medioevo cristiano, vestiva di panni e giustificazioni religiose tutto ciò che altrove si sarebbe valutato come problema politico o sociale.
Sadducei contro Farisei, Esseni in antitesi all’estremismo zelota, sicari terroristi, tutto contribuiva a rendere difficoltosa la convivenza con l’amministrazione romana che pur aveva cercato in più occasioni di mostrare rispetto nei confronti dell’identità ebraica, atteggiamento che non appariva una novità, considerata l’importanza che i Romani attribuivano alla pax deorum; i diritti delle comunità ebraiche erano stati, almeno fin dal tempo di Giulio Cesare, riconosciuti e coltivati nella stessa Urbe, dove non pochi casi di proselitismo ebraico (cristiano?) si registravano persino in prossimità della domus imperiale.
La ricostruzione dello studio ‘Giudea in rivolta’ si fa particolarmente stringente e calzante quando affronta gli anni che vanno dal 66 al 70 d.C.: testimone principe è Giuseppe ben Mattatia, dignitario trentenne via via coinvolto nelle vicende della rivolta antiromana che, impadronitasi di Gerusalemme, la trasforma in una fortezza quasi inespugnabile; le opere di colui che diventa una voce autorevole della resistenza giudaica sono state conservate nel tempo e utilizzate da tutti gli studiosi che hanno analizzato il Vicino Oriente in età romana.
La vicenda di Giuseppe, passato da un ruolo attivo nella città di Iotapata in Galilea alla prigionia e poi alla collaborazione con Vespasiano e Tito, gli ha fatto meritare il titolo di ‘traditore’, avendo lui assunto il nomen gentilizio di Flavio (Giuseppe), titolo che per la verità il Nostro merita solo in parte, in quanto lui, come molti altri, oscilla fra adesione e mediazione, esattamente come la divinità bifronte: a Giuseppe sembra insensata la resistenza disperata che le correnti estremiste vogliono opporre alle legioni romane, in una sorta di suicidio collettivo che troverà il proprio compimento nella ‘follia’ (ànoia) di Masada, che impressionò gli stessi vincitori.
Dalla tragedia della rivolta giudaica discende l’enmesima importante diaspora del popolo ebraico che, diffusosi nelle città dell’impero, continuerà a vivere nel ricordo e a volte nel mito di una patria perduta, integrandosi ma non assimilandosi: gli studiosi del Libro sostengono che l’Apocalisse sarebbe stata scritta proprio negli anni della rivolta, all’osservatore ‘gentile’ pare una coincidenza non casuale, così come pare politicamente razionale la ‘conversione’ di Giuseppe che, come Polibio, seppe fare i conti con la storia, respingendo il messianismo e nel contempo cercando di rendere compatibile la vicenda di questo piccolo e grande popolo con altre non meno dignitose vicissitudini.
Il merito più grande del libro, oltre all’avvincente taglio narrativo, è smentire il motivo ricorrente della diversità ebraica, occasione di dolore più che di affermazione: ‘dio è con noi’ è un’espressione che va sempre evitata.
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft