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Su un luogo dell’edizione Pedio dell’Estat du Royaulme de Naples del Leclerc (1521)
di Fausto Cozzetto
«Documento eloquente delle condizioni del Regno definisce Giuseppe Galasso1, l’Estat du Royaulme de Naples par Messire Charles Les Clerc, chévalier, président de la Chambre des Comptes à Lille, commissaire et controller général de tous les officiers de sa Majesté Impériale en son Royaulme et Pays de Naples non solo perché il momento dell’invio del commissario, nel 1517, si verificava, per parte del governo di Bruxelles «quando Carlo V non si era ancora recato in Spagna e non vi era stato ancora riconosciuto» ma perché ciò significava «che quel governo aveva la ferma intenzione di rendersi conto delle condizioni dei domini di Carlo e, fin dal primo momento agirvi con energia». Lo storico napoletano nota più avanti che quell’energia sarebbe divenuta «una cifra costante nell’azione della nuova dinastia: la ricerca di mezzi finanziari sempre crescenti, né era particolare per Napoli, al contrario portava il marchio dell’indirizzo di governo che il principale ministro del Re, lo Chièvres, applicò negli stessi paesi iberici»2.
Qualcosa di più specifico nei rapporti tra Napoli e corte borgognona si era, tuttavia, verificato. Proprio al momento della successione di Carlo d’Asburgo al Cattolico i rapporti tra viceregno napoletano e Bruxelles si erano complicati, poiché il viceré di Napoli de Cardona aveva inviato al governo di Carlo, nell’aprile del 1516, la richiesta di somme di denaro per pagare le truppe castigliane che si trovavano nel Regno. Il viceré fondava la sua richiesta quasi certamente su un documento da lui fatto redigere nel 1514 intitolato Salarios ordinarios se davan en Italia Napoles 1514, poi conservato a Simancas3. Nel documento, che contiene altresì una descrizione dettagliata delle spese riguardante gli organi di governo napoletani, nella parte riguardante le spese militari viene con una certa cura redatto in paragrafi corrispondenti alle formazioni militari presenti a Napoli e nel resto del Regno, con l’indicazione delle guide militari, della consistenza numerica, del compenso annuale pro capite dei soldati e della cifra complessiva di spesa. Su questa base il de Cardona poteva senza difficoltà documentarsi sulla spesa che il governo napoletano sosteneva per le compagnie di soldati spagnoli, e in particolare castigliani, che risultava esattamente doppia, 262 ducati pro capite, rispetto a quella dei militari indicati come italiani, pari a 131 ducati4. È probabilmente anche in questo contesto che si inserisce la decisione della corte borgognona di inviare a Napoli il Leclerc, mutando la linea politica moderata perseguita fino ad allora per i domini della Corona aragonese, di cui all’avvento al trono di Carlo era interprete a Napoli il viceré de Cardona,
Rispetto alle indagini del de Cardona il compito affidato al Leclerc era più ampio, poiché includeva un’attenzione specifica, oltre che alla situazione finanziaria, anche all’organizzazione periferica dello Stato, nonché alla giurisdizione feudale ed ecclesiastica. Le prescrizioni riservate che la corte del sovrano elabora e consegna in copia al visitatore il 21 di gennaio del 1517 si presentano come la richiesta di un’indagine rigorosa in cui si chiede di individuare e interpretare l’origine e la causa della situazione finanziaria allarmante in cui versa il Regno, attestata dalla richiesta del de Cardona. Da qui il tono perentorio con cui il sovrano si rivolge al Leclerc: «los quando nos queremos aver verdadera y particolar informacion de todas las cosas tocantes ala gouvernation del nuestro Reyno de Napoles y ala administration de nuestras rendas y patrimonio Real y ala execution de la justicia para proiveher cerca dellas como convenga al servicio de dios […] y nuestro y al biengouvernacion del dicho reyno […] vos damos potestad con la presente para que podais entrar y entrevenir en el nuestro real consejo secreto y en el de Sancta Clara y en la Gran corte de la Vicaria y en nuestra Camera de la Summaria, podais veri Rever todas las cuentas que en ella se handado y sedan y dieven de aqui adelante por administradores de nuestras rendas […] del dicho reyno»5.
I provvedimenti presi dal commissario regio, sia nella capitale che nelle Puglie, suscitano, secondo la narrazione dello stesso Leclerc, l’ostilità di Giovan Battista Spinelli, conte di Cariati, considerato esponente di primo piano della feudalità e dell’aristocrazia napoletana. Perciò Carlo V in una successiva Instruction del 1518 inserisce il Leclerc in una commissione alla cui guida nomina lo stesso Giovan Battista Spinelli e inserisce il reggente della Cancelleria napoletana Montalto. Un anno dopo, richiamato provvisoriamente il Leclerc alla corte spagnola, il Marchese di Chièvres, di fronte alle rimostranze del commissario, che lamenta una scarsa considerazione delle sue indagini, risponderà: «Sua Maestà è[...] venuto in Spagna per fare il Re e non il contabile».
Rientrato a Napoli il Leclerc, lo scontro tra i membri della commissione si rinnovò. Il commissario aveva ricevuto in Spagna istruzioni per indagare su pesanti accuse rivolte al Conte di Cariati di aver commesso una serie di abusi; in particolare di essersi impadronito di rendite feudali e della terra di Somma, in seguito alla morte di Giovanna d’Aragona, vedova di Ferdinando II già re di Napoli6. Prima della vigilia della sua definitiva partenza per la Spagna il commissario convocò, come egli stesso riporta nella sua relazione, un’assemblea di nobili napoletani, durante la quale informò i partecipanti, presente lo stesso Conte di Cariati, delle accuse rivolte a quest’ultimo. A Saragozza, in un nuovo incontro con il Marchese di Chièvres, il Leclerc sollecitò interventi punitivi nei confronti del Conte, ma il sovrano, persistendo nell’atteggiamento moderato della sua linea di governo, come aveva già fatto l’anno precedente, non accolse le nuove richieste di punizione, che il Leclerc proponeva senza tener conto che lo Spinelli rappresentava per Carlo una delle personalità napoletane di maggiore fiducia, tanto da avergli nel frattempo elargito una serie di privilegi e riconoscimenti 7.
Edita e tradotta dal francese da Tommaso Pedio8 la relazione del Leclerc, redatta nel 1521, è stata largamente citata e utilizzata dalla storiografia successiva e, fra gli altri, dal Galasso, nella sua monumentale opera sul Regno di Napoli, che sulla base dall’edizione tradotta del Pedio, fornisce un riesame critico della storia tributaria del Regno, a partire dai tempi degli Angiò.

Nell’Estat du Royaulme che redasse a conclusione del suo incarico [Leclerc] delineò un quadro esauriente dell’intera storia tributaria del Regno a partite dai tempi degli Angiò. Sotto costoro le collette – egli scrive – ammontavano a 343.574 ducati, ma le alienazioni e le crisi dovute alla condizione del paese da Giovanna I in poi le avevano fatto scendere a 300.000, e anche fino a circa 235.000 ducati. Alfonso I aveva introdotto i pagamenti fiscali con la congiunta imposta sui sali per complessivi 357.900 e riformato la Dogana delle pecore per 80.000 ducati, oltre a 160.000 ducati per diritti doganali, portolanie e tratte, sicché le sue entrate, erano ammontate a 597.900 ducati. Per il Regno di Ferdinando I le entrate regie sarebbero salite a 940.000 ducati, pressoché raddoppiandosi, quindi, rispetto al tempo di Alfonso e venendo valutate, così, di quasi la metà superiori a quella che conosciamo come puntamassima del periodo aragonese. La sfasatura può essere giudicata frutto – oltre che di qualche errore di conto – del modo del Leclerc di calcolare insieme entrate ordinarie ed entrate straordinarie. Allo stesso modo, per l’ultimo anno di Ferdinando il Cattolico, ossia il 1515, egli dà le entrate in poco meno di 750.000 ducati, senza la Dogana delle pecore il cui dato manca. Anche qui si avrebbe, dunque, un decisivo balzo in avanti rispetto ai 634.000 ducati, che abbiamo visto risultarci per il 1508-1509, e, – crediamo – per la stessa ragione9.

Qui è importante notare che le cifre del testo originale del Leclerc sono state, in più parti, tradotte erroneamente dal Pedio. Dal testo originario, si evince come l’erroneità di taluni dati si leghi alla cattiva lettura delle cifre in numeri romani usate, secondo tradizione cancelleresca, dal Leclerc. Esempi di errori, talora macroscopici, sono nelle cifre delle collette angioine. Nel testo originale la cifra della prima colletta è così presentata «IIIc IIIIxx IIIm Vc LXXIIII» [383.574], laddove il dato del Pedio è di 40.000 ducati più basso e cioè 343.574. L’errore di 40.000 ducati è dovuto al fatto che Pedio legge le quattro aste latine con due x esponenziali come 40 e non 80 come, invece, è necessario tradurre in numeri arabi. A ben vedere l’errore del Pedio è desunto dall’insieme della sua accelerata ricostruzione dell’andamento delle finanze del Regno in quel periodo, come appare invece dall’ampia ricostruzione fattane dal Leclerc, che, non considerando gli errori numerici del testo del Pedio, rimane convincente.
Ancora meno convincenti altri importanti dati quantitativi che la storiografia contemporanea ha tratto dalla relazione del Leclerc assumendoli, tranne poche eccezioni, in maniera molto maldestra. Nelle pagine 75-95 dell’Estat il suo autore riproduce, provincia per provincia, una delle poche numerazioni di fuochi di cui l’amministrazione del Regno di Napoli ci abbia lasciato l’intera consistenza, per i primi due secoli dell’età moderna. Il Leclerc inserisce la numerazione alla fine di una rapida ricostruzione della storia dei conteggi dei fuochi fiscali introdotti dalla riforma di Alfonso il Magnanimo nel 1443, anche se il commissario commette un errore di datazione, anticipandola al 1442. Egli così scrive: «le dits Royaulme de Naples selon la dernier numeration faicte du temps du dit Roy Catholique, sans y comprendre les cifres de Naples et de Liperois, contenait le nombre de deux cent soixantedeuxmildeuxcentsquinzefeus [262.215][…].Les feus qui appartenaient aux esclaivons grectz et albanois habitans ou dit Royaulme estoient en nombre de deux mil sept cents et uny [2.701]»10.
Il Leclerc, pur senza offrire una data precisa, sosteneva che «selon la dite numeration dernierement faicte du temps du feu de tres noblememoire le Roy Catholique il y ha ou dit Royaulme lesfeuz et leslieux qui sensuissent»11.
Pubblicando nel 1991 le cifre della numerazione dei fuochi ripresa dal Leclerc, il Pedio dava al suo saggio un titolo esplicativo di quella che egli riteneva essere la data dell’effettuazione della numerazione dei fuochi: Un focolario del Regno di Napoli del 1521 e la tassazione focatica dal 1447 al 159512.
L’avere datata 1521 tale numerazione risulta poco comprensibile, poiché questa data non appare in nessuna delle sezioni in cui è divisa la relazione del commissario. Pur tuttavia gli ordini di grandezza che si possono desumere per lo studio delle popolazioni dei centri abitati del Mezzogiorno d’Italia, attraverso questi imperfetti strumenti demografici, hanno spinto molti studiosi ad utilizzare, senza altre verifiche, queste cifre, che creano seri problemi interpretativi allo studio dell’evoluzione demografica delle province e dei centri abitati del Regno di Napoli, tra Quattrocento e primi decenni del Cinquecento. È il caso della monografia dedicata da Giuseppe Caridi alla Calabria ad inizio del XXI secolo13.

Di recente una completa numerazione fiscale effettuata nel 1521 su ordine di Carlo V, il cui documento originale si trova nel British Museum ed è ignota al Giustiniani, è stata pubblicata da Tommaso Pedio, che ne ha dettagliatamente trascritta una copia conservata nel fondo Beltrami [Beltrani] della biblioteca provinciale di Bari. Dalla metà del Quattrocento alla fine del Seicento sono perciò disponibili i dati analitici di 8 censimenti – relativi cioè agli anni 1447, 1521, 1532, 1545, 1561, 1595, 1648 e 1669 – dei fuochi dei centri abitati del Regno di Napoli14.

La soluzione al dilemma che il Pedio fa erroneamente emergere dal testo del Leclerc su quale sia la data della numerazione di età del Cattolico, è desumibile da quanto la storiografia degli ultimi decenni ha espresso in termini di ricerca su fonti demografiche della prima età moderna e di riflessione critica sul valore euristico delle stesse fonti sul piano della demografia storica.
Nel 1983, Giuseppe Coniglio pubblicava un documento da lui consultato presso l’Archivio di Simancas nel quale si offrivano le cifre delle imposte dirette assegnate a principesse aragonesi nell’età di Ferdinando il Cattolico. In particolare, riprendeva le cifre assegnate a Giovanna d’Aragona, moglie di Ferrante I re di Napoli, deceduta nel 1517, e riportava l’elenco dei centri abitati con i relativi fuochi fiscali da cui l’ex regina e sorella del Cattolico ricavava cifre cospicue. Ebbene i centri abitati – quattro per Terra di Lavoro (Sorrento, Somma, Massa e Vico) uno per il contado di Molise (Isernia), due per Principato Citra (Nocara e Castellammare di Stabia), tre per Abruzzo Citra, tutti importanti come Sulmona e Ortona a Mare, e numerosi altri per Abruzzo Ultra – sono riportati con le relative cifre dei fuochi e sono del tutto identiche a quelle riportate dal manoscritto del Leclerc15. Il documento ripreso dal Coniglio non è datato, ma lo studioso in nota osserva come esso sia «di certo anteriore al 1517, poiché vi appare ancora in vita Giovanna d’Aragona […], morta il 7 gennaio 1517»16.
A distanza di cinque anni dal volume del Coniglio, Maria Antonietta Visceglia pubblicava il suo volume Territorio feudo e potere locale. Terra d’Otranto ed età moderna17. Nel volume venivano utilizzati i fondi dell’Archivio di Stato di Napoli, allora da poco recuperati, che le consentivano, attraverso la consultazione del Percettore provinciale di Terra d’Otranto di ricostruire l’andamento dei fuochi della provincia dal 1447 [1443] con dati del 1508, del 1522 e del 153918. Ove si confrontino i dati riportati dalla Visceglia per la numerazione dei fuochi del 1508, è immediatamente evidente che questi dati sono gli stessi ripresi dal Commissario Leclerc nel suo Estat del 1521.
La numerazione dei fuochi, quindi, riportata dal Commissario è, come ripetutamente egli sottolinea nel testo, dell’età di Ferdinando il Cattolico, non solo ma poiché nella sua relazione egli ricostruisce l’andamento delle contribuzioni fiscali e del conteggio dei fuochi da Alfonso il Magnanimo fino al Cattolico la sua ricostruzione appare, per riprendere il giudizio del Galasso, «un quadro esaustivo» e particolarmente ben informato della situazione del Regno nei primi anni della successione di Carlo d’Asburgo»19.












NOTE
1 G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno spagnolo (1494-1622), Utet,Torino, 2005, p. 313.^
2 Ivi, p. 314.^
3 AGS, Estado, Napoles, legajo E.1004, fol. 50, c.1r 1514. Per un esame analitico del documento e, assieme ad esso di un secondo e dello stesso tipo ma relativo al 1515, in ivi, fol.80, c.4r, si veda R. Sicilia, Un Consiglio di spada e di toga. Il Collaterale napoletano dal 1443 al 1542, Guida, Napoli, 2010, pp. 94-95.^
4 Ivi, legajo E.1004, fol.50: Regia artiglieria, Guardia della città (di Napoli), Alguzzini regali, Vicaria, Balestrieri a cavallo, Guardie de Alabardieri, Corrieri ordinari, Mastri de corrieri delle Poste: 161 addetti e 5176 ducati di spesa; Huomini d’arme che non ponno servire(si tratta di guide militari non disponibili nella capitale ma dislocati nelle province, in tutto 15, nonché soldati “stroppiati” in tutto 23, per una spesa complessiva di 7963 ducati; Exercito terrestre (con le truppe a servizio del viceré e le compagnie di Fabrizio Colonna, del Duca di Termoli, del Marchese di Pescara, del Conte di Golisano, del Conte di Potenza, di Don Ferrante Castriota, di Antonio de Leiva, di Ferrante d’Alarcon, dei magnifici Petro Pineido,Geronimo Oliver, Marco Ximenez de Cerdua, di Don Pietro de Castro (quest’ultimo al comando di una compagnia di spagnoli con presenze di italiani); di Stradioti: Lazaro Mathes, Giorgio Sufiano, Petro de Betra, con una spesa complessiva per l’Exercito terrestre di 107.660 ducati; Exercito Marittimo: Guglielmo de Croy Almirante del Regno e Capitano generale; donna Isabella di Villanova, principessa di Salerno soldo d’una sua galera; magnifico Galeazzo Bastiniano per due galere armate; quattro galere reali a carico di Don Raimondo de Cardona, per una spesa complessiva dell’esercito di mare di d.25531; per le fortezze di Gaeta e di Castelnuovo con 7 capitani, 343 fanti, 1 brigantino armato e 100 rematori (di buona voglia) 1500 ducati, ancora fanti in servizio presso gli uffici napoletani previsti per una spesa di 2338; provvigioni per personalità del regno ma di cui non si erano ancora spediti i mandati tanto che le spese non sono conteggiate nella sintesi finale: Marchese di Pescara: 1150 ducati d’oro; Capitano Antonio di Carranza, Cap. Giovanni Navarro; Ranaldo Balviano,Don Francesco de Guevara; Genti d’arme de Castiglia: luogotenente Giovanni Lopez de Galizia, della compagnia del Magnifico Angelantonio de Castiglia, 69 uomini d’arme e il contatore per una spesa di 7.905 ducati. 05. Le compagnie del Conte d’Altamura, di Don Giovanni de Velasco; di Sancho Lopez ancora attribuita al Conte d’Altamura; di Giovanni Rodriguez della compagnia di Giovanni Velasco, della compagnia di Don Pedro de Padilla; di quella del magnifico Don Pedro de Urtado de Mendoza, della compagnia del magnifico Pedro Zabatta; infine le compagnie di Ginetti (combattenti nudi a cavallo) della compagnia di Don Alonso de Silva; di Don Alonso de Carvajal; del Commendatore de Rivera; di Don Pedro de Ogliara; di Martin de Rogias¸del Magnifico Pedro Osorio. Il totale delle spese per le truppe spagnole, per un complesso di 246 militi era di 64384 ducati; per ogni militare spagnolo la spesa annuale era pari a 262 ducati; la spesa per i militari indicati come italiani, la cui cifra complessiva era di 818 uomini, la loro spesa era stata conteggiata per un totale di 107.660 ducati: pro capite la spesa era di 131 ducati annui, l’esatta metà di quella dei soldati spagnoli.^
5 Per il documento nella sua interezza cfr. R. Sicilia, op. cit., p.133, n.33.^
6 Cfr. G. Galasso, op. cit., pp.314-315.^
7 Per questa ricostruzione, cfr. R. Sicilia, Giovan Battista Spinelli conte di Cariati, in A. Anselmi (a cura di), La Calabria del viceregno spagnolo storia arte architettura e urbanistica, Gangemi, Roma, 2009, pp. 252-255.^
8 T. Pedio, Napoli e Spagna nella prima metà del Cinquecento, Cacucci, Bari, 1971, la traduzione della relazione si trova alle pp. 439-463. Del testo del Leclerc esistono duemanoscritti completi, l’originale è quasi certamente quello conservato presso il British Museum di Londra, il secondo manoscritto è stato redatto in copia dell’originale ed è conservato presso la Biblioteca de Gemmis di Bari. La traduzione del Pedio è stata redatta su questa seconda copia. Altri manoscritti incompleti si troverebbero a Napoli presso il Museo di San Martino, ma nonostante le ricerche compiute non sono mai riuscito a visionarlo, da parte di alcuni si sostiene che un’altra copia si troverebbe a Parigi. Personalmente ho operato sul testo di Londra e su quello di Bari.^
9 G. Galasso, op. cit., p. 319.^
10 «Il detto reame di Napoli secondo l’ultima numerazione [dei fuochi] fatta al tempo del re Cattolico, senza comprendervi le città di Napoli e di Lipari, accoglieva 262.215 fuochi. […] I fuochi che appartenevano a schiavoni, greci e albanesi, abitanti in detto Regno, erano in numero di 2.701».^
11 «Secondo la citata numerazione fatta ultimamente al tempo del defunto di nobilissima memoria il Re Cattolico, vi sono in detto Regno i fuochi e i luoghi che seguono […].^
12 Il testo fu edito in «Studi Storici Meridionali», 11 (1991), pp. 246-265.^
13 G. Caridi, Popoli e terre di Calabria nel Mezzogiorno moderno, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001.^
14 Ivi, p. 31. Nella nota 34 Caridi solleva qualche perplessità sui sistemi di conteggio utilizzati nello studio del Pedio.^
15 G. Coniglio (a cura di), Consulte e bilanci del viceregno di Napoli dal 1507 al 1533, Roma, Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea, 1983, pp. 374-375.^
16 Ivi, p. 374, n. 1.^
17 Napoli, Guida, 1988.^
18 Sulle rilevazioni della Visceglia cfr. le riflessioni storiografiche di G. Delille, Demografia in Storia del Mezzogiorno. Vol. VIII. Aspetti e problemi del Medioevo e dell’età Moderna, 1°, Napoli, Edizioni del Sole, 1991, p. 21.^
19 G. Galasso, op. cit., p. 319.^
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