Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno XVII - n. 6 > Saggi > Pag. 533
 
 
I saperi umanistici e le scienze della vita
di Aurelio Musi
1. La nozione di vita è stata al centro della cultura europea tra Ottocento e Novecento. La sua efficacia teorica e pratica è andata dispiegandosi per lo meno a tre livelli. Prima di tutto quella nozione ha rappresentato un nesso formidabile tra natura e cultura. Ha consentito cioè di non arrestarsi al profilo biologico deterministico, a non rappresentarlo nel suo ciclo elementare, a non trasferire quest’ultimo nel modo di intendere l’intera esistenza umana, quasi che quel ciclo fosse la metafora senza residui del vivente. In secondo luogo la lunga stagione del Positivismo ha mostrato due volti, che rendono assai più complessa la sua interpretazione, se si vuole andare oltre la vulgata e la “communis opinio”. Per un verso cioè il Positivismo ha significato lo schematismo meccanicistico delle regole e delle leggi invarianti, applicabili a tutti i livelli della conoscenza umana. Per un altro verso, però, per lo meno nelle sue espressioni meno chiuse, ha consentito un confronto aperto fra scienze della natura e scienze dello spirito, così inducendo a rivedere la dicotomia storicistica. In terzo luogo la nozione di vita è stata, tra Ottocento e Novecento, una vera e propria rappresentazione dello spirito del tempo, perché ha favorito un’estensione del significato, una visione più allargata del vissuto.
Così inteso il concetto di vita è stato al centro del pensiero filosofico: e basti pensare a Nietzsche, ai più originali rappresentanti dello storicismo tedesco come Troeltsch, a Bergson, in Italia a Croce. Quella nozione ha costituito altresì un ponte tra filosofia e scienze, un nucleo problematico forte con cui hanno dovuto fare i conti forme diverse della conoscenza come la conoscenza sociologica e la conoscenza storica, tanto per fare due esempi. Sul terreno della prassi storiografica il problema si è presentato – si pensi soprattutto alle esperienze francesi della Revue de Synthèse Historique e delle Annales – in termini assai complessi: la dialettica, la tensione fra vita, norme o valori e storia è stata assunta all’interno stesso della pratica storica; al medesimo tempo, questa ha sentito il bisogno di ripensare e riformulare l’autonomia del suo statuto scientifico, i suoi metodi e i suoi contenuti. Di qui la doppia fisionomia che hanno assunto le esperienze storiografiche più originali dei primi decenni del ’900: da un lato il riferimento continuo al dibattito filosofico come indice più sensibile della condizione culturale contemporanea in un’epoca fortemente segnata dal nesso filosofia-storiografia; dall’altro lato la ricerca sui metodi, le tecniche, le procedure distintive o comuni della storia rispetto alle altre scienze umane. La doppia fisionomia trovava poi il suo momento di fusione in un’unica idea regolativa, per così dire, del lavoro storico: l’aspirazione alla sintesi tra unità vivente, specializzazione scientifica e ruolo dello storico. Marc Bloch e Lucien Febvre, i padri fondatori delle Annales, la rivista francese fondata nel 1929, che ha in larga misura innovato metodi e tecniche della scienza storica, sostenevano che la storia, per essere scientifica, doveva essere più umana sia nell’oggetto del suo studio che nell’elemento della comprensione. E Febvre ribadiva che la vera storia scientifica era quella in contatto diretto con la vita. Berr insisteva sull’unità tra mondo umano e mondo della natura, Febvre allargava la dimensione umana nella storia attraverso l’interesse per i ritmi biologici, la sensibilità, la vita affettiva, le componenti psicologiche. Un paio di decenni prima Benedetto Croce, in Teoria e storia della storiografia, aveva collocato al centro della sua elaborazione proprio il nesso, non sempre tranquillo, anzi spesso drammatico e lacerante, tra vita e storia, presentandone tutte le possibili implicazioni: «Il rapporto della storia con la vita come rapporto di unità, non certamente nel senso di un’astratta identità, ma in quello di unità sintetica, che importa la distinzione e l’unità insieme dei termini»; l’interesse per la «vita presente» come molla per indagare un fatto passato; la «certezza e l’utilità della storia» fondate proprio «sull’indissolubile nesso di vita e pensiero», «vere fonti della storia»; l’impossibilità di smarrirsi nella storia perché «a volta a volta il problema di essa è preparato dalla vita, e a volta a volta il pensiero lo risolve passando dalla torbidezza della vita alla distinzione della coscienza».

2. Grosso modo nello stesso periodo qui considerato, i saperi umanistici e la cultura classica sono entrati a far parte integrante della Bildung di grandi intellettuali, scienziati, artisti. Gli esempi potrebbero essere tanti. Si pensi a Sigmund Freud. Parlare di eclettismo come carattere della prima formazione culturale di Freud è corretto se si vuol far riferimento ai suoi vasti e diversificati interessi. Ma è insufficiente perché è una rappresentazione descrittiva che coglie solo l’aspetto più superficiale e generico della personalità intellettuale. Più adeguato a Freud è il significato ampio, completo di eclettismo: cioè sia l’enciclopedismo, l’eterogeneità dei motivi ispiratori, la versatilità, sia la capacità di fondere stimoli e metodi differenti in una prospettiva complessiva unitaria. Altro aspetto, assai più complesso e rilevante, è l’approfondimento della Bildung, del sistema di rapporti cioè che si è venuto a creare, fin dalla giovane età del fondatore della psicoanalisi, tra le tante letture fatte e i diversi saperi a cui esse facevano riferimento. La Bildung significa educazione armonica e integrale: il neoumanesimo austro-tedesco ne è una fattispecie particolarmente riuscita (basti pensare a Schiller, Goethe, von Humboldt). I classici greci ne costituiscono la parte integrante per l’ideale di armonia che realizzano tra istinto e ragione. Anche la centralità dell’attività estetica rientra in questo ideale. L’accordo tra sensibilità e razionalità non è pacifico, richiede impegno e continua tensione spirituale dell’io. Connaturato a questa idea di Bildung è lo sviluppo come crescita interiore verso forme di personalità sempre più complessa e, al tempo stesso, armonica. La sintesi di tradizione e creazione innovativa di cultura è una forma sempre in divenire perché il processo di formazione dura tutta la vita. Freud, il lettore eclettico spazia da Shakespeare ai miti greci a Darwin. La seconda direzione degli studi di Freud negli anni di formazione si ritrova anch’essa, nelle sue motivazioni di base, nell’Autobiografia: “In quegli anni giovanili – egli scrive – non sentivo alcuna predilezione speciale per la professione medica, né ebbi del resto a sentirla in seguito. Mi dominava piuttosto una specie di brama di sapere che, però, si riferiva più ai fenomeni umani che agli oggetti naturali, e che inoltre non aveva ancora riconosciuto il valore dell’osservazione come suo principale mezzo di appagamento”. La “brama di sapere” che investe i fenomeni umani più che quelli naturali indica un interesse precoce di Freud per tutto quanto ha a che fare con l’humanitas storicamente determinata, per tutte le connotazioni del vissuto, individuale e collettivo.Dunque è qui il fondamento dell’umanesimo di Freud: lo studio approfondito e meticoloso del latino e del greco, gli ideali di ordine e armonia che egli riscontra nella classicità vanno a strutturare una solida Bildung su cui è possibile innestare tutto il percorso successivo. Un’indagine sulle fonti greco-latine della psicoanalisi freudiana ha dimostrato l’influenza che la Bildung classica esercita, per via diretta o indiretta, sulla stessa genesi della teoria psicoanalitica. La letteratura è considerata un mito fondatore in Freud. Basti pensare alla seconda parte degli Studi sull’isteria. La biografia intellettuale del giovane Freud è in continuo equilibrio tra studi umanistici e scienze naturali. L’antichistica suggerirebbe addirittura l’impianto teorico di molte teorie. Non è casuale la simpatia di Freud per la concezione della vita erotica nell’antichità greca soprattutto, che esaltava l’istinto, al contrario della società moderna, tendente ad una sua costante svalutazione. Probabilmente anche da qui Freud trae motivo di ispirazione per la sua visione della sessualità come forza biologica dell’individuo. Profondo è il rapporto di Freud con l’antichistica che studia i sogni (onirocritica), rivalutata dal fondatore della psicoanalisi contro le ricerche positivistiche coeve. È possibile ricostruire una topografia e cartografia dell’antico che accompagna Freud in tutto il corso della sua esistenza,ma che si radica negli anni della gioventù: Roma, Atene, Efeso, Troia, Micene, Cnosso, per ricordare solo i luoghi più importanti. Studiando la corrispondenza di Freud con Fliess, c’è chi ha parlato di una “nevrosi romana” di Freud. Roma è l’arché, il principio in senso greco come inizio e ordine. Anche in questo egli appartiene profondamente alla cultura tedesca che si ispira a Winkelmann e a Goethe. Atene costituirebbe l’arché come genos, origine genealogica secondo la tradizione romantica. Pompei costituirebbe invece l’arché come (in)attuale. Roma e Pompei sarebbero così due vie d’accesso all’antico. Roma è l’archivio vivente, dove tutto si sovrappone, si fonde con le tracce precedenti. Pompei è la coerenza degli elementi presenti, il microcosmo uniforme e senza lacune. È inattuale in due sensi: nel senso nicciano, perché rompe le continuità storiche, presenta un’antichità bruta senza le mediazioni di Cristianesimo e Rinascimento; e in senso più specificamente freudiano rilancia la coincidenza tra l’(in)attuale e l’infantile.
Il dialogo tra arte e scienza, mente e cervello nella grande Vienna, è stato al centro della magnifica opera recente del neuroscienziato premio Nobel Eric Kandel. Fu proprio quel dialogo a dare l’avvio ad una rivoluzione che avrebbe cambiato per sempre il modo di considerare la mente umana.Nei salotti viennesi dell’epoca si discutevano idee che avrebbero segnato una svolta nella psicologia, nella neurobiologia, nella letteratura e nell’arte. Si fondevano lo studio della mente e del cervello, le origini della psicologia dinamica, la ricerca del significato interiore nella letteratura, la rappresentazione nell’arte dellamoderna sessualità femminile, dell’erotismo, dell’aggressività e dell’ansia. La rappresentazione artistica delle emozioni dialogava con la scoperta freudiana dell’inconscio.

3. La straordinaria rivoluzione scientifica del Novecento, fondata sul trinomio teoria della relatività – teoria dei quanti – teoria delle particelle elementari, chiama in causa due nozioni, quelle di spazio e tempo, che sono state al centro, per una lunga durata, della conoscenza filosofica e storica.
Che siano non pochi i legami e le affinità tra fisica e storia lo dimostra il pregevolissimo libro di Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica. Rovelli è noto al grande pubblico per la sua capacità divulgativa e per la sua scrittura assai intrigante. Le brevi lezioni prendono l’avvio dalla teoria della relatività di Einstein. Il campo gravitazionale non è diffuso nello spazio, è lo spazio. E la storia, come lo spazio in continuo movimento, non può stare ferma. Rovelli mette l’accento sulla bellezza della teoria della relatività. Perché non pensare, anche come stimolo didattico, a comunicare la bellezza della storia? Come la fisica, anche la storia indica “occhi nuovi per vedere il mondo”.
La seconda lezione riguarda la teoria dei quanti. La discontinuità della distribuzione della luce nello spazio fornisce non pochi spunti per riflettere sul rapporto tra luce e storia: un tema affascinante, tutto ancora da scoprire. I quanti rappresentano una realtà come pura interazione. Ma l’interazione e il caso, l’assenza di previsione e l’incidenza della probabilità, il ruolo della soggettività sono altrettanti elementi costitutivi della conoscenza storica.
Altra lezione: quella sulle particelle. Il mondo delle particelle elementari è in continuo movimento. È un mondo di eventi, dice Rovelli, non di cose. Nel concetto di evento è implicita l’idea del dinamismo spazio-temporale che, se riferita alla conoscenza storica, può evitare l’oscillazione del pendolo fra il realismo di un’oggettività ingenua e i rischi dell’arbitraria soggettività assoluta.
In fisica il cambiamento è ubiquo. Non è una successione di istanti. Tempo fisico e tempo storico rivelano così analogie sorprendenti. Lo spazio-tempo della fisica è il mondo come interazione. Ma nella fisica come nella storia il tempo mostra diverse velocità. Le molecole più veloci sono il tempo dell’aria calda, le molecole più lente sono il tempo dell’aria fredda.Non si possono scorgere, a questo riguardo, analogie col tempo storico e con la braudeliana “dialettica della durata”?
Infine il rapporto fra tempo, coscienza, memoria. Scrive Rovelli: «Il fluire del tempo emerge sì dalla fisica,ma non nell’ambito della descrizione esatta dello stato delle cose. Piuttosto emerge nell’ambito della statistica e della termodinamica (…) La nostra memoria e la coscienza si costruiscono su questi fenomeni statistici, che non sono invarianti nel tempo (…) Ma noi esseri coscienti abitiamo il tempo perché vediamo solo un’immagine sbiadita del mondo». Quella stessa immagine sbiadita che lo storico riesce a restituire del mondo del passato.

4. Dunque anche la fisica si configura ormai come una scienza della vita. Essa come le altre – la biologia, la psicologia, la psicoanalisi, le neuroscienze – possono costituire un potente trait d’union tra saperi umanistici e saperi tecnico-scientifici. Esse inducono, allo stato attuale delle ricerche, a mettere in discussione e a storicizzare la dicotomia storicistica tra scienze naturali nomotetiche e scienze dello spirito idiografiche. Storicizzare questa dicotomia significa precisamente collocarla nel tempo storico e nel contesto in cui è andata nascendo e sviluppandosi. Aveva ragion d’essere nel periodo in cui era accentuato il dislivello di sviluppo, per così dire, tra alcuni saperi umanistici, caratterizzati ancora da un aurorale statuto epistemologico, e le più mature scienze matematiche, fisiche e naturali. A metà Ottocento la storia come disciplina muoveva i suoi primi passi. Il suo statuto epistemologico era ancora debole. Ci pensarono grandi storici come Ranke e Droysen, il secondo con maggiore sistematicità, a elaborare le categorie distintive, le procedure e le regole che avrebbero potuto e dovuto fondare la specificità di una forma di conoscenza originale e assolutamente differente dalle altre. Radicamento nelle fonti documentarie, sviluppo, svolgimento, progresso divennero dunque i tratti caratterizzanti un sapere e una disciplina che, di lì a pochi anni, alcuni filosofi storicisti avrebbero collocato nell’alveo dei saperi idiografici, fondati cioè sull’individualizzante, lo specifico, l’irripetibile, contrapponendoli alle scienze nomo tetiche, delle leggi, delle regole, dell’irripetibile.
Oggi in particolare il confronto tra scienze biopsichiche e scienze storiche consente forse di ridiscutere i termini di quella dicotomia, fondando su basi di maggiore legittimità tutto il dibattito avviato, ormai molti decenni fa, da Snow sulle “due culture”. Un esempio assai eloquente è costituito dagli studi sulla memoria.
Già con Freud la riflessione sulla memoria ha assunto un ruolo di straordinaria importanza nell’evoluzione del pensiero del padre della psicoanalisi. In estrema sintesi per Freud la memoria è una delle principali caratteristiche del tessuto nervoso, un regolatore del rapporto tra mutamenti e permanenze nella nostra vita psichica. I residui mnestici, lasciati dai processi di eccitamento, costituiscono la base della memoria, ma sono distanti e distinti dalla coscienza. Il tempo della memoria non è dunque lineare e continuo, ma frammentario e discontinuo. La traccia mnestica può essere non solo ontogenetica, ma anche filogenetica, può affondare le sue radici nell’esperienza vissuta da generazioni precedenti. Ma l’eredità più importante lasciata da Freud alla biopsicologia successiva e alla ricerca delle neuroscienze è la seguente: ricordi e percezioni sono strutturati dalle emozioni. Così, forse ancora inconsapevolmente e allo stato embrionale, Freud si avvicinava alle teorie più recenti sul sistema limbico, sulle strutture interconnesse all’interno dell’encefalo. Ha scritto Rosenfeld: «La teoria freudiana avrebbe potuto fornire una comprensione del sistema limbico e del suo ruolo nelle funzioni cerebrali in generale più completa di quella fornita dagli studi neuro anatomici frammentari che vengono pubblicati oggi».
Le neuroscienze hanno recato un ulteriore contributo nella direzione di una migliore comprensione della memoria ontogenetica e filogenetica. Confrontando i risultati freudiani con le più recenti acquisizioni neuroscientifiche è possibile stabilire non poche analogie tra le procedure della memoria biologica e quelle della memoria storica. È un tema che qui si propone in modo assai schematico. Evidenzio qui di seguito qualcuna delle analogie:
- Il rapporto passato-presente. Tutti i processi della memoria hanno a che fare con questa dimensione. La dinamica dello svolgimento è comune al sistema nervoso e al processo storico: le scienze che li studiano sono scienze del mutamento.
- Non linearità del tempo. Tempo biologico e tempo storico sono frammentati, sono caratterizzati da durate differenti (breve, media, lunga).
- Il contesto. Memoria biologica e memoria storica conferiscono senso in stretta dipendenza con il contesto. Ricordi ed emozioni fanno parte di esso. In questo senso la vita è storia e la storia è vita.
- Il caso e la necessità. In un inestricabile intreccio dominano sia la scena biologica sia la scena storica.
Su queste basi si può costruire un nuovo sistema di relazioni tra le scienze del vivente.
Dunque oggi gran parte dei saperi ha in comune un’idea che, a metà Ottocento, si credeva prerogativa delle forme di conoscenza umanistica: l’idea di svolgimento, di direzionalità dei processi, il rapporto passato-presente. Resta dunque fondamentale il contributo che i saperi umanistici hanno offerto a quelli scientifici.

5. Oggi possiamo e dobbiamo pensare ad un nuovo sistema di relazioni tra tutte le scienze del vivente. Forse è il caso di invertire i termini del famoso motto latino: non più “Historia magistra vitae”ma “vita magistra Historiae”. Quel motto ha orientato come una stella polare, per un tempo assai lungo, plurisecolare, la visione della storia. Nell’età romana ha contribuito ad esaltare come modello politico prima la stagione repubblicana poi quella imperiale. Nella rivoluzione cristiana la visione agostiniana ha fondato la legittimità e le condizioni di possibilità della “civitas terrena” sulla “civitas Dei”, sulla trascendenza, sulla divina provvidenza. Il modello prevalente della storiografia medievale è stato poi quello dell’agiografia e della “historia exemplum” di Isidoro di Siviglia. La storiografia umanistica, in buona sostanza, non si è distaccata dalla funzione prammatica della storia – oggi diremmo dal suo uso pubblico – anche se, soprattutto grazie a Machiavelli, la dimensione conflittuale è entrata prepotentemente a far parte integrante delle relazioni umane. Persino la storiografia romantica, pur innovando profondamente rispetto alla tradizione dell’idea di storia attraverso la scoperta del valore dello svolgimento, dello sviluppo, ha considerato ed esaltato solo una parte della vita umana, quella ascrivibile al progresso, al successo, all’universo della coscienza e della razionalità. Tra Ottocento e Novecento, invece, la nozione di vita, di vissuto è andata estendendosi e integrando molte altre componenti e dimensioni.
Oggi si è compreso che altri saperi umanistici come le lingue classiche sono sempre più indispensabili per una migliore comprensione della vita: e sono utili per la vita. La loro struttura e una sua più piena conoscenza possono costituire un validissimo supporto per insegnare e apprendere le funzioni logiche ed entrare più in profondità nei sistemi di comunicazione. Infine tutte le scienze della vita sono sempre più scienze del tempo.
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft