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Il nuovo codice degli appalti alla prova dei fatti
di Claudio Consalvo Corduas- Filippo D'Ambrosio
Premesse

Non esiste materia più magmatica di quella dei lavori pubblici. Nella sua recente storia è stata sottoposta a continue modifiche ed aggiornamenti per effetto delle sopravvenute normative e dei progressi tecnologici.
In questo campo le direttive europee hanno dato impulso alla riforma delle legislazioni nazionali, fra l’altro favorendo la concorrenza tra le imprese dei paesi membri.
Da ultimo, nel 2014, l’Unione europea ha prodotto tre direttive1 per uniformare la legislazione dei diversi paesi membri in materia di procedure per l’assegnazione degli appalti pubblici.
La strategia di riferimento della UE deriva dalla comunicazione del 1° marzo 2010 della Commissione europea, intitolata “Europa 2020 – Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”. Di questa strategia gli appalti pubblici costituiscono l’elemento portante. Le tre direttive sostengono che gli appalti devono essere “basati sul mercato, necessari alla realizzazione di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, garantendo nel contempo l’uso più efficiente dei finanziamenti pubblici”2. Altri elementi essenziali sono: la tutela della concorrenza, salvo eccezioni ben delimitate, presente quasi in ogni articolo delle menzionate direttive; la lotta alla corruzione e la prevenzione dei conflitti di interesse3. Inoltre, ampio spazio è dedicato ai mezzi di comunicazione elettronici e telematici. Queste evidenziature servono anche a spiegare l’enfasi italiana con cui gli indicati elementi sono valorizzati nella Legge delega n. 11 del 28 gennaio 2016 e poi nel Decreto legislativo n. 50 del 18 aprile 2016. Con questo decreto viene promulgato il Nuovo Codice degli appalti che disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione.
C’è qualcuno che si sia dato la pena di spiegare agli europei quali sono stati gli impulsi per la riduzione dei costi delle aggiudicazioni pubbliche? A tal fine ha concorso indubbiamente sul piano nazionale il contrasto dei fenomeni di corruzione e di collusione nella pubblica amministrazione. Ma hanno inciso soprattutto le regole europee, succedutesi nel tempo. Queste ultime hanno efficacemente contrastato la spartizione delle commesse, progettata e praticata da un sistema economico più sensibile a mantenere “rendite di posizione” che ad assicurare un regime di sana ed efficiente concorrenza tra le imprese operanti nel campo dei lavori pubblici e soprattutto delle grandi opere pubbliche.
Con il riavvicinamento delle legislazioni tra i paesi membri si sarebbe anche inteso costituire in Europa un contesto tendenzialmente uniforme in cui interagire.



Il contesto italiano originario

Negli ultimi lustri numerosi sono stati i tentativi del legislatore italiano di pervenire ad una chiara, definitiva, ponderata regolamentazione di base della complessa materia dei LL.PP.
A partire dal 1994 abbiamo assistito al succedersi di quattro leggi “Merloni”, di due Codici, di due corposi Regolamenti, di leggi speciali (v. Legge Obiettivo, Legge per Expo), per non parlare del Nuovo Capitolato Generale, della miriade di emendamenti4, disposizioni, delibere e determine più o meno vincolanti. I pareri legali dell’Avvocatura di Stato, i pareri fino al 2014 dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP) e le sentenze della Giustizia Amministrativa hanno reso ancor più traballante l’edificio normativo, anche per l’incerta loro applicabilità a casi assunti come analoghi5.
Eppure per 130 anni (dal 1865 al 1994) era stata sufficiente una unica legge e per oltre cento anni un unico Regolamento di 120 articoli (dal 1895 al 2000)!
E se è vero che le grandi innovazioni intervenute soprattutto negli ultimi decenni in campo tecnologico, informatico, politico e la maggiore sensibilità per la sicurezza degli addetti alle opere dovevano essere tenute nella debita considerazione dal legislatore, è anche vero che con la sua semplicità, chiarezza e consolidata sperimentazione la legge fondamentale sui LL.PP. del 1865 aveva retto ad altrettanti sconvolgimenti.
Basti pensare all’adeguamento normativo connesso all’Unità d’Italia, alla nascita ad inizio secolo scorso del cemento armato, delle importanti costruzioni in acciaio, dei grandi lavori idraulici, dell’urbanistica moderna e via dicendo.
Quanto sopra per confermare la convinzione che le regole devono essere chiare, semplici e ridotte all’indispensabile. L’abilità del legislatore competente è ridurre in semplici formule la complessità del mondo.



La riforma del settore dei LL.PP.

L’ultima riforma del settore dei lavori pubblici in Italia viene avviata dalla cit. Legge n. 11 del 28 gennaio 2016, recante deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
L’art. 1 di tale Legge delega prevede espressamente: “Il Governo è delegato ad adottare, entro il 18 aprile 2016, un decreto legislativo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio”.
La Legge delega viene quindi promulgata nei termini assegnati dalle citate direttive europee6. Tuttavia, per rispettare la tempistica complessiva prevista in sede europea, viene stabilito un tempo brevissimo (solo due mesi e mezzo) per l’adozione del Nuovo Codice. Il breve tempo intercorrente tra la data di approvazione della Legge delega (28.1.2016) e quella del Nuovo Codice (18.4.2016) farebbe presumere che la Legge delega sia stata approvata dopo una stesura almeno informale del Nuovo Codice. Ciò in quanto era ipotizzabile una delega “stretta” al Governo da parte del Parlamento. Tale impressione sembra confermata dalle più che dettagliate disposizioni contenute nella Legge delega, prontamente recepite nel Nuovo Codice. Differente fu la tempistica che portò all’approvazione del precedente Codice di cui al D. Lgs. 163/2006. La relativa Legge delega n. 62 del 18 aprile 2005 (Legge comunitaria 2014) conteneva tre sintetici articoli (1, 2 e 25) di delega “ampia” al Governo per l’attuazione delle direttive comunitarie. Il precedente Codice fu quindi approvato con D. Lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, ad un anno di distanza.
La Legge delega 11/2016 come detto è risultata estremamente circostanziata e dettagliata lasciando pochi spazi da un lato per la stesura definitiva del Codice, condizionando l’attività degli estensori, e dall’altro lato costringendo l’emissione dei pareri obbligatori (Conferenza Unificata, Commissioni Parlamentari, Consiglio di Stato) in tempi strettissimi7.
Il Nuovo Codice, adottato con D. Lgs. n. 50 del 18 aprile 2016, nasce con l’auspicio e sul presupposto di essere chiaro, semplice e ridotto all’indispensabile. Con 220 articoli avrebbe sostituito i 257 articoli del precedente Codice n. 163/2006 ed inoltre avrebbe surrogato i 359 articoli del Regolamento n. 207/20108.
Ma è davvero così? Le intenzioni corrispondono alla realtà? La peculiarità del contesto socio-politico-economico italiano ha disatteso l’auspicato riavvicinamento operativo se non l’omogeneità normativa europea?



Il nuovo regime sui LL.PP.

Il rinvio a 34 decreti attuativi ministeriali9 ed a 12 atti dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC)10 lascia francamente qualche dubbio circa il vantaggio di abbandonare l’idea di un Regolamento a favore di atti e linee guida dell’ANAC. È soprattutto facile prevedere che si assisterà ad uno stillicidio di norme a caduta libera, costringendo gli operatori ad un continuo inseguimento. Alla neo-costituita Cabina di regìa presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di cui all’art. 212 del Nuovo Codice, ed in ultima istanza alla magistratura amministrativa toccherà poi trovare la coerenza in una futura inevitabile pletora di provvedimenti non raramente contraddittori, come l’esperienza passata insegna.
Nel frattempo, lavori che si eseguiranno nello stesso lasso di tempo saranno regolati alcuni dal vecchio Codice, altri dal nuovo, altri ancora nel periodo transitorio per alcuni aspetti dal vecchio e poi dal nuovo, per la dannazione degli operatori11. Tuttavia, ciò risulta di fatto, entro certi limiti, fisiologico in ogni cambiamento normativo, le cui inevitabili “distorsioni” vengono regolate da norme transitorie e di coordinamento (nel caso dall’art. 216 del Nuovo Codice) e, ove carenti, anche dal buon senso.
Altra osservazione immediata riguarda l’ampissimo spazio dato alla fase di aggiudicazione dei lavori e lo scarso rilievo riservato alla parte esecutiva e direzionale, rendendo così consistente il dubbio che la partecipazione dei tecnici alla stesura del Codice sia stata molto limitata12.
Devono, infine, rilevarsi l’enorme potere dato all’ANAC ed i rischi di un possibile controllo ispirato a metodi inquisitori e sanzionatori. Sarebbe auspicabile che prevalesse un controllo di tipo consultivo e collaborativo in una materia assai complessa, peraltro marchiata dal peccato originale di essere quasi per definizione madre di corruzione e malaffare.Inoltre, fa emergere qualche perplessità il fatto che il Consiglio dell’ANAC sia composto esclusivamente da giuristi, esperti di diritto penale, amministrativo, costituzionale ed internazionale. Nessuno spazio viene riservato in questo Organo ai c.d. tecnici. Ciò fa immaginare che il suo obiettivo prevalente, anche per la competenza specifica dei suoi componenti, sarà quello “di prevenire e contrastare illegalità e corruzione”13. La sacrosanta “cura” delle patologie del sistema degli appalti probabilmente prevarrà su quella, altrettanto sacrosanta, di sostenerne la fisiologia, cioè l’agevole esecuzione pratica dei lavori appaltati.
Al Nuovo Codice (ed ai suoi presupposti: direttive comunitarie e Legge delega) va riconosciuta in ogni caso la volontà, non sempre soddisfatta però, di definire alcuni elementi di innovazione, partendo in parte dalle lacune o dalle carenze evidenziate dalla sperimentazione sulle basi normative precedenti, nonché dalle opportunità offerte dal progresso tecnologico.
Di particolare interesse in tal senso è l’ulteriore impulso dato alle Centrali di committenza ed alla qualificazione delle Stazioni appaltanti.
L’argomento ha valenza prioritaria, ove si pensi che le Stazioni appaltanti in Italia sono oltre 30.000 (32.000 per il Consiglio di Stato; 35.000 secondo statistiche di altra fonte), e che una uniformità di comportamento tra tanti soggetti è del tutto impensabile.
E questo senza voler considerare che la gran parte di questi soggetti è anche carente in termini di professionalità e di strumenti essenziali, ancor più limitati dalle leggi che hanno provveduto in modo orizzontale e non selettivo alla riduzione della spesa.
Altri aspetti innovativi importanti, anche essi collegati con la necessaria riduzione delle Stazioni appaltanti di cui sopra, riguardano il cammino verso gli appalti elettronici, le piattaforme di negoziazione telematiche, l’estensione massima della digitalizzazione. Ciò è dovuto anche al recepimento delle indicazioni contenute fra l’altro nei considerando da 52 a 58 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014.
Ma purtroppo non è con queste applicazioni che si raggiunge la tanto sbandierata semplificazione. Con l’introduzione di queste moderne tecnologie si ottiene solo una sovrastruttura capace di velocizzare e razionalizzare i sistemi amministrativi esistenti e pletorici. Non si incide sulla struttura amministrativa né si aggrediscono i problemi che derivano fondamentalmente da una burocrazia sovradimensionata e limitatamente qualificata. La si fa apparire, forse, più rapida ed à la page.
E questo senza tener conto della necessità di adeguata formazione degli operatori pubblici, da effettuarsi entro il 18 ottobre 2018.
Anche l’offerta più vantaggiosa sostituisce finalmente la follia dell’offerta al massimo ribasso quale criterio di aggiudicazione (a suo tempo da molti commentatori considerato il toccasana).
L’eliminazione dell’appalto integrato, a giudizio di chi scrive, invece avrebbe forse dovuto comportare qualche riflessione in più.
L’appalto integrato infatti, coinvolgendo l’appaltatore nella fase progettuale esecutiva (sia che si proceda sulla base del progetto definitivo ed ancor più del preliminare), lo responsabilizzava maggiormente, lo impegnava nella ricerca di professionisti all’altezza, lo scoraggiava dai contenziosi.
D’altra parte il progetto perfetto ed immodificabile nei dettagli non può esistere. Ogni progetto, checché se ne dica, dovrebbe poter mantenere una adeguata flessibilità e possibilità di adattamento alle reali situazioni che possono presentarsi in corso d’opera, fermi restando i contenuti essenziali tecnici ed economici.
Fa sorridere il ricordo dell’enfasi e dell’autocelebrazione degli originari sostenitori dell’introduzione dell’appalto integrato nell’ordinamento precedente, a fronte della incontrastata e condivisa attuale esclusione di questo tipo di appalto.
Positivo appare il respiro dato dal Nuovo Codice al dialogo competitivo, alle consultazioni preliminari e on line, al partenariato per l’innovazione, al dibattito pubblico. Tutte possibilità di confronto tra parti diverse, di collaborazione e di crescita reciproca a vantaggio del risultato finale.
Risulta poi ovvio e naturale il divieto introdotto di affidare al contraente generale le attività proprie del RUP e della D.L. come invece era consentito dalla precedente normativa, in maniera del tutto anacronistica e contraria ai più banali principi di deontologia e di logica.
In varie tipologie di contratti del passato, ante istituzione del RUP, figurava la altrettanto inopportuna condizione che gli ingegneri capo, i direttori dei lavori, i collaudatori venissero pagati dai Concessionari con aliquote prestabilite, pur se su successivo rimborso dell’Amministrazione. È ovvio come anche tale previsione fosse contraddistinta da assoluta illogicità e prestasse il fianco ad abusi e connivenze.
Ma ciò che appare assai discutibile a giudizio di chi scrive è la definitiva fissazione dell’anticipazione sui lavori al 20%, per giunta modificando la base di calcolo (sull’importo stimato dell’appalto e non sul minore importo contrattuale!)14. Né tale percentuale si giustifica per la necessità di rilanciare l’economia nel settore trainante dell’edilizia, perché si tratta solo di anticipazioni sui lavori.
Il Nuovo Codice stabilisce quindi le soglie per l’affidamento dei lavori: sotto i 40mila euro diretto; sotto il 150mila euro con gara ufficiosa sentiti almeno 5 operatori; tra i 150mila ed il milione di euro con procedura ristretta sentiti almeno 10 operatori; oltre il milione di euro con procedura ordinaria al pari dei lavori sopra la soglia comunitaria (oggi 5,225 milioni di euro).
Il subappalto poi non potrà superare la quota del 30% dell’importo complessivo del contratto dei lavori e dovrà essere previsto nel bando. Ciò comporterà di fatto la sparizione della categoria prevalente e della qualificazione estesa del concorrente.
I progetti complessi saranno affidati mediante concorso e sono previsti rimborsi del 25% ovvero del 50%.
Per i servizi di ingegneria e architettura l’affidamento potrà avvenire esclusivamente sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa per importi superiori ai 40.000 euro (art. 95, co. 3, lett. b, Nuovo Codice) e con procedura negoziata fino alla soglia di 209.000 euro, previa consultazione di almeno 5 operatori economici (la norma non dice “offerenti”).
Si tratta di piccoli aggiustamenti rispetto al passato, a parte l’obbligo del concorso per i progetti complessi, che tuttavia non incidono affatto e non modificano la sostanza rispetto al precedente quadro normativo.
Sempre con riferimento alla progettazione, i progettisti interni, pur essendo abilitati a progettare avendone i requisiti, risultano essere esclusi dall’incentivo che resta destinato “esclusivamente” per le attività di programmazione, di controllo delle procedure di gara, per la direzione lavori e per i collaudatori.
La percentuale massima resta fissata nel 2% dell’importo a base d’asta, con esclusione dei dirigenti.
Il 20% di tale percentuale andrà però destinata all’acquisto dei beni strumentali ed i premi nella restante misura non potranno essere superiori nel loro complesso al 50% del trattamento economico complessivo annuo lordo15. I dirigenti sono esclusi.
L’esclusione dei progettisti interni dal beneficio dell’incentivo, nel momento in cui esistessero tali professionalità all’interno dell’Amministrazione, appare davvero miope. Questa esclusione di soggetti, che pure sarebbero preferenziali (v. art. 23 co. 2 e art. 24 co. 1, Nuovo Codice), più che dalla logica sembrerebbe discendere da una forzatura degli Ordini Professionali. L’indisponibilità su base gratuita dei dipendenti pubblici costringerà la P.A. ad affidare incarichi esterni, con inevitabile aggravio per il bilancio dello Stato. Inoltre, si disincentiverà l’interesse del dipendente pubblico (soprattutto se giovane ingegnere o architetto) a progettare senza alcun seppur modesto ritorno economico e quindi disincentivandone l’aggiornamento su norme e tecniche esecutive.
Il direttore dei lavori di formazione completa, così come il collaudatore, non può prescindere da esperienze di progettazione. Progettazione che, come detto, la norma renderà invece sostanzialmente esclusa dall’attività pubblica.
Comunque la disciplina di riferimento per l’affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura non risulta organicamente raccolta, essendo suddivisa fra gli artt. 23 co. 2 e co. 12, 24 co. 4 e co. 8, 31 co. 8, 46, 93 co. 10, 95 co. 3 lett. b), 113, e 157, a parte future linee guida e via dicendo.
Per quanto riguarda le fasi progettuali si passa dai quattro livelli precedenti (fattibilità, preliminare, definitivo, esecutivo) a tre con la”sparizione” del progetto preliminare.
Inoltre, la progettazione esecutiva costituisce l’unico livello ammissibile a base di gara16.
Ma soprattutto va rilevato che all’attualità non sono elencati e tanto meno descritti i documenti relativi alle varie fasi progettuali (contrariamente a quanto sempre avvenuto in precedenza tra legge o codice e regolamento). Oggi invece i contenuti progettuali di ogni singola fase, ai sensi dell’art. 23 co. 3 del Nuovo Codice, sono definiti “con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, su proposta del Consiglio superiore dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo”.
Nel frattempo si continueranno ad applicare le disposizioni di cui al DPR 207/10 ad esclusione del relativo art. 248.
L’elenco dei corrispondenti elaborati ed i loro contenuti restano invece nelle competenze della Stazione appaltante.
Non è questa la sede per scendere in ulteriori dettagli, ma è fin troppo evidente che a parlare di semplificazione ci voglia coraggio.
In relazione alle procedure di scelta del contraente per i settori ordinari, il Nuovo Codice riporta, se pur con qualche modifica, le note alternative (procedura aperta, ristretta, competitiva con negoziazione, negoziata senza previa pubblicazione di bando, dialogo competitivo) ed introduce ex novo il partenariato per l’innovazione.
Molto articolata, infine, è la materia del contenzioso17 che vede varie possibilità quali rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale: accordo bonario, Collegio Consultivo Tecnico, transazione, arbitrato, Camera Arbitrale, pareri di precontenzioso.
Il tutto sempre con l’obiettivo, forse ottimistico, di scoraggiare il contenzioso o di accelerarne la definizione.
Il nuovo quadro normativo sarà comunque oggetto di linee guida dell’ANAC che garantirà, ai sensi dell’art. 213 co. 2 del Nuovo Codice, “la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi, e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche”.
Gli strumenti a disposizione dell’ANAC sono oltre alle linee guida, i bandi tipo, i capitolati tipo, i contratti tipo “ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati” (art. 213, co. 2, Nuovo Codice).
Viene ancora una volta da chiedersi dove sia il vantaggio di aver eliminato il Regolamento e dove trovi ragione l’enfasi per la semplificazione introdotta dal Nuovo Codice. Ciò a prescindere dalla non chiara gerarchia degli strumenti disciplinanti la materia, dal relativo carattere vincolante o meno, dalla giurisdizione competente in caso di impugnazione e comunque dall’improbo percorso ad ostacoli al quale è e saranno costretti gli operatori18.
Tra le novità introdotte dal Nuovo Codice (si veda però l’art. 13 della L. 180/11 che tale sensibilità anticipava) va poi segnalata la volontà di favorire la partecipazione delle piccole e medie imprese, nonché delle microimprese19.
E tale volontà si concretizza ad esempio nell’art. 51, co. 1, del Nuovo Codice che così recita: “al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti suddividono gli appalti in più lotti funzionali”. Nel prosieguo dello stesso comma si afferma che è vietata la suddivisione in lotti “al solo fine di eludere le disposizioni del presente Codice, nonché di aggiudicare tramite l’aggregazione artificiosa degli appalti”. Il tutto “nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici”. Tuttavia, appare davvero disagevole l’identificazione di un chiaro spartiacque tra i due concetti: il primo di divieto della suddivisione in lotti con scopi elusivi ed il secondo di favorire la suddivisione in lotti a vantaggio delle MPI, nonché delle microimprese. Grida spagnole di manzoniana memoria?



Conclusioni

Obiettivamente il settore dei LL.PP. si presta in modo particolare ad essere oggetto di disfunzioni, di episodi di corruzione, di contenziosi, di ritardi, di variazioni e di impedimenti imprevisti o “prevedibili” solo dopo che sono avvenuti.
E solo chi ha grande esperienza nella materia ed equilibrio di giudizio dovrebbe poter affrontare in sede legislativa e poi in eventuale sede giudicante le varie e diverse problematiche che contraddistinguono il settore dei LL.PP.
Ma il legislatore, i controllori supremi ed i giudici spesso si distinguono per una posizione mentale opposta. Sebbene essi stessi non potrebbero in genere negare che, quando gli è capitato di far ristrutturare un semplice appartamento o di far eseguire interventi di manutenzione condominiale, mai sono tornati i conti in termini di tempi, di spesa e di rapporti.
La Cassa per il Mezzogiorno, alle origini, aveva istituito una Divisione apposita che collaborava attivamente alla stesura delle leggi, che diramava ad horas le istruzioni sull’applicazione delle novelle al proprio interno, che dava addirittura gli indirizzi comportamentali nel caso di dubbie interpretazioni delle norme. Competenze perdute di un’epoca fa!
In buona sostanza chi scrive ritiene che solo con la modestia, la serenità di giudizio, la conoscenza, la collaborazione e l’esperienza potrà perfezionarsi una regolamentazione corretta della materia, contemperando la nostra Storia e le nostre tradizioni imprenditoriali con la variegata e diversa realtà europea e correggendo gli errori che risultassero commessi in passato.
Il funzionario pubblico, ancor più con gli estesi poteri dati dal Nuovo Codice all’ANAC20, sarà portato a sentirsi un indagato “a priori” e tenderà a svolgere i propri compiti con esagerata prudenza e con conseguenze immaginabili in termini di burocrazia, di pareri e di dilatazione dei tempi. A cui concorrerà anche la limitata preparazione tecnico-giuridica di molti funzionari pubblici a tutti i livelli, centrale e periferici, di fronte alla evidente complessità della vigente normativa in materia. Una indotta frammentazione della filiera decisionale, probabilmente, costituirà lo strumentale antidoto ad un’agevole individuazione delle responsabilità amministrative, erariali, penali. Complicare per offuscare.
In ogni caso, questo Nuovo Codice sul piano politico lancia un chiaro messaggio al paese ed alla classe imprenditoriale ed a quella amministrativa: l’Autorità Nazionale Anticorruzione vigilerà su ogni passaggio delle procedure in materia di lavori pubblici.
Un contributo alternativo per la soluzione dei problemi può provenire non dalla contrapposizione, ma dalla collaborazione tra i vari settori dello Stato (e delle Regioni). Costituire un Organismo consultivo rapido, competente e responsabile. Alimentare la fiducia nei confronti del funzionario pubblico (di regola onesto e volenteroso). Ma soprattutto procedere alla reale semplificazione e riduzione dei passaggi autorizzativi. Ciò limiterebbe quel mostro burocratico italiano che avvilisce e penalizza ogni iniziativa e che ha effetti pratici negativi forse non inferiori a quelli della corruzione, che spesso proprio di eccesso di burocrazia si alimenta.
Il Nuovo Codice comunque vuole certamente proiettarsi verso il futuro ed è corretto immaginare che potrà costituire la base per un definitivo Testo Unico sulla materia dei LL.PP. recante regole il più possibile chiare, univoche, compatte ed ordinate, nonché basate sull’esperienza.
Nel frattempo, però, la pubblicazione dei bandi di gara ha subìto un crollo superiore all’80% in valore rispetto ai corrispondenti mesi di maggio e giugno 2015 per gli appalti superiori al milione di euro. Con buona pace dell’impegno per il rilancio dell’economia. Attualmente non può infatti condividersi l’entusiasmo di chi considera finalmente raggiunta la piena soluzione dei problemi di trasparenza, efficienza, efficacia, imparzialità, prevenzione, rotazione e via dicendo21. O l’entusiasmo di chi considera il Nuovo Codice come un traguardo finale e non come una tappa verso un idoneo Testo Unico.
Molti degli odierni sostenitori dell’offerta più vantaggiosa quale sistema toccasana per l’aggiudicazione degli appalti come regolamentata dal Nuovo Codice, sono gli stessi che osannarono il sistema del massimo ribasso, oggi – giustamente – vituperato e da chi scrive condannato in ogni occasione fin dall’adozione, per i suoi effetti negativi, soprattutto indiretti.
È comunque certo che nell’aggiudicazione dei lavori debba entrare necessariamente una quota di valutazione discrezionale (con tutti i rischi connessi) da parte di funzionari competenti e coscienziosi. In tal senso occorre avere fiducia in essi e, a scanso di equivoci, provvedere a dar loro i mezzi di aggiornamento e di conoscenza, offrendo innanzi tutto dei riferimenti di legge sicuri e compiuti e degli adeguati incentivi.
È stato sempre un errore ridurre e praticamente eliminare il contributo di valutazione responsabile e comunque discrezionale da parte dell’operatore pubblico e ciò in passato ha trovato conferme indiscutibili.
Si pensi all’eccesso di quelle leggi sulle agevolazioni imprenditoriali basate su modelli e sistemi computerizzati, che portavano, ovviamente avendone i requisiti, anche 5 pastifici ad insediarsi nel raggio di 10 Km., con naturale soccombenza di almeno tre di essi e con inutile dispendio di risorse private e pubbliche.
Il Nuovo Codice come detto, per quanto riguarda questo ultimo punto, è indirizzato correttamente in senso opposto. Vuole favorire una maggiore facoltà decisionale, almeno in fase di aggiudicazione. In questo contesto, forse, non sarà avvantaggiata la riduzione del contenzioso e forse la discrezionalità dell’operatore pubblico, ad esempio nella valutazione dell’offerta più vantaggiosa, sarà oggetto di valutazioni e di giudizi anch’essi (purtroppo, in questo caso) discrezionali.
Per quanto detto, sembra inevitabile una ulteriore serie di correttivi, con la speranza di avvicinarsi finalmente ad una organica, chiara, solida e certa regolamentazione dei LL.PP., auspicabilmente tramite un prossimo Testo Unico.










NOTE
1 A) Direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione.
B) Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE.
C) Direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE.^
2 Nel considerando n. 3 della Direttiva 2014/23/UE; nel considerando n. 2 della Direttiva 2014/24/UE; e nel considerando n. 4 della Direttiva 2014/25/UE.^
3 Nei considerando nn. 61 e 69, nonché negli artt. 35 e 38 co. 4 lett. b), della Direttiva 2014/23/UE; nei considerando nn. 100 e 126, nonché negli artt. 26 co. 4 lett. b), 35 co. 5, 57 co. 1 lett. b), e 83 co. 3, della Direttiva 2014/24/UE; nei considerando 105 e 112, nonché negli artt. 53 co. 5, e 99 co. 3, della Direttiva 2014/25/UE.^
4 Il Codice precedente, di cui al D. Lgs. 163/2006, è stato modificato da 52 atti normativi, escluse le leggi di conversione. Si ricordano, oltre ai tre decreti legislativi correttivi (rispettivamente n. 6/2007, n. 113/2007, e n. 152/2008), i seguenti 49 provvedimenti normativi statali modificativi, per un totale di 52 atti: D. L. n. 173/2006, L. n. 296/2006, D.P.R. n. 90/2007, L. n. 123/2007, L. n. 124/2007, L. n. 244/2007, D. L. n. 207/2008, D. L. n. 78/2009, L. n. 69/2009, L. n. 94/2009, L. n. 99/2009, D. L. n. 135/2009, D. Lgs. n. 53/2010, D. Lgs. n. 104/2010, D. L. n. 34/2011, D. L. n. 70/2011, D. Lgs. n. 58/2011, D. L. n. 95/2011, L. n. 180/2011, D. Lgs. n. 195/2011, D. L. n. 201/2011, D. Lgs. n. 208/2011, D. L. n. 1/2012, L. n. 3/2012, D. L. n. 5/2012, D. L. n. 16/2012, D. L. n. 52/2012, D. L. n. 83/2012, D. L. n. 95/2012, D. Lgs. n. 169/2012, D. L. n. 179/2012, L. n. 190/2012, D. L. n. 35/2013, D. L. n. 69/2013, D. L. n. 101/2013, D. L. n. 145/2013, L. n. 147/2013, D. L. n. 150/2013, D. L. n. 47/2014, D. L. n. 64/2014, D. L. n. 66/2014, D. L. n. 83/2014, D. L. n. 90/2014, D. L. n. 91/2014, D. L. n. 133/2014, L. n. 161/2014, D. L. n. 192/2014, D. L. n. 210/2015, L. n. 221/2015. Inoltre le soglie sono state modificate dai seguenti regolamenti comunitari: 1422/2007, 1177/2009, 1251/2011, 1336/2013, 2341/2015.
Di queste 52 fonti statali, solo in tre casi si è trattato dei fisiologici decreti legislativi correttivi (nell’arco del primo biennio); nel solo anno 2012 il Codice è stato modificato con otto atti normativi, di cui sette Decreti Legge; nell’anno 2014 è stato modificato da nove atti normativi di cui otto Decreti Legge (v. Consiglio di Stato parere 855/16).
In totale le modifiche, disseminate in detti atti normativi, superarono le 600 unità, con una media di oltre una modifica a settimana.^
Con il Nuovo Codice, di cui al D. Lgs. 50/2016, c’è il rischio di stabilire un nuovo record.
5 Le sentenze del giudice amministrativo (TAR e CdS) ed i pareri AVCP, relativi al Codice del 2006, sono stati complessivamente 6.155, oltre 10 a settimana.^
6 Le direttive europee 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE, erano entrate in vigore il 28 aprile 2014 e dovevano essere recepite entro i 24 mesi successivi.^
7 La precipitazione con cui il Nuovo Codice è stato redatto, adeguato e pubblicato, trova la propria immediata conferma nell’“Avviso di rettifica” di cui alla G.U. n. 164 del 15 luglio 2016 recante ben 173 correzioni, alcune delle quali riguardanti banali refusi dattilografici, altre di ben più significativa valenza (errate citazioni di articoli, ecc.). Disfunzione rilevata fra gli altri anche da Gian Antonio Stella in “Il Codice degli appalti: 181 errori su 220 articoli”, Corriere della Sera, 21 luglio 2016, pagg. 1 e 23; e da Mariolina Iossa in “I 181 errori nel Codice appalti. «Una pessima figura ma avevamo molta fretta». Il consigliere ANAC Corradino: Bisognava rispettare la scadenza della UE”, Corriere della Sera, 23 luglio 2016, pag. 21. Per non parlare delle critiche di fondo al Nuovo Codice degli appalti avanzate da Piercamillo Davigo, presidente dell’ANM, nel suo intervento al 46° Convegno di Santa Margherita Ligure il 10 giugno 2016, organizzato dai Giovani imprenditori di Confindustria.^
8 Il quadro normativo italiano risultava pertanto, alla vigilia del recepimento delle nuove direttive europee, estremamente complesso; esso contava, solo sommando Codice e Regolamento generale, 630 articoli e 37 allegati [in particolare il Codice del 2006, nato con 257 articoli e 22 allegati, era passato a 271 articoli e 22 allegati, calcolando aggiunte e sottrazioni successive (aggiunti: artt. 6-bis, 68-bis, 79-bis, 112-bis, 160-bis, 160-ter, 169-bis, 199-bis, 237-bis, 240-bis, 243-bis, 245-bis, 245-ter, 245-quater, 245-quinquies, 246-bis, 251-bis; abrogati: art. 154, 155, 246-bis); il regolamento constava di 359 articoli e 15 allegati].
Il complesso normativo costituito dal Codice del 2006 e dal regolamento n. 207/2010 non era tuttavia assolutamente esaustivo dell’intera materia, dovendosi tener conto anche, oltre che delle normative statali settoriali e delle molteplici norme statali sparse, anche e soprattutto delle legislazioni regionali in materia, non sempre coerenti con la legislazione nazionale.^
9 Gli articoli interessati sono: 1 co.7, 21 co. 8, 22 co. 2, 23 co. 3 e co. 13, 24 co. 2 e co. 13, 34 co. 3, 37 co. 5, 38 co. 2 e co. 9, 44 co. 1, 73 co. 1, 77 co. 10, 81 co. 2, 84 co. 12, 89 co. 11, 102 co. 8 e co. 9, 104 co. 12, 111 co. 2 e co. 3, 144 co. 2, 146 co. 4, 159 co. 4, 194 co. 12, 196 co. 2, 202 co. 3 e co. 6, 203 co. 1, 212 co. 5, 214 co. 3, e 215 co. 2.
Dei decreti in questione ben 22 non hanno scadenza prestabilita.^
10 Gli articoli sono: 31 co. 5, 36 co. 7, 78, 80 co. 13, 83 co. 2 e co. 10, 84 co. 4 lett. d), 110 co. 5 lett. b), 177 co. 3, 192 co. 1, 197 co. 3, e 214 co. 2.^
11 Da sottolineare che nove provvedimenti entrano in vigore da subito: esclusione massimo ribasso sopra la soglia di 1M€; eliminazione appalto integrato; tetto subappalti al 30%; pagamento diretto a microimprese e piccole imprese subappaltatrici; nuovo rito in Camera di Consiglio per ricorsi su esclusione da gara; riduzioni sanzioni per integrazione offerte incomplete; rischio operativo sul privato in concessioni e partenariato; sconto sulla cauzione per rating legalità.
Resta in vigore fino al 31 dicembre 2016 il regime della pubblicazione dei bandi di gara di cui all’art. 66 co. 7 del D. Lgs. 163/2006 per il resto interamente abrogato, così come resta in vigore in via transitoria, nelle more dell’emanazione dei numerosi provvedimenti attuativi, il D.P.R. 207/2010.
Di fronte all’operatore pubblico si presenta un ginepraio, anzi un campo minato, per le possibili conseguenze a livello personale e professionale!
È sintomatica, a proposito di rischi di confusione anche da parte delle stesse fonti primarie, l’osservazione seguente circa la data stessa di entrata in vigore del Nuovo Codice. L’art. 220 stabilisce l’entrata in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione sulla G.U. (19 aprile 2016), con comunicato a firma congiunta del Ministro delle Infrastrutture e del Presidente ANAC, in data 22 aprile 2016, si specifica che detto Codice si applica ai contratti i cui bandi fossero stati pubblicati “a decorrere dal 19 aprile 2016”, data di entrata in vigore del Nuovo Codice dei contratti pubblici. Ma in data 3 maggio 2016 la stessa ANAC comunicava che le disposizioni del Nuovo Codice “riguarderanno i bandi e gli avvisi pubblicati a decorrere dal 20 aprile 2016”.^
12 Risultano in fase di perfezionamento le linee guida dell’ANAC in relazione alle modalità di svolgimento delle funzioni di direttore lavori e di direttore dell’esecuzione di direzione e controllo tecnico, contabile e amministrativo (art. 111 co. 1 e co. 2); di nomina, ruolo e compiti del RUP (art. 31 co. 5 che tra l’altro dalle linee guida dell’ANAC assumerebbe la qualifica di “project manager”); sull’offerta economicamente più vantaggiosa; sull’affidamento dei servizi dell’architettura e dell’ingegneria (Parte II, Titolo IV, art. 95 co. 3 lett b, Nuovo Codice). Resta ovviamente fermo che il RUP debba essere un tecnico e che “l’ufficio di responsabile unico del procedimento è obbligatorio e non può essere rifiutato” (v. art, 31, co. 1 del Nuovo Codice).^
13 Art. 213, co. 1, D. Lgs. n. 50 del 18 aprile 2016.^
14 La storia dell’anticipazione (correttamente esclusa in passato dopo esperienze a dir poco del tutto negative, proprio in relazione a fatti corruttivi) rappresenta un’ulteriore prova delle incertezze del legislatore degli ultimi anni sulla materia:
- dal 21 agosto 2013 al 31 dicembre 2014 al 10% (D. L. 69/2013, c.d. “Decreto del fare” convertito nella L. 98/13);
- dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2016 al 10% (L. 11/2015 art. 8 co. 3, c.d. “Mille proroghe 2015”, di conversione con modifiche del D. L. 192/14 che prevedeva la scadenza al 31 dicembre 2015);
- dal 1° marzo 2015 al 31 dicembre 2015 al 20% (sempre L. 11/2015, ma art. 8 co. 3bis);
- dal 1° gennaio 2016 al 31 luglio 2016 al 20% (art. 7 co. 1 D. L. 210/15, c.d. “Mille proroghe 2016”, convertito nella L. 21/16);
- dal 19 aprile 2016 al 20% (art. 35 co. 18 D. Lgs. 50/16, ma “sull’importo stimato dell’appalto”).^
15 Viene ripreso l’art. 93 co. 7ter del D. Lgs. 163/06, come inserito dalla L. 114/14 art. 13bis. Restano aperti molti dubbi interpretativi ed applicativi: per incarichi ricevuti ante entrata in vigore del Nuovo Codice, per le modalità di pagamento (in corso d’opera? A collaudo?, come sosterrebbe qualcuno non si sa su quali basi!).^
16 È interessante notare che ante pareri consultivi obbligatori, il Nuovo Codice ponesse in proposito la precisazione “di regola”, successivamente eliminata (v. art. 59, co. 1, Nuovo Codice). È altresì vietato il ricorso all’affidamento congiunto della progettazione ed esecuzione dei lavori e quindi, come detto, l’appalto integrato, esclusi i casi di affidamento a contraente generale, finanza di progetto, concessione, partenariato pubblico-privato, contratto di disponibilità.^
17 Il settore degli appalti pubblici incide per oltre il 15% sul PIL ed il contenzioso relativo assume di conseguenza un peso essenziale. Da segnalare purtroppo che le statistiche vedono l’Amministrazione soccombente in toto o in parte in oltre il 90% dei casi.^
18 Allo stato, il Nuovo Codice non si distingue per tutti quegli auspicati requisiti di chiarezza, organicità, omogeneità e compiutezza. Ciò viene indirettamente riconosciuto dagli stessi estensori, tant’è che con l’art. 212 viene istituita presso la P.C.M. una “Cabina di regìa” con il compito, tra gli altri, di effettuare una ricognizione “sulle difficoltà riscontrate dalle stazioni appaltanti nella fase di applicazione, anche al fine di proporre eventuali soluzione correttive e di miglioramento”. Ed a tale Cabina di regìa – istituzione che appare una innovazione rispetto ai contenuti della Legge delega – viene demandato con lo stesso articolo il compito di “curare, se del caso con apposito piano di azione, la fase di attuazione del presente codice, coordinando l’adozione, da parte dei soggetti competenti, di decreti e linee guida nonché della loro raccolta in testi unici integrati” per assicurarne tempestività e coerenza reciproca. Inoltre, con l’art. 97, co. 9, alla Cabina di regìa viene affidato anche il compito di mettere “a disposizione degli altri Stati membri, a titolo di collaborazione amministrativa, tutte le informazioni a disposizione, quali leggi, regolamenti, contratti collettivi applicabili o norme tecniche nazionali”.^
19 Sotto il profilo del numero dei dipendenti esso è inferiore a 10 unità per le microimprese, uguale o inferiore a 50 unità per le piccole imprese, uguale o inferiore a 250 unità per le medie. Altri requisiti sono il fatturato e lo stato patrimoniale.
Ulteriori misure in favore delle PMI e delle microimprese si trovano nell’art. 30 co. 7 (requisiti di partecipazione), nell’art. 95 co. 13 (criteri premiali), nell’art. 174 co. 7 (pagamento “sempre” diretto nel subappalto, privativa da cui però sono escluse le medie imprese) del Nuovo Codice.^
20 All’ANAC, giusta art. 213 del Nuovo Codice, sono attribuiti vigilanza, controllo e attività di regolazione dei contratti pubblici, e quindi un potere assoluto nel settore degli appalti e delle concessioni.^
21 Nonostante la genericità di alcuni termini, può essere utile conoscerne il significato ed i contenuti dei comportamenti deontologici assegnati alle Stazioni appaltanti, come definiti fra l’altro nelle “Linee guida attuative del Codice degli Appalti – Procedure sotto soglia”, adottate il 28 aprile 2016 dall’ANAC, al punto 3 “Principi comuni” nella parte relativa alle “Procedure semplificate di cui all’art. 36 del D. Lgs. 50/2016” ed in attesa del parere delle Commissioni Parlamentari e del Consiglio di Stato. Le Stazioni appaltanti devono garantire, in aderenza:
a) al principio di economicità, l’uso ottimale delle risorse da impiegare nello svolgimento della selezione ovvero nell’esecuzione del contratto;
b) al principio di efficacia, la congruità dei propri atti rispetto al conseguimento dello scopo e dell’interesse pubblico cui sono preordinati;
c) al principio di tempestività, l’esigenza di non dilatare la durata del procedimento di selezione del contraente in assenza di obiettive ragioni;
d) al principio di correttezza, una condotta leale ed improntata a buona fede, sia nella fase di affidamento sia in quella di esecuzione;
e) al principio di libera concorrenza, l’effettiva contendibilità degli affidamenti da parte dei soggetti potenzialmente interessati;
f) al principio di non discriminazione e di parità di trattamento, una valutazione equa ed imparziale dei concorrenti e l’eliminazione di ostacoli o restrizioni nella predisposizione delle offerte e nella loro valutazione;
g) al principio di trasparenza e pubblicità, la conoscibilità delle procedure di gara, nonché l’uso di strumenti che consentano un accesso rapido e agevole alle informazioni relative alle procedure;
h) al principio di proporzionalità, l’adeguatezza e idoneità dell’azione rispetto alle finalità e all’importo dell’affidamento;
i) al principio di rotazione, il non consolidarsi di rapporti solo con alcune imprese, favorendo la distribuzione delle opportunità degli operatori economici di essere affidatari di un contratto pubblico.^
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