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Alfried Längle a Napoli: le possibilità dello spirito
di Rosa Ciacco - Maddalena Sannino
A distanza di quasi trent’anni è tornato in ItaliaAlfried Längle, una delle voci maggiori del panorama internazionale della psicoterapia esistenziale. Era il 1987 quando presenziò al Congresso Internazionale CISSPAT (Centro Italiano per lo Studio e Sviluppo delle Psicoterapie a Breve Termine), tenutosi a Montecatini Terme. Oggi, due sono gli appuntamenti che lo hanno visto protagonista in Italia: il primo a Napoli, presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, in data 23 febbraio, ed il secondo, il giorno seguente, presso l’Università Europea di Roma.
A Napoli, Längle ha tenuto una lectio magistralis sul tema Logoterapia ed Analisi Esistenziale. L’evento è stato organizzato dall’Istituto di Scienze Umane ed Esistenziali (ISUE) di Napoli, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria (SIP) della Campania. Ad introdurre Längle è stato il presidente dell’ISUE, lo psichiatra Gianfranco Buffadi, il quale ha ricordato il profondo legame del terapeuta austriaco con Viktor Emil Frankl, di cui fu allievo diretto e collaboratore dal 1982 al 1991, e di cui ha scritto una biografia.
Frankl, lo ricordiamo, rappresenta una pietra miliare nella storia della psichiatria, avendo definito la metodologia conosciuta come Logoterapia o Analisi Esistenziale, che rappresenta la “terza scuola viennese di psicoterapia”, dopo la Psicoanalisi di Freud e la Psicologia Individuale di Adler. Längle ha il merito di aver fondato il Collegio di Analisi Esistenziale e Logoterapia a Vienna, ed è presidente della Società Internazionale per la Logoterapia, la Gesellschaft für Logotherapie und Existenzanalyse (GLE). Dal 2002 al 2010 è stato Vice Presidente della Federazione Internazionale di Psicoterapia (IFP). Autore di più di 300 pubblicazioni, è stato docente presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Klagenfurt e, dal 2005, è professore associato di psicoterapia a Mosca (HSE). Dal 2011 èVisiting Professor presso la Sigmund Freud University (SFU) di Vienna.
Alfried Längle si pone nel solco fenomenologico dell’Analisi Esistenziale del maestro Frankl, ma ne rappresenta una evoluzione, tant’è che egli, sostenendone la distinzione dalla Logoterapia, considerata più che psicoterapia come una tecnica di counselling, ha dato l’avvio ad una nuova corrente di studi. Durante l’incontro napoletano, lo psicoterapeuta Ferdinando Brancaleone, direttore scientifico dell’ISUE, ha testimoniato come l’esigenza di un rinnovamento nella corrente frankliana fosse emersa già trent’anni fa, ai tempi del primo incontro con Längle in Italia, ed ha, quindi, sottolineato che l’evento odierno consente di constatare in che modo quella spinta propulsiva si sia concretizzata nell’opera di alcuni, come entrambi loro, pur nella distanza e nell’assenza di una intenzionalità comune, «come alberi che pur distanti nello spazio – citando Brancaleone – hanno le radici che si intrecciano nelle profondità della terra». Un indubitabile debito nei confronti di una grande tradizione, ma sposando il principio cardine dell’esistenza, il mutamento, a confermare la perenne validità della formula del politico e politologo italiano Gaetano Mosca, da Brancaleone ricordata, del «conservare innovando e innovare conservando» quale segreto della continuità. Lo stesso Brancaleone, infatti, si adopera dagli anni Ottanta del Novecento per lo sviluppo e la diffusione della lezione esistenziale frankliana. È stato tra i fondatori della Società Italiana di Logoterapia e Analisi Esistenziale, inoltre dell’ISUE e dell’Istituto di Filosofia e Antropologia Clinica Esistenziale (IFACE), e, in particolare, ha sviluppato il Logos frankliano nel suo significato di parola. Esperto di psicolinguistica, ha, infatti, definito la Psicolinguistica Generativa, che consta di tre metodiche comunicative particolarmente utili per le loro potenzialità generativo-trasformazionali, la Logoanalisi Coscienziale, la Logodinamica Analitico-Esistenziale, la Logodinamica Subliminale. Se per Frankl il Logos era il senso/significato, per Brancaleone, dunque, il Logos è anche parola che cura.
La Logoterapia ha il merito indiscusso di aver recuperato la dimensione spirituale, o noetica, come la definisce Frankl, quale componente ontologica dell’essere. Essa segue la traiettoria contraria rispetto alle precedenti, già citate, scuole: al dirigersi verso le profondità inconsce dell’uomo, la Logoterapia preferisce “elevarsi” alla dimensione spirituale ed ai significati da realizzare in ciascuna esistenza. In tal senso, Logoterapia è “cura attraverso il significato”. Nella prospettiva frankliana, l’uomo viene visto come un’unità psico-fisicospirituale, caratterizzata da singolarità, irripetibilità, relazionalità e finitudine. Soprattutto, Frankl identifica una capacità fondamentale dell’uomo, che è l’autotrascendenza. La condizione umana, l’essere nel mondo, comporta il protendersi all’esterno, fuori da sé, andare oltre se stesso per raggiungere il mondo, che consta di altri esseri a cui relazionarsi e significati da realizzare. Nella prospettiva frankliana, essere uomo significa proprio questo, tendere sempre verso qualcosa o qualcuno. L’essenza di ogni esistenza umana, per Frankl, si trova nel proprio autotrascendimento. L’esistenza umana è autentica solo in termini di autotrascendenza, vale a dire che per realizzare se stesso l’uomo deve uscire da se stesso. Questo, peraltro, è il punto sostanziale che distingue l’AE dal filone umanistico, in cui generalmente viene inserita. Il fine ultimo, nell’AE, non è l’autorealizzazione, ossia la realizzazione delle possibilità e potenzialità presenti nell’uomo, che, anzi appare secondaria, una conseguenza del vero fine, che è l’autotrascendenza, ovvero la realizzazione delle possibilità che sono presenti nel mondo e attendono di essere realizzate dall’uomo. «Senso+appagamento» è per Frankl la formula della felicità.
L’autotrascendenza è la facoltà su cui poggia tutta l’antropologia frankliana, dolorosamente maturata dalla diretta esperienza di quattro campi di concentramento durante il periodo nazista, di cui rimane testimonianza nel testo Uno psicologo nei lager (Milano, Ares, 1967). A riprova del fatto che ogni evento può insegnarci qualcosa, proprio in quel contesto di deriva umana Frankl ha potuto notare che, nonostante le violenze e la sofferenza, sopravvivevano quelle persone che avevano uno scopo per cui lottare, o che pensavano di avere qualcuno ad aspettarle fuori da lì. Ed ancora, egli ha potuto cogliere, cosa più importante di tutte, che all’uomo, anche quando tutto appare perduto, rimane sempre una libertà fondamentale: poter scegliere con quale atteggiamento affrontare gli eventi. Nel contesto della prigionia disumanizzante, egli ha visto gli uomini regredire a livelli di barbara ferocia e parimenti raggiungere forme di altruismo estreme fino al dare la propria vita al posto di un altro. La grande lezione che Frankl derivò dall’olocausto fu che, anche se talvolta può sembrare incomprensibile, ogni realtà ha un senso, e che la vita di ciascunomai smette di avere un senso. Un senso che è certamente del tutto personale, dovuto alla unicità della persona, la quale deve scoprire qual è il suo compito da realizzare. È dalla mancata consacrazione di se stessi a qualcosa da realizzare o qualcuno da amare che deriva il senso di vuoto. Le avversità e sofferenze che ci si presentano possono essere trascese in questa visione superiore. La scelta sta sempre a noi.
Dall’autotrascendenza derivano, dunque, i concetti fondamentali, quali “libertà della volontà”, “volontà di significato” e il realizzare un significato nella vita.
Il concetto di “libertà della volontà” non implica, per Frankl, un indeterminismo aprioristico, poiché essa è considerata nell’uomo, ovvero un essere finito. Di conseguenza, il concetto non nega i condizionamenti biologici, sociologici o psicologici, piuttosto si riferisce alla libertà dell’uomo di scegliere quale atteggiamento assumere nei confronti di qualsiasi situazione o condizionamento. La libertà della volontà rende l’uomo, cioè, capace di autodistanziamento, quella facoltà che consente il distacco, il prendere le distanze dal giudizio rispetto a situazioni, persone ed anche rispetto a se stessi. Essere “libero da” rende l’uomo libero di scegliere la posizione da assumere, di autodefinirsi costantemente. La libertà rende, pertanto, l’uomo responsabile. Sia verso un significato da raggiungere che verso altri esseri.
Il concetto di “volontà di significato” indica che ogni uomo tende a trovare un senso per la propria vita. I significati esistono già nella realtà, sta all’uomo individuarli. Ecco perché non sono fissi, ma cambiano nel corso dell’esistenza, sono legati al momento, alla situazione, alla persona. Quando la volontà di significato è frustrata si verifica il “vuoto esistenziale”, che può veder insorgere patologie, nevrosi, dipendenze, ecc.
Längle, nell’intervento napoletano, ha esposto la sua riflessione sul contributo che la Logoterapia e l’AE apportano alle professioni d’aiuto. Innanzitutto, ha iniziato dandoci una definizione di entrambe, differenziandole dunque. Egli ricorda che la finalità della Logoterapia è aiutare l’uomo a trovare un senso nella propria vita, e che in questa ricerca Frankl sosteneva si potesse far riferimento a diversi modelli: il modello pedagogico (riferimento a modelli determinati centrato sulla spiegazione per realizzare una comprensione che è quasi una persuasione); il modello filosofico (orientato alla “nutrizione spirituale”, a instillare principi che facilitino il raggiungimento di quella condizione definita “ottimismo tragico”: una matura capacità di trarre il meglio anche dagli aspetti tragici della nostra esistenza); il modello psicologico (teso a rendere consapevoli individuando la responsabilità personale attraverso l’analisi dei comportamenti umani sulla base di quelli che vengono identificati come processi decisionali). Tutti metodi che, sostiene Längle, dovrebbero aiutare a «ridestare l’atteggiamento spirituale degli uomini, a far maturare un orientamento filosofico verso un “di più” dell’esistenza». Il condizionale sta ad esprimere una potenzialità, che Längle non nega, ma che nel caso dell’Analisi Esistenziale diviene certezza.
Successivamente, infatti, lo psicoterapeuta, passa a descrivere le metodiche frankliane, ed, in particolare, descrivendo l’obiettivo dell’AE, pone in evidenza il fondamentale cambio di prospettiva che essa realizza rispetto ai predetti metodi: «l’Analisi Esistenziale ha come obiettivo l’evoluzione degli uomini, ma partendo dal loro interno e non dall’esterno, da se stessi e non dalla vita».
Un percorso, questo, che Längle struttura in due modalità: «l’atteggiamento fenomenologico nei confronti dell’Esserci; e la propria personale attività».
Per quanto riguarda l’atteggiamento fenomenologico, Frankl lo identificava con la condizione di “apertura”, ovvero il lasciarsi interrogare dalla situazione per giungere ad una “svolta esistenziale”. Längle sottolinea che l’autointerrogazione è fondamentale per l’uomo. «Gli esseri umani devono lasciarsi interrogare dalla vita», e specifica che «ciò significa cambiare prospettiva». Invece di chiedersi, nei momenti bui dell’esistenza, il perché si debbano sopportare gli accadimenti negativi, le domande da porsi richiedono un ribaltamento della comunicazione con se stessi: cosa vuole la vita da me? cosa posso fare per trovare qualcosa di buono? per avere una vita buona?». Educarsi, quindi a trovare, anche nei momenti di sofferenza, sempre qualcosa di positivo, partendo dal presupposto che, nonostante tutto, si è vivi.
Tutto questo è contemplato dalla Logoterapia frankliana, il cui senso, ci ricorda Längle, parte dal mettere in discussione se stessi e non la vita, parte dall’autointerrogarsi, procedimento che conduce a una vera e propria “svolta esistenziale”: «si comprende che a piccoli passi si può fare qualcosa per migliorare la propria condizione. Mattone dopo mattone, con umiltà. Questa è la dimensione da assumere quando si è sopraffatti dai problemi». Si guadagna la possibilità. E ciò va ben oltre quella condizione di ottimismo tragico cui si è accennato.
Per quanto riguarda la seconda componente del percorso: l’attività psicologica, Längle sostiene che il grande obiettivo a cui l’Analisi Esistenziale si sforza di arrivare è «il consenso interiore dell’uomo o, meglio, aiutare a vivere con consenso interiore a ciò che si fa, alle proprie scelte esistenziali». Questo richiede un dialogo continuo con se stessi, un approfondimento interiore «affrontato con la sensibilità del cuore». Längle consiglia di chiedersi: «voglio davvero questa cosa? percepisco davvero un consenso interiore? avverto un’adesione interiore rispetto a questa scelta?». Condurre una vita piena di significato comporta fare ciò che si sente, ovvero «vivere con un consenso interiore a ciò che si fa». L’incertezza dei propri comportamenti e delle proprie scelte è fonte di disturbo e portatrice di ansia e depressione.
Per realizzare la condizione di consenso interiore, Längle indica le due componenti che è necessario attivare: a) una dinamica processuale personale (effettuare un percorso di analisi esistenziale); b) rapportarsi alla struttura esistenziale (attuare un’analisi della motivazione di fondo, dei fondamenti della propria esistenza). Il lavoro consiste nell’individuazione della posizione personale e nel cambiamento d’atteggiamento.
Con ciò, Längle evidenzia i concetti di possibilità e scelta, le sole armi che consentono la piena realizzazione dell’esistenza.
Pervenire ad autentiche prese di posizione e ad un rapporto responsabile con sé e con il mondo richiede un rafforzamento della forza personale, spirituale dell’uomo. L’apertura fenomenologica e il consenso interiore hanno lo scopo di porre la persona nella condizione di vivere la propria vita liberamente sul piano spirituale ed emotivo.
L’AE punta a rafforzare e sviluppare la forza personale, spirituale dell’uomo, vale a dire rendere l’uomo “persona”, ossia capace di vivere non solo secondo le regole, ma soprattutto come sente di vivere. L’uomo, pertanto, deve divenire consapevole della sua capacità di scegliere. Il lavoro del counselor, ribadisce Längle, consiste proprio nel fare in modo che le persone facciano ciò che ritengono veramente giusto, e su tale scorta poggino le proprie scelte.
Längle passa a descrivere il modello processuale dell’AE, ricordando, innanzitutto, che il principio base è lo scambio dialogico con sé e con gli altri, la relazione, la comunicazione. L’io, infatti, è composto da un mondo interiore (relazione con noi stessi) e da un mondo esteriore (relazione col mondo e con gli altri) e possiede una capacità processuale che consiste nella capacità di presa di posizione interiore: l’io diviene “persona” sceglie.
Il primo passo da compiere è proprio questo, divenire consapevoli delle scelte fatte e del fatto che scegliamo. «Nell’incontro con utenti/clienti/pazienti è importante concedere loro di sfogarsi, lamentarsi, urlare per le proprie vicissitudini – afferma lo psicoterapeuta austriaco – per poi interrogarli sulla propria presa di posizione. Di solito loro sanno cosa vogliono fare. Ciò produce, però, un “risveglio del potenziale interno”, essenziale per potersi “esprimere e spiegare a se stessi cosa è importante per ciascuno”. Spesso, per il risveglio del potenziale interno, è utile sottoporre, delle sollecitazioni: un aforisma, una poesia, un testo filosofico; capaci di aprire un varco verso la svolta esistenziale, capaci di stimolare l’autointerrogazione: cosa vuole adesso la situazione da me? cosa posso fare? forse posso fare cose nuove o che non faccio più? In senso esistenziale, siamo sempre interrogati su ciò che possiamo fare e, come esseri creativi, troviamo o scopriamo sempre qualcosa. Importante è fare solo ciò su cui proviamo un consenso interiore. Se la percezione di un’adesione interiore è assente la vita sarà soltanto “una vita perduta” – sottolinea Längle – e ciò vale sia nelle piccole sia nelle grandi scelte. Il lavoro del counselor consiste proprio nel fare in modo che le persone facciano ciò che ritengono veramente giusto».
Dal punto di vista metodologico, questo discorso di consapevolezza deve essere svolto a più livelli, a causa della fattezza composita dell’esistenza, che Längle paragona a un palazzo a diversi piani. Il modello strutturale dell’analisi esistenziale contempla, infatti, quattro dimensioni della realtà umana con cui l’uomo deve confrontarsi: il mondo (fatti e possibilità); la vita (relazioni e sentimenti); l’essere sé (quale persona singolare, autonoma); il contesto più ampio (futuro ossia il divenire attraverso il proprio operato).
Queste sono le realtà “esistenziali” per affrontare le quali c’è bisogno di quattro passaggi, in particolare: scambio dialogico; informazione personale; presa di posizione personale; scelte personali. Ovvero, l’uomo deve interrogarsi sulla propria esistenza, comprendere se stesso, scegliere come essere e come viversi.
Partendo dall’assunto «io devo vivere questa vita», le domande esistenziali che l’uomo dovrebbe porsi, suggerisce Längle, sono del tipo: «chi sono io? chi posso divenire? cosa posso fare concretamente? io posso, sono capace di essere? posso esistere dove mi trovo? ho una forza sufficiente e circostanze esterne che lo rendono possibile? posso trovare in me consenso interiore?».
La prima condizione di un’esistenza realizzata è, infatti, la capacità di poter essere in questo mondo. Se si percepisce di non essere in grado di essere nel mondo si vive una condizione di ansia e mancanza di motivazione. In tal senso, Längle consiglia di indirizzare il lavoro sull’accettazione e la sopportazione. Presupposti ne sono: protezione, spazio e sostegno. Forme di sostegno valide sono il coraggio, la fiducia, la speranza, la fedeltà, la verità e la fede.
La seconda condizione fondamentale di una esistenza realizzata è la capacità di relazionarsi. A tal proposito, Längle ritiene che aiutino a prendere coscienza del proprio sentito sulla condizione «io vivo» domande come: «lo desidero? mi piace vivere? mi piace la mia vita? l’apprezzo?». Sono domande profonde, che vanno alle radici dell’esistenza, per cui risposte negative ci segnalano la perdita di motivazione e la depressione. In tal caso, è utile concentrare il lavoro sull’avvicinarsi e soffrire. Presupposti ne sono la relazione, il tempo e la vicinanza.
La terza condizione fondamentale di una esistenza realizzata è la capacità di essere se stessi. Sono domande fondamentali per chiarire la propria posizione, il proprio sentito sull’assunto «io sono io»: «posso (mi è consentito) essere così? a cosa devo adattarmi? devo nascondermi? posso mostrarmi come sono? devo avere l’ansia di essere allontanato? posso essere così? come devo comportarmi per arrivare a dire…? posso essere così senza vergogna?». Le conseguenze negative di unamancata o imperfetta adesione a se stessi vanno dal perdere se stessi e ciò che è più proprio, fino all’isteria. In questo ambito il lavoro deve essere orientato alla considerazione e alla limitazione attraverso attenzione, giustizia, apprezzamento e stima. Come esito si avrà un io rafforzato e più autentico.
La quarta condizione fondamentale di una esistenza realizzata è la capacità di trovare senso. Sono domande fondamentali da porsi per analizzare la propria condizione sull’assunto «io ci sono»: «perché è un bene che io ci sia? a che scopo io sono al mondo?». Le conseguenze negative dell’incapacità di trovare senso sono: l’assenza di senso, non manifestare alcuna volontà, nessun orientamento, pericolo che si incorra nelle dipendenze, e pericolo di suicidio. Il lavoro deve essere volto a far raggiungere l’accordo con se stessi, l’adesione al proprio sé, a impegnarsi con un campo di attività, una connessione strutturale, a credere al valore del futuro. Il risultato è una significatività esistenziale, che emerge attraverso l’apertura alla possibilità più “valorosa” della situazione in cui ci si trova.
Se ci si sforza di trovare il valore dell’esistenza in ogni situazione «possiamo ogni giorno – dice Längle – infilare una perla alla nostra collana e avere un senso del Tutto che impregna condotta, sentimento, fede/filosofia». Ecco perché Längle ricalibra la visione di Frankl. Se per Frankl «la vita non è qualcosa, ma è l’occasione di qualcosa», per Längle «la vita è sempre avere una possibilità».
Perentorietà della possibilità, e dunque della scelta/consenso, che esclude qualsiasi occasionalità.
La lectio magistralis di Alfried Längle non si conclude prima di aver risposto ad alcune domande poste dai presenti, nel dibattito condotto da Fernando Boscaino, inerenti a delucidazioni su: come affrontare l’ansia, come vivere il paradosso, quali differenze e quali prospettive tra la figura del counselor in Germania e in Italia.
Brancaleone conclude con la convinzione che Längle, come continuatore dell’opera di Frankl, abbia apportato all’approccio fenomenologico dell’Analisi Esistenziale e al metodo logoterapeutico nuova linfa vitale e proficui nuovi sviluppi, integrando con apporti originali e contributi di carattere pratico e metodologico, oltre che teorico, l’opera del Maestro. A sottolineare tale merito, Brancaleone utilizza la famosa espressione usata da Frankl stesso per situare la propria posizione rispetto a quelle dei suoi maestri: “un nano sulle spalle di un gigante”, apportando la precisazione che, pur essendo più piccolo, il nano in quella posizione avrebbe potuto vedere più lontano degli stessi giganti.
Tale espressione indica chiaramente come Längle abbia impegnato le sue forze a indagare sulla vita e sulle opere di Frankl ai fini di una comprensione e di una completezza sempre più ampie delle origini della Logoterapia e dell’Analisi Esistenziale non senza esprimere, talvolta, il suo fecondo dissenso.
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