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Tutti a casa? L’Italia dopo l’8 Settembre1
di Fausto Cozzetto
Un tema, quello che mi è stato chiesto di trattare, che, almeno apparentemente, ha avuto una assai vasta attenzione sia nelle occasioni celebrative svoltesi in tutto il paese a partire dal secondo dopoguerra mondiale, e quindi nel corso di circa un settantennio, sia per opera della storiografia contemporanea, italiana e non. Ma mi si permetta di osservare che nella memoria collettiva degli italiani di tutte le regioni è ben difficile che la vicenda sia stata collocata in una dimensione che riesca a renderne comprensibili le ragioni in maniera che se ne colgano i fattori essenziali che determinarono, tra il 1943 e il 1945, la dissoluzione dello Stato unitario formatosi con il processo risorgimentale dell’Ottocento, ma anche, nel contempo, i fattori che
portarono alla rinascita del paese e la radicale svolta politica della nuova Italia repubblicana. Se si cerca una testimonianza importante di quanto qui si è osservato essa è nel tramonto oggettivo del concetto che accompagnò la vita di personalità pure molto amata dagli Italiani come Sandro Pertini, quello che con l’8 settembre si avviò un secondo Risorgimento. L’ambizione di questo breve intervento è quello di fornire un quadro delle vicende essenziali che portarono a quell’evento per poi trarne le indicazioni delle ragioni che in un tempo straordinariamente breve, dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, poco più di un anno e sei mesi, portarono alla rinascita dell’Italia unita.
Il paese, come è noto, entrò nella seconda guerra mondiale il 10 giugno 1940, e non si può dire che da almeno un anno il capo del Governo Mussolini, in una riunione del Gran Consiglio del fascismo svoltasi il 4-5 novembre 1939 non avesse reso espliciti gli obiettivi dell’imperialismo italiano. Egli partiva da questa premessa2:
«Gli Stati sono più o meno indipendenti a seconda della loro posizione marittima. E cioè sono indipendenti quegli Stati che posseggono coste oceaniche o hanno libero accesso agli oceani; sono semi-indipendenti gli Stati che non comunicano direttamente cogli oceani e sono chiusi in mari interni; non sono indipendenti gli Stati assolutamente continentali che non hanno sbocco né sugli oceani né sui mari. L’Italia appartiene alla seconda categoria di Stati. L’Italia è bagnata da un mare interno che comunica con gli oceani attraverso il Canale di Suez, comunicazione artificiale che si può facilmente ostruire anche con mezzi di fortuna e attraverso lo Stretto di Gibilterra, dominato dai cannoni della Gran Bretagna. L’Italia non ha quindi un libero accesso agli oceani; l’Italia è quindi realmente prigioniera nel Mediterraneo e più l’Italia diventerà popolosa e potente più soffrirà della sua prigionia. Le sbarre di questa prigione sono la Corsica, la Tunisia, Malta, Cipro: le sentinelle di questa prigione sono Gibilterra e Suez. La Corsica è una pistola puntata nel cuore dell’Italia; la Tunisia sulla Sicilia, mentre Malta e Cipro costituiscono una minaccia a tutte le nostre posizioni del Mediterraneo Centrale ed occidentale. Grecia, Turchia, Egitto, sono Stati pronti a far catena colla Gran Bretagna e a perfezionare l’accerchiamento politico militare dell’Italia. Grecia, Turchia, Egitto devono essere considerati Stati virtualmente nemici dell’Italia e della sua espansione […] compito dell’Italia che non ha obbiettivi d’ordine territoriale europeo, salvo l’Albania, è quello di rompere in primo luogo le sbarre della prigione. Rotte le sbarre la politica italiana non può avere che una parola d’ordine: marciare sull’oceano. Quale oceano? L’Oceano Indiano, saldando attraverso il Sudan, la Libia con l’Etiopia, o L’Atlantico attraverso l’Africa Settentrionale francese. Tanto nella prima che nella seconda ipotesi, ci troviamo di fronte all’opposizione francoinglese. Affrontare la soluzione di tale problema, senza avere le spalle assicurate nel continente è assurdo. La politica dell’Asse Roma-Berlino risponde quindi a una necessità storica di ordine fondamentale».
Una copia della relazione che nelle intenzioni di Mussolini doveva restare segreta in quanto «documento orientatore della politica estera italiana a breve, a lunga, a lunghissima scadenza», venne inviata al sovrano che lo ringraziò «per la relazione tanto importante e tanto chiara che ho letto col più vivo interesse»3. Non c’è che dire: dal documento che costituisce l’anima pulsante dell’imperialismo mussoliniano, condiviso pienamente dal capo dello Stato, emerge un quadro desolante delle capacità di analisi politica di entrambi i soggetti al vertice della vita dello Stato le cui semplicistiche riflessioni appaiono degne delle mediocri letture che più di un osservatore del loro tempo addebitava a entrambi i personaggi.
Quando l’Italia entra in guerra sono quelle indicazioni strategiche presenti nel documento che Mussolini aveva formulato “segretamente” nel Gran Consiglio a costituire le linee strategiche dell’intervento italiano nell’Europa in guerra. Risolta in anticipo la questione albanese con l’annessione del piccolo paese balcanico al Regno d’Italia, l’iniziativa italiana è attiva verso la Francia nella prospettiva di avviare la soluzione imperialistica indicata nel mar Ligure ai danni dello Stato francese; diviene attiva nel Nord-Africa nei riguardi della direttrice che guarda all’Egitto e al Canale di Suez; infine prende l’iniziativa nel Balcani nell’ottobre 1940 con l’attacco alla Grecia. Nel complesso la storiografia ha individuato l’iniziativa militare italiana all’avvio del conflitto come la strategia della “guerra parallela” a quella portata avanti nel continente europeo dalla Germania hitleriana con le travolgenti avanzate e conquiste territoriali in cui si erano tradotte, dove veniva sottolineata l’autonomia strategica e politica dell’iniziativa militare italiana, nel non troppo scoperto obbiettivo di porre un limite, soprattutto nei Balcani all’espansionismo tedesco. L’esito della “guerra parallela” fu sin da subito disastroso. All’avvio della guerra l’Inghilterra conquista l’Africa Orientale italiana e la Cirenaica. L’attacco alla Grecia ha un esito militare disastroso tanto da tradursi perfino nel rischio che essa abbia come risultato non la conquista della Grecia, ma la perdita dell’Albania. Nella primavera del 1941 la guerra parallela è defunta e produce il rafforzamento della alleanza militare tra la strapotente Germania e la debole Italia fascista, traducendosi esplicitamente nella subalternità militare dell’Italia fascista alla Germania. I risultati sono evidenti: la Germania conquista i Balcani e risolve militarmente le incapacità italiane a soggiogare la Grecia. Nel contempo truppe tedesche raggiungono il Nord-Africa a sostegno delle difficoltose iniziative militari italiane, spingendo le armate dell’Asse fino all’Egitto. Il 22 giugno 1941 si realizza l’attacco tedesco alla Russia sovietica e l’Italia con una sua armata partecipa alla spedizione; infine a chiudere il complesso svolgersi degli interventi degli Stati grandi e piccoli nel secondo conflitto mondiale, il 7 dicembre, sempre del 1941, l’attacco del Giappone alla base americana di Pearl Harbor segna l’avvio di un grande conflitto tra i due paesi, che ha come ambito geopolitico sostanzialmente il Pacifico e i popoli che gravitano sull’Oceano Indiano, nonché la debole Cina, egemonizzata dal Giappone imperiale4.
Fermo restando la possibilità che le potenze dell’Asse (Germania e Italia) potessero nutrire interesse a colpire le cospicue basi di rifornimento in Oriente della Gran Bretagna, come riteneva Mussolini, una volta chiusa la via mediterranea dai successi dell’Asse italo-tedesco, attraverso la circumnavigazione dell’Africa, a molti studiosi la scelta dell’Italia di dichiarare guerra agli Stati Uniti è sembrata un enorme errore strategico. Neppure motivato dall’atteggiamento del Giappone che non dichiarò guerra all’Unione Sovietica.
È un fatto che la scelta degli angloamericani e del comandante in capo delle truppe alleate generale Eisenhower di avviare la riconquista dell’Europa contro le potenze nazifasciste ebbe come primo obbiettivo il Mediterraneo e l’Italia, con l’indubbia intenzione di frantumare l’anello debole dell’Asse rappresentato dall’Italia. La formidabile macchina da guerra americana, coadiuvata dagli inglesi avviò una fortissima azione di bombardamento sulle grandi città italiane a partire dal dicembre 1942. In pochi mesi l’azione distruttiva e le difficoltà nei rifornimenti alimentari misero a durissima prova il “fronte interno” italiano. Non certo casualmente nel marzo del 1943 si svolsero grandi scioperi operai a Torino e a Milano. Lo choc per la classe dirigente italiana fu notevole, anche se la propaganda fascista tese a ridimensionare il rilievo di quanto avvenuto, che fonti tedesche denunciavano come meritevole di durissimenti provvedimenti repressivi, criticando la debolezza del governo fascista.
La crisi del fronte interno italiano e la sostanziale incapacità del governo di Mussolini di porvi rimedio fu perfino sottolineata nel giugno 1943 dall’Ordinario militare d’Italia mons Bartolomasi: «sembra strano ma è verissimo: più alto è il morale dei soldati nelle zone d’operazione fuori d’Italia che dei soldati rimasti nella penisola5».
In realtà la storiografia è concorde sul fatto che alla vigilia e naturalmente dopo lo sbarco delle truppe alleate in Sicilia la classe dirigente italiana senza eccezioni, ivi compreso il capo del Governo, fosse convinta che il conflitto era perso e che bisognasse negoziare l’armistizio. Mussolini rimuginava senza sapere che fare, nel frattempo diffondeva una speranza in cui non credeva fino in fondo: ottenere da Hitler un cessato il fuoco tra Germania e Russia in modo da trasferire in Italia le armate dell’Asse per respingere il nemico anglo-americano. Che si trattasse di una fantasia senza fondamento è testimoniata dal fatto che mai il Duce ebbe il coraggio di formulare la richiesta a Hitler, nonostante che in quelle decisive giornate lo avesse incontrato senza aprire alcun discorso rispetto alle posizioni espresse con durezza dal dittatore tedesco sulla inevitabile vittoria finale dell’Asse. D’altra parte Mussolini era altrettanto convinto che ogni tentativo del governo italiano di portare il paese verso una qualche forma d’accordo con gli anglo-americani, avrebbe provocato una durissima reazione della Germania. Alla fine l’unica alternativa alla rovina del paese in guerra divenne quella della caduta del governo fascista di Mussolini e di apertura segreta di trattative di armistizio con gli alleati. Se l’ordine del giorno Grandi segnò la sfiducia dello stesso Partito fascista al capo del governo e del PNF, l’azione della monarchia e delle guide militari del paese di far arrestare Mussolini e di nominare un generale a capo del governo, rappresentava l’obbiettivo di tranquillizzare i tedeschi con la dichiarazione del prescelto maresciallo Badoglio che per l’Italia e gli italiani «la guerra continua». Nel contempo la prigionia di Mussolini era un pegno offerto agli alleati angloamericani di una inevitabile e prossima apertura dell’Italia verso l’armistizio.
In realtà la classe dirigente italiana, più o meno coscientemente, sottovalutava quali sarebbero stati gli effetti delle decisioni assunte. Il nuovo governo Badoglio sollecitava all’estero trattative di un armistizio che avrebbe dovuto essere proclamato dopo la decisiva avanzata verso Roma e verso Nord delle truppe alleate. Al contrario gli alleati angloamericani non si fidavano delle richieste italiane che di fatto caricavano gli alleati del compito di cacciare i tedeschi dall’Italia, o almeno dalla sua gran parte, ma senza alcuna garanzia sulla persistenza di atteggiamenti ostili, sul piano militare, da parte delle truppe italiane. Per di più il Comando generale alleato riteneva giunto il momento di trasferire sullo sbarco in Normandia il vero fronte di guerra per sconfiggere la Germania, avviando una azione a tenaglia con le truppe sovietiche contro le armate naziste. I tedeschi, a loro volta, non si fidavano affatto del governo Badoglio e utilizzarono pienamente lo spazio temporale tra il 25 aprile e l’8 settembre per disporre sul fronte italiano un complesso di 21 divisioni corazzate con l’obbiettivo di bloccare in Italia l’iniziativa alleata e, nel contempo di punire duramente il tradimento del governo italiano. Perciò, una volta che gli angloamericani resero noto, contro le richieste del governo Badoglio, che il governo italiano aveva firmato l’armistizio, Hitler ordinò immediatamente la liberazione di Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso d’Italia, con l’obiettivo, poi realizzato, di farne la guida politica di un governo del tutto sottoposto alle direttive tedesche che svolgesse l’unico compito di coadiuvare, come effettivamente avvenne, l’azione militare tedesca contro gli angloamericani nell’Italia Centrale e nel resto del Settentrione.
In queste condizioni, dopo l’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre 1943, la fuga da Roma da parte del governo Badoglio e della monarchia, e il loro rifugiarsi nelle Puglie sotto l’egida delle truppe angloamericane, venne coscientemente frantumata l’unità politica dello Stato italiano che vide progressivamente la penisola divisa in cinque strutture di governo del territorio: Il Regno del Sud; l’amministrazione militare alleata nelle zone di guerra (AMGOT); la repubblica sociale italiana fondata da Mussolini una volta liberato dalla detenzione badogliana; l’amministrazione militare tedesca nell’Italia settentrionale; le strutture in formazione della resistenza antifascista e antinazista, poi riconosciute come struttura militare del governo antifascista nell’Italia settentrionale una volta che il Regno del Sud poté riprendere la sua sede di governo a Roma.
Eppure si può osservare che, tenuto conto delle tragedie della lotta tra strutture militari antifasciste e strutture militari del governo della repubblica di Salò in gran parte dell’Italia settentrionale, le tre entità italiane che occuparono la scena dell’Italia dopo l’8 settembre e fino al 25 aprile 1945, quelle tre strutture statali svolsero un ruolo che, inconsapevolmente ma oggettivamente, prepararono la nuova unità italiana a partire dal 1945 e soprattutto dalla scelta repubblicana del 2 giugno 1946. Nel Sud la sopravvivenza dello Stato monarchico sabaudo, poi affiancato dai governi dei partiti antifascisti e dalle amministrazioni del Cln rifondò su basi diverse la vita politico-amministrativa locale con episodi che furono di non scarso rilievo per la ripresa della vita democratica degli anni della Repubblica. Nel Nord la vitalità delle organizzazioni partigiane fece emergere formazioni politiche nuove, con forme di partecipazione popolare alla difesa del territorio e delle comunità che sembrarono richiamare antiche tradizioni tardo medievali dell’età dei Comuni. Anche la più screditata delle tre formazioni politiche italiane che emersero nell’Italia dopo l’8 settembre, quella della repubblica di Salò, non può far dimenticare che, a parte gli esperimenti di Stato sociale e di assai improbabile ritorno al passato del fascismo mussoliniano, la repubblica sociale ebbe comunque un ruolo che non gli si può disconoscere, contribuendo a salvare gli italiani sotto la propria giurisdizione e quanti tra gli italiani, militari e civili, che finirono trasportati in Germania come conseguenza dell’8 settembre, nei campi di lavoro e nei campi di concentramento, offrendo con la mediazione dei buoni rapporti personali tra Mussolini e il governo tedesco un ancora di salvezza insperata di fronte all’immane tragedia della fame e della morte che assieme alle nefandezze della Shoah costituirono il lato più orribile che le attuali giornate volute dalle istituzioni pubbliche del Cosentino, così opportunamente hanno l’obbiettivo di richiamare alla memoria degli italiani dell’avvio del Terzo millennio.







NOTE
1 Pubblico con piccole modifiche il testo dell’intervento letto il 13 febbraio scorso nell’ambito delle manifestazioni svoltesi al Parco storico del Ninfeo di Cosenza sul tema “Memorie. Ricordare il passato per costruire il futuro”, a cura delle istituzioni pubbliche della provincia di Cosenza.^
2 Il testo è stato pubblicato integralmente per la prima volta dal De Felice, cfr. R. De Felice, Mussolini il duce II Lo Stato totalitario 1936-1940, Giulio Einaudi editore, 1981, pp. 321-322.^
3 Ibidem.^
4 Cfr. l’assai efficace sintesi sui primi due anni di guerra mondiale, in particolare dal punto di vista dell’ingresso in guerra dell’Italia fascista di G. Galasso, Storia d’Europa 3. Età contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 1996, pp. 418-420.^
5 R. De Felice, Mussolini il duce, tomo II crisi e agonia del regime, Torino, Einaudi, 1990, pp. 688 n.1 e 864 e n.; 981-983.^
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