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Il dolore e "il medico al rovescio"
di Aurelio Musi
La tassanomia del dolore fisico è presente nel genere rinascimentale dei Secreti, inaugurato a metà Cinquecento da Girolamo Ruscelli, che ebbe larga fortuna nei decenni successivi1. Un esempio fra tanti è l’opera di Giovanni Battista Zapata, Li meravigliosi secreti di medicina e chirurgia, pubblicata prima a Roma nel 1577, quindi a Venezia nel 15862. Zapata è medico di area romana e i suoi Secreti sono raccolti dal suo allievo trentino, Giuseppe Scienza. Ebbero molte edizioni tra Cinque e Seicento. Il successo è legato soprattutto alla loro ispirazione di fondo: il ricorso cioè alla medicina naturalis. I Secreti sono in effetti il risultato di una miscela che doveva esercitare una notevole presa anche in ambienti medici colti: i ricettari medievali convivevano con la sperimentazione terapeutica e una buona dose di immaginazione. Nell’opera di Zapata all’inventario dei dolori di diverse specie erano associate le indicazioni terapeutiche, tutte derivanti dalla medicina naturalis. La tassonomia meticolosa comprendeva varie parti del corpo: doglie di mal francese, dolore di corpo e di stomaco, dolore di testa, dolore «nelle zinne causato d’abondanza di latte», dolori colici, dolori di giunture, dolori “estremi” (per esempio emorroidi) dolori “interni”, dolori «levati in qualsivoglia parte del corpo».
Questa classificazione è il primo stadio di una storia di oltre due secoli che ha il suo punto culminante nella spazializzazione del dolore a fine Settecento, in quella distribuzione delle sue figure nello spazio in cui si incrociano i corpi e gli sguardi. Michel Foucault ne ha scritto in Naissance de la clinique:

Le figure del dolore non sono scongiurate a favore di una conoscenza neutralizzata: esse sono state redistribuite nello spazio in cui si incrociano i corpi e gli sguardi. Ciò che è cambiato è la sorda configurazione in cui il linguaggio trova sostegno, il rapporto di situazione e di postura tra ciò che parla e ciò di cui si parla […] Bisogna porsi, e una volta per tutte, – continua Foucault- mantenersi a livello di spazializzazione e della verbalizzazione fondamentale del patologico, là ove prende origine e si raccoglie lo sguardo loquace che il medico posa sul cuore velenoso delle cose3.

Nello Studio napoletano della prima metà del Cinquecento l’insegnamento dell’anatomia è associato a quello della chirurgia. Uno studio recente ci fa conoscere i nomi di chi ha ricoperto quell’insegnamento dal 1543 al 16874. Lettori sono stati: Gianfilippo Ingrassia dal 1547 al 1556, Alfonso Ferro nel 1557, Cesare Giulio Iasolino dal 1563 al 1564, Francesco Antonio Gatti dal 1564 al 1566, Ettore Tarentino dal 1567 al 1572, ancora Alfonso Ferro dal 1572 al 1589, Fabio Giovenza dal 1589 al 1590, Quinzio Buongiovanni dal 1590 al 1597, Giuseppe Perrotta dal 1597 al 1607, Mario de Burgos y Azzolini dal 1607 al 1615, Marco Aurelio Severino (con alcune interruzioni di cui si dirà) dal 1615 al 1645, Felice Martorelli dal 1645 al 1659, Bernardino Corbisiero dal 1659 al 1667, Gennaro d’Avino dal 1667 al 1668, Sebastiano Bartoli dal 1668 al 1676, Luigi Enriquez de Fonseca dal 1676 al 1681, Tommaso Morese dal 1681 al 1682, Gennaro de Bisogno dal 1682 al 1693. Per alcuni periodi il posto di lettorato resta vacante. Scorrendo la lista appare chiaro che l’insegnamento di anatomia e chirurgia viene coperto da medici appartenenti, per formazione, orientamento e orizzonte intellettuale, a settori assai diversi tra loro. A figure dell’establishment tradizionale, che fanno ancora riferimento al paradigma ippocratico-galenico, si alternano personaggi di rilievo e di notevole spessore, aperti alla anatomo-chirurgia sperimentale. Anzi è possibile scorgere la continuità di una linea che potrebbe definirsi del paradigma naturalistico a Napoli e che a partire da Ingrassia e a seguire con Iasolino e Marco Aurelio Severino, arriva fino a Bartoli. Nel solco della tradizione di Vesalio, Gianfilippo Ingrassia innova nell’anatomia. Tuttavia, come è stato rilevato, egli non mette mai in discussione la teoria umorale che resterà alla base della sua ricerca.

Dal legame mai reciso con la teoria umorale e dal richiamo ad Aristotele appare chiaro che l’atteggiamento critico degli uomini della scienza del Cinquecento nei confronti delle auctoritates non equivaleva mai ad un esplicito rifiuto della lezione dei loro predecessori, ad una totale e radicale confutazione, ma era piuttosto teso al recupero di quanto ancora c’era di valido5.

Attravero l’allievo Iasolino l’esperienza e l’eredità intellettuale di Ingrassia si trasmettono, come vedremo a Severino. Con Bartoli6 si apre una nuova fase in cui Napoli si inserisce a pieno titolo nel dibattito internazionale sullo statuto della medicina e nella “crisi della coscienza europea”(Hazard).
Vesalio, Eustachio, Colombo: questa triade illustra assai bene un dato interessante. In Italia e in Europa i grandi anatomisti tra Cinque e Seicento sono anche i chirurghi più innovatori. Ma le remore, i condizionamenti, per lo sviluppo della ricerca e della nuova pratica chirurgica sono ancora molti. In primo luogo il sapere galenico-ippocratico e il paradigma aristotelico continuano a costituire il fondamento dell’insegnamento universitario. In secondo luogo il passaggio dalla sperimentazione sugli animali a quella sugli uomini o è assente o è assai raro: Vesalio, ad esempio, pratica la tracheotomia sugli animali, non sugli uomini. In terzo luogo a frenare la sperimentazione umana è l’ambigua, apparentemente contraddittoria linea della Chiesa Cattolica sul dolore fisico7: la sopportazione soggettiva del dolore è condizione necessaria per rispondere degnamente ai disegni e al volere divini; l’Inquisizione deve mettere alla prova i rei, ricorrendo alla tortura fisica e psicologica, per ottenere il riconoscimento dei peccati-reati anche da parte del condannato; ma i medici chirurghi già sottoposti ai continui attacchi per la pratica della manipolazione dei corpi, non possono aumentare la sofferenza dei malati. Questa linea tortuosa, ma a suo modo coerente, viene introiettata dalla maggioranza dei medici chirurghi del tempo, determinando una miscela di paure riflesse, che ritarderà non poco lo sviluppo delle innovazioni.
L’altro ambiente da tenere sotto osservazione è quello delle Accademie. Nel corso del XVII secolo il sapere medico comincia ad acquisire nuovi spazi di dibattito e di ricerca nelle Accademie napoletane e un importanza politicoculturale che va ben oltre la sua specificità disciplinare. Al di là delle differenze di struttura e di contenuti, un filo rosso lega l’Accademia proto seicentesca degli Oziosi a quella dei Discordanti e degli Investiganti nella seconda metà del secolo fino alla Palatina del viceré Medinaceli: la presenza massiccia sia quantitativa che qualitativa dei medici, lo stimolo alla critica e alla sperimentazione che questa presenza determinò, la sua capacità di confrontarsi con altri saperi8.
All’Accademia degli Oziosi9 aderirono Stigliola, Colonna, Mirabella, Severino, ma il suo orizzonte culturale fu prevalentemente occupato da Ippocrate e dal neoplatonismo. Nella fisica le teorie del Fracastoro furono preferite a quelle di Bernardino Telesio e Giovambattista Della Porta, anche se l’arte della fisiognomica dellaportiana fu oggetto di tre orazioni di Severino proprio nell’anno di fondazione dell’Accademia, il 1612. A determinare il comportamento timido e moderato degli Oziosi su temi e problemi della medicina e della scienza in generale, che peraltro solo da pochi anni erano entrati nel dibattito internazionale, era anche la composizione stessa dell’Accademia che teneva insieme, in equilibrio instabile, aristocrazia feudale di seggio e fuori seggio, esponenti del ministero e dell’amministrazione pubblica, intellettuali legati all’establishment della corte vicereale, ma anche spiriti più tormentati che avrebbero dato un loro contributo alla preparazione politico-culturale della rivolta del 1647-48, medici universitari legati al sapere tradizionale ippocratico-galenico, ma anche sperimentatori come Severino e tecnici, impegnati a fondo nel lavoro per la città di Napoli come Stigliola e Colonna. Così la sperimentazione e il superamento del sapere tradizionale solo in misura minore trovavano la loro sede in Accademia: luoghi più appropriati risultavano invece da un lato, per i tecnici del Comune, il vero e proprio laboratorio delle opere ingegneristiche per Napoli, dall’altro, per medici come Severino, la pratica chirurgica. Così, come è stato scritto in un ottimo studio sull’Accademia degli Oziosi, «contro il dolore –per l’oblio di più moderne tesi- Lasena aveva fornito cotilédoni e prodigiose ricette, traendole da Omero, da Plinio il Vecchio. Non c’era stato null’altro»10. In sostanza a prevalere era ancora una volta la linea rinascimentale dei Secreti.
Ben prima della grande trasformazione della seconda metà del Settecento., non l’insegnamento universitario, non le Accademie, ma gli ospedali sono i luoghi del conflitto o della difficile coesistenza tra la normale pratica medica e la chirurgia sperimentale. Quasi tutte le più importanti fondazioni ospedaliere napoletane risalgono al periodo spagnolo: Incurabili (1519), Trinità dei Pellegrini (1579), S. Giacomo, San Gennaro extra moenia (1656) vanno ad aggiungersi alle più antiche strutture di S. Eligio, la Vittoria, S. Nicola della Carità, S.Angelo a Nido. Svolgono funzioni molteplici: il controllo dello spazio sociale urbano; il carattere polifunzionale degli istituti non riducibile al modello della «grande reclusione dei poveri» (Gutton); la ricca articolazione dell’intervento pubblico e privato; la dimensione aziendale di alcune strutture che occupano migliaia di persone ed esigono un’efficiente gestione economico-amministrativa; luoghi e strumenti di affermazione del potere urbano11.
Proprio nel più importante di questi ospedali, gli Incurabili – importante per la pratica medica, sia perché sarà l’unica struttura, insieme con il Collegio, ad abilitare alla professione medica e paramedica – opera per diversi anni Marco Aurelio Severino: una personalità di straordinario interesse, una figura che ha suscitato più attenzione fuori d’Italia che nel nostro paese. Dal 1620 al 1637 lavora anche al Conservatorio dello Spirito Santo. Nativo di Tarsia, proveniente da una regione come la Calabria ricca di medici di un certo prestigio, Severino è un intellettuale polivalente che si dedica non solo alla ricerca medica e alla sperimentazione chirurgica, ma coltiva pure la filosofia, la letteratura e compone uno scritto assai rilevante sul gioco degli scacchi. Fin dagli anni della sua formazione, Severino mostra una posizione eccentrica rispetto all’establishment culturale del tempo. Si laurea allo Studio Medico di Salerno, fucina nei primi decenni del Seicento di non pochi illustri medici: qui ha modo di entrare in contatto con lo Stigliola, anche lui laureato a Salerno. Nella formazione di Severino un ruolo importante è svolto dalla frequenza dei conventi napoletani dove si pratica la medicina naturale, e all’insegnamento del Iasolino, erede a sua volta della scuola di Gianfilippo Ingrassia. Anche Giulio Iasolino è calabrese. Ha studiato a Messina, ma si è laureato a Napoli. È chirurgo degli Incurabili fino al 1610; pochi anni dopo gli succederà Severino. Pubblica opere di anatomia e chirurgia, ristampate anche in Germania a metà Seicento. Con Severino condivide l’attività nei conventi napoletani. Vissuto tra il 1510 e il 1580, il medico siciliano Ingrassia si è laureato all’Università di Bologna, è stato a Palermo medico personale di Isabella di Capua, moglie del vicerè di Sicilia Ferrante Gonzaga, lettore di anatomia e medicina pratica e teorica nello Studio napoletano. Le sue opere maggiori sono considerate la Iatropologia, in cui Ingrassia rifiuta la rigida separazione tra fisica e chirurgia, stabilisce un equilibrio tra teoria ed esperimento, considera centrale l’autopsia nella formazione del medico, e De tumoribus, una classificazione delle enfiagioni collegata a una critica del conformismo ripetitivo della medicina accademica e alla sintesi tra metodo filologico e pratica autoptica. In questa stessa opera Ingrassia sostiene che per alleviare la sofferenza bisogna ricercare la causa vera del fenomeno malattia12. Tutti questi elementi – la sintesi tra teoria e pratica, l’importanza dell’autopsia, la ricerca delle cause vere del dolore- spiegano perché Severino dichiarerà «eternamente all’Ingrassia tenuto»13.
Sin dagli anni della formazione, Severino coltiva una visione interdisciplinare, diremmo oggi, della medicina. E alla genesi e allo sviluppo di questa visione teorica e pratica contribuiscono i rapporti con Fabio Colonna, Nicola Antonio Stigliola e Mario Schipani. Il Colonna14, vissuto tra metà Cinquecento e metà Seicento, è allievo di Giovan Battista della Porta, che gli trasmette la concezione unitaria della natura, e di Ferrante Imperato, naturalista, botanico, giurista, pittore con spiccati interessi per gli strumenti musicali (ne costruisce uno a cinquanta corde), è membro della colonia lincea di Napoli, procuratore e consigliere dell’Accademia, possibile successore di Cesi alla sua presidenza. Il Colonna è in cura da Marco Aurelio Severino negli anni Venti del Seicento e viene citato dal medico di Tarsia nella Zootomia e nel De Efficaci medicina. Anche Nicola Antonio Stigliola (1543-1623)15 è accademico linceo e ozioso, Personalità poliedrica, dopo la laurea in medicina a Salerno svolge ricerche nelle discipline matematiche e fisiche, è ingegnere del Comune di Napoli e membro dell’Inquisizione nel 1591-1592 e viene arrestato nel 1595: trasferito a Roma, resta in carcere per due anni. E qui conosce Campanella, di cui condivide il progetto utopico, e di Giordano Bruno, è fautore delle teorie eliocentriche. Attraverso Stigliola e Colonna Severino è anche in contatto col protomedico dell’Annunziata Mario Schipani.
Non contrastando, ma ridimensionando aristotelismo e galenismo, Severino segue la linea atomistica e studia le opere di Bernardino Telesio e Tommaso Campanella. Quest’ultimo, tra il 1609 e il 1613, nel periodo della detenzione napoletana, gode di una relativa libertà e si può dedicare all’insegnamento: tra i suoi allievi o uditori figurano Gregorio Costa, Vincenzo de Via, Pietro Giacomo Failla e, soprattutto, Marco Aurelio Severino. A testimonianza di questa Bildung, per così dire può essere citata la corrispondenza di Severino con Campanella e con un personaggio di punta della cultura napoletana di metà Seicento come Tommaso Cornelio. Il 23 luglio 1624, dal carcere di Castelnuovo, Campanella scrive al Severino, «medico ed anatomista reggio della città, all’Incurabili»16. Gli raccomanda un amico «che ha un abscesso a canto all’orecchia, perché Vostra Signoria è il capo di tutti, desidero che lei lo curi. E sia ciò subito perché son due giorni che non si medica». Nel settembre 1624 il frate di Stilo scrive ancora, mostrando una particolare consuetudine col medico di Tarsia, ancora un’altra raccomandazione per un amico «che si lauda assai di Vostra Signoria e lo tiene meritatamente come un Esculapio»17. Annunzia a Severino di avergli mandato alcuni libri. «È venuta d’Alemagna la Cantica e vengono gli altri e si stampa la Metafisica e pure l’Astrologia. Questo dico-conclude Campanella-perché so quanto Vostra Signoria si rallegra di questi boni eventi dell’Accademia, e noi tutti del suo nome»18. E in un’altra lettera Campanella annuncia a Severino l’invio di altri suoi libri «perché – scrive – è stato il primo a leggerli in pubblico quando altri tremavano di parlarne»19.
Il 12 dicembre 1646 Tommaso Cornelio invia una lettera da Roma al suo maestro Severino20. Il contenuto della lettera permette di misurare la distanza tra l’atomismo metafisico di Severino, pur decisivo per infrangere il potere autoritativo galenico-aristotelico, e la mentalità scientifica dei novatori. Cornelio ricorda che il sangue «distribuito e dispensato a tutto il corpo in virtù della palpitazione del cuore», è l’artefice della nutrizione che la «sola mente ode e vede, ogn’altra cosa è sorda e cieca»; che non c’è bisogno di ammettere, come fa Severino, «appetito alcuno nelle sostanze corporee, fuor che una convenienza di figura, di sito, di moto, o di grandezza o di altro simile accidente che io soglio chiamare modi».
Qui, ovviamente, siamo oltre il tempo storico di Severino: e il pur giovane Cornelio è il testimone di questo oltrepassamento. Purtuttavia, storicizzando appieno la figura del medico calabrese, si coglie il ruolo fondamentale di una cultura medica di transizione a Napoli che può essere identificata in un passaggio lungo, quasi secolare, interpretato dal trinomio Ingrassia, Iasolino, Severino. Il primo insegna nello studio napoletano fino al 1556. Dal 1563 il suo allievo Iasolino occupa la cattedra di anatomia ed è medico presso gli Incurabili. In qualità di perito, viene chiamato a stabilire la sanità mentale di Campanella. Nel giugno 1601 stende una relazione sulla presunta pazzia di Tommaso Campanella, nella quale evidenzia la finzione del frate domenicano. Anche il medico nolano Pietro Vecchione si esprime nella stessa direzione21. Iasolino svolge un ruolo di primo piano nel processo di canonizzazione di Andrea Avellino. Con un paio di forbici opera tre incisioni sull’orecchio e vede scorrere dalle ferite sangue rosso e fluido. Il 15 aprile testimonia al processo di canonizzazione. Dichiara di non aver visto niente di simile durante le numerose dissezioni di cadaveri da lui effettuate. Come è stato notato da uno dei maggiori studiosi di miracoli e santità nel Mezzogiorno moderno, Giulio Sodano, il sangue era il protagonista di una simbologia «grazie alla quale appariva il veicolo di trasmissione della virtù22». Ma qui interessa piuttosto rilevare come sia proprio a contatto col suo maestro Iasolino che Severino compie le sue prime esperienze pratiche di dissezione dei cadaveri. E attraverso Iasolino, si ricongiunge ad Ingrassia, col quale sono in rapporto stretto le sue opere. Mi riferisco in particolare al trattato De Recondita abscessuum in cui Severino, sulla scia dell’Ingrassia, intraprende un tentativo di classificazione delle enfiagioni fondato sulle caratteristiche anatomiche dei tessuti colpiti. Nel De recondita, che è il primo testo chirurgico illustrato, Severino applica il nome di abscessus a tutti i tumori contro natura, separando però chiaramente quelli di natura infiammatoria da quelli di natura cancerosa. Descrive dei sarcomi ossei e propone una classificazione dei tumori al seno. Insomma nasce la distinzione tra ascessi maligni che richiedono intervento chirurgico, e gli ascessi benigni.
Come è stato giustamente sostenuto da Trabucco, Severino «costruisce il primo vigoroso quadro teorico in cui situare la rivoluzionaria anatomofisiologia di Harvey»23, è il pioniere della chirurgia vascolare e può essere considerato uno dei fondatori dell’anatomia comparata. Nel 1625 asporta lesioni varicose. Scriverà nel De efficace medicina di aver fatto per primo questo tipo di operazione a Napoli, contestato da altri medici che protestarono presso i governatori e gli intendenti dell’ospedale, perché credevano che essa potesse esporre i pazienti a un grave rischio.
Compie le prime operazioni di tracheotomia sugli esseri umani agli Incurabili e cura la difterite con interventi più avanzati rispetto al passato. Predispone nuovi strumenti chirurgici come la forbice curva e le tenaglie taglienti per i polipi nasali.
Luigi Amabile che avrebbe voluto scrivere un’opera organica su Severino24, rileva gli straordinari passi in avanti da lui audacemente compiuti nel contesto delle condizioni della chirurgia contemporanea. Certo già nel Cinquecento la chirurgia ha compiuto notevoli progressi: la legatura delle arterie nei monconi di amputazione, la stessa legatura a monte degli aneurisma, la protezione delle ferite, il perfezionamento dei metodi di plastica e di rinoplastica, la cura operatoria dell’ascesso epatico, la trapanazione del cranio nell’epilessia post traumatica, sono passi avanti decisivi. Ma la chirurgia è ancora considerata arte inferiore alla medicina. E del resto le cinque funzioni attribuite da Ambroise Paré alla chirurgia – eliminare il superfluo, ridurre ciò che si è dislocato, separare ciò che è stato unito, riunire ciò che è stato separato, riparare ai difetti della natura – hanno più a che fare con l’arte meccanica che con quella medica propriamente detta e ritenuta tale nel Cinquecento. E tuttavia nella biografia di questo personaggio, vissuto tra il 1510 e il 1590, è contenuto un passaggio importantissimo che segna la moderna chirurgia: dalla pratica alla innovazione. Paré comincia la sua attività come barbiere e ciarlatano, ma insieme frequenta il principale ospedale di Parigi, l’Hotel Dieu. Lavora per l’esercito e si specializza in ferite da proiettile. È il primo chirurgo che effettua la legatura dei vasi nelle amputazioni. Progetta nuovi strumenti chirurgici, tra cui la protesi e il cinto erniario. Studia i gemelli siamesi. Al culmine della carriera diventa medico personale di cinque re.
Severino «adoperava vigorosamente il ferro e il fuoco, mentre gli altri adoperavano quasi sempre i soli unguenti, calmando le sofferenze e lasciando andare le cose al loro destino»25. La necessità di far presto e di non essere distratto quando doveva aggredire un aneurisma, gli interventi incisivi e soprattutto per ferite da armi da fuoco, gli imponevano di «trattare i malati con ruvidezza, se non ubbidissero al suo cenno, o brontolassero con qualche parola, o si lagnassero del dolore»26.
L’opera De efficaci medicina è importante sia per conoscere le tecniche della medicina efficace, secondo Severino, sia la sua posizione nei confronti del dolore fisico. Nello scritto ricordato sono contenuti i resoconti di singoli interventi in vere e proprie cartelle cliniche, che fanno conoscere la data e la natura dell’operazione, il luogo di provenienza del paziente, la composizione dell’équipe medica (Francesco Romano, Adamo Marchi e Gian Domenico Mosca tra i nomi più frequenti). Il dolore è il problema centrale nell’esperienza clinica di Severino. Anche ne Il medico a rovescio Severino ribadirà che l’accusa di crudeltà mossa ai chirurghi viene dai profani, «ma il senso comune che induce il medico ad arrestarsi sulla soglia del dolore si ritrova anche all’interno del sapere medico e finisce col condizionare le opinioni (la pratica) degli stessi chirurghi»27. Su questo terreno le posizioni di Severino si discostano nettamente da quelle di altri medici del tempo come Gerolamo Fabrizi, che propone terapie alternative alla chirurgia, e Gaspare Tagliacozzi che ne fa un uso più mediato, privilegiando la chirurgia plastica e non ritenendo necessarie applicazioni in altri campi. «Per Severino la chirurgia è un male necessario; forse Gerolamo Fabrizi e Gaspare Tagliacozzi, quando parlano di crudeltà, intendono riferirsi agli eccessi che pure si compiono, ma la chirurgia per sua natura è portatrice di ferite e di dolore»28.
Per capire fino in fondo pratiche e comportamenti del chirurgo Severino è necessario penetrare nella sua metodologia. Da questo punto di vista l’opera centrale della produzione del medico calabrese è la Zootomia democritea.
Egli sostituisce la dissectio con la resolutio ad minutum, ossia la «decomposizione del corpo nei suoi vari elementi, delicato procedimento – come è stato scritto – simile allo smontaggio di un orologio»29. Le parti che compongono l’organismo umano vengono smontate secondo una tecnica introdotta proprio dal Severino, tesa a spingere la scomposizione fino alle ultime e indivisibili parti dell’organismo, e fondata sull’idea di analogia tra uomo e animale30. «Il Severino trasse la chirurgia dal languore in cui giaceva e, lasciati impiastri ed unguenti, facendo uso ardito del coltello e del cauterio, impresse un nuovo indirizzo a quel ramo della medicina»31. Sono le parole del maggiore studioso dell’epistolario di Severino depositato presso la Biblioteca Lancisana di Roma. La Zootomia è pubblicata a Norimberga nel 1645. In essa è sottolineata la superiorità dell’anatomia sulle altre scienze, perché rivela gli aspetti più minuti e nascosti della realtà, manifesta la regolarità dell’ordine della natura e la sua perfezione anche negli animali minuscoli. Da qui la fecondità dell’uso del microscopio che diventa un elemento indispensabile all’anatomista al fine di un preciso studio dissettorio. Severino e la sua Zootomia sono insieme con gli accademici di Parigi Bartholin, Stenone e Welsch, le fonti del concetto di anatomia comparata di Giovanni Caldesi, La Zootomia circola soprattutto nel mondo accademico bolognese al tempo di Marcello Malpighi: un tempo caratterizzato dallo scambio capillare con le più aggiornate metodologie chirurgiche contemporanee. L’opera circola assai di meno a Napoli. Un anno dopo la pubblicazione della Zootomia è la volta del De efficaci medicina. In essa Severino sostiene la tesi, in polemica con l’approccio iatrochimico, che la chirurgia è un forma di applicazione efficace, perciò legittima della medicina.
Tra l’approccio iatrochimico, che intende spiegare unicamente con le reazioni chimiche i fenomeni fisiologici e patologici, e l’approccio iatromeccanico, che concepisce l’organismo umano come un assemblaggio di macchine diverse, ciascuna con struttura e compito ben definiti, analizzabili e misurabili, Severino propone una terza via, per così dire: il progressivo distacco dall’aristotelismo e dalla teoria degli umori di Ippocrate attraverso una chirurgia fondata sul primato dell’anatomia comparata. La strada è così aperta verso la rivoluzione cartesiana e galileiana.
Luigi Amabile ha ricostruito il rapporto tra Severino e l’Inquisizione diocesana napoletana. Le accuse al tribunale furono opera, secondo Amabile, di assistenti del chirurgo calabrese: in particolare Antonio Tonno, Francesco Romano, Luigi De Vita. Altri collaboratori usarono la confessione per le loro delazioni. Per rendere più efficace la denuncia delle pratiche chirurgiche del Severino, si fece ricorso ai suoi comportamenti considerati irrispettosi dell’ortodossia religiosa. Così all’orrore destato dalla cura della difterire «con la scarnificazione seguita dal fuoco» e dall’estrazione di un pezzo di osso per una ferita di coltellaccio al capo, si univa lo scandalo perché il medico calabrese non si toglieva il cappello al passaggio del Sacramento, non andava a messa, coltivava “amicizie carnali” con una figlia bastarda, leggeva libri di poesia invece di libri spirituali. In realtà, come rileva ancora l’Amabile, «la crudezza nel medicare, ossia la crudeltà nell’operare […], non figura mai tra i tanti casi contemplati nei tanti trattati di pratiche del S. Officio»32. Era dunque necessario trasferire dal piano strettamente medico al piano del reato peccato la logica delle accuse al Severino. Al fondo agivano anche, secondo Amabile, le gelosie degli altri medici per la fama guadagnata dal loro collega e per la celebrità dell’ospedale degli Incurabili, che aveva soppiantato l’Annunziata. Francesco Romano – cito da Amabile – «incapace di sostenere una concorrenza divenuta impossibile, si ingegnò di sbrigarsi all’intutto del Severino, travolgendolo in guai nient’affatto lievi»33. Egli subì due persecuzioni distinte. La prima fu all’interno degli Incurabili con la sua espulsione dall’ospedale nel 1635, provocata dai suoi colleghi che l’accusarono presso i governatori dell’ospedale di “crudezza” nel medicare. Il medico a rovescio el disinganno nel medicar crudo, l’unica opera del Severino in italiano, è la sua autodifesa, elaborata dal suo amico e collega Onofrio Riccio. Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Lancisiana di Roma, tra le carte di Severino che Giovanni Maria Lancisi acquisì da Antonio Bulifon. Come è stato osservato, non si tratta, secondo l’opinione dell’Amabile, di un semplice libello, ma di un’opera scientifica «concepita come un’esposizione in forma compendiata dei temi della medicina efficace, già trattate in altre opere chirurgiche»34. I primi capitoli definiscono i campi della medicina e della chirurgia. Quindi Severino passa a trattare la «natura del dolore», il «naturale avanzamento del male»,«l’accortezza e previdenza del medico curatore», «dell’affannamento del medico curatore sproporzionato e dell’altri discreti suoi modi», «delle condizioni del diritto medicare», «del diritto giudizio sopra il medicar richiesto dal male e sopra l’altro ritenuto dal costume», «appareggiamento dell’uno e dell’altro curare», «paragone del Severino con gli altri medici curatori», «epilogo della dimostrazione». La redazione fu affidata ad Onofrio Riccio, esperto conoscitore dell’opera di Severino e parte integrante del suo entourage. Riccio è medico fisico, lettore straordinario allo Studio a partire dal 1641, membro, insieme con Severino, dell’Accademia degli Oziosi, nel 1654 lettore di retorica della medicina, chiamato a curar la peste del 1656.
La seconda persecuzione ebbe una dinamica più complessa. Gli avversari inventarono delitti ancora più gravi, che portarono alla cattura del Severino ad opera dell’Inquisizione. Egli riuscì a fuggire, cadde però da cavallo e, durante la sua assenza, la sua abitazione fu devastata e i suoi libri asportati. Fu quindi prima ricondotto nel carcere arcivescovile, poi ai domiciliari. Il processo durò dal luglio 1640 fino ai primi mesi dell’anno successivo e si concluse con una abiura lieve da parte del Severino. Insomma il processo finì molto meglio di come era cominciato, anche se è stata ipotizzata una permanenza di Severino agli arresti domiciliari35.
Il chirurgo calabrese aveva sperimentato anche alcune pratiche di sedazione del dolore: in particolare applicazioni prolungate di acqua fredda, o, meglio, di neve sul perineo, da incidere per il trattamento del mal della pietra. Il suo allievo Tommaso Bartholin, rientrato nel suo paese natale in Danimarca, ne fece oggetto di un trattato De nivis uso medico, suggerendo di colorare la neve e di distribuirla secondo disegni geometrici al fine di aumentarne l’effetto. Comunque il grande medico calabrese resta «un chirurgo interventista, propenso cioè a sperimentare la chirurgia anche a scopo preventivo, ad estenderne il campo di applicazione a patologie di solito affrontate con altri sistemi di cura, disposto a tentare un intervento chirurgico come estremo rimedio[…]. Tra le condizioni di esercizio della medicina efficace c’è la regola che impone di non piegarsi alle grida di dolore degli ammalati. Chi vide all’opera Severino, lo rappresenta come un chirurgo estremamente deciso nel corso di un’operazione»36. Proprio sulle grida di dolore degli ammalati avrebbero speculato altri medici degli Incurabili per fare espellere Severino dall’Ospedale e guadagnare posizioni di potere.
Dunque già prima della metà del Seicento, il problema della pratica medica, del rapporto medico-paziente, della scelta dei metodi chirurgici è un terreno di violenti scontri all’interno della professione. Certo Severinoè un’eccezione. Le sue idee non sono compatibili con l’opinione corrente che non ritiene opportuna una terapia dolorosa; le sue operazioni, che curavano morbi ritenuti inguaribili con l’uso della chirurgia, suscitano forti perplessità tra i medici degli Incurabili. Del resto, ancora nel Settecento, i cardini della pratica medica nel Mezzogiorno d’Italia sono ancora sostanzialmente due: salassare e purgare. Il caso Severino, tuttavia dimostra come anche su questo terreno l’età spagnola a Napoli non sia affatto una storia immobile o, peggio, una storia di assoluta decadenza: i segni ambigui e contraddittori del moderno solcano anche il rapporto medico-paziente, i metodi di elargizione della cura.
Concludo da dove sono partito. Sulla questione del dolore coesistono in Severino il paradigma naturalistico e la distanza dai Secreti rinascimentali. Le novità sono rilevanti e possono così essere sintetizzate: il dolore è ricondotto nel contesto della pratica medico-chirurgica; l’intervento operatorio efficace e rapido come metodo di cura deve prevalere anche sulla percezione del dolore da parte del paziente; ma l’attenzione al suo dolore non è assente dall’orizzonte del Severino, come dimostra la sperimentazione di nuove tecniche di sedazione.













NOTE
1 Cfr. R. Ferrone (a cura di), Immagini botaniche dalla raccolta del fondo Rari della Biblioteca dell’Istituto Superiore di Sanità, Roma 2010, p. 12. Il primo del genere Secreti apparso in Italia, è opera nuova intitolata Dificio di ricette, Venezia 1525.^
2 Più o meno nello stesso periodo sono pubblicati i Capricci medicinali (Venezia, 1568) di Leonardo Fioravanti, i Secreti di Isabella Cortese (Venezia, 1561). Si tratta di un genere che assume vari titoli: Tesori, Giardini, Fontane di ricette, Centurie di segreti. Esso suggeriva rimedi popolari a chi non poteva rivolgersi al medico. La sua fortuna continuò nei secoli XVII e XVIII.^
3 M. Foucault, Nascita della clinica. Il ruolo della medicina nella costituzione delle scienze umane, Torino, 1969, pp. 5-6.^
4 I. Anzoise, Metafore della coscienza 1543-1687: dal paradigma naturalistico al paradigma meccanicistico. Tesi di Dottorato in Storia dell’Europa Mediterranea dall’Antichità all’Età Contemporanea, Università della Basilicata XXIV ciclo.^
5 Ivi, p.191.^
6 Cfr. A. Musi, Medicina e scienza a Napoli nel Seicento, in R.M. Zaccaria (a cura di), Sebastiano Bartoli per la cultura termale del suo tempo, Leo Olski, Firenze, 2012, pp. 13-26.^
7 Cfr. A. Prosperi, Dare l’anima. Storia di un infanticidio, Torino, 2005, sul rapporto tra medicalizzazione del parto e principio teologico-filosofico del dolore: la Chiesa, per Prosperi, è contro la sua sedazione. Su posizione opposta L. Scremin, La medicina e la Chiesa: la “leggenda nera”, on line, secondo il quale la dissezione, fondamento dell’anatomia e presupposto della medicina scientifica, nasce in ambiente cattolico, a seguito della decadenza della cultura islamica e il rinnovamento della cultura occidentale. L’attività anatomica di Berengario anticiperebbe Vesalio che «non sfidò il rogo quando diede stabile base all’anatomia umana». L’anatomia era già insegnata nella Roma papale e nei paesi cattolici erano consentiti studi anatomici fin dal Trecento.^
8 Cfr. A. Musi, Medicina e scienza, op. cit., pp. 13-26.^
9 Cfr. A. Musi, L’Italia dei viceré. Integrazione e resistenza nel sistema imperiale spagnolo, Cava de’ Tirreni, 2000, pp. 129 ss.^
10 G. De Miranda, Una quiete operosa. Forma e pratiche dell’Accademia napoletana degli Oziosi (1611-1645), Napoli, 2000, pp. 307-308.^
11 Per un approfondimento A. Musi, La disciplina del corpo. Le arti mediche e paramediche nel Mezzogiorno moderno, Napoli, 2011, pp. 9-66.^
12 Si vedano le voci Ingrassia Filippo in Dizionario Biografico degli Italiani, autore Cesare Preti, e A.G. Marchese, Giovanni Filippo Ingrassia, Palermo 2011.^
13 Cit. in A. Spedalieri, Elogio storico di Giovanni Filippo Ingrassia, Pavia, 1817, p. 62.^
14 Cfr. la voce di Augusto de Ferrari in Dizionario Biografico degli Italiani.^
15 Per le notizie che seguono: L. Amabile, Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, Napoli, 1882, p. 28 e pp. 157-158. F. Manzi, Un grande nolano obliato: Nicola Antonio Stigliola, in «Archivio Storico perle Province Napoletane», XI (1973), pp. 75-96.; G. Fulco, Documenti inediti e addenda per la stamperia Stigliola, in «Atti del circolo culturale B.G. Duns Scoto di Roccarainola», 8-9 (1983), pp. 35-60, con ampia bibliografia; G. Brancaccio, Geografia, cartografia e storia del Mezzogiorno, Napoli 1991.^
16 T. Campanella, Lettere, a cura di V. Spampinato, Bari, 1927, p. 204.^
17 Ivi, pp. 209-210.^
18 Ibidem.^
19 V. Ducceschi, L’epistolario di Marco Aurelio Severino (1580-1656). Un fondo per la storia della medicina nella prima metà del secolo XVII, in «Rivista di Storia delle Scienze Mediche e Naturali», XIV (1923), p. 218.^
20 M. Torrini, Lettere inedite di T. Cornelio a M.A. Severino, in «Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere», La Colombara, XXXV (1970), pp.147-148. Si veda pure S. Serrapica, “Malo Modo malus cuneus”. La diffusione di Van Helmont nella Napoli “investigante”, in R.M. Zaccaria, (a cura di), op. cit., pp. 52-53.^
21 L. Amabile, op. cit., vol. II, p. 228.^
22 G. Sodano, Il miracolo nel Mezzogiorno d’Italia dell’età moderna tra santi, madonne, guaritrici e medici, Napoli 2010, p. 231.^
23 O. Trabucco, Ariosto tra i filosofi, in «L’Acropoli», 11 (2010), p. 53.^
24 Lo testimoniano i numerosi materiali da lui raccolti nei manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli, XI. AA.35, 36,37. Essi sono il risultato delle ricerche di Amabile presso la Biblioteca Lancisiana. Nel primo dei tre manoscritti sono notizie di carattere generale e il carteggio di Severino. Nel secondo: critica delle fonti letterarie biografiche su Severino e relazione preliminare sui documenti raccolti; nomi dei medici e infermieri operati da Severino; notizie sull’accusa del Severino da parte dell’Inquisizione; spoglio delle opere; citazioni e richiami alle opere biografiche e bibliografiche su Severino; commento alle lettere a Cassiano del Pozzo; ristretto della biografia attribuita a Volkhamer. Il terzo manoscritto contiene Lettere a Cassiano del Pozzo.^
25 L. Amabile, Due artisti e uno scienziato. Gian Bologna, Iacomo Svanenburch e Marco Aurelio Severino nel Santo Ufficio napoletano, in «Atti dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche», 24 (1891), pp. 473 ss.^
26 Ibidem.^
27 J. Elia, Il medico a rovescio. Per la biografia di Marco Aurelio Severino (1580-1656), in «Rivista Storica Calabrese», N.S., 4 (1983), p. 149.^
28 Ibidem.^
29 Cfr. la già citata tesi di dottorato dell’Anzoise, p. 185.^
30 D. Arecco, L’incidenza della iatrofisica galileiana sugli studi medici, biologici e zoologici di Giovanni Alfonso Borelli, on line, sostiene che la iatrofisica di Borelli dimostra il rinnovato interesse per la dottrina atomistica; ed è Severino che conduce Borelli alla lettura atomistico-meccanicistica della realtà vivente; nelle mani di Severino, «il tratto distintivo dell’anatomia non è più la dissezione (resectio) in quanto tale, ma piuttosto l’intenzione, manifestamente espressa, di spingere la scomposizione fino alle ultime e indivisibili parti dell’organismo». Non mi convince l’estremizzazione iatromeccanica come interpretazione di Severino. Sono piuttosto persuaso che egli intraprese, come dirò avanti, una terza via.^
31 V. Ducceschi, L’epistolario, cit., p. 214.^
32 L. Amabile, Due artisti, cit.^
33 Ivi, p. 466.^
34 J. Elia, art. cit., p. 143.^
35 Cfr. G. Bellucci-M. Tiengo, La storia del dolore, Milano 2005.^
36 J. Elia, art. cit., p. 144.^
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