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Il 2016 sarà un anno noioso?
di G. G.
A Bruxelles un alto burocrate europeo ha augurato che il 2016 sia un «anno noioso»: un anno cioè, estremamente tranquillo, tanto da far desiderare che avvenga qualcosa.
Il biglietto da visita col quale il nuovo anno si presenta è, però, da questo punto di vista, tutt’altro che rassicurante. Non è strettamente necessario, perché si tratta di cose che tutti vedono e sanno e che proprio non possono sfuggire a nessuno. Proviamoci, tuttavia, a fare un elenco dei problemi globali o semiglobali che sono iscritti sul biglietto col quale il nuovo anno si è presentato: un elenco alla buona, limitato ad appena qualcuno della lunga lista di quei problemi, senza neppure proporne una graduatoria di urgenza e di gravità; un piccolo elenco fatto a caso, così come le cose vengono sotto la penna.
Partiamo, ad esempio, dalla forte battuta di arresto dell’economia cinese, con i nuovi riflessi subito così pesanti che se ne sono avuti nella finanza internazionale quale si esprime nelle Borse e nelle quotazioni dei titoli che vi sono presenti. La vicenda cinese è anche un po’ un ammonimento agli innumerevoli profeti della marcia trionfale di quel colosso demografico ed economico che è la Cina e che, insieme con le altre “tigri del Pacifico”, avrebbe, secondo quei profeti, di gran lunga sopravanzato l’ormai esangue Occidente e scalzato, in particolare, il primato globale degli Stati Uniti. Ne esce confortata, invece, l’opinione della minoranza che ha sempre fatto presente come i processi economici e sociali, i processi storici in generale non sono mai unilineari e uniformi, ma sempre drammatici e complessi, con innumerevoli contraddizioni, incertezze, involuzioni, ritorni, ripartenze e false partenze. Quella minoranza che ha sempre ricordato come i ritmi e la portata dei processi di sviluppo dei paesi arretrati siano molto forti e intensi nell’avvio dello sviluppo, ma vadano poi fatalmente a rallentare, e anche di molto, e non paradossalmente, a mano a mano che lo sviluppo prende consistenza. E la battuta d’arresto di fine 2015 prova, tra l’altro, anche, e appunto, che lo sviluppo di quel grande paese sta raggiungendo rapidamente la soglia di un rallentamento. Fermo restando, ovviamente, che, però, allo stesso tempo, il rallentamento ne attesta pure il grandioso successo realizzato finora: perché anche questo significano i riflessi che se ne sono subito avuti nella finanza internazionale.
Durerà e quanto sarà rilevante questa battuta d’arresto? Nessuno può dirlo. Staremo a vedere. Alla Cina, intanto, ci riporta un altro fenomeno globale o semiglobale di non minore rilievo. È recentissima, infatti, la decisione del governo cinese di abolire il divieto fatto alle famiglie di quel paese di avere più di un figlio: sembra che ora se ne possano avere anche due. Per un paese che ha una popolazione di poco meno del 20%, un quinto, della popolazione mondiale, e che da sempre appare afflitto da un cospicuo problema di sovrappopolazione, non è affatto poco. E ciò mentre il problema delle grandi migrazioni internazionali, che hanno raggiunto in Europa quote altissime, sembra acuirsi in maniera estremamente drammatica.
L’anno si è aperto con le misure di Svezia e Danimarca, e poi anche della Slovacchia, che limitano l’afflusso delle persone in quei paesi. La gravità del problema sembra ora preoccupare di più le autorità europee. Era tempo (e gli incidenti del capodanno a Colonia ne sono stati un diverso, ma del tutto equivalente segnale). È stato, intanto, proclamato l’intenzione di tener vivo il principio della libera circolazione delle persone in Europa sancito nel trattato di Schengen. Anche qui vedremo. Non senza ricordare che anche un grande paese liberista in materia, quale per tanto tempo furono gli Stati Uniti, dopo la prima guerra mondiale dovette adottare il principio delle quote immigratorie. E limitazioni al movimento delle persone furono pure quelle francesi adottate in seguito agli attentati parigini di dicembre.
Con ciò, il problema delle migrazioni si salda con il problema del terrorismo islamico, che nella seconda metà del 2015 è diventato via via più esteso e più gravemente minaccioso, in stretto rapporto con l’estendersi della diffusione di movimenti islamici radicali nel Medio Oriente e in Africa. La portata di questo problema può essere anche colta osservando che perfino il criterio, al quale ora sono in molti a propendere in Europa, di limitare i movimenti migratori nei paesi europei non promette di riuscire affatto risolutivo. Basta pensare per capirlo che nei paesi europei sono già milioni gli islamici immigrati e stabilmente residenti. Tra questi milioni di persone la possibilità di reclutare i nuovi combattenti della causa dell’Islam estremista è larghissima. Specialmente tra i giovani e nelle fervide atmosfere dei luoghi di culto islamici il reclutamento è più che facile. Né è sensato pensare a un inasprimento delle pene previste in questo campo. Quale efficacia può avere questa idea rispetto a persone che mettono preventivamente in conto, anche se giovani o giovanissimi, la propria morte, il glorioso suicidio dei combattenti per la fede?
Prima di essere un gravissimo problema politico, il terrorismo – bisogna pur farsene una ragione – è un grandissimo problema di polizia: sia pure, come è necessario e possibile, di una polizia aggiornata in tutta la misura del possibile nei suoi strumenti e nelle sue tecniche operative. Punto che va integrato osservando ancora che anche l’ammonimento, spesso ripetuto, alla opportunità e necessità di fronteggiare il terrorismo con una grande “lotta culturale” è, da un lato, una banalità (perché è chiaro che ogni conflitto, ma in particolare quelli di cui è espressione il terrorismo, sono anche, se non prioritariamente, conflitti culturali); e, dall’altro lato, è una insensatezza (perché – come qualcuno diceva già qualche secolo fa – le idee disarmate non possono affidarsi soltanto a se stesse nel confronto con le idee che, invece, sono armate).
Per di più, il problema del terrorismo islamico estremista si è progressivamente identificato con gravi problemi di politica internazionale facenti capo a determinate entità politiche statali. Da ultimo è apparso sulla scena lo Stato Islamico dell’autoproclamatosi califfato di al-Baghdādi, che, per quanto composito e incoerente nella sua realtà territoriale, ha, tuttavia, rivelato una non trascurabile capacità di azione, accompagnata a pratiche feroci di “giustizia” in nome dei principii ideologici dell’Islam professato da tale califfato.
Questo è, comunque, sopravvenuto nello scacchiere originario – se così può dire – dei problemi oggi posti dall’Islam, ossia il Medio Oriente, dall’Egitto e dalla Palestina fino all’Afghanistan e al Pakistan. Vero è che da tempo questo scacchiere si è saldato con quello nord-africano dalla Libia al Marocco; e ha pure trovato proiezioni africane per nulla trascurabili, dalla Nigeria al Sudan, alla Somalia e ad altri paesi, ma è indubbio che il Medio Oriente rappresenti tuttora il luogo di elezione di questi problemi
Il mutamento della situazione può essere espresso, comunque, dalla circostanza che perfino il drammatico, fondamentale conflitto israelo-palestinese – benché riacceso pericolosamente dalla “intifada dei coltelli” – sembra essere non diciamo passato in seconda linea, ma certamente appannato dalla più recente e immediatamente esplosiva realtà degli altri conflitti che non solo per l’apparire del califfato di al-Baghdādi sulla scena mediorientale si sono accesi negli ultimi due anni.
Da ultimo, si è vista primeggiare all’improvviso proprio tra 2015 e 2016, una conflittualità imprevista: quella tra Arabia Saudita e Iran. I conflitti tra paesi mediorientali non sono una novità. Questo sembra, però, assumere un rilievo e una pericolosità fuori del comune. La sua radicalità certamente dipende dal contrasto millenario tra sunniti e sciiti. Ridurre tutto, però, in questo caso, all’elemento confessionale non sarebbe una prova di acume politico, o, meglio, storico-politico. L’elemento confessionale e qui, infatti, strettamente intrecciato, tanto strettamente intrecciato da coincidere, con una questione di potenza che nel Medio Oriente si agita fin dall’indomani della prima guerra mondiale.
Da principio occultata dalla presenza delle due grandi potenze europee vincitrici di quella guerra, Francia e Inghilterra, la questione si è riproposta in maniera ben più esplosiva all’indomani della seconda guerra mondiale, con il crollo delle posizioni europee in quel settore. Come si sa, l'importanza di quest'area geo-politica era stata certamente accresciuta a dismisura dalle sue risorse petrolifere, e la sua importanza strategica dalla “guerra fredda”, senza contare che la sua struttura, sia strategica che geo-politica, è stata enormemente complicata dalla formazione dello Stato di Israele. E non appare frutto di pura fantasia il pensare che, forse, proprio con i più recenti avvenimenti sta venendo fuori, con sufficiente evidenza, che il gioco di potenza in questa regione mette in questione soprattutto le posizioni e il ruolo odierno e futuro nell’Islam, e anche a prescindere dall’Islam, delle potenze eminenti di quest’area, l’Iran, per l’appunto, e l’Arabia Saudita.
Sarebbe superfluo sottolineare quale impatto l’esito della contrapposizione fra Iran e Arabia Saudita potrebbe avere anche sui problemi dell’estremismo e del terrorismo islamico: un esito oggi imprevedibile, potendo anche darsi che per il momento il contrasto in qualche modo si componga. La questione di fondo rimarrà, tuttavia, a covare – è facile prevederlo – sotto la cenere.
Non è, invece, per nulla superfluo osservare ancora che, con qualsiasi esito del conflitto irano-saudita, e con qualsiasi impatto di tale esito sul mondo del terrorismo islamico, non si dovrà affatto ritenere che il problema del terrorismo ne venga sostanzialmente risolto. Le radici del terrorismo sono profonde nel Medio Oriente, ma sono presenti in ogni parte del mondo islamico, compreso (e ve ne sono ormai tante e tante prove) l’islamismo presente nel mondo occidentale. E ciò vuol dire che il terrorismo va affrontato con strategie e tecniche commisurate alla sua enorme (e – si aggiunga – capillare) diffusione.
Ugualmente per nulla superfluo è, infine, osservare che è già del tutto evidente quanto i più recenti sviluppi della situazione nel Medio Oriente e il problema del terrorismo incidano sugli equilibri politici, e in particolare sugli equilibri di potenza, in tutto il mondo. Ingenua – a dir poco – appare la sorpresa per il ritorno della Russia di Putin a un’attiva
gross politik nel Medio Oriente. Vi sarà ancora molto da vedere in questa materia, che comprende – non occorre dirlo – anche la questione di Israele, del suo atteggiarsi e delle sue prospettive.
Un anno noioso il 2016? Non sembra proprio che lo si debba temere. La questione è, piuttosto, nel dilemma se il nuovo anno, bisestile, risponderà alla terribile fama dell’
anno bisesto, anno funesto o, invece, a quella più amena del molto, molto meno diffuso anno bisestile, anno in grande stile.
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