Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno XVI - n. 5 > Editoriale > Pag. 433
 
 
Che cosa manca all'Europa?
di G. G.
Il problema dei migranti e quello della Grecia hanno reso assai viva, per alcune settimane, la discussione sulle ragioni per cui l’Unione Europea non riesce ad assumere in misura appena soddisfacente il “suo” ruolo di grande realtà politica nella sua vita interna e sulla scena internazionale. Il ruolo, cioè, a cui la si penserebbe destinata per tutta la serie delle ragioni per cui, quando si dice Europa, ovunque, anche a prescindere da un grande, e ancora prossimo, passato, si pensa a una parte eminente del mondo e della civiltà contemporanea.
Le opinioni espresse in questa discussione sono state talora disarmanti per la loro superficialità o infondatezza o impertinenza, ma sono anche state spesso acute o interessanti. Nel complesso, comunque, le ragioni più comunemente addotte della persistente insufficienza politica dell’Unione Europea ne sono risultate sostanzialmente legate fra loro. Da un lato si è insistito sulla scarsa consistenza dei poteri assegnati all’Unione dai paesi membri. Da un altro lato, si è messa in forte rilievo una conduzione oligarchica del potere europeo che ha nella Germania il suo dominante protagonista e nella politica economica e finanziaria il suo più manifesto terreno. Da un terzo lato, si è fortemente deprecato lo spirito nazionalistico tuttora dominante in misura sostanzialmente esclusiva nei varii paesi e popoli dell’Unione.
Tre ragioni, dunque, serie e, come si è detto, interferenti fra loro. E, tuttavia, tali da apparire molto insoddisfacenti se da esse, o da altre simili ragioni, si dovesse dedurre il perché di quell’Europa deludente, come istituzione e come potenza, che vediamo finora associata nell’Unione Europea. Ragioni insoddisfacenti perché tutte riferite a qualcosa che all’Unione manca o perché non le è stato conferito (come è per la prima ragione) o perché usurpato da questo o quello dei suoi membri (come è per la seconda) o perché essa non lo ha scalzato (come è per la terza). E se, invece, la ragione essenziale e determinante fosse più interna all’Unione, più intrinseca alla sua genesi e alla struttura che essa ha assunto, e, quindi, di ordine meno istituzionale, meno relativo a particolari contingenze politiche o economico-finanziarie, meno superabile semplicemente procedendo per le strade finora seguite dell’integrazione politico-istituzionale, economica o altra?
Si pensi, in specie, alla terza delle ragioni sopra indicate, che da questo punto di vista ha una particolare importanza. Postulare il persistente nazionalismo come causa di debole spirito europeo è più che plausibile. Non si può fare, però, a meno di notare che si tratta di un argomentazione carica di una paradossale contraddittorietà. Sul piano nazionale, accanto alla denuncia della persistenza di gretti e tenaci nazionalismi, non si fa, infatti, che lamentare, incoerentemente, un po’ ovunque in Europa, e non solo nei paesi maggiori, un forte indebolimento dei tradizionali vincoli nazionali. Chi penserebbe oggi possibili esaltazioni nazionali come quelle che accompagnarono in tutta Europa lo scoppio della prima guerra mondiale? E, del resto, già nella seconda guerra mondiale l’aspetto di guerra ideologica (democrazia contro totalitarismo, libertà contro dittature di ogni genere) prevalse nettamente sull’aspetto di guerra patriottica, anche là dove la patria fu esplicitamente invocata quale motivo essenziale di guerra, come da Stalin per l’Unione Sovietica e nei paesi occupati dai nazisti prima e dai comunisti poi; e comunque si parlò di patria ben più che di nazione.
Tutto ciò pone, comunque, l’altro e non meno rilevante problema, derivante dalla effettuale compresenza di entrambi i movimenti, quello dell’arroccamento nazionalistico per alcuni versi e in determinati settori della vita sociale, e quello della fatiscenza dell’autentico, anche più consolidato, spirito nazionale per altri versi e in altri settori della vita sociale. Se i due opposti movimenti sono, in un qualsiasi modo, compresenti, ciò non vuol dire che le condizioni etico-politiche dei paesi europei sono anche più gravi di quanto a prima vista possa apparire?
Resta, comunque, indubitabile che una vera e solida realtà politica – quale si pensa che l’Europa debba essere, e si depreca che non sia, sul piano della sua vita e prassi istituzionale e sul piano delle grandi potenze sulla scena internazionale – richiede che vi sia a sorreggerla una sua base etico-politica sufficientemente ampia e profonda. Solo da una tale base possono essere determinate, e di continuo animate, le identità e le appartenenze, la partecipazione e la disciplina, le accettazioni forzate o spontanee dell’ordine costituito, e gli altri simili elementi, che sono indispensabili perché di autentica, viva e vitale realtà politica si possa parlare.
Così è stato sempre della storia, che si trattasse degli antichi faraoni o delle moderne monarchie europee di diritto divino, del celeste impero o dei califfati musulmani, dell’antica
polis ellenica o del comune italiano del Medioevo, e fino alle realtà politiche meno complesse e più elementari, puramente tribali o di clan.
Esiste una tale base etico-politica nel caso dell’Unione Europea? Bisognerebbe essere incredibilmente ottimisti per rispondere di si. Al massimo, si può dire che vi sono gruppi ristrettissimi, più intellettuali che politici, i quali hanno il senso dell’Unione come loro vera patria politica e civile; hanno il senso dell’Europa unita nell’Unione come di una “nazione europea”; considerano davvero l’appartenenza all’Unione prioritaria e sovraordinata idealmente e sul piano dei doveri politici e civili derivanti dall’appartenenza ai loro paesi nativi; hanno un’idea unitaria della storia e dei destini europei più forte di quella relativi a questi loro paesi; hanno un’idea concreta di ciò che significhi per i paesi e i popoli dell’Unione esistere rispetto al resto del mondo, sul piano internazionale, solo per il tramite dell’Unione.
Ma vi può essere una simile specifica base etico-politica propriamente europea in un’Europa che non ha più né l’orgoglio, né la coscienza della sua storia? In un’Europa che si sente in debito profondo con tutto il resto del mondo per il suo passato di potenza imperiale e coloniale? In un’Europa che rifiuta e condanna sul piano storico il ruolo, che per alcuni secoli ha avuto, di avanguardia e guida della civiltà, traghettando l’umanità dalle ultime fasi della “rivoluzione neolitica” alle radicali innovazioni della “rivoluzione industriale” e della “rivoluzione scientifica” che le ha sollecitate e accompagnate? In un’Europa che condanna senza remissione, come un delitto di lesa umanità, le cosiddette visioni eurocentriche della storia del mondo anche per quei periodi in cui questa centralità europea è stata letteralmente vera? In un’Europa che si considera l’unica o la maggiore peccatrice della storia umana, e svilita dalla esaltazione della tolleranza e del pluralismo altrui?
Eppure si tratta del luogo storico in cui, per la prima volta nella storia dell’umanità, hanno avuto un pieno sviluppo le idee della libertà civile e politica, dei diritti degli individui e dei popoli, della giustizia o almeno dell’equilibrio sociale, della solidarietà sostituita all’assistenza come criterio di politica e di prassi sociale, della nazione come realtà etico-politica non etnica e naturalistica, della nazione come realtà politica liberamente sentita e voluta nel consapevole rinnovarsi (secondo la formula di Renan) di un “plebiscito quotidiano”, e di tante altre idee fondamentali del mondo moderno: idee che hanno fatto il giro del mondo e sono state quasi sempre vistosamente alla base dei movimenti che fuori d’Europa hanno contestato e lottato il ruolo dominante dell’Europa, dal quale volevano liberarsi e liberare i loro paesi.
La cultura europea della metà del Novecento – ma i semi di questo atteggiamento risalgono più indietro nel tempo – ha raccolto la sfida della storia alla sua tradizione assumendosi in prima persona il ruolo dell’accusatore, di chi prendeva atto che la contestazione all’Europa, condotta con idee essenzialmente europee, non poteva disdire queste idee. Di qui una revisione largamente ingenerosa, spesso sommaria, sempre non clemente della storia d’Europa, che ne sfatava il passato e le tradizioni in un’autentica demonizzazione di quel passato e tradizione. La storicità – una delle più alte, e anzi da molti punti di vista la più alta conquista del pensiero europeo – è stata essa stessa impugnata e rinnegata. Ciò che era storico (e, quindi, la storicità stessa) è stato immerso e dissolto nell’
antropologico, nel sociologico, nello psicologico (se non nello psicanalitico), nella serialità quantitativa, nel comparativismo di assonanze e consonanze di ben misero valore storico, nel pretenzioso strutturalismo di una grammatica storica senza alcun senso storico….
In tal modo quella che poteva essere una felice e feconda occasione di approfondimento e potenziamento, di riconferma e riscoperta dei valori europei e del loro più profondo senso storico e umano, civile e morale, solo in parte alquanto minore è stata tale. Nella parte di gran lunga maggiore si è trasformata in una colpevole diserzione dalla tradizione europea: colpevole
in omittendo (nell’obliterare o sottacere la grandezza e la vera natura della parte europea nella storia del mondo e dell’uomo) e in committendo (nello stravolgere quella parte secondo criteri superficiali, deformando o ipocritamente adattando ad altri sensi e ad altri fini, le idee della più alta tradizione europea, e assumendo come propri nel processo all’Europa idee e valori dei contestatori extra-europei dell’Europa, fra i quali quello della pretesa usurpazione europea di scoperte, invenzioni e pensieri extra-europei). E nello stesso tempo si è anche travisato e adulterato lo stesso pensiero europeo che da tempi assolutamente non sospetti ha tenuto sempre sospeso sul collo del pensiero europeo il soffio di un rigoroso, severo esame di coscienza, che nobilitava, non demonizzava l’Europa.
Era difficile che sulla base di una simile, dissolvente e assai poco costruttiva autocritica potesse nascere e radicarsi una coscienza etico-politica adeguata alla profonda e grande novità di una unificazione europea, quale che di una tale unione fossero le dimensioni. Della deficienza di questa indispensabile base etico-politica sono molteplici le attestazioni e i riscontri. La prova forse migliore è, però, che non esiste per nessun verso un
partito europeo, nel senso di partito che abbia per proprio fine specifico l’unità europea secondo disegni che vadano al di là delle forme finora assunte dalla integrazione europea. I gruppi parlamentari a Strasburgo ne sono un pallidissimo e molto insufficiente surrogato. I partiti che chiamiamo europei in rapporto agli organi dell’Unione (liberale, conservatore, socialista etc.) sono, in realtà, federazioni incoerenti e sostanzialmente impotenti rispetto ai partiti nazionali che in essi figurano associati, e che rimangono dappertutto il vero luogo di formazione e gestione della rispettiva volontà politica.
Tanto per stare agli esempi della storia d’Italia che al riguardo possono essere ricordati, non si è, insomma, visto, né si vede in Europa e nella sua vita politica, in tutto il periodo che ha portato dalle prime Comunità Europee all’Unione Europea, e poi fino a oggi, nulla di simile alla
Giovine Italia di Giuseppe Mazzini (1834: repubblicana, democratica e accesa fautrice dell’unificazione italiana) o alla Società Nazionale di Daniele Manin e altri, con l’adesione di Garibaldi e con l’appoggio segreto di Cavour (1856: monarchica, liberale, altrettanto decisa fautrice dell’unità italiana, anche se aperta a sue versioni federali). I movimenti federalisti europei non hanno mai dato luogo a nulla di simile. Essi hanno indubbiamente giocato una loro parte nel processo che ha portato all’Unione Europea, ma solo al livello di un movimento di opinione di ristrette élites. E non sorprende, perciò, che neppure quando si è passati dalla denominazione di Comunità Europea a quella di Unione Europea si sia fatta una seria discussione su quel che questo cambio di nome significava o avrebbe dovuto significare dal punto di vista dell’intimo profilo etico-politico della nuova costruzione alla quale ci si avviava.
La fonte dei massimi problemi nelle prospettive di fondo dell’Unione dal punto di vista qui considerato è, perciò, nella sua attuale sospensione tra identità e sentimenti politici nazionali che non hanno più la forza di un tempo (diciamo: fino alla seconda guerra mondiale) e un’identità e un sentimento politico europeo che non solo non è ancora nato, ma nemmeno si può dire che appaia davvero a un qualsiasi stato nascente. E quel che è certo è che per le vie attualmente seguite la formazione di una base etico-politica dell’Unione continuerà a costituire un futuribile teorico senza apprezzabili riflessi politici e storici. È quindi lecito ritenere che l’Unione si potrà pure rafforzare nei prossimi anni per questo o quel verso nelle sue strutture direttive e normative, all’interno e sul piano diplomatico (e anche questo è probabile, ma tutt’altro che sicuro). Se, però, allo stesso tempo non si farà fronte sul piano politico e culturale al problema fondamentale delle basi intime, etico-politiche dell’Unione, si tratterà sempre della costruzione, magari, di un gigante, quale le dimensioni materiali dell’Europa consentono, ma dai piedi di argilla.
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft